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“In questa sezione troverete tutte le ultime notizie, mostre, partecipazioni alle manifestazioni , i relativi report e quelle che spesso sono considerazioni o riflessioni sulla professione, sulla realtà che ci circonda e sul mondo, insomma il mio piccolo e personale speak corner”.

    LUCCA 2024, NONOSTANTE TUTTO...

    Sembra che non riesca a distaccarmi da questo mondo e da questa manifestazione, per il secondo anno consecutivo avevo deciso di saltarla, ma alla fine un amico mi ha proposto una zingarata da turista e trovato i biglietti, e alla fine sono andato.
    Il sole ha benedetto la giornata (e tutta l'edizione, sicuramente molto più fortunata della precedente), ma ho fatto meno cose anche se forse ho visto più gente.
    Potrei fare l'elenco delle persone ed i colleghi che ho incontrato, ma alla fine per cosa? Solo per snocciolare un elenco di nomi che devo necessariamente lasciare in elenco tanti sono. Del resto, se c'è una cosa piacevole in questa manifestazione, è oramai l'idea che si incontrano amici che probabilmente nell'arco dell'anno vedremo solo lì, e sono occasioni che ti ricordano che un tempo quello era un momento che aspettavi con entusiasmo, perché era la celebrazione di ciò che facevi e con chi la condividevi.


    Insieme a Marcello Toninelli, compagno di gita, abbiamo fatto un'intervista alla Gedis (produttrice delle carte Legends degli eroi bonelliani), che non so bene dove sia finita, visto che sullo spazio social della società, ce ne sono alcune, ma delle nostre neanche l'ombra.
    Abbiamo pranzato con la Medda Family (Michele, Lucia e Marco), nel primo ristorante che abbiamo incontrato e di cui neanche ricordo il nome, non credendo fosse così facile trovare cinque posti alle 13,30 di giovedì. Poi chiacchiere ogni due per quattro con le decine di persone incontrate, ci siamo fermati ovunque come fosse una via crucis, e per fare più o meno con tutti gli stessi discorsi. Discorsi sulla discesa del fumetto e della china che oramai ha preso Lucca verso la vocazione ad avvenimento generalista di ogni tipologia di entertainment, e il suo graduale allontanamento dall'antica vocazione originale. Ad esempio, abbiamo raccolto alcune testimonianze sulla sicura scomparsa del padiglione Giglio (dedicato appunto al fumetto, e ospitante scuole ed autori) a beneficio di un allargamento di cui beneficerà l'anno prossimo quello della RAI.
    Abbiamo visto le esposizioni di Palazzo Ducale, un must al quale non ci si può sottrarre, apprezzando, almeno personalmente, soltanto la parte dedicata a Carmine di Giandomenico e quella su Metal Hurlant e gli Humanoides Associés (soprattutto per il valore nostalgico dei ricordi evocati).
    Un bel ricordo è legato all'unico acquisto fatto, l'Artbook di Matteo Alemanno, talentuoso artista, amico e collega con il quale è facile addentrarsi in ragionamenti che esulano dalla semplice professione per approdare su altri argomenti, e al quale ho chiesto una dedica (richiesta che non rientra tra le mie abitudini), ma che a Matteo ho richiesto volentieri. E riscontrare con lui che, in modo diverso, ma stiamo attraversando lo stesso tumultuoso momento.


    Solo a fine giornata mi sono ricordato di non essere andato neanche al padiglione della Bonelli, l'ho solo sfiorato, un segno rimarcabile della mia distanza da certe dinamiche, ed ho incontrato così, solo di striscio, alcuni colleghi di via Buonarroti con i quali mi sono fermato a dire banalità generiche, senza né il desiderio né la volontà di ripetere, con loro, i soliti discorsi.
    Ecco quello che capita dopo un po', ci si stanca di dire le stesse cose (come se fossero diverse dalla volta precedente), ci si scopre eternamente ripetitivi, e solo di fronte a facce entusiaste di colleghi che in quell'occasione si vogliono ancora godere quegli sprazzi di entusiasmo che una volta erano la norma e ai quali, almeno una volta all'anno, decidono di assecondare, decidiamo di soprassedere, rimanendo sul -Come va?- e poco altro, e poi ci si saluta. Ed è in queste occasioni che il cuore ti si fa più grave, perché neanche puoi condividere certi ragionamenti solo per non guastare la festa.
    Per il resto non posso dire di avere visto molto anzi, potrei dire quasi nulla: né Totti vestito da Centurione romano, o le decine di splendidi cosplayers in giro per la città, le innumerevoli attrazioni sparse un po' ovunque, eventi imperdibili di cui si fa un gran parlare per le prevendite con relative delusioni per non potere ottenere l'esclusiva dei biglietti, personaggi più o meno noti che oramai imperversano da ogni parte, io mi sono perso beatamente tutto; e se siete arrivati fino a qui sperando di avere notizie su ciò che c'era e di cosa vi siete persi, sarete rimasti delusi e mi dispiace. Vi siete solo le mie considerazioni personali con le medesime contumelie. La mia Lucca è sempre stata votata al fumetto e quello che per me era quel poco (e sottolineo poco) che ci girava intorno, il resto poteva anche non esserci, scusate il mio minimalismo.
    Mi è capitato di vedere su You tube una parte della presentazione della manifestazione, e mi è venuto da sorridere nel vedere gli sforzi per mascherare il reale obbiettivo di quello che oramai è il carrozzone lucchese, e cioè un'enorme macchina per fare soldi e che sta fagocitando ogni cosa pur di crescere e sviluppare il suo business includendo di tutto.
    Mi aspetto per gli anni a venire anche padiglioni sulla moda, sul cibo con la presenza di chef internazionali, vedette dei reality, contest di cucina, talents di settore, attori di fiction tv e...

    Lucca, Lucca, ogni anno diventa un polo d'attrazione che per quelli che per decenni l'anno frequentata, vista cambiare e crescere, è un appuntamento al quale, come si vede, si fa fatica a rinunciare. Ma credetemi se vi dico che per me si fa ogni hanno più sbiadita, perché annacqua lentamente i ricordi che avevo di un mondo che non esiste più.
    E' nostalgia? Più che altro è una constatazione, io la Lucca che mi piaceva l'ho vissuta, esattamente come di questa posso fare semplicemente a meno. Del resto la vita ci mette di fronte a mutazioni inarrestabili e a cambiamenti ai quali ci si può solo adattare o, in altri casi, lasciarli correre verso il loro naturale futuro abbandonando tutto al proprio destino.

     

    Qua sotto i due pards (io e Marcello Toninelli) in una generica foto che ci ritrae a giustificazione della nostra presenza alla manifestazione, anche se a dire il vero la foto potrebbe essere stata scattata in una qualsiasi altra Lucca illuminata dal sole.

     

     

     

     

     

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    COREA, BUSAN E I WEBTOONS (2a Parte)

    GIOVEDÌ

    É il giorno di apertura del Busan Global Webtoon Festival, e fuori piove, il cielo è grigio e si può dire senza ombra di dubbio che è il peggiore di tutti quelli che ci hanno accompagnato fino a qui. Non che sentissi bisogno del caldo, ne abbiamo sopportato fin troppo, ma c’è d dire che la diminuzione di temperatura è stata repentina.
    Ce la prendiamo comoda e, non avendo la colazione inclusa, io e Federica andiamo allo Starbucks più vicino.
    Poi ci avviamo verso il teatro del Sohyang Theatre, luogo deputato durante il primo giorno ad ospitare i due interventi, pare più importanti, quello del webtooner Dr. Frost è quello del sottoscritto, e a seguire l’opening della manifestazione e le premiazioni.
    Ci viene incontro un collaboratore Nam Jeong-hoon che abbiamo conosciuto a Firenze, è il nostro corrispondente, e ci invita ad andare nella sede della BIPA dove abbiamo un breve incontro un po’ farraginoso fino a che non arriva Elisha, una loro collaboratrice che parla un po’ di inglese, e la mattina fugge così.
    Poi andiamo a pranzare in un ristorante cinese lì vicino, se da noi definiamo certe città delle mangiatoie (Firenze inclusa), qui forse lo sono ancora di più, e una delle motivazioni è il fatto che come i giapponesi, anche i coreani preferiscono mangiare fuori piuttosto che a casa propria.
    Quando torniamo al teatro è il momento del check, qui rimango fulminato dalla visione del gigantesco schermo luminoso che sarà il fondale della scenografia dell’evento, dove campeggia il mio faccione con la scritta del mio nome poi, come una compagna teatrale, mettiamo appunto gli spazi, le posizioni e definiamo il da farsi. Comincia a riempirsi la sala di pubblico che si dispone nell’ampia platea. Poi tutto inizia.

    Alcuni momenti del live drawing con l'intervista.

    Sono agitato? Neanche tanto, ma leggermente più del solito, solo perché conosco poco questo mondo e la sua realtà, e poi sono costretto a parlare lentamente e in maniera più semplice possibile, mi hanno detto che le interpreti hanno delle difficoltà e poi non posso interagire col pubblico come piace a me.
    Ma quando si parte, mi sembra di esserci nato sul palcoscenico.
    E mi viene a mente il ricordo di mia madre che quando alle elementari partecipai a una recita, per la mia timidezza, nel tentativo di scomparire il più possibile, mi intruppai insieme agli altri e lei si lamentò che dalla platea non mi vedeva. Così, per accontentarla (cosa non fanno i bambini per le madri) la volta dopo mi misi distante un metro da tutti gli altri e così, nella successiva foto sembravo isolato.
    Tra una domanda e l'altra disegno Antonio Cruz, il protagonista de “La lama e la croce”, ma i ritratti dovevano essere tre, ma di tele ce n’è solo una è un solo disegno realizzo.
    Le domande sono svariate, più o meno sempre le stesse, anche se qui ovviamente vertono molto sul confronto col webtoon e, con mio dispiacere, oltre che a segnalare le differenze, non mi resta che constatare ulteriormente la sua poca popolarità nel nostro paese. Anche se riesco perfino ad auspicare una sorta di “salvataggio” per il fumetto da parte di questo nuovo medium, nonostante sia difficile comparare due paesi così diversi per cultura e tradizioni come Corea e Italia.
    Poi ci sono le premiazioni, c’è da dire che i coreani fanno le cose in grande: presentatori, schermi giganti sui quali scorrono titoli in 3D animati, montaggi video ben fatti, coreografie e scenografie accurate, e il tutto con una profusione di mezzi e professionalità non indifferenti. L’attenzione al dettaglio e alla cura dei particolari, sottolineano una loro naturale inclinazione all’esteriorità come sostanza e non solo come apparenza.
    La cerimonia finisce dopo oltre un’ora, a Gioia (l’interprete venuta da Seoul), la traduttrice che è accanto a me, non gli chiedo mai chi è chi? Un po' per non infastidirla, e in parte perché tanto i presenti non saprei chi sono e non saprei neanche come collegarli alle cose che realizzano.

    La premiazione col dispiego di cantanti famose e personaggi conosciuti.

    Poi tutti a cena alle 18,00h, qui sono come gli americani, hanno orari che sostituiscono praticamente la cena con la merenda. Ci avviamo tutti verso questo villaggio di tenso-strutture che è quello allestito in questo periodo dell'anno perché supporta anche altre fiere che verranno organizzate anche in seguito.
    L’autunno infatti, ci dicono che sia il mese preposto a fiere ed esibizioni, perché è la stagione più bella dove la natura e gli alberi rivelano i loro colori migliori.
    Nello spazio per la cena, ci viene dato un papillon per uno, con sopra un numeretto che servirà per l’estrazione finale di qualche regalo, ci vengono assegnati i tavoli e poi via tutti al buffet sotto la musica di un disc-jockey che si scatena sul palco. Anche qui il palco ha, per la sua intera lunghezza, un enorme schermo sul quale passa la sigla della manifestazione dove ci sono nuovamente io (ed altri partecipanti) con immagini raccolte dalla mia esposizione, e filmati in linea con la musica proposta.

    La cena comune nella tenso-struttura, con disc-jockey e premiazioni finali.

    Sui tavoli c’è una bottiglia di vino rosso dal nome italiano che specifica il vitigno: è un Cabernet Sauvignon di origine cilena, ma è bevuto solo al momento del brindisi iniziale, dove tutti libiamo in alto i calici per dare inizio alle danze, prima che il tremendo odore della bevanda si affacci prepotente su un sapore ancora peggiore (come se si potesse), perciò, quasi per tutti, il passaggio alla birra è un passo obbligatorio. Ceniamo incolonnandosi ad un buffet che sembra abbia una scelta di vivande inesauribile, tanto viene costantemente rifornito, ceniamo tranquillamente tra amene chiacchiere (ovviamente con l’ausilio dell’interprete, per quanto Federica, che ha un orecchio pazzesco, conosce già qualche parola di coreano) poi, a cena terminata, inizia l’estrazione dei numeri. Federica viene fatta salire e premia qualche fortunato che si porta via chi una tavoletta Wacom, chi altri regali che verranno scartati ai tavoli.
    Sono le 21,30h, la serata finisce qua, lo so che la sera sarebbe ancora giovane, ma abbiamo notato che Busan è più rigorosa sugli orari di Seoul, e noi, nonostante la nostra giornata in clausura tutta interna al teatro, siamo piuttosto stanchi. In albergo mi attende una lunga chiacchierata con Luca, in seguito mi metto a scrivere queste quattro righe, e poi non vedo l’ora di guardare negli occhi il guanciale per dirgli quanto lo stimo per la sua disponibilità.

     

    VENERDÌ

    È tornato il sole e, a dire la verità, è perfino troppo caldo.
    Tutto sommato ieri è andata bene, pioveva, ma siamo rimasti rinchiusi dentro al teatro per cui non ce ne siamo neanche accorti. Oggi dovremmo avere gli altri due impegni come da programma, Federica un’ incontro per raccontare l’Accademia Nemo (con me di supporto), ed io una mezz’ora dopo il suo termine, un live drawing al piano delle esposizioni.
    Arriviamo e incontriamo subito il maestro Jeong Gyu-Ha che sta realizzando un imponente illustrazione all’aperto, al suo cavalletto, poco fuori il parcheggio, e che prontamente mi consegna una bella illustrazione da lui realizzata, che mi dono contraccambiando quella che io gli avevo realizzato a Firenze.

    La bella illustrazione donatami dal maestro Jeong Gyu-Ha.

    Strana location, ma intorno a lui ci sono il banco informazioni e altri stand molto curati nell’aspetto, dove probabilmente giovani webtooner cercano di promuovere le loro creazioni con il relativo merchandising. Ma la mostra e l’esposizione non sono ancora ufficialmente aperti, e lo capiamo dall’agitazione di Shin Seung-Hyun. E capiamo anche che meno gli stiamo tra i piedi è meglio è, perché cortesi come sono si sentirebbero in obbligo di starci dietro, e noi per non dare fastidio e lasciarli liberi, c’è ne andiamo a fare due passi.

    La parte esterna della manifestazione, e una veduta del fiume che lambisce quella parte di Busan.

    Facciamo un giro sul lungo fiume, perdiamo un po’ di tempo visto che non dobbiamo  fare molto di più, e poi  decidiamo di andare al ristorante cinese del giorno prima, in modo da essere pronti per le 13,00h, orario in cui hanno detto di presentarci.
    E noi a quell’ora siamo lì.
    Prima di cominciare, ci sediamo ad un tavolo per le ultime cose, e Nam Jeong-hoon coglie l’occasione per regalarci due sue stampe molto belle oltre che ringraziarci continuamente della nostra disponibilità e del fatto di essere venuti al loro festival. Le loro accortezze e il desiderio di averci lì, è manifestato in ogni occasione, e ogni occasione è buona per ringraziarci, come se per noi fosse stato tutto questo gran sacrificio, noi siamo orgogliosi e grati di essere lì.
    Il punto dell’incontro è situato nella parte sopraelevata del palazzo dove c’è l’entrata anche per le esposizioni, tra due entrate è situata anche la cabina di regia, gigantesca e super attrezzata. Sotto una robusta tenso-struttura c’è il palco con il solito gigantesco screen alle spalle e un centinaio di sedie di fronte: è il luogo degli incontri.
    Una cosa c’è da dirla, qualunque sia la dimensione dell’evento, la cura del dettaglio è maniacale, c’è la responsabile della regia, i cameramen, i tecnici del suono, gli addetti all’attrezzistica, i fotografi di scena, insomma ogni mansione è ricoperta da un responsabile, insomma un gran dispiegamento di forze e attenzione al particolare.
    Temevamo ci fosse poca gente, ma il pubblico probabilmente si disperde nelle sale delle esposizioni, invece le sedie si riempiono quasi tutte, giovani, studenti e ragazzi, ma anche qualche adulto prendono posto e ascoltano la bella esposizione di Federica che illustra l'Accademia Nemo. Poi, come sempre, ci sono delle domande dal pubblico, che in questo caso vertono su ciò che è stato ha detto, per cui si testa anche l’attenzione che il pubblico ha tenuto nei riguardi dell’esposizione incentivando le domande con dei piccoli regali a chi le pone, agevolando l’interazione col pubblico.
    Poi si passa all’incontro tutti insieme (i presentatori sono sempre i due simpatici intrattenitori del giorno precedente), e con l’aiuto di Gioia, rispondiamo nella maniera più esaustiva alle domande degli intervistatori.

    Il momento del panel sull'Accademia Nemo, il pubblico e l'intervista successiva.

    Poi arriva il mio turno, saliamo al piano superiore dove si trovano le esposizioni, e dove c’è la stanza dover sono esposte le mie illustrazioni (condivisa in parte con alcune illustrazioni di John Nevarez) e accanto, dove sono esposti altri artisti, hanno allestito una postazione con cavalletto e tela, per il mio live drawing, ed è così che dovrei occupare le mie prossime tre ore. Ovvio il viavai e le soste di chi passa per vedere le mostre, ma è proprio quello il motivo della mia posizione.

    La sala nel palazzo delle esposizioni con i miei elaborati, il momento del live drawing e alla fine, il risultato finale: la tela con i disegni dei miei personaggi.

    Decido di disegnare tre personaggi significativi per la mia carriera, Nathan Never, Nero Maccanti e alla fine opto per Everett Cole, il capitano di cavalleria di Mimbrenos, personaggio western ultimo nato in ordine cronologico. Mi bastano due ore e consegno il lavoro, e con questo e mille scatti di foto, si conclude la mia partecipazione attiva al BGWF.
    Conosciamo molte persone interessanti e simpatiche, è vero che abbiamo qualche difficoltà di intendimento, ma qualcuno sa qualche parola d’inglese, quando è presente c’è Gioia talvolta Elisha la solare ed espressiva interprete dall’inglese, e poi c’è molta buona volontà da parte di tutti nel comunicare. Trascorriamo del tempo con Park Chang-ha (il webtooner che ha realizzato Blue, e che si firma però Yoroke) e il suo collaboratore Jasper (è il nome convenzionale con cui si fa chiamare dagli occidentali, come Gioia e molti altri, per semplificarci la vita e memorizzarli meglio), e poi via, via si presentano webtooner, insegnanti di cui è difficile ricordarsi il nome. Poi gli organizzatori prendono tutti gli autori presenti e ci portano ad un tipico ristorante coreano, con le auto di servizio si fa due o tre giri degli isolati intorno alla manifestazione, ma alla fine ci siamo accorti che non siamo lontani dall’albergo.
    Per l’accesso nella stanza deputata alla cena, dobbiamo toglierci rigorosamente le scarpe nel classico stile orientale, e dopo avere controllato di non avere buchi nei calzini, ci rilassiamo. Io e Federica veniamo divisi, ed io sono al tavolo insieme a Jasper, al maestro ed altri webtooner. Mettersi seduti a gambe incrociate sotto il basso tavolo è una tortura, va bene quando eravamo bambini e giocavamo agli indiani, ma vi garantisco che adesso è un supplizio costante, le articolazioni si ingrippano e le giunture urlano per l'immobilità, ma riscontro che è una costante per tutti, perché tra cambiamenti di posizione e  smorfie nel muoversi, anche per gli altri è un'autentica sofferenza (e la cosa mi tranquillizza). Un motivo ci sarà, se anche da queste parti oramai si utilizzano le sedie.
    I più giovani della tavolata si mettono a cucinare (prendono i pezzi di carne portati dalla cucina) e li posizionano sulla griglia che nel frattempo sfrigola, come in altri ristoranti la cappa aspirante telescopica, viene avvicinata fino al piano cottura, e tutto intorno a noi è un afrore di cotto e bruciato che se ci rimane addosso dovremmo tuffarci nel fiume per toglierlo. Con Jasper ed altri ragazzi che masticano un po’ d’inglese ci mettiamo a scambiare opinioni e, tra una chiacchiera e un brindisi a suon di birra (che sono tanti), la cena va avanti. Verso la fine, tra la gente leggermente brilla, fumatori che si alzano per uscire a bruciarsi i polmoni e la confidenza che aumenta, tutti si scambiano di posto, si avvicinano a chi volevano conoscere e tirano fuori i biglietti da visita che vengono scambiati. Mi presentano così il direttore di un Museo del fumetto a Tokyo, un disegnatore di Taiwan ciucco come pochi, il Dr Frost, che aveva fatto l’incontro prima di me e si avvicina di nuovo, sorniona l’insegnante che per prima all'opening si era gettata sul palcoscenico per farsi fotografare con me, carica di sorrisi e ammiccamenti. Poi il valzer delle foto, con caio, con tizio e perfino con sempronio, in una babele di risate, scatti e chiacchiere per lo più incomprensibili.

    Con il direttore di un Museo del Manga di Tokyo.

    La cena di tutti gli artisti presenti, tra giapponesi, coreani, taiwanesi ed europei era rappresentato un bel pezzo di mondo. Per vostra informazione, il grembiule che molti di noi indossano nelle foto qui sopra, è prestato ai clienti dal ristorante, ed è una consuetudine là dove vengono serviti noodles o ramen che, nel risucchio della pasta (qui, non usando la forchetta e quindi non arrotolano gli spaghetti, ma li tirano su), possono sgocciolare ovunque macchiando i vestiti.

    Poi per fortuna tutto finisce, non per cattiveria, ma per quanto l'occasione rimanga simpatica e piacevole, quando sei obbligato a risate forzate su discorsi che gli altri credono simpatici, ma che tu nonostante la tua buona volontà non capisci, alla fine speri che finisca. Poi, dopo svariati minuti, finiamo sul marciapiede, prima che qualcuno si decida finalmente a salutare e andarsene, e probabilmente siamo noi. L’albergo è vicino, Elisha viene con noi, e dopo un saluto a tutti al primo verde del semaforo, prendiamo le strisce che tagliano in diagonale il crocevia e ce ne andiamo a letto.
    È stata una bella giornata, finita anche meglio, perché dopo la diffidenza iniziale, i timidi saluti e i sorrisi, poi le persone hanno il desiderio, specialmente se fanno tutti parte del solito ambiente, di condividere questa appartenenza e trasformarla in un’amicizia, e tutta l’atmosfera ne trae un gran beneficio.
    Non abbiamo ancora deciso, ma prima della giornata di viaggio di domenica, vorremmo avere un po’ di tempo per fare un paio di cose.
    Ma ne riparleremo domani.

     

    SABATO

    Siamo arrivati all’ultimo giorno: le fatiche e gli impegni dovrebbero essere superati, e almeno nelle previsioni doveva essere una giornata tranquilla, dedicata a tornare ai turisti di Seoul, e preludio della giornata campale di domenica, quella del rientro.
    Dobbiamo però andare al Festival, vuoi perché dobbiamo salutare tutti, e inoltre abbiamo promesso che andremo a vedere la mostra di Nam Jeong-hoon, che ci ha dato appuntamento per le 10,00h, non vorremmo disturbarlo, ma abbiamo l’impressione che voglia accompagnarci.

    Lo spazio esterno alla manifestazione, passaggio obbligato per festival ed esposizioni, e lo spazio dedicato a "Blue" la storia di cui l'Accademia Nemo ha organizzato il contest con i disegni di Yoroke.

    Infatti è così, insieme al Elisha, la simpatica interprete dall’inglese che ci ha accompagnato in molti incontri e il giovane Shimzu (il nome è probabile non sia esatto ma dovrebbe avvicinarsi a quello vero, che è un cameraman che come un’ombra ha ripreso molti incontri e che anche in quest’occasione ci segue passo, passo), ci dirigiamo verso l’esposizione. È Shimzu che con la sua Golf ci accompagna alla mostra allestita presso una Biblioteca in un’altra zona di Busan.
    Qui incontriamo l'autore insieme al gruppetto di giapponesi della sera precedente, col direttore del Museo del Manga di Tokyo, e insieme facciamo un gruppo al quale Nam Jeong-hoon spiega la filosofia delle belle immagini esposte. La storia di una bambina tra i profughi della Corea del Nord, portati a Busan dalla Meredith Victory, una nave americana che, spogliata delle armi, traghettò 10 milioni di coreani in fuga dal Nord. Poi le esperienze di lui bambino in una Busan che adesso è cambiata dai tempi della sua giovinezza, il tutto realizzato con disegno pulito e sintetico che sarebbe perfetto per un graphic-novel. La mostra è piccola ma ben allestita, con un gusto che valorizza le illustrazioni. La pazienza e la dedizione di Nam Jeong-hoon trasmettono tutto l’amore e la passione per il suo lavoro, e siamo felici di avergli tributato la giusta attenzione al suo lavoro meritevole.

    La mostra di Nam Jeong-hoon, visitata e commentata insieme a lui.

    Nel frattempo Shimzu mi chiede se è possibile rilasciargli una intervista, vorrebbe inserirla nel documentario della manifestazione che dovrebbe realizzare. Elisha ci ha infatti detto che Shimzu ha studiato da sceneggiatore ma è anche un ottimo documentarista, il preferito da Nam Jeong-hoon.
    Poi torniamo nel nostro quartiere, dove andiamo a mangiare tutti insieme.
    Non abbiamo mai deragliato dalla cucina coreana/cinese/asiatica, sono dieci giorni che abbiamo dimenticato spaghetti, lasagne e culatelli, in questo momento la cucina italiani e tutti i suoi ricordi sono lontani, e torneranno nostri solo tra un paio di giorni.
    Ma va bene così, è giusto ogni tanto capire che si può vivere in altri modi, con altri sapori, nutrendosi e mangiando bene anche in modo diversi, senza avere nostalgia di sapori abituali.
    Mentre lo dico però, la memoria risveglia momenti passati, profumi e sapori quotidiani, e mi appare quasi in un sogno una semplice, elementare pommarola.
    Ecco qua, è bastato parlarne che siamo caduti subito negli stereotipi, ma che provinciali che siamo!
    Nel pomeriggio ci chiedono ci presenziare un avvenimento nell’area incontri, non capiamo bene il motivo, visto che non avremo neanche il traduttore vicino, ma assecondiamo le richieste degli organizzatori.

    La firma del protocollo di collaborazione tra il BIPA (Corea del Sud) e Taiwan, a suo modo un piccolo evento politico.

    Nel frattempo con Shimzu andiamo alla mia mostra e, con l’aiuto Elisha mi pone delle domande e mi chiede di esporli spiegandoli, e mentre mi riprende di fronte alle relative illustrazioni.
    Successivamente, l’incontro non è altro che un atto istituzionale, la firma di un protocollo d’intesa, sono presenti infatti i due direttori degli uffici di promozione turistica e industriale di Corea del Sud (il BIPA, di cui sono dipendenti molti nostri amici) e Taiwan. L’incontro infatti è molto veloce, i due funzionari introducono l’accordo e poi tranquillamente lo sottoscrivono, e noi ne siamo i testimoni.

    Le esposizioni della manifestazione, con le illustrazioni variant di film popolari (alla quale hanno partecipato insegnanti e studenti dell'Accademia Nemo), e infine i piccoli stand dislocati vicino al parcheggio.

    Con Federica decidiamo di tornare in albergo, stare nelle vicinanze degli organizzatori, abbiamo capito implicitamente che li rendiamo responsabili della nostra presenza, e preferiamo non disturbarli, andiamo così in albergo a riposarci un poco, non siamo stati fermi un secondo e abbiamo bisogno di un po’ di ristoro.
    Ci ritroviamo verso le 18,00h per andare a Gangbilla Beach. La spiaggia piuttosto famosa che da sul ponte che attraversa la baia, siamo insieme a Nam Jeong-hoon (che oggi è il nostro accompagnatore) Elisha e due autori di Taiwan conosciuti la sera prima durante la cena.
    Dopo 40 minuti di traffico scendiamo su un marciapiede molto affollato che delimita la spiaggia incorniciata da alti edifici, comincia ad imbrunire e la baia sembra presidiata da queste costruzioni piene di insegne luminose, il colpo d’occhio è di un brulicare di persone come se fossimo in pieno periodo estivo, salvo che le persone sulle spiagge sono vestite di tutto punto e sono rivolte verso il ponte. Questo ricorda per tipologia architettonica quello di Brooklyn, con due campate che lasciano cadere i tiranti, su tutta la struttura sono applicati Led che producono mille giochi di colori, sfumando in mille fantasie diverse e multicolori che si scompongono e ricompongono in giochi geometrici, ed è di fronte a questo spettacolo per gli occhi che le persone gente sono rivolte.
    Come ipnotizzati anche noi ci armiamo dei nostri cellulari e cominciamo a riprenderli. Si potrebbe stare tranquillamente seduti ad osservarli per ore, mentre la sera cala anche se le luci del ponte e quelli del neon della città, rischiarano la notte illuminandola.

    La serata sulla spiaggia di Gangbilla Beach, tra luci, pizze coreane, droni e cantanti on the beach, la degna chiusura di una fantastica vacanza.

    Ceniamo da Shanzo, e non chiedetemi perché mi ricordo il nome, è un ristorante di origine cinese, e devo ricordarmelo per precedenti viaggi, è abbastanza elegante, ed è disposto al secondo piano di un edificio, la nostra stanzetta privata (in base al numero delle persone, o a richiesta, spesso nei ristoranti ci sono salette private disponibili), la parete a vetri, da sulla spiaggia e sul lungomare.
    Prima di ordinare, nel cielo della baia si accendono decine e decine di piccole luci che compongono scritte e figure, anche in movimento, é lo spettacolo dei droni, una particolarità tutta asiatica. In cielo, sopra il ponte si formano disegni che seguono un ordine preciso. Siamo fortunati, perché questo avviene un paio di volte al mese, e oggi siamo capitati in una di queste occasioni. Poi, come uno sciame di api, richiamate dalla regina, si raggruppano e si concentrano in un punto preciso per radunarsi e, sicuramente, rientrare “nell’alveare”.
    La cena è varia, con noodles, pizza locale (inconfrontabile), un pane imbottito, e piatti sicuramente gustosi, anche se quasi sempre difettano leggermente di sale.
    Al termine della serata decidiamo di rientrare con la metropolitana, facciamo così quattro passi lungo la passeggiata, sempre intasata di persone, banchetti che vendono minuterie (un po’ come sui lungomare della nostra riviera nel periodo estivo). Dalla spiaggia, per quasi ogni cinquanta metri (lo spazio per distanziarsi tra loro e non accavallare l’audio), con i piedi nella sabbia e rivolti verso la passeggiata, dei ragazzi muniti di amplificatore cantano le loro canzoni, apprezzati da una moltitudine di altre persone sedute lungo i muretti del lungomare, come fosse un piccolo festival canoro senza vincitori.
    Prendiamo la metropolitana e scendiamo a Centum City, il nostro quartiere; qui abbiamo un appuntamento con Kim Dong-whee che non abbiamo quasi mai visto, perché impegnato nell’organizzazione del festival. Sono le 21,30h e i locali sono quasi in chiusura, alle 10,00h più o meno chiudono i battenti e solo pochi tirano tardi, siamo così costretti a fermarci ad uno Starbucks. Il tempo degli ultimi saluti, chi come noi l’attende un lungo viaggio di rientro, chi come gli amici di Taiwan soltanto due ore e mezzo di volo, ma tutti siamo consapevoli che il nostro soggiorno in Corea è terminato. Kim Dong-whee inaspettatamente ci porge dei pensieri per tutti, così come ha già fatto Elisha, che confermano l’ospitalità tutta orientale e l’attenzione puntuale per gli ospiti e gli amici. Io in confronto sono il solito orso marsicano che grugnisce solo i ringraziamenti, con quel senso di colpa di chi sa che è incapace di queste accortezze e consapevole di essere (purtroppo) molto distante da questo tipo di gentilezze, e spesso me ne rammarico.
    Grandi saluti con tutti, e via in albergo, che dista soltanto un centinaio di metri; giusto il tempo per pianificare la partenza della mattina e via!

     

    DOMENICA

    Nonostante la sveglia alle 6,20h, mi sveglio alle 5,33h e non mi riaddormento più. Fuori sta albeggiando e la luce è già padrona del panorama, anche se le nuvole nascondono il sole preannunciando una giornata uggiosa, la vivremo in transito. Le strade sono deserte, ma il caffè dove facciamo colazione (é simile ad uno Starbucks), apre alle 7,00h, lo sappiamo e infatti ci presentiamo lì come primi clienti. Oggi è tutta all’insegna dell’anticipo, abbiamo molto tempo e abbiamo deciso di non temporeggiare.
    Il taxi arriva in tre secondi, e siamo alla stazione un’ora prima della partenza del treno, troppo presto. In effetti ce l’avevano detto che partire dall’hotel alle 7,45h con un treno che parte alle 9,06h, sarebbe stato eccessivamente prudente, ma tanto eravamo svegli, meglio attendere alla stazione che in albergo nella lobby.
    Prendiamo il treno che è al completo, qui si prenota e, almeno nei miei due viaggi, non ho mai visto persone in piedi, sono quasi tre ore e arriviamo alle 12,00h a Seoul. Pranzo frugale perché la stazione è piena, l’orario è quello del pranzo e tutti i ristoranti sono pieni in ogni ordine e numero, ci accontentiamo di un panino al volo. Poi prenotiamo il treno per l’aeroporto (visto il traffico intenso della città, preferiamo la sicurezza della linea diretta), e anche qui le prime due corse sono già sold out e dobbiamo prendere la prima con posti disponibili, quella della 15,30h, e dai altre due ore di attesa.
    Ma si sapeva, oggi sarà tutta così, non ci rimane che lasciare scorrere la giornata con nonchalance, contando i minuti nell’attesa di qualsiasi cosa.
    Il treno per Incheon, neanche a dirlo, parte in orario, qui più o meno tutto parte in orario, ci addormentiamo quasi subito, passare da un’attesa all’altra è sfiancante almeno quanto fare running, più che altro logora, e il risultato è una spossatezza senza ragione.
    Incheon, se ancora non l’ho detto, è enorme, il livello sotterraneo al quale arriviamo all’aeroporto è il B7, ovvero siamo sette piani sotto, tanto per farvi un’idea, tra elevatori e scale mobili arriviamo al piano del check-in ma, come prassi giornaliera, i voli annunciati arrivano alle 19,30h quando il nostro è alle 23,05h. Che facciamo? Attendiamo che si aprano i gabbiotti con gli addetti, che sarà almeno tre ore dopo. Non ci resta che trovare una panca, ed aspettare.

    Il nostro saluto a Busan, poco prima della partenza.

    Quando ci avviciniamo alla linea dei check-in Federica incontra Un yong, la moglie di Riccardo Gelli (direttore del Korean Film Festival di Firenze, a Busan per il BIFF), che rientra in Italia con lo stesso nostro volo, facciamo due chiacchiere e poi ci lasciamo poco dopo entrati nell’area internazionale.
    Per il resto, inutile scandire le ore, adesso siamo seduti ad un tavolo di Food Court, un ampio spazio ristoro con molti posti a sedere e con dei banchi cucina tipo street food che preparano cibo asiatico, oramai restiamo su questa cucina, rimaniamo nel mood della vacanza. Io mi oriento sui noodles scelti dalle foto esposte sul menù, unico viatico per avere un’idea di scelta e intuire che cosa ci verrà servito. Io ricco sugli spaghetti, ma il problema che qui c’è anche l’opzione fredda, ed è proprio quella che scelgo io (non è specificato sul menù, evidentemente nella descrizione del piatto deve essere intuibile, per chi li sa leggere, appunto). Sono stecchiti, ma non male, e poi mi rifaccio con una specie di pollo fritto. Abbiamo scelto di mangiare perché, vista la tarda ora del volo, non siamo sicuri che ci verrà servita la cena, e per non rischiare… tanto fra una cosa e l’altra, si rimangerà eventualmente tra quattro ore, e magari avremo già digerito.

    La bellezza di Incheon, l'aeroporto di Seoul, con la sua architettura e la sua vocazione sci-fi, con il robottino che funge da Servizio Informazione.

    Partiamo in orario, tra l’altro i coreani ci hanno fornito (questo anche per l’andata), un biglietto Sky priority, che ci concede maggior tranquillità nella scelta del posto e nel riporre i bagagli, ma poco più. La cena alla fine viene servita.
    Durante il volo riesco a dormire, ma non ho l’orologio ed ho riposto il cellulare nello zaino, ma per quanto sonnecchi (e riesca pure a sognare), non mi pare di dormire molto, anche perché i sonni sugli aerei sono spezzati continuamente da riposizionamenti, dolori al culo e fastidì vari. Riesco a vedere ben tre film, l’ultimo Indiana Jones (anche se mi accorgo di averlo già visto e di averlo prontamente rimosso), con un Harrison Ford prima ringiovanito dalla CGI e poi per quanto vetusto sempre arzillo come ai tempi; poi “Il luogo degli animali selvatici” tratto da una novella dell’ illustratore americano Maurice Sendak, un artista che conosco da oltre trent’anni e infine quello che forse mi è piaciuto di più, il film Disney-Pixar “Inside out 2”, una godibile storia che riprende la precedente, ma scandagliando le emozioni della pubertà, e quindi ribaltando tutte le precedenti. Poi, almeno in italiano, non è che ci fosse tutta ’sta scelta, a meno di non rivedere la trilogia del Batman di Nolan o quella del Signore degli Anelli.
    Poi, il buio.
    Un buio piuttosto lungo, il volo infatti è lungo 14 ore, considerando il fuso di partenza coreano, dovremmo arrivare intorno alle 13,00h mentre l’orario europeo di arrivo sarà alle 6,00h di mattina, ci riprendiamo le sette ore perdute all’andata cavalcando in avanti. In pratica partiamo col buio e arriviamo col buio, tanto per fare un esempio: adesso mentre sto scrivendo in attesa al gate B18 dell’aeroporto Schiphol di Amsterdam sono le 7,21h e si intravede solo un pallido chiarore nel cielo. Qui le giornate sono già molto corte.
    Schiphol, anche se non ha forme architettoniche accattivanti e, anzi, una struttura piuttosto anonima, è gigantesco, uno dei più grandi aeroporti d’Europa. Dal punto di arrivo della nostra aeromobile al gate si stimano 24 minuti a piedi (ce lo indicano i cartelli), tra camminate e tapies-roulant, ma sono pessimisti, devono avere fatto il calcolo con una tartaruga, perché in realtà si cammina molto sì, ma si fa prima. Ci sono poche altre considerazioni da fare, se non le ultime, alla fine del report, per adesso restiamo nel lungo giorno dell’attesa, sono già a un buon punto, ma mi mancano ancora diverse ore all’arrivo.
    A parte la lunghezza del viaggio, quando arriverò a casa saranno state circa 27h che siamo in giro, ma del resto eravamo dall’altra parte del mondo.
    Amsterdam-Firenze lo facciamo in un attimo, partenza in orario ed arrivo in anticipo di quasi dieci minuti, poi con poco ritiriamo i bagagli, ci scambiamo le cose dalle valige e troviamo il taxi con un sincronismo che pare quasi improbabile. Sono le 11,00h ed avrei il treno diretto alle 11,28h, e comincio a pensarci su, visto che non avrei mai creduto di prenderlo.
    Con la tassista stabilisco una strategia, mi faccio portare a Firenze Rifredi risparmiando sei minuti sull’arrivo del treno e altri minuti sull’arrivo del treno alla stazione. Sono un genio, alla stazione arrivo alle 11,12h quando lì lo stesso treno transita alle 11,34h, ho quasi il tempo di annoiarmi.
    Il cielo è sbiancato dalla noia, ma non è freddo, il treno beccheggiando lascia stridere i suoi metalli che cigolano fastidiosi.
    Ho finito di scrivere, e finalmente mi godo il panorama.
    Oramai siamo quasi a casa.

    Allora: due conclusioni su questo viaggio, e le devo più a me stesso che a voi lettori, per quanti sarete mai…
    Sono partito titubante, perché il webtoon (per me stretto parente del manga), mi è lontano, per interesse, per cultura e per i possibili sviluppi professionali (almeno personali). Lo è di meno nei risvolti didattici utili per la realizzazione di corsi specifici all’Accademia Nemo. Ma su questo mondo, e intendo il fumetto e consimili, sto tirando i remi in barca e, per rimanere nella nautica, non mi sogno minimamente di trasbordare su un’altra. Ero titubante perché mi sento fuori luogo, non più coinvolto in certe dinamiche, le trovo distanti da come sono adesso, quasi facessero parte del mio passato.
    Ma l’entusiasmo, le attenzioni e la grande importanza da parte di tutti che mi hanno tributato, dagli organizzatori, agli studenti e agli addetti ai lavori, mi hanno coinvolto emotivamente e per questo ho cercato di dare il meglio di me. E quando intendo questo, mi riferisco all’attenzione e l’interesse verso tutto quello che mi circondava, cercando di essere presente a me stesso e al mio ruolo. Credo immodestamente di esserci riuscito.
    Il Busan Global Webtoon Festival è una giovane manifestazione (alla sua 8ava edizione) nata con l’intento di promuovere questa nuova modalità di fruire le storie disegnate, un metodo diverso e che in Corea del Sud gode di grande credito e popolarità, ben più del fumetto classico, ma veicolandolo attraverso un mezzo che oggi è una protesi irrinunciabile dei giovani: lo smartphone.
    L’organizzazione della manifestazione riflette la personalità di questo popolo: attento, professionale, preciso e assolutamente proiettato verso il futuro. In tutti i risvolti dell’allestimento è stato possibile vedere la cura del dettaglio e l’assoluta professionalità di chi gestiva il tutto. Per ogni incontro, intervista o premiazione, si muovevano in sincrono una moltitudine di tecnici come solo in programmi altamente professionali mi è capitato di vedere. Un’organizzazione impeccabile.
    Il festival non è come quelli dei fumetti ai quali siamo abituati, bensì come le esibizioni tipo CTN di Burbank a Los Angeles, momenti in cui i professionisti si incontrano creando connessioni, o gli studenti apprendono attraverso workshop o panels fatti con i professionisti. Non si vende niente, perché non c’è niente da vendere, non c’è merce materiale, bensì informazioni e condivisioni. Quindi se c’è qualche banchetto (pochi) vendono gadget e accessori relativi ai webtoon più conosciuti, oppure sono allestite delle mostre (rigorosamente con stampe, perché tutto all'origine viene realizzato in digitale) con autori moderni o classici (come il sottoscritto), per diffondere la cultura e l’arte di chi realizza le storie.
    Non è difficile da capire il successo di questa modalità narrativa, perché se andate qualche giorno in Corea, vi renderete conto di quanto tutto sia connesso e digitalizzato, l’acquisto di biglietti, gli scambi di informazione, l’acquisto delle cose, l’accesso ai servizi e mille altre modalità d’uso di questa innovazione digitale. Se ci lamentiamo di quanto siamo succubi dei cellulari, basta venire qui per rendersi conto che siamo solo dei dilettanti allo sbaraglio.
    Il webtoon potrà essere un’ancora di salvataggio del fumetto?
    Sinceramente non lo so. Le dinamiche sono molto diverse, la cultura è molto diversa, e quindi è come se dovessimo giocare allo stesso gioco con regole differenti.
    Se nel fumetto ci sono gli editori, qui ci sono le piattaforme che decidono chi e come pubblicare e, pare, si tengano i diritti d’autore, ed è una bella fregatura, se consideriamo che talvolta qualche webtoon di successo lo si trova realizzato nelle loro serie drama (basta vedere su Netflix la grande offerta di serie e film coreani). Non ho neanche ben capito come e dove si guadagna dalla visione del webtoon, anche se pare ci sia la presenza di sponsor pubblicitari che c’investono.
    Poi ci sono altre considerazioni da fare:Ad esempio, qualche giorno fa, ho postato delle foto con dei disegnatori che, riunitisi tra di loro, gestivano un negozio adibito alla realizzazione di ritratti e caricature in un centro commerciale (non di quelli extra lusso e più dedito a prodotti dell’artigianato, ma tant’è!). Bene, una pubblicità all’esterno dichiarava ben 7000 won per una caricatura, ora, 7000 won sono l’equivalente di circa 4,00€. La domanda che mi sono posto io è stata: ma a questi prezzi, per guadagnarci qualcosa, pagando affitto e spese del negozio, quanto devono incassare? O almeno, quanto sarà mai l’affitto perché questi ragazzi possano permetterselo?
    Con questo vorrei solo capire i compensi e le dinamiche economiche come si svolgono, che peso hanno nel contesto economico della società.
    Insomma, le domande sono tante, ma se mi chiedete se il webtoon possa essere un’alternativa al fumetto, potrei dire che, per quanto non lo sappia, visto l’amore che per una vita mi ha accompagnato per l’arte disegnata, non posso che augurarmelo.
    Intendiamoci, per quanto vicini, stiamo parlando di due cose diverse, il formato è standard, e manca la peculiarità di dare ampiezza e “sfogo” alle vignette, mancherà la capacità di comporre la pagina o, come dicono i francesi, non sarà più necessaria la capacità de la mise en place, e dovremo svilupparla soltanto in verticale obbligati come siamo alla scrollatura dello schermo del cellulare, ma nel contempo non si consuma carta né si sprecano risorse.
    Per cui, che volete che vi dica: se è possibile sfruttare questa ipnotica abitudine dei ragazzi verso le loro protesi digitali, che ben venga un modo per continuare a realizzare storie disegnate.

    E la Corea del Sud?
    Quando si arriva in posti così lontani, e mi è capitato in Cina, Giappone e adesso in Corea, ci rendiamo conto di quanto le nostre convinzioni (o presunte tali), siano fondate su stereotipi banali, abborracciati e frutto di pregiudizi costruiti in anni di luoghi comuni. In parte non è neanche colpa nostra, in fondo cosa sappiamo della storia di questi popoli?
    E oggi che nelle scuole è scomparsa perfino la Geografia (proprio nel momento in cui tutto è globalizzato e forse ce n'era più bisogno), siamo sicuri di collocare la Corea, ad esempio, nel quadrante geografico giusto?
    E anche semplicemente scrutando la mappa di navigazione del volo dell’aereo, di quanti stati che stiamo attraversando conosciamo tradizioni e storia?
    La Corea è un paese giovane, completamente ricostruito su modelli estremamente moderni di matrice occidentale, nato su un fragile armistizio che ha fermato una guerra, ma non l’ha estinta, e che su questa precarietà, ha costruito il suo desiderio di ribaltare le avversità, e crescendo a ritmi vertiginosi come sta facendo tutta l’Asia.
    Noi per anni abbiamo guardato l’America e i nostri modelli occidentali, dimenticandosi di ciò che avveniva in Asia, dove milioni di persone stavano crescendo a ritmi accelerati e che, per quanto abbiano imitato questi modelli, si stanno avvicinando sempre di più ai loro standard.
    La grande digitalizzazione, i palazzi vertiginosi, le strade a sette corsie, i viadotti a due piani, le grandi infrastrutture, la modernità ovunque e per chiunque dimostrano la velocità alla quale riescono a correre, e non sono sicuro che noi stiamo riuscendo ad andare alla loro stessa velocità. Mi verrebbe da pensare che il futuro sia qua, piuttosto che nei luoghi dove spesso rivolgiamo i nostri sguardi.
    Fare comparizioni poi, per noi italiani è perfino impietoso nei nostri confronti. La cultura coreana tiene in grande rispetto gli anziani, che sono un bene da tutelare e fonte di saggezza per i giovani, da qui ne deriva un rispetto umano e culturale che si riflette nella gestione della convivenza sociale e degli spazi comuni, bene prezioso di chiunque. I cestini dell’immondizia non esistono perché ogni coreano smaltisce i propri rifiuti autonomamente. Le infrastrutture sono moderne ed imponenti, basti pensare che all’arrivo all’aeroporto Incheon col treno preposto, il nostro binario era al livello B7, ovvero ben sette piani dal piano dell’aeroporto e, una volta arrivati al livello 0, ce n’erano ancora tre (o quattro), che ci sovrastavano.
    Le persone in giro hanno vestiti moderni, nuovi e decorosi, sono molto attenti alle apparenze e curano molto il loro aspetto (perfino troppo); le auto sono quasi tutte di marca coreana, Hyundai, Kia, Grandeur, o Chevrolet (che anni fa acquistò la Daewoo), e la maggior parte di alta gamma, con modelli che difficilmente si vedono in Italia, quelle di lusso sono targate Germania, BMW, Mercedes o Audi, qualche Volkswagen. I treni sono puliti e confortevoli e si prenotano per tempo, non ci sono posti in piedi e i biglietti sono scaricabili da app, o in altri casi con la T-card si può utilizzarla sia per i taxi che per bus o metro, ed è ricaricabile. Ho visto solo due homeless in metropolitana, e in giro solo persone affaccendate a fare mille cose, ovunque c’è occupazione e personale, nei servizi, nei negozi, ovunque. Questo mi fa pensare quasi ad una piena occupazione per tutti, e con un livello di vita piuttosto alto.
    È un paradiso? Certo che no. Ma lo sguardo su paesi del genere dovrebbe essere motivo di riflessione su chi siamo, su chi crediamo di essere, e su come ci dovremmo collocare nel mondo.
    Perché è vero che proveniamo da lontano e la nostra storia è ricca e gloriosa, ma il nostro presente è piccolo e micragnoso, e non si può sempre pensare di vivere guardandosi indietro e bearci di chi siamo stati, oggi non lo siamo più, perché gli altri ci sopravanzano e, alla lunga,  finiremo per perderli di vista.
    Non vorrei mai essere come loro, ogni popolo ha e deve avere le proprie peculiarità, ma non capisco perché non possiamo prendere spunti, sforzi e novità per migliorare il nostro presente, quando altrove sono in grado di farlo.
    Se ha un senso fare certi viaggi, oltre che per aprirci la mente, è utile per capire dove siamo, e se effettivamente stiamo percorrendo la strada dei nostri padri ai quali diciamo di ispirarci.
    Io credo di no, ho l’impressione che sia un facile alibi per poter rimanere in quel limbo immobile che ci illude di essere i loro degni successori, quando siamo soltanto dei mediocri usurpatori di una storia che non meritiamo.

     

     

     

     

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    COREA, BUSAN E I WEBTOONS (1a Parte)

    Ogni volta cerco di anticipare le mie ansie, ma spesso i giorni precedenti alle partenze ho l’umore di traverso, non so se perché devo combattere la mia pigrizia che soccombe ai preparativi, alle cose da riporre in valigia e a tutto il resto. Ma spesso, nonostante si faccia di tutto il prevedibile, l’imprevisto rimane sempre lì, in attesa dietro all’angolo a ghermirti.
    Intanto era già da due giorni che una fastidiosa febbriciattola (tra 37 e 38) mi stava infastidendo, ma proprio stamani, che neanche a farlo apposta stavo leggermente meglio, appena arrivato alla stazione per prendere il treno per Firenze (parto da Peretola-Schiphol-Seul), sullo schermo elettronico della stazione, il treno di cui avevo preso il biglietto, non c’era.
    Com’è possibile?
    Semplice: avevo acquistato un biglietto in partenza da Firenze per Cecina, e a Firenze a quell’ora il treno in effetti c’è, è a Cecina che il primo utile era quasi due ore dopo.
    Era successo che l’app di Trenitalia, al momento dell’acquisto, mi aveva invertito autonomamente l’arrivo con la partenza, per cui avevo sì acquistato un biglietto, ma da Firenze a Cecina e non viceversa come desideravo. Praticamente, facendo ulteriori prove, ogni volta che digitavo qualsiasi stazione, la app mi rimetteva di default Firenze-Cecina. Lascio perdere e non mi perdo d’animo, anche perché la partenza é nel tardo pomeriggio ed ho tempo, alla biglietteria chiedo lumi sulle opzioni di partenza tra Livorno e Pisa, e decido di prendere l’auto ed andare a Pisa.
    A Pisa con l’aiuto di un ferroviere (neanche a farlo apposta) ripristino l’app e mi prendo un nuovo biglietto, questa volta per la destinazione giusta, e parto quasi negli stessi tempi del treno con cui sarei dovuto partire. Sul treno un napoletano che parla in viva voce con un amico, pianificando un affare, intrattiene tutto il vagone anche con i dettagli della transazione, ma tutto fila liscio fino a Firenze. È solo un gran caldo che, temo, ritroveremo anche a Seoul.
    La tranvia avrà creato anche mille problemi ai fiorentini, non lo metto in dubbio, ma in solo 20 minuti sono a Peretola, senza problemi di traffico o di accesso ai taxi. Purtroppo ci lamentiamo sempre per i disagi, che ci occultano anche i futuri vantaggi, ed è solo quando il fastidio è passato che riusciamo a vedere le comodità che ci abbiamo guadagnato.

    Aeroporto di Incheon, Seoul, Corea del Sud.

    Allora, perché sono stato invitato in Corea al Busan Global Webtoon Festival? A dire il vero la cosa é abbastanza complicata, e non sono sicuro di volervela raccontare, mi farebbe perdere un sacco di tempo e la cosa non è neanche così interessante. Vi basterà sapere che in conseguenza a dei rapporti intercorsi con l’Accademia Nemo e alcuni artisti coreani presenti al Korean Film Festival di Firenze si é creata una sinergia per cui, una volta scoperto che il sottoscritto ha una discreta carriera come autore, visto che in Corea gli autori che disegnano su carta, sono considerati Maestri, dopo avere visto un po’ il mio curriculum si sono decisi ad invitarmi.
    Ora, voi sapete che io sto al webtoon e al fumetto asiatico, come Totò alla Fisica dei Quanti, ma come si fa a rifiutare un invito all’altro capo del mondo? In un paese che, al di là di tutto sta diventando una potenza industriale e vanta uno sviluppo economico che ricorda quello dell’Italia del Boom, e dove non sono mai stato?

     

    GIOVEDI'/VENERDI'

    Partenza e coincidenza a Schiphol con il volo KLM per Seoul tutto nei tempi, e facciamo tutto il viaggio praticamente di notte, che trascorre tranquilla dormendo anche ben più di quello che mi aspettavo. Prendiamo coscienza di noi intorno alle 13,00 ore locali, ci servono la colazione e c’è il tempo anche per la visione di un ameno film inglese. Poi atterriamo.
    Incheon è, come tutti gli aeroporti internazionali asiatici che ho visto, enorme, moderno e funzionale.
    Lo dico subito e forse lo ripeterò anche più avanti, un po’ perché tendo a ripetermi, un po’ perché i concerti alla fine sono quelli e cambiano poco quando le considerazioni vertono su determinate questioni: la pochezza del nostro paese, è misurabile nelle infrastrutture e la loro adeguatezza ai tempi.
    Ora, noi siamo partiti da Peretola che è un aeroporto sì, ma è pur sempre l’aeroporto di una città come Firenze che, se nominata ovunque, tutti la conoscono per l'arte, la bellezza e la sua storia, ma tutto sommato piccola come dimensioni. Per cui il paragone andrebbe fatto con Roma, ma anche facendolo, resta il fatto che Fiumicino e Incheon non sono neanche lontani parenti.
    Tutto quello che temo mi sentirete dire, sarà tutto su questa falsa riga e l’ho ribadito praticamente sempre, per capire la grandezza del proprio paese basta andare all’estero e fare confronti (potrei dire su tutto) e subito ridimensioneremmo le nostre illusioni.
    Comunque, arrivati all’aeroporto, abbiamo sbrigato le cose da fare, cambiare poco denaro liquido da euro a won, inserire due carte virtuali per la durata del viaggio che si estinguono automaticamente e ci permettono di navigare sul wi-fi a circa tre euro al giorno, e ricaricare delle card che aveva Federica (dal suo precedente viaggio in Corea) e che serviranno per pagare i mezzi pubblici con questo metodo comodo e veloce.
    Federica, eh già, non vi ho ancora parlato del mio compagno di avventure, intendiamoci, abbiamo già fatto svariati viaggi insieme, ma mai da soli. Federica è la compagna di Luca, il mio socio (che per impegni a scuola non è potuto venire), è la responsabile oltre che insegnante di altissimo profilo del nostro corso di animazione, ed è qui per supportarmi nella mia visita e come ospite del festival, oltre che esporre le caratteristiche della nostra scuola alle altre realtà del paese. Sarà la mia guida, il mio supporto e una gentile e accomodante compagna di viaggio, come lo è stata le altre volte. Del resto a me piace moltissimo fare il pacco postale ed essere portato a giro, specialmente quando il mio accompagnatore c’è già stato ed ha l’entusiasmo e il desiderio di condividere le sue esperienze con me.
    Comunque, dopo circa 1,45h di viaggio (causa distanza e traffico, anche qui l’ultimo giorno feriale della settimana produce file interminabili di auto sulle grandi arterie della metropoli), siamo arrivati intorno alle 16,30 e quindi ci muoviamo intorno alla chiusura degli uffici.
    Altra annotazione, sono circondato da Hyundai e Kia, di svariate forme, modelli e stazze, roba che in Italia ne sarà commercializzato meno de 30%, sembra esistano soltanto due Marche. Le uniche occidentali che vedo sono, in sequenza: una Volkswagen, una BMV e una Mercedes, e poi a seguire soltanto le ultime due. Per cui ormai è comunemente assodato che il lusso su strada si chiama Germania, e lo si evince ovunque.
    L’albergo è il Lotte City Hotels (la Lotte è una compagnia gigantesca che possiede catene di alberghi, Mall e ogni altro tipo di investimenti) di Myeong-dong, un bel quattro stelle in una bella zona della città. La camera è al 25imo piano, da dove si gode la vista di una città che sembra quella di Nathan Never e che per caratteristiche non è molto distante da Tokyo, o dal centro di Pechino o Dubai.

    La vista dalla camera al 25° piano.

    Il mondo che corre e che cresce si riproduce tutto allo stesso modo.
    Dopo una breve pausa in camera usciamo per la cena, ci dirigiamo verso un quartierino pieno di locali e ristoranti i tipici, nelle vicinanze di un corso d’acqua completamente artificiale dal nome impronunciabile Cheonggyecheon Stream (lo dirò adesso per non ripeterlo mai più), creato nel centro della città, concepito per essere una passeggiata e un punto d'incontro e di ritrovo irrinunciabile per chi viene a Seoul. Nell’imbarazzo della scelta, ci sediamo ad un ristorante con tavoli che hanno un’enorme piastra in mezzo, i piatti che ruotano tutti intorno a questa piastra sono invitanti. Muniti da un apparecchiatura spartana, ci muniamo di bacchette e ci mettiamo a cenare con l’aiuto di un avventore gentile che, vedendoci armeggiare al fornello come dei novizi, ci delucida sui modi di gestire condimenti e pietanze che ci hanno fornito. La cena a base di maiale e riso tutto speziato e moderatamente piccante, è saporito e buono, e ci alziamo soddisfatti e increduli di avere mangiato tutto quello che abbiamo ordinato.
    La cifra del conto è ridicola, sono 29.000 won qualcosa come 18/19 euro.

    Il quartiere dei locali e dei ristorantini vicino al Cheonggyecheon Stream.

    É venerdì sera, e le strade sono piene di gente, giovani per lo più, si affollano nei locali, lungo il fiume e anche lungo le enormi arterie che si intrecciano in incroci ampi come campi di calcio. Intorno a noi palazzi altissimi, futuribili e pieni di luce, quasi che qualcuno si sia accordato a lasciare le luci accese per esaltare l’impotenza di questi mostri d’acciaio per impreziosire lo skyline. Nella piazza principale di fronte al Palazzo Reale si stanno allestendo gli spazi per quello che sembrerebbe un concerto, è stato allestito un enorme palco con uno schermo di gigantesche proporzioni, neanche ci fossero gli U2.
    Poco distante, in un altro spazio adiacente, una serie di grandi lampade di carta, ornano questa piazza illuminata dalle loro luci, hanno forme diverse e riprendono un'antica tradizione coreana, quella della decorazione della carta, sono tutte bellissime e multicolori e l'atmosfera è coinvolgente.

    Il Palazzo Reale illuminato.

    Le sculture luminose di carta colorata.

    Tutto ci parla di un paese che sta correndo una folle corsa verso la modernità, digitalizzato in molti suoi apparati e già pronto per le sfide future anche se, mi si dice, la rapidità delle conquiste spesso non coincide con l’acquisizione di una cultura o una mentalità adeguata. Alcuni valori tradizionali sono ancora molti radicati e molti diritti civili ancora difficili da digerire.
    La serata è mite e si circola comodamente con la t-shirt, e oramai andiamo avanti ad oltranza, ne avremmo ancora per un po’, ma l’orologio ci consiglia di tornare in albergo e adesso, con l’IPad sulle ginocchia, gli occhi mi consigliano di andare a dormire.
    Hanno ragione loro, sono le 1,22h.
    Buonanotte.

     

    SABATO

    Il risveglio è agevolato dalla luce che filtra attraverso le tende oscuranti, dietro si svela una giornata limpida e serena, se la temperatura si mantiene, sembrerà di essere in piena primavera come quelle di una volta, anticipatrici dell’estate.
    La temperatura è al momento intorno a 22°, ma si prevede che salga fino a 27°.
    Il ristorante è al 27imo piano, l’ultimo. Io e Federica ci prendiamo un tavolo accanto alle enormi pareti interamente di vetro, e ci troviamo così seduti a strapiombo sul panorama. Il locale è suddiviso in tre punti con differenti menù: uno coreano, uno internazionale e uno con brioche, pane e croissant, un po’ scarse le opzioni delle macchine automatiche per il caffè (oramai una costante in ogni hotel), e prendo un semplice caffè e latte, che però alla fine risulta essere più vicino a un cappuccino.
    Oggi la direzione è verso Gangnam, sì, avete capito ben, proprio quello della canzone “Gangnam Style” che imperversò qualche anno fa, cantata da quel cicciottello nerd che si scatenava sul palco, si tratta di un quartiere piuttosto ricco e interessante, dove ha sede il Coex Mall Trade Center, un gigantesco centro commerciale che è una vera e propria attrazione, dove all’interno ha sede una grande libreria che merita la visita.
    Prima però, decidiamo di passare alla Stazione Centrale di Seoul, vorremmo acquistare i biglietti del treno per Busan del mercoledì, e non vogliamo sorprese. La nuova stazione è costruita accanto alla vecchia, ed il contrasto di stile è evidente: da un lato una classica costruzione in cemento con tetto a tegole come ci immaginiamo l’edilizia della fine dell’Ottocento, dall’altra un profluvio di acciaio e vetro come inno alla modernità e alla luce. Il vecchio e il nuovo che si rispecchiano in questa città che sembra avere abdicato completamente alla seconda opzione, proiettata com’è in un futuro come potenza economica.
    Ma le sorprese non tardano ad arrivare: di biglietti per Busan per il mercoledì c’è ne sono pochi, e decidiamo di acquistarli subito, così anche per il ritorno.
    Il problema però è il pagamento, la carta della società viene rifiutata, quella personale pure, e perfino quella di Federica viene rigettata. Strano, sono tutte Mastercard, praticamente il circuito più conosciuto in tutto il mondo. Poi l’impiegato chiude lo sportello perché deve assentarsi.
    Decidiamo di provare ad un altro sportellò, indicando di inserire il codice personale, tutto uguale.

    La vecchia Central Station di Seoul (sopra), e l'interno del nuovo terminal, costruito accanto.

    È una rottura, se andiamo avanti così non potremo utilizzare la carta aziendale e dovremo pagare tutto in contanti. Strano però, è vero che la sera precedente avevamo dovuto pagare in contanti perché il ristoratore aveva avuto gli stessi problemi, ma avevamo creduto avesse voluto fare il furbetto. E poi non si spiegava, per il taxi del giorno prima era andata bene, così quella di Federica allo store la mattina, e quindi non capiamo.
    La soluzione la troviamo ritirando contanti da un bancomat, e decidendo di pagare i biglietti, la cosa che al momento ci premeva di più.
    Prendiamo la metro per Gangnam, il pagamento delle corse è molto semplice, basta strusciare la T-card che avevamo caricato il giorno prima sia all’entrata della linea che all’uscita del mezzo (anche il bus di superficie) che viene scaricato l’importo automaticamente.
    La mattina se ne va tutta al centro commerciale, strade e intrecci di percorsi tra negozi di ogni tipo, da monomarca di pregio, di abbigliamento, ristoranti, e food di ogni tipo oltre a piccoli shops (anche di gadgets), l’abbinamento tra personaggi dei manga o dei webtoons e il relativo merchandising su varie tipologie di prodotto, in quantità impressionante. Ci troviamo di fronte a negozi con pupazzi e pupazzetti multicolori che farebbero la felicità di nerd di ogni età, per la pregevole fattura e la simpatia dei prodotti. Una caratteristica riscontrata anche in Giappone e praticamente assente da noi, se non per materiali da cartoleria e qualche capo d’abbigliamento per bambini.

    L'interno del Coex Mall Trading Center, e la Starfield Library.

    Intorno a noi è un’esplosione di forme, insegne, persone, design e colori che stordiscono per la loro quantità, il flusso di gente e la presenza nei negozi è la spia di un benessere diffuso e una concorrenza di prezzi che facilita l’acquisto. Basta constatare i prezzi dei ristoranti e quella è già un’assoluto indice di paragone.
    C’è un enorme multisale dove a tutto schermo si reclamizza un film coreano, mentre su un altro c’è l’anteprima del prossimo Capitan America e, con mio stupore (ma è pur vero che non seguo nessuna continuity della saga Marvel), scopro che il nuovo Capita America non è più Chris Evans ma è impersonato dall’attore nero Anthony Mackie che aveva precedentemente dato il volto a Falcon… e capisco, senza nessun patema, che mi devo essere perso qualcosa per strada.
    Poi finiamo in quello che è una vera attrazione universalmente riconosciuta, la Starfield Library, un’imponente libreria illuminata da un soffitto altissimo realizzato in acciaio e vetro che lascia entrare tutta la luce che c’è, con un colpo d’occhio formidabile. Ai suoi spigoli, come fossero colonne portanti, ci sono delle strutture che sembrano gigantesche librerie che mostrano centinaia di volumi multicolori, dando l’impressione che siano proprio i libri a sopportare tutto il peso di quella magnifica struttura, ci addentriamo e scopriamo all’interno un caffè, una sorta di pasticceria con relativi posti a sedere, oltre ad altri posti ad uso di chi si vuol fermate. Poi, col mio solito elucubrare, facendo un rapporto tra lo spazio e la quantità dei libri, c’è qualcosa che non mi torna. Ci sono spazi così ampi che se fosse una libreria sarebbero occupati da altri scaffali su cui esporre ulteriori libri, senza più un concept di design che uno spazio di distribuzione e vendita. Tutto nella ma…
    Poi, avvicinandomi agli scaffali, mi accorgo che ogni libro ha un suo codice sulla costola e allora mi sovviene che quella non sia una vera e propria libreria, bensì una biblioteca. È quello, in effetti è. Quei libri sono lì a disposizione di tutti, come le decine di riviste di moda, architettura, arte, armi e design di ogni parte del mondo sono a disposizione di chi, volendo, può prendersele e sfogliarle liberamente. Una cosa fantastica, nobile e meritoria anche perché, nel caso ci fosse, non saprei dove trovare il business. E per questo chapeau!

    L'esterno del Mall a Gangnam, dove si stava realizzando una sorta di festival canoro, eventi del genere vengono organizzati frequentemente.

    Mangiamo in un ristorante prendendo una coppa di spaghetti coreani buoni e bollenti, stando attenti, mulinando le bacchette con la consueta abilità, di non insozzarci con gli schizzi. Anche qui il prezzo è ridicolo.
    Siamo pieni del Mall e dei negozi, e decidiamo di andare a vedere la mostra di un illustratore coreano che pare sia nello stesso quartiere (che qui non è propriamente dietro all’angolo, tenete presente che Seoul conta comunque circa 9.300.000 abitanti), ma l’impresa si rivela più difficile del previsto. Google Maps fa fatica, e l’altra app di navigazione coreana di Federica, risponde con l’alfabeto coreano ma, al primo segnale di ok, ci mettiamo in movimento. Non sembrerebbe troppo distante, meno male.
    Ci fermiamo subito perché troviamo un tempio buddista che vale la pena vedere e infatti ci addentriamo nel piccolo parco che lo contiene. Il posto è interessante, è turistico quanto una qualsiasi chiesa cristiana in cui una donna ha fatto un paio di miracoli millenni fa, pieno si buddini, incensi votivi e all’interno del quale un sacerdote officia una cerimonia per una famiglia al completo che probabilmente chiede un voto. Niente di nuovo, così come tutte le strutture del complesso, usate e vissute e ricoperte di quella pagina del tempo che le fa preferire a quelle laccate e leccate dalla continua manutenzione.

    Il tempio buddista incontrato lungo il cammino alla ricerca della gallerie d'arte.

    Continuiamo la nostra ricerca ma l’app di Federica non ne vuol sapere, non riusciamo ad individuare il posto. Chiediamo ad un paio di passanti, ma uno di questi ci dice perfino che è ben oltre le distanze da noi supposte, a noi che ci stavamo muovendo a piedi. Proviamo con i taxi che però neanche ci considerano, il viale è ampio e trafficato e non è prudente fermarcisi.
    Ormai è tardi, e decidiamo di rientrare, anche quello è un piccolo viaggio che ci impegna fino alle 18,45h, poi paio di orette di sosta, per poi uscire per la cena.
    La metà è ancora in quartiere pieno di ristoranti i e ritrovi adiacente al torrente artificiale, ma stasera ci fermiamo a mangiare in uno dei primi ristoranti che incontriamo, c’è un piatto tipico ed invitante che ci strizza l’occhiolino da un menù che osserviamo all’aperto. Si tratta di un piatto di pollo e khimci (una sorta di cavolo locale che viene fatto fermentate e poi servito come contorno e, saporito e piccante com’è, lo si trova ovunque). Mangiamo di gusto benché per la seconda volta non ci credevamo capaci di mangiare tutta la padellona posta anche stasera su un fornello acceso e al centro del tavolo.
    È tutto buono e spolveriamo tutto, anche stasera il costo è ridicolo 30.000 won, qualcosa intorno a 19/20 euro, imbarazzante.

    Il piatto a base di pollo e formaggio sul braciere, imponente e gustosissimo.

    Poi ritorniamo lemme lemme verso l’albergo, infatti nella piazza antistante al Palazzo Reale, dove la sera prima allestivano palchi e platee, e stasera c’è un mortorio funebre, evidentemente tutto è già stato consumato nel pomeriggio e c’è lo siamo persi, e delusi torniamo sui nostri passi.

    La grande piazza di fronte al Palazzo reale, e la statua della gloria locale, il famoso generale coreano che sconfisse con una fine strategia gli invasori in una battaglia navale.

    Eventi del genere, oggi c’è ne saranno stati almeno tre sparsi in punti diversi della città, quello che abbiamo visto a Gangnam appena usciti da Coex sembrava adibito per ragazzini e fanciulli, tutti canzonette e balletti sì, perché qui tutti cantano e ballano. Non è infatti raro vedere pubblicità, video che reclamizzano qualsiasi prodotto dove una banda di ragazzi quasi in età adolescenziale cantano ballano con coreografie ricercate e professionali, finendo tutti col sorriso entusiasta sulle facce.

    E la sera, il dolce camminare sulle sponde del Cheonggyecheon Stream.

    Evidentemente vivono in una bella atmosfera di continuo reality e tutto merita una canzone e quattro passi di danza. Mica poco. Beati loro!
    Noi invece arriviamo di fronte alla statuona antropomorfa plastificata di fronte all’albergo, ci salutiamo e ci diamo la buonanotte.
    Domani ci apprestiamo ad una gita fuori porta, e dobbiamo essere in forma.

     

    DOMENICA

    Non ho dormito bene, mi sono svegliato più volte quasi dovessi pagare il riposante sonno del giorno precedente. Colazione alle 8,15, dopo un’ora ci passano a prendere per il tour della DMZ.
    Guida in inglese, gli italiani non sanno bene neanche dove stanno, secondo me, oramai ho abbandonato l’idea di avere delle attenzioni, anche la scelta dei film sull’aereo era piuttosto scarsa, i più nuovi non avevano ancora il doppiaggio in italiano.
    L’autobus conta un’ accolita di persone provenienti da ogni parte (Messico, Giappone, USA e chissà da dove), l’unica cosa che l’accomunava era là lingue, si fa per dire.
    Dopo un’oretta di viaggio ci si ferma, abbiamo attraversato Seoul in direzione nord, la città ancora è addormentata vista la festività, il traffico scarso, la giornata luminosa.
    Ci vengono distribuiti i pass che mettiamo al collo, poi Grace (la guida si fa chiamare così, con un nome occidentale, come spesso fanno da queste parti, per facilitare la memorizzazione), e ci insegna due o tre parole in coreano che puntualmente dimentico.
    Poi inizia con la storia coreana, delle varie invasioni nei secoli da parte dei giapponesi (dal che si deduce, nonostante la dolce bonomìa, che gli stanno sulle palle), e il motivo ci sarebbe pure perché, non ricordo nell’arco di quanti secoli di invasioni se ne contano circa 700, mentre i più pignoli asseriscono che siano 900.

    Il terminal dove sostano gli autobus in arrivo alla DMZ, qui inizia il tour e, se si vuole c'è a disposizione una cabinovia per andare oltre il filo spinato.

    Praticamente stavano sempre a casa loro a rompergli gli zebedei. Intendiamoci, i giapponesi non hanno la fama dei buontemponi e, ovunque siano andati, hanno lasciato scie di sangue, morte e desolazione, diciamo che non hanno mai avuto un buon carattere, é gente tignosa quando si mette una divisa.
    Ricordo la memoria della mia guida di Nanchino Hue, che mi rammentava le stragi perpetrare di giapponesi ai danni dei cinesi nel loro periodo di occupazione della Seconda Guerra Mondiale, i massacri e le violenze ricevute, e di cui il Giappone non si è mai scusato.
    Ma la giornata verteva tutta sulla guerra coreana iniziata nel 1950, quella che ha portato al dimezzamento della Corea, dove per la prima volta dalla fine della guerra, i due blocchi USA e URSS si contrapposero perché ognuno andò in aiuto di uno dei contendenti, iniziano così il balletto della Guerra Fredda che avrebbe contraddistinto i decenni successivi.

    Il ponte interrotto, il binario col treno che trasportava i profughi in fuga dalla Corea del Nord e le bambine in attesa dei parenti, immortalate con una scultura.

    Ad ogni modo, ha poco senso che vi racconti le nostre tappe, vi dirò soltanto che siamo stati nel punto in cui è stata interrotta la linea dei treni, abbiamo attraversato il fiume con una specie di funivia verso la zona smilitarizzata, attraversato confini tracciati dal filo spinato, e vista, da una certa distanza, la prima città della Corea del Nord, da quello che viene chiamato l’Osservatorio, un punto privilegiato dove si può vedere una piana dove vengono indicati le relative zone di appartenenza alle due nazioni, il punto di confine tra i due stati e, in lontananza, il profilo di una città.

    Sopra l'ingresso di Camp Graves, una struttura militare all'arrivo della cabinovia (apparentemente non abitata, ma chissà dove sono), e la vista della prima città Nord Coreana vista dall'osservatorio, tra quelle case, comanda quel buontempone di Kim Jong-un.

    La cosa in sé sembra perfino buffa, tutta ‘sta gente che guarda e scatta foto da un’enorme vetrata verso un anonimo paesaggio che potrebbe appartenere a qualsiasi buco del culo del mondo.
    Ma l’anomalia e l’isolamento totale e asfittico dell’unica nazione che si è rifugiata in un anacronistica posizione, la rende possibile.
    I coreani ci hanno creata il business di un turismo che paga per vedere i reperti della stupidità umana, di come, in nome dell’egoismo e della smania di potere due paesi sono stati divisi, famiglie sono state disperse e parenti separati.
    La guerra prende inizio nel 1950, violenta e sanguinosa poi, nel 1953, dopo tre anni di scontri, battaglie e 2.800.000 tra morti e dispersi, viene firmato un armistizio che la interrompe. Ma da quel momento in poi tutto rimane fermo, la pace non viene mai firmata né presa in considerazione, e di fatto, ancora oggi, a distanza di oltre settant’anni, i due stati sono ancora in guerra.
    In tutti questi anni infatti, molte occasioni di piccoli scontri e incidenti diplomatici ce ne sono stati parecchi, perché il mostro del Nord (ma faccio fatica a definirlo così, tanto mi sembra ridicolo, se non fosse tragico) guidato da un cicciottello che se non fosse nato da una dinastia di tiranni, farebbe il gelataio nelle feste di paese, ha l’ossessione del gigante americano che, nei decenni, ha infatti distribuito una fitta rete di basi in tutto il territorio del paese, ritenendola da sempre una zona ad alto rischio e uno dei punti più caldi e potenzialmente pericolosi del mondo.
    Alcuni di questi momenti di crisi sono stati i ritrovamenti di tunnel scavati sotto la zona smilitarizzata, da parte dei nordcoreani per cercare di portare truppe nel territorio nemico o per far brillare ordigni sotto i piedi degli odiati nemici.
    Per questo noi siamo andati a vedere, e siamo entrati in uno di questi, il terzo in ordine di tempo, scoperto nel 1973.
    In realtà si è trattato di una banale discesa in un tunnel sotterraneo, angusto ed umido, ma l’esperienza ha in sé un alto valore simbolico.
    Ma se al Nord il governo è impegnato costantemente e sottolineare le differenze, gli svantaggi dell’altra parte in un costante bisogno di giustificarsi, dibattendosi in un nostalgico passato senza nessun futuro, al Sud trasformano questa caratteristica unica nel suo genere in business, trasformando la DMZ in motivo d’interesse turistico, e mentre il popolo oramai ha digerito ed assimilato questo assurdo confronto, trasforma le sue città in gioielli di architettura e modernità, fa crescere il PIL e produce innovazione industriali e si affaccia tra le più grandi potenze economiche del mondo.

    All'esterno del tunnel di infiltrazione (all'interno è proibito fare foto), ma si tratta semplicemente di un budello altro circa 1,60m, che si abbassa fino a 70m. di profondità, poi souvenir ricordo per turisti.

    La giornata finisce al nostro ritorno in città, ma tra i saliscendi delle camminate, l'immersione in profondità nella galleria, l'aspra risalita e il caldo che non ci ha dato tregua, e i continui sbalzi di temperatura tra solleoni esterni e condizionatori a tutta palla interni, arrivo distrutto all'albergo.
    Io mi fermo fino alla cena, mentre Federica dopo una sosta ristoratrice, va incontro a Jieun, un’amica coreana con la quale vuol fare delle compere e con la quale ceneremo stasera.
    Jieun è simpatica, è insegnante di inglese, così potrò dimostrare ulteriormente quanto faccio cagare in quella lingua. La cena si svolge alla T Tower, uno splendido palazzo non lontano dal nostro albergo, ultramoderno e pieno di ristoranti di una certa classe, e distribuiti su tre piani del basamento dell’edificio.

    Il ristorante alla T-Tower.

    Il nostro locale è elegante, e si differenzia da quelli frequentati fino ad ora, per il menù, il servizio è la quantità dei clienti che sono pochissimi, semplicemente perché i coreani vanno a mangiare molto presto, tanto è vero che domani, alla cena col regista, si cenerà alle 17,00h. Tra l’altro non pago neanche, perché con un colpo da falena Jieun mi precede fingendo di andare alla toilette e paga lei. Domani mi sdebiterò.

    Jieun e Federica di fronte alla scultura in resina antistante l'entrata del nostro hotel.

    Facciamo quattro passi, giusto il tempo per avvicinarci al Lotte City Hotels, ci salutiamo e andiamo a nanna.
    Le mie membra urlano vendetta, e io pure.

     

    LUNEDÌ

    Buongiorno!
    Anche oggi il giorno pare clemente, il cielo è luminoso e sembra che in Corea il brutto tempo sia bandito, se facesse un po’ meno caldo sarebbe meglio (forse perché arrivo diretto da un’estate piuttosto bollente), ma non vorrei chiedere troppo.
    Senza entrare nei dettagli, oramai mi sono anche abituato a sedermi sulla tazza del cesso senza sentire quella leggera impressione che trasmette il freddo della ciambella. Qui è termo-autonoma, e riscaldata, sempre. Accanto c’è una strumentazione degna di una plancia comandi, con varie opzioni… vi dico solo che in un primo momento fa ridere, poi ci si abitua, per definirla, alla fine, funzionale. Non hanno il bidet, ma hanno trovato un degno succedaneo, l’avevo già sperimentata nel mio viaggio in Giappone, ma sarà che sono passati dieci anni e probabilmente l’hanno migliorata, fatto sta che l’ho trovata tremendamente comoda.
    Mi son detto che ai piccoli piacevoli comfort che la modernità ci offre, difficilmente rinunceremmo, possiamo raccontare che probabilmente per porre freno ai consumi, allo sperpero di risorse e alla consunzione del pianeta terra dovremo tornare indietro, fermarsi, ma credete, sarà un passo difficile da fare. E sarà difficile perché quei paesi che con fatica sono arrivati ad avere questi privilegi, sarà difficile che ci rinuncino. Di contro, quelli che ancora vi aspirano, difficilmente vorranno privarsene.
    Ecco qua, sono partito col pippone social-filosofico di prima mattina, andiamo bene!
    Torniamo a noi: oggi il programma del nostro rollino di marcia prevede visita al Palazzo Reale (con probabile cambio della guardia alle 10,00h), e poi cena alle (17,00h, l’orario della cena varia dalle 17,00h alle 10,00h) con il regista coreano Um Tae-hwai che abbiamo conosciuto a Firenze e che, saputo che eravamo a Seoul, ci ha voluto incontrare.
    E adesso partiamo…
    Il Palazzo Reale è a quindici minuti a piedi dall’albergo, vicino se si considera la grandezza della città. Il cambio della guardia è alla fine, e vediamo lì insediamento del nuovo gruppo di guardie, prede subito d’assalto da una turma di turisti per una foto e io, accontentandomi della guardia invece del capitano, me la faccio subito scavalcando la lunga fila.

    Cambio della guarda al palazzo reale e foto con la guardia. Impassibile come un corazziere.

    Prima cosa da dire, in risposta anche alla prima cosa che salta gli occhi, è che l’ingresso è gratis per chi si veste in abiti tradizionali per cui il 50% dei visitatori è in costume. Tuttavia, vuoi perché alla fine l’arte del travestimento ha sempre il suo fascino, vuoi perché l’affitto è basso (non che il prezzo del biglietto sia alto, sono 3000won, circa 1,80€ , quindi probabile che il costume costi di più), fatto sta che oggettivamente, se tutti fossimo vestiti in abiti tradizionali, sembrerebbe di vivere in un’altra epoca.
    Il Palazzo Reale è come tutti i palazzi storici orientali, almeno quelli che mi è capitato di visitare tra Corea, Cina e Giappone. Non me ne vorranno gli amici dei relativi paesi, ma l’abitudine ad essere circondato da mille stili e trovarsene di fronte uno praticamente con gli stessi stilemi, non mi permette di notare differenze. Del resto perdonatemi, ma abituati come siamo tra capitelli gotici, colonne romane, strutture rinascimentali e chiese barocche, per noi la struttura a pagoda, quella è.

    Interni del Palazzo Reale, e visitatori e scolaresche in abiti tradizionali coreani.

    Per cui cominciamo a fare il nostro giro che ci tiene impegnati tutta la mattina per oltre due ore, e giriamo in lungo e largo questa bellissima fortezza costituita di palazzi minori, giardini, padiglioni nell’acqua e residenze di regine, principi, re, funzionari e corti, fatti di strutture collegate e contigue tutte identiche tra loro. Da quelle aperte possiamo intravedere le stanze di rappresentanza, quelle abitative, con arredi e fusuma (pareti mobili di legno e carta) le tradizionali pareti mobili in legno e carta di riso. Ci aiuta una mappa scaricata da una rilevazione da QR Code che ci manda su una piantina con informazioni in inglese che ci torna molto utile.
    Incontriamo anche una coppia di italiani, i primi da quando siamo arrivati, due simpatici romani in viaggio per il loro 30imo anniversario di matrimonio, qualche scambio di impressioni, un paio di consigli e poi ognuno per la sua strada. Ma è sempre bello riscontrate come l’appartenenza al proprio paese emerge là dove ci sentiamo isolati, e appare come una luce, un riflesso in cui ci rispecchiamo volentieri, perché sappiamo che ci accomunano più cose di quelle che ci dividono, e questo sarebbe un motivo sufficiente per portarselo gelosamente a casa e ricordarsene.
    Ma purtroppo una volta arrivato ce ne dimentichiamo.

    In certi momenti, quando gli abiti tradizionali diventano protagonisti, sembra davvero di vivere in un'altra epoca.

    Una volta usciti dal Palazzo Reale ci dirigiamo verso una zona vicina all’albergo, piena di negozi di beauty, gadgets e abbigliamento, dobbiamo concedere allo shopping un po’ di tempo, non lo richiedo tanto io, ma capisco che Federica ne ha bisogno, mi ha confessato che è una cosa alla quale nei viaggi non può rinunciare. Ma anch’io, già che ci sono, ne approfitto.
    Torniamo in albergo per un leggero ristoro, leggero perché le due ore passano in un baleno, la fatica dell’eterno camminare, alla fine si accumula e si fa sentire.
    All’ora prestabilita ci troviamo fuori dall’albergo per prendere l’autobus, ma io temo di avere un problema alla T-Card e allora optiamo per il taxi. Nonostante tutto l’apprensione cresce, il traffico a quell’ora é caotico e ci si muove a rilento, temiamo di arrivare in ritardo.
    Non è così, sforiamo di poco, ma ci tenevamo alla puntualità, abbiamo l’appuntamento con il regista
    Um Tae-hwai, che in Corea è davvero una celebrità, un regista di blockbuster che ci teneva a contraccambiare la cena che facemmo insieme a Firenze. Um-Tae-hwai non è solo, è venuto insieme a Jiin Oh e poco dopo arriva anche Jieun, l’amica di Federica.
    Il quartiere è completamente diverso dalla zona centrale dov’è situato il nostro albergo, la strada è alberata ed ha dimensioni più normali, a differenza delle arterie a sei corsie presenti in centro, gli edifici hanno dimensioni più ridotte e qui effettivamente non sembra un’anonima, per quanto bella metropoli, ma si respira un’aria diversa, mi ricorda un po’ la Washington Mews di martimisteriana memoria, e comunque alcune caratteristiche stradine di New York. Si respira un’atmosfera diversa, perfino più artistica.

    Il quartiere dove si trova il Yasunoya Main Store, il locale tipico con i cuochi di fronte ai clienti, e la saletta con Federica, il sottoscritto, Um-Tae-hwai e Jiin Oh.

    La cena è in un ristorantino tipico (consigliato a Um-Tae-hwai dall’attore di una serie coreana molto famosa), il Yasunoya Main Store è un locale dalla cucina con contaminazioni giapponesi e, mi dicono, il cuoco è uno che ha partecipato ad una sorta di Masterchef tra professionisti. Ha la stessa caratteristica del ristorante della prima sera, la cappa telescopica (che è tipica delle cucina coreana), che si abbassa fin sopra la padella bollente, sulla quale cuociono la carne è tutto quello che viene servito e che aspira i mefitici profumi. Siamo in una stanzina appartata, apparecchiata solo per noi è abbiamo un cuoco personale, sì perché la cena viene cotta di fronte a noi, all’istante. Il cuoco prende pezzi di carne e comincia a cuocerli, poi li sminuzza con le forbici e ne fa molti pezzettini che ad uno ad uno verranno cotti e serviti direttamente nei piatti, con una manualità a volte ipnotica. Ci servono carne, controfiletto, maiale, salsicce buonissime dai sapori distinti e delicati, le migliori che abbia mai assaggiato, almeno cotte così, ben meglio delle nostre braci, e poi cipolla, aglio, germogli di soia e una zuppetta con degli spaghettoni come quelli mangiati a Tokyo, piccante e saporita, bagnato con del sakè di pregiata fattura.

    Alcuni momenti della cena, e per finire il graffito rimasto a sancire indelebile il passaggio dell'artista su quelle mura, ad honorem nei secoli dei secoli.

    La serata scorre simpatica e veloce, parliamo di ogni argomento nonostante il mio pessimo inglese e, piano piano ci sciogliamo un po’ tutti. Alla fine, visto che i muri sono pieni di graffiti e firme fatti dai precedenti avventori, in uno slancio di entusiasmo dedico di nobilitare quell’ammasso di segni incongrue, e gli disegno un Nero Maccanti, questo personaggio dovrà la sua fama più ai disegni che gli ho dedicato in giro per locali, piuttosto che ai libri che ho venduto.
    Se ne vanno via così due ore senza accorgersene poi, alla fine della cena (ricordo che l’appuntamento era per le 17,00h) Um ci chiede se ci fa piacere bere un caffè, noi siamo stanchi ma accettiamo volentieri l’invito, la serata è stata piacevole e usare qualsiasi espediente per allungarla ne vale la pena.
    Ci porta verso la collina che sovrasta, con una torre, quella parte di Seoul, il percorso sembra un po’ la strada per accedere a Piazzale Michelangelo, poi entriamo da un cancello e parcheggiamo in un piazzale che si proietta sullo skyline notturno di Seoul.
    Una vista mozzafiato delle mille luci nella quale risplende la città.
    Per accedere al locale dobbiamo scendere alcuni gradini, è una caffetteria con tre lati che danno sul panorama della città, che in parte resta leggermente occultato da delle tende oscuranti, l’atmosfera è splendida, l’arredamento è sobrio ed elegante, la gente parla a voce bassa e in modo intimo.
    Qui se ne vanno altre due ore, parliamo dei nostri paesi, di cosa li accomuna e di cosa inevitabilmente li differenzia, e in questo tipo di analisi non mi batte nessuno, sembro un sociologo navigato, faccio paragoni e mi spertico in considerazioni da Discovery Channel, poi di film, cultura, e poi le luci si abbassano e si fa buio in sala.

    Lo splendido finale di serata nel locale in collina, di fronte allo skyline notturno di Seoul. 

    In Italia ci aspetteremmo di vedere spuntare un cameriere con una torta irta di candeline, e qualcuno intonerebbe a voce troppo alta “Tanti Auguri a te...”, qui invece, si alzano le tapparelle che rivelano lo skyline notturno di Seoul e parte una canzone degli Asoto Union (e lo so non perché sono un cultore musicale, ma semplicemente perché l’ho chiesto). La musica ricorda quella jazz americana da Lounge bar, morbida ed avvolgente, e la voce un po’ arrochita alla Dee Dee Bridgewater ci culla col suo calore e rende il momento abbastanza magico.
    Ma ogni cosa ha sempre una sua fine, la serata è stata davvero molto bella, e gli amici con cui l’abbiamo condivisa l’hanno resa uno dei momenti più belli di questo nostro viaggio. L’unico pensiero è quello di poterlo ripetere, ci salutiamo e andiamo a letto.
    Ma sappiamo tutti che certi incontri, e certi momenti sono piccole perle che vanno ad incastonarsi nella collana preziosa della nostra vita, e rimarranno per sempre nei nostri ricordi. Talvolta, anche solo per la qualità di un sakè bevuto, una battuta ben riuscita, o una risata sincera.
    E dopo questa botta di poesia, concedetemi di andare a letto soddisfatto, me lo merito, no?

    MARTEDÌ

    Oggi c’è il cielo grigio, controllo sullo smartphone le previsione, e mette acqua adesso, alle 9,00h. Bah, vedremo, ma il cielo in effetti non promette bene, spero almeno in un leggero raffreddamento dell’aria, per evitarci ulteriori sudate. Neanche il dio del tempo avesse ascoltato le mie preghiere, anche se è vero che tra un cielo grigio ed uno luminoso, la bellezza e l’ottimismo che infonde il secondo, lo apprezziamo soltanto quando ci manca.
    Oggi, in programma, alle 12,00h c’è la visita alla galleria del famoso illustratore Jam Sam che abbiamo cercato invano sabato. Jieun ha interceduto per noi ed ha chiamato al telefono direttamente la galleria e questi, nelle vesti del gallerista, con cortesia tutta asiatica, oggi (giorno festivo) apre praticamente soltanto a noi per poterla visitare. Il nostro essere europei e la caparbietà con cui volevamo vederla (ma soprattutto dopo avere scoperto che in realtà Jieun è di sangue reale, e quindi è probabile che la sua posizione abbia aiutato notevolmente)), unita alla gentilezza di cui dispongono i coreani, li ha convinti ad esaudire i nostri desideri. Le difficoltà di trovarla stavano tutte nel fatto che il palazzo è una nuova costruzione e, probabilmente, questo rendeva per Google Maps difficile la sua individuazione.

    Ad una fermata del metro.

    Alle 10,00h abbiamo un rendez-vous con Jieun e, insieme, andremo prima al quartiere di Insadong, un posto caratteristico che vale la pena visitare, per poi dirigerci alla galleria.
    Il tanto cercato Insadong non sarà che a meno di un km dall’albergo, praticamente dietro all’angolo, è un quartiere commerciale con negozi di ogni tipo, ma ad una prima occhiata sembra molto votato al piccolo commercio e all’artigianato, con una predilezione per le belle arti, che qui si traduce, come in Cina del resto, in grandi assortimento di carte e pennelli di ogni foggia e tipo. Se non fossi nel momento dell’abbandono, e non avessi già comprato pennelli di ogni dimensione (mai usati) nei miei precedenti viaggi in Cina, mi porterei qualcosa a casa. Un fascino particolare hanno anche i negozi di artigiani che realizzano timbri a mano scolpiti sulla roccia, per cui sagome, disegni e firme di ogni tipo vengono incisi dalle sapienti mani di abili artigiani uscendone come dei pezzi unici. Uno dei negozi più centrali espone una targa che con fierezza mostra una storia di decenni, il riconoscimento della Regina Elisabetta e dell’Infanta di Spagna, moglie di Juan Carlos di Borbone, attraverso due belle foto sulla porta, dimostrando la fierezza di un lavoro fatto con coscienza e amore da anni. Anche in questo caso ho già dato, ho già a casa il mio timbro personale con il mio nome scritto in cinese, anch’esso che prende la polvere in un cassetto.
    Che volete che vi dica? Sono un cialtrone per queste cose.

    Il quartiere di Insadong.

    Prendiamo un taxi per dirigerci verso l’esposizione Jam Sam l’artista di cui avevamo perduto la visione della mostra, e dopo avere preso un caffè in un locale vicino, il gallerista ci chiama.
    La galleria è piccola, e le opere non sono molte, anche perché alcune sono piuttosto grandi e meritano una parete tutta per loro, ma sono ben esposte e fanno figura. Ci sono anche quattro sculture in resina molto carine. La parte interessante di questo artista è, non solo la pittoricità delle sue pennellate (i quadri sono tutti olio su tela) che è in totale controtendenza con lo stile orientale dell’illustrazione/manga tutta al digitale, ma anche alla realizzazione personale del gigantismo degli occhi, per cui in questo caso, si può dire che a dispetto di una tendenza abbastanza omologante, Jam Sam cerca di trovare una sua strada personale nella realizzazione delle sue illustrazioni.
    L’artista deve la sua fama alla partecipazione (prestando i suoi disegni al protagonista, appunto un illustratore), di una serie drama coreana di grandissimo successo. Segnalatami ovviamente da Federica, di cui è una gran divoratrice ma il cui aiuto è prezioso perché ricco di molti spunti per ogni cosa e ogni riflessione. Ringraziamo l’incommensurabile gentilezza con il gallerista che, in una giornata di festa ha avuto la cortesia di aprirci la galleria apposta, ci scambiamo i biglietti da visita, acquistiamo due splendidi cataloghi (che sono in realtà due artbook dell’artista), e ci congediamo con profusione di inchini.

    Alla mostra di Jam Sam.

    Poi torniamo ad Insadong per mangiare, abbiamo visto un posticino in una vietta laterale del quartiere che ha stimolato la nostra fantasia, ed è lì che troviamo posto. Il posto ha l’architettura tradizionale, è pieno di foto d’epoca attaccate alle pareti e diffonde un’atmosfera casalinga. Giusto il tempo per ritemprarci, dopo un pranzo a base di maiale piccante, noccioline cotte e altre prelibatezze locali. I pranzi non sono mai luculliani ma sembrano pensati per un’alimentazione senza eccessi ma soddisfacente.

    Il pranzo ad Insadong, con Federica e Jieun.

    Poi decidiamo di tornare in albergo per un breve ristoro, in modo da riuscire più pimpanti di prima per andare ad un Mall e alla torre di Seoul, poi Federica e Jieun andranno al cinema a vedere una previews di un cine-drama coreano, di cui mi risparmio la fatica di non capirci niente.
    Dopo la breve sosta però, salta la visita alla torre, o meglio, arriviamo, facciamo il biglietto ma una volta in coda per l’accesso alla cabina, ci accorgiamo che la fila è lunghissima e saltano tutti i programmi fatti. Perciò rinunciamo e andiamo direttamente al Lotte Mall dove oltre ad abbigliamento e merce varia, al primo piano, tra profumi e negozi di alta moda, c’è anche una vista area che prevede banchi di dolciumi, frutta, pasticceria, cucina varie e sono previste zone ristoro ovunque.
    Facciamo un rapido giro, decidiamo cosa prendere e poi, mentre uno prende il posto, gli altri si distribuiscono nel locale a prendere le loro scelte. Ma il momento non è tranquillo, tra la gente che ruota intorno alla ricerca di un posto, la difficoltà di capire i comandi strettamente in coreano (nonostante Juien), il tempo che stringe per l’inizio del film e Luca che chiama per fare due chiacchiere, ci dividiamo tutti e tre e ognuno per la sua strada.
    Mi ritrovo solo nella capitale coreana. Strano, a volte penso di avere davvero un’anima un po’ solitaria, non posso dire di stare male con me stesso nonostante mi stia un po’ sulle palle, con le mie paturnie e le mie contumelie, ma talvolta sento davvero la necessità di stare in solitudine. Cammino così tra i banconi, osservo con interesse e distacco assieme tutte quelle merci esposte, la gente festante intorno, posso dire che ci sia della serenità in giro, i coreani sembrano gente tranquilla, mai stressata, non senti vociare, accaldarsi, nonostante non dobbiamo mai dimenticarci che questa gente è da settant’anni sul piede di guerra, semplicemente interrotto da un armistizio.

    Ancora per le strade e i negozi di Insadong.

    Oramai si è fatto buio, le enormi strade a sette corsie sono illuminate dai fari della molte Hyundai, delle Kia, delle Gradeur segno di un benessere evidente e di un industria che nutre il proprio mercato interno, a garanzia della circolazione del denaro nel proprio territorio. C’è meno gente di due ore prima ma le strade sono ancora animate, molti turisti che girovagano in cerca delle loro mete, alzo gli occhi il cielo riflesso dai vetri dei grattacieli che fanno da sentinella a questa metropoli moderna, l’aria è fresca, e il leggero vento mi accarezza i capelli ricordandomi che finalmente siamo arrivati ad Ottobre, e si sente.
    Incontro il fiume Cheonggyecheon Stream che è una caratteristica di questa zona e che abbiamo percorso ogni giorno, come una costante della nostra permanenza nella città. Sento la musica fatta da un’artista di strada e scendo ad ascoltare, intorno al ragazzo che suona magistralmente e in violino si sono accalcate diverse persone, anche sull’altra riva, e lo incitano con applausi e andando a tempo. Lui è scatenato, si vede che si diverte, si avvicina ai bambini che gli ridono e gli applaudono contro, è il re della festa mentre continua a suonare questa musica gioiosa e coinvolgente.

    Da solo, il ritorno all'hotel, tra le mille luci di Seoul.

    È un giovane artista alla ricerca della sua strada, come molti, un esercito di giovani pieni di speranza, e gli auguro di trovarla, davvero, con tutta la tenacia e la perseveranza di cui è capace. E se non fosse così, che sia felice comunque come lo è in questo momento.
    Sono arrivato, il gigante di guardia al Lotte City Hotels di Myeong-Dong, come ogni volta mi fa l’inchino. Salgo in camera e mi preparo a fare la valigia.
    Domani si cambia città, andiamo a Busan.

     

    MERCOLEDÌ

    Il sole splende anche di mercoledì, ma oggi si parte.
    Il taxi prenotato il giorno prima ci viene a prendere in perfetto orario, e ci lascia alla stazione in appena cinque minuti. Il ricordo del traffico dei giorni precedenti (tra festivi e prefestivi), è solo un lontano ricordo.
    Il binario è assegnato a soli dieci minuti dalla partenza, è una moltitudine di persone si avviano verso i binari, ai quali si accede attraverso una scala mobile. Busan è la seconda città coreana, e quindi è normale che il traffico sia intenso. Ma tutto procede in modo ordinato e senza complicazioni, tutti posti sono prenotati e quelli che devono viaggiare in piedi lo sanno già.
    Abbiamo quasi tre ore di viaggio, e Federica mi convince a realizzare uno spazio Instagram professionale. Non ho la forza di rivelargli che forse mi servirà a poco, visto l’idea di ritirare i remi in barca che oramai mi sta conquistando, e quindi che mi servirà a ben poco, ma è anche pur vero che ho un sacco di roba da far vedere, e che forse a qualcuno piace vedere, e la assecondo.
    Comincio ad aprire uno spazio (uno ce l’ho già, ma è più per permettermi la navigazione e seguire i miei figli che oramai snobbano il faccialibro) e riempirlo di quelli che oggi vengono chiamati “i contenuti”, per cui, almeno da oggi, qualche mio “contenuto” su Instagram potete trovarcelo.
    Adesso smetto di scrivere e mi dedico alla visione del paesaggio.

    Busan e i suoi palazzi, poi l'imponente struttura che ospita il BIFF il festival del cinema di Busan (la manifestazione più importante del settore).

    No, a dire il vero non ho visto un bel niente, come ho chiuso l’IPad mi sono addormentato, e vabbè. Non è che in questi giorni abbia dormito benissimo, forse l’aria condizionata troppo alta, gli strascichi del jet-lag, i il piumone troppo caldo fatto sta che diciamo mi sono rilassato troppo.
    Alla stazione prendiamo un taxi, Busan ha un aspetto completamente diverso da Seoul, ha piccole alture che costellano il suo territorio e si trova in riva al mare, appare meno giganteggiante nei suoi edifici (ma questo dipende anche dalle zone che stiamo attraversando), prima di passare quello che appare un’ estuario, di fronte a noi vediamo una costruzione avveniristica che sembra un’ astronave adagiata vicino all’acqua. Ne rimango stupito e mi dico che ci ritornerò a vederla.
    L’albergo è il Centum Primus Hotel, e il tassista ci deposita davanti con il nostro stupore, l’ingresso è un po’ più all’interno del marciapiede e non è ben visibile dalla strada. È un 4 stella leggermente più compassato del precedente, un po’ più disadorno, ma al contempo funzionale. Prendiamo le camere e dopo un’ora e mezza ci ritroviamo nella lobby per fare il punto della situazione.

    La vista dalla camera 505 del Centum Primus Hotel.

    Dobbiamo cercare di capire la dislocazione dei centri in cui dovremmo andare per capire come e con che tempi muoversi. Ci incamminiamo verso la strada dalla quale siamo arrivati e che costeggia il fiume(?), il traffico è molto intenso, ci sono incolonnamenti ovunque, del resto è l’ora di punta e tutti, come in tutto il mondo, tornano a casa, o tentano di farlo. Poi, consultando le varie mappe digitali (Google Maps non funziona benissimo qui, e quella locale scaricata da Federica ha caratteri coreani), ci accorgiamo che in realtà sembra tutto piuttosto vicino.
    Ma oggi è anche il primo giorno del BIFF Busan International Film Festival, la manifestazione di cinema più importante della Corea e, neanche a farlo apposta, sta aprendo i battenti con il tanto atteso Opening proprio lì vicino. La folla si accalca sui marciapiedi, frotte di poliziotti sciano il traffico permettendo alle auto diplomatiche nere che devono soffermarsi al red carpet, di accedere nel miglior modo possibile. Fotografi sui lati del tappeto rosso posizionato sotto l’ampia volta del palazzo futuristico (?) che avevo notato precedentemente, insomma, eravamo capitati propri nel bel mezzo di un evento, ben prima che si partisse il nostro.
    Federica, da quella appassionata di film e serie drama coreani che è, si è sciolta in un brodo di giuggiole, come una ragazzina davanti al divo preferito, ha iniziato a scattare foto e abbiamo cercato di individuare i punti migliori per sbirciare qualche attore all’arrivo. All’intento era stato realizzato credo una ulteriore passerella con un’ampissimo platea di persone sedute che potessero godersela, evidentemente è davvero un appuntamento importante per il cinema di questo paese.
    Riprendiamo la nostra esplorazione ma, aiutati da un micio che fa capolino da un tetto di una costruzione ed alcuni manifesti, ci accorgiamo che il Bwebtoon Fest è proprio lì accanto, come il teatro dove domani dovrò fare la mia performance dove speriamo di essere all’altezza.

    Il primo impatto con il Busan Global Webtoon Festival, la sera prima dell'apertura.

    Continuiamo la nostra camminata in circolo, perché in realtà è questo che abbiamo fatto, una sorta di circumnavigazione di un isolato, l’aria si è raffrescate e c’è anche un po’ di vento, si sente che l’aria di mare ha ben altra intensità, la temperatura è sicuramente più bassa. Passo dopo passoci troviamo dietro a un’ulteriore Lotte Mall, gigantesco dove entriamo, se anche questo è uguale a quello di Seoul, sotto il primo piano ci dovrebbero essere molti ristoranti. È così, stessi ristoranti e stessa affluenza di persone, ma siamo vicini alle 20,00h e siamo in chiusura, ci accorgiamo che molti punti ristoro stanno chiudendo i battenti, decidiamo allora di dirigerci altrove.
    Troviamo un ristorante proprio di fronte all’ingresso dell’albergo, è carino ed ha posti liberi, l’ora è quella giusta e ceniamo.
    Da quando siamo qui non abbiamo più fatto una cena occidentale, a me non manca molto (forse perché so che tutto sommato non manca troppo al ritorno), ma in realtà i cibi sono saporiti e spesso scelgo quelli piccanti, e sono gustosi.
    Non abbiamo tempo per altro, anche perché non sappiamo lì intorno che cosa c’è, anche se all’apparenza, oltre questi negozi intorno d un paio di incroci, non mi pare ci siano grandi alternative, e forse entrambi siamo già presi da quello che dobbiamo fare, ed è così che decidiamo di andare a letto.

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    COMIC BARCELLONA 2024

    É inutile farsi illusioni, per quanto puoi scappare, il tuo passato ti raggiungerà sempre.

    Il poster della manifestazione.

    Il 18 di Aprile, è uscito in Spagna l’integrale della mia tetralogia cubana, i quattro volumi della serie "Hasta la Victoria!" è stato pubblicato dalla CARTEm Edizioni, che ne ha prodotto un libro bellissimo, completo di un’intervista di un professore di Diritto Internazionale, specifiche anagrafiche e contesti storici dei personaggi realmente vissuti e presenti nella narrazione, e note del traduttore. Del resto la CARTEm nasce come una casa editrice specializzata in produzioni di fac-simili, testo e codici storici che vengono riprodotti fedelmente con un’accuratezza certosina, per cui a livello di qualità, non ci si può aspettare di meno. Fantastici, mi hanno fatto sognare, inutilmente, in un’edizione italiana realizzata così. Sogno impossibile.
    A coronamento di tutto ciò, sono stato invitato ufficialmente dal Ficomic, l'ente che organizza il Comic Barcellona, il più importante appuntamento fieristico del fumetto in terra di Spagna... ops, perdonate, in terra di Catalogna!

    Alcune copie dell'integrale di "Hasta la victoria!" gentilmente inviatemi dalla Cartem, solo dalla copertina però, il lavoro e l'accuratezza con cui sono stati realizzati non gli rendono giustizia.

    Riassumendo per me e per quei pochi che leggeranno queste righe: sto vivendo un momento di passaggio.
    E chi se ne frega! Si potrebbe dire, appunto, è legittimo, ma è vero anche che nessuno vi obbliga a leggere i miei sproloqui, per cui mettetevi tranquilli e sopportate.
    Il momento di passaggio, consiste in una pausa nella quale mi lascio trasportare dagli impegni della scuola, dal normale tran-tran della vita, e in attesa di risposte. Riguardo a cosa è ancora presto per dirlo.
    Ma le attese, come sapete molto bene, diventano spasmodiche quando si prolungano, perché minano certezze (quelle poche che avevi) e cominciano a sollevare dubbi, che crescono sempre di più fino a farti dubitare di tutto. Anche di quello che hai fatto.
    Del resto è pur vero che rimettere in discussione tutto e ripartire, se per molti è una prova di coraggio, per altrettanti è un rischio da evitare, specialmente quando sei arrivato a un punto in cui tutto quello che hai fatto, ogni tanto torna a bussare alla porta per ricordarti chi sei. Ma io purtroppo non sono capace di rimanere fermo, sono una specie di pendolo che oscilla eternamente alla ricerca di un equilibrio che non troverà mai, privandosi di quella tranquillità che sembra una meta irraggiungibile, un obbiettivo precluso a priori, nel memento costante della mia irrequietezza. Lo so, sembra che, nell’affermarlo, gongoli di un orgoglio che sottintenda una condizione di privilegio, ma vi garantisco che non è così, sapere che pretendi sempre qualcosa di più da te stesso, e aspettarsi riscontri che ogni volta ti mettono in discussione, è una fatica che eviterei volentieri, ma so anche che è una battaglia persa, e la accetto con rassegnazione.
    Anche perché l’accontentarsi non rientra nei miei standard, purtroppo per avere rispetto di me stesso pongo le asticelle ad altezze inverosimili, altezze alle quali è probabile non arrivare mai e che prevedono inevitabili delusioni. Che vita grama.
    Del resto, per quanti echi possono arrivare dal passato (e questo, per quanto piacevole, è uno dei tanti), che mi ricordano chi sono e da dove provengo, vedo allontanarsi sempre di più, in modo inesorabile e perfino disturbante, l’interesse per quel mondo, quello del Fumetto, che per anni è stato il mio. Un brodo in cui mi sono riscaldato e rifocillato traendone soddisfazioni e gioie, ma che, a poco a poco, vedo svanire. E mi dispiace, perché per quanto mi senta colpevole di questo, al tempo stesso sono del tutto inerme di fronte ad una sorta di degenerazione inarrestabile.
    Ma nei prossimi giorni sarò chiamato a far risplendere quella che probabilmente è ed è stata la storia che mi ha convinto che sì, forse ero un autore in grado di scrivere qualunque storia, e sono qui per onorarla. Lo merita e glielo devo.
    Partiamo, allora!

    JUEVES

    Sono arrivato a Firenze ieri sera sotto un diluvio che sembrava aspettasse me per privarmi, tra l’altro, anche della comodità di un taxi che sembrava introvabile. Alla stazione c’era una fila di trenta metri in attesa di mezzi che arrivavano solo sporadicamente, e che mi ha costretto a farmi a piedi tutta la strada verso via Ghibellina. Poi l’alluvione si è fermata dopo pochi minuti, quasi si fosse concentrata sul mio arrivo per obbligarmi alla camminata.
    Con Federica, la compagna del mio socio, siamo andati a cena ad un ristorante cino-giapponese, nell’illusione che ravioli al vapore e involtini primavera fossero più leggeri di qualsiasi altro pasto occidentale. In camera ho prenotato il taxi per l’indomani mattina (e anche in questo caso l’orario mi è stato imposto dalla cooperativa), e sono andato a dormire.

    VIERNES

    La mattina con il ciarliero tassista abbiamo (più precisamente"ha"), disquisito sul potere dell’"impero del male", ovvero sulla strapotenza americano e le sue deleterie influenze, per arrivare al definitivo obbiettivo delle sue lamentele, la persistente quanto rischiosa intromissione di Uber all’interno delle dinamiche del suo lavoro. Cosa del tutto comprensibile e, temo, alla lunga irrevocabile.
    Adesso siamo in attesa del volo.
    La giornata finalmente si è aperta, e il grigiore che ha contraddistinto questi primi giorni di Maggio sembra allontanarsi sotto le ali dell’Airbus. A bordo c’è un’allegra comitiva di ragazze in tour per "l’addio al nubilato" di una delle loro amiche, hanno cominciato a fare baldoria e del sano casino all’ingresso del gate, sotto i sorrisi indulgenti dei passeggeri in attesa, si sa che quando si viaggia siamo bendisposti verso ogni tipo di goliardia. Del resto oggi si festeggia di tutto: addii, matrimoni, separazioni, l’importante è fuggire dalla realtà, avere l’illusione che ci si può lasciare tutto alle spalle con un po’ di divertimento, anche se questo passa e la quotidianità torna con la sua solida concretezza.
    Dall’alto si vede la curva della ferrovia ed il laghetto nei pressi della stazione di Lastra a Signa, che sembra un plastico della Rivarossi. Sarà una banalità, ma da qui, la vista del mondo ridimensiona tutto, disegna con le giuste proporzioni ogni cosa relegandole all’insignificanza. Immagino cosa sarà per gli astronauti, vedere il mondo dalle orbite celesti, una palla nel buio dove milioni di batteri si affannano nel loro micragnoso dibattersi per raggiungere i loro microscopici obbiettivi.
    Siamo un nulla che si agita solo per il gusto di sentirsi vivi in un lasso di tempo talmente trascurabile da essere irrilevante.
    Rifletto su ciò che mi aspetta: una conviviale socialità con autori che non conosco e di cui probabilmente non lèggerò nulla, sicuramente conosciuti in patria e sconosciuti altrove, con cui dovrò dividere amenità che, in questo momento mi interessano il giusto. Mi maledico per la distanza che in certi momenti metto tra me e il mondo, una freddezza analitica che non mi è propria ma che diventa protagonista in certe occasioni. Per fortuna so che al momento giusto esce la parte più empatica di me, che conosco e riesce a tirare fuori il buono da ogni cosa, da ogni esperienza, da ogni incontro. Ma all’inizio di ogni avventura, il cinismo che mi attanaglia è una morsa implacabile che non riesco a reprimere e tenta di avvelenare col distacco e l’indifferenza ogni cosa.
    Dev’essere il mio Mr. Hyde nascosto che cerca spazi.
    So che ci sarà Tanino Liberatore, un autore che stimo e con cui condivido anche un editore in comune, il Grifo con il quale ha realizzato innumerevoli portfolios. Ci conosciamo per le varie occasioni in cui ci siamo incrociati ma abbiamo poche circostanze condivise realmente, ricordo una colazione ad un COMICON di Napoli qualche anno fa. Spero che con l’amato autore di Ranxerox ci sia occasione di conoscerci meglio.
    So anche che gli amici della CARTEm faranno di tutto per farmi sentire a casa, la loro gentilezza e la loro disponibilità sono una delle cose che apprezzo di più e l’accuratezza che hanno verso i loro autori una merce davvero rara, sono contento di lavorare con loro. Pensate che mi hanno perfino richiesto un logo (Stefano Casini Collection) da inserire nel mio personale spazio sul loro sito web. Questo mi lascia intendere che avremo una lunga collaborazione insieme, cosa che mi rende davvero felice, ho atteso tanto un editore spagnolo che pubblicasse le mie storie, e sono stato finalmente accontentato… Mr. Hyde, dove sei adesso?
    Ok signori, adesso fatemici arrivare in Spagna, per il momento la chiudo qui.
    Hasta luego.

    L’arrivo all’aeroporto è in orario nonostante una ventina di minuti di ritardo alla partenza.
    Ad attendermi c’è, tra una ridda di driver con cartelli in mano in attesa di clienti prestabiliti, anche il mio tassista con il mio bel nome digitato sull’IPad. Dopo una ventina di minuti sono all’Hotel Catalonia Barcelona Plaza, in centro a Plaza de Espanya, una imponente rotatoria che mette in fila l’albergo, la vecchia Plaza de Toros trasformata splendidamente e in un centro commerciale, e l’avenida Reina Maria Cristina che oltre che di fronte al Palazzo delle Fiere, porta dritta verso il Museo di Arte Contemporanea. Uno splendore. Il tutto confezionato da una bellissima giornata che sembra decisamente essersi lasciata il brutto tempo alle spalle.
    L’hotel è un quattro stelle dall’imponenza notevole e giganteggia sul lato della piazza. La camera non è pronta, e mi faccio dare la busta dell’organizzazione con il pass personale, e mi dirigo alla fiera, distante in linea d’aria non più di duecento metri.
    Ho un ingresso privilegiato che mi evita, per fortuna, un ghirigoro di camminamenti previsti per i giorni di maggiore affluenza ed entro direttamente dentro alla manifestazione, dal palazzo della stampa, dell’auditorium e delle esposizioni.
    Il piazzale è pieno di ragazzini, come quasi tutte le mostre il venerdì mattina è dedicato ai ragazzi delle scuole, e la confusione mischiata all’esuberanza dei fanciulli, riempie l’enorme spazio.

    Il piazzale del centro fieristico e l'ingresso per i visitatori.

    All’interno è la stessa cosa, scolaresche con insegnanti al seguito si snodano ovunque, ma gli spazi sono ampi e gli stand molto distanziati tra loro, e il flusso delle persone scorre a meraviglia.
    Faccio una piccola perlustrazione, ma non riesco a trovare lo stand CARTEm, ho bisogno della piantina. É poco distante, e Jaime e Aimara (la responsabile marketing, una bella ragazza che conosco per la prima volta) mi stanno aspettando, ci salutiamo e mi rimetto in giro a prendere possesso di una manifestazione che non conosco. A prima vista potrei essere in qualsiasi festival di una certa importanza, il folklore che mi gira intorno è lo stesso ovunque, le tipologie, i caratteri e i personaggi che animano questo tipo di spazi si assomigliano tutti, quasi facessero parte della stessa famiglia. E forse è proprio così.
    Mi fermo allo spazio di Juan Mundet, uno bravo autore che avevo incontrato (azzardare conosciuto mi sembrerebbe eccessivo) ad Albissola, e lo saluto però facendomi riconoscere, abbiamo interessi comuni, l’amore per il western (ne ha disegnati alcuni), e quello per il capitano Alatriste (il personaggio di Arturo Perez Reverte) di cui lui ha realizzato delle storie a fumetti, ed io preso ispirazione per la mia "La lama e la croce".

    Insieme a Joan Mundet.

    Qui incontro Daniel Diéz (proprietario della CARTEm), ed Elena Hernandez, la mia interfaccia con la casa editrice, ci salutiamo e ci accordiamo per i successivi impegni (non sono pochi), ed io decido di andare a vedere le premiazioni. Intendiamoci, non che me ne freghi un gran che anzi, a dire il vero niente, del resto non conosco nessuno, ma mi alletta però l’idea di mettermi in ultima fila, al buio dell’auditorium e riposarmi un po’. Quella mezz’oretta in cui mi fermo, però, mi racconta di una tendenza del fumetto che va per tutti i paesi nella stessa direzione, e cioè verso una tipologia di graphic-novel dove l’aspetto primario si riversa sull’interesse per la storia, mettendo in secondo piano, quando proprio non a trascurare, il disegno. L’idea è che l’autore non abbia più bisogno di un disegnatore che traduca il suo pensiero e la sua scrittura in disegni che abbiano valenze artisticamente accettabili. Lui deve essere sufficiente a sé stesso e alla sua storia, a prescindere di come tiene in mano la matita. E se deve andare così, che così vada, io me ne posso tranquillamente tenere fuori facendo altro.
    Poi rientro allo stand e tutti insieme (meno il povero Jaime che resta allo stand per presidiarlo), andiamo al cocktail di benvenuto. Qui incontro Tanino Liberatore, ma a dire il vero scambiamo poche battute perché poi veniamo risucchiati dalle chiacchiere tra noi e i nostri amici. Intorno a me gli unici che riconosco sono Juan Diaz Canales e Juanjo Guarnido, gli autori di Blacksad, ed l’autore spagnolo Altarriba, che riconosco dal mio ultimo viaggio ad Aviles.
    Mi abboffo con la massima eleganza che riesco a mostrare di tocchetti di formaggio perché ho una fame da lupo, mi sono svegliato presto e qui si va a pranzo ben oltre le due e non ho più memoria della colazione. Poi decidiamo di andarcene quando i vassoi oramai hanno esalato l’ultimo respiro e andiamo al Simultaneo  uno dei tre ristoranti convenzionati dell’albergo.
    Terminiamo ben oltre le quattro e finalmente prendo possesso della stanza, una bellissima camera al sesto piano con doppia esposizione, su un lato vedo il centro commerciale e dall’altra l’avenida con il museo, un colpo d’occhio fantastico.




    La splendida vista dalla mia camera al sesto piano.

    Mi stendo un attimo sul letto consapevole che mi resta meno di mezz’ora per rilassarmi prima dell’intervista con uno youtuber, e siccome mi conosco metto la sveglia.

    Ottima mossa, mi dico, salvo accorgermi poco dopo che l’ho messa un’ora dopo. Meno male che il minimo ritardo accumulato non preclude niente, così ci dirigiamo (io ed Elena), verso la sala stampa, una sorta di room che accoglie però anche molti artisti. Qui a un tavolo realizziamo l’intervista. Elena è la traduttrice, ed è venuta in supporto per aiutarmi, nel caso, a comprendere le domande (spiccico qualche frase in spagnolo, ma altra cosa è sostenere un’intervista per intero) decidiamo per le risposte in italiano che verranno tradotte successivamente, per non far perdere il ritmo all’intervista. Tuttavia e domande di David, il simpatico youtuber, riesco però a comprenderle quasi integralmente, e il tutto procede in una rilassante atmosfera per quasi un’ora.
    Appena finito non ci resta che andare allo stand, sono le 18,30 e il mio turno di dediche mi aspetta inesorabile, come le persone che sono già lì in mia attesa. E fino alle 20,00 non mi schiodo dalla sedia. Bene, del resto sono qui per quello.



    L'intenro del Centro Commerciale ex-plaza de toros, e la vista dalla terazza panoramica.

    La giornata è terminata, usciamo tutti dalla manifestazione sotto un sole che rifulge in un tramonto luminoso. Mentre Javier ci saluta e va a ritirarsi all’albergo (è distrutto dalla giornata infernale), noi andiamo verso l’odierno Centro Commerciale ex-Plaza de Toros, dove per l’intero perimetro della terrazza al top, ci sono, uno dietro l’altro, innumerevoli ristoranti. Ci fermiamo al "Mussol", che sembra l’abbreviazione di un dittatore ben conosciuto, dove mi mangio una butifarra, una salsiccia di produzione locale con una patata arrosto e fagioli, il tutto bagnato con un bianco fresco e gradevole che ricorda un nostro vermentino.
    Siamo tutti stanchi, e dopo una piacevole serata, Elena, Aimara e Daniel si dirigono in fretta verso il primo taxi libero, è ora di andare a letto. L’indomani è prevista come la giornata più complicata, e dove il pubblico sarà quello delle grandi occasioni.
    El viernes es terminado: buenas noches a todos.

    SÁBADO

    Ho dormito bene, e lo affermo con certezza perché non ho sognato, perché generalmente quando sono in un letto diverso dal mio, le storie fantastiche si alternano in continuazione. Il letto è duro il giusto, e la camera è ottimamente insonorizzata, ci sono due finestre con i doppi vetri, e si sentono le sirene delle ambulanze, ma solo come un eco lontano. Il problema è che la luce filtra dalle tende oscuranti e il sonno, quel poco che resta, si va a far benedire.
    Prima di uscire mi cade l’occhio sulla mappa per la sicurezza in caso di incendio, e osservo la piantina del sesto piano, il mio. La mia camera è effettivamente l’unica che ha un corridoio e una doppia esposizione. L’ho già detto? Forse sì. Questi spagnoli mi stanno sempre più simpatici.
    La colazione è ottima e, volendo, anche abbondante, ma non esagero, anche se so che il pranzo sarà tra molte ore.
    Una volta uscito dall’hotel mi accorgo che non ho molto tempo, e mi faccio una passeggiata verso il Museo di Arte Contemporanea che domina la collina di Montjuic, e osserva dall’alto l’avenida Reina Maria Cristina. Ad agevolare la salita, ci pensano svariate scale mobili che riducono la fatica, la giornata non è ancora del tutto nitida, ma il caldo si fa già sentire.
    Dall’alto si gode di un ottimo panorama, si vede la Sagrada Famiglia e le gru che la dominano e…. scatto alcune foto tra i turisti che si accalcano di fronte all’entrata del Museo. Poi decido di tornare verso il Palazzo dei Congressi.



    La camminata i avenida Reina Maria Cristina, fino al Museo di Arte Contemporanea e vista panoramica sulla città.

    Arrivo allo stand mentre alle firme c’è César Verdùguez, il giovane e simpatico autore del graphic-novel Somos, aspetto il mio turno girando un po’ tra gli stand a curiosare.
    Quando tocca a me comincio e senza soluzione di continuità arrivo fino alle 13,45 e dopo condivido con Erik Kriek, l’autore olandese, lo spazio dediche, visto che i miei lettori non decidono ad esaurirsi.


    La condivisione degli spazi con Erik Kriek per le dediche dei nostri libri.

    Mentre realizzo dediche, alzo gli occhi e mi trovo di fronte Pierre Frigau, l’amico di Strasburgo che coordina gli italiani al festival di Illzach, scambiamo quattro chiacchiere (é molto che non ci incontriamo), e colmiamo le nostre lacune dall’ultima volta che ci siamo visti. Alla fine della sessione di firme, insieme a Daniel andiamo verso la sala Prensa, qui come da programma c’è la foto da fare per l’organizzazione, e a ruota l’intervista ad opera del Fimoc, l’associazione che gestisce la manifestazione.


    La foto ufficiale per l'organizzazione.

    La sala è adibita nell’ampio spazio d’arrivo dove si arriva dall’ingresso accrediti, ci sono esposizioni ai muri, delle zone sosta, e di fronte al palco allestito alla parete di fondo, accanto all’area dei tecnici del suono, c’è una platea che, a occhio, può contenere una cinquantina di persone. Al momento del mio arrivo, vista l’ora improponibile, non c’è anima viva. Bene, é abbastanza normale per l’ora e una fama che non mi precede, ma almeno sono libero di dire qualsiasi castroneria.
    Insieme a Ornella, la giornalista incaricata dell’intervista (e che si rivela preparata sul sottoscritto), sono in compagnia dell’interprete, una magra e scattante italiana che ha visto bene di vivere in terra di Catalogna.
    Contrariamente ad ogni aspettativa, la platea a poco a poco si riempie e, alla fine dell’intervista mi accorgo che gli spettatori sono parecchi. Ad ogni modo, chi ha deciso di rimanere, o ha visto bene di riposarsi e sfruttare le sedute, oppure ho detto qualcosa di interessante, e sarei propenso più per la prima opzione, se invece non mi fossi accorto dell’attenzione concessami da chi era presente.
    Mi ripeto: questi spagnoli mi sono sempre piaciuti, ma adesso mi piacciono ancora di più.


    Il momento dell'intervista ufficiale ad opera dell'organizzazione del festival.

    Alle 3,20 posso andare finalmente a pranzo, Daniel, Aimara e Elena mi "lasciano libero" e posso andare in albergo, e non rischio di trovare le cucine chiuse, perché qui, come forse saprete, gli orari di pranzi e cene slittano di almeno un paio d’ore in confronto ai nostri.
    Ma anche nel pomeriggio il tempo mi si brucia velocemente, il servizio al ristorante è piuttosto lento, e alla fine mi rimangono soltanto quindici minuti per andare in camera, prima di ritornare allo stand per il rush finale.
    Il rush finale però dura tre ore, condivido ancora lo spazio con Kriek e poi debbo abbandonare perché costretto a lasciare lo spazio a César per il suo turno, anche se in una postazione laterale sono costretto a terminare gli albi con i segnalibri di chi ha comprato e ha lasciato lì l’albo e, come in Francia, mi ritrovo praticamente a chiudere lo spazio della manifestazione. Ma sono qui per questo, e sono felice di avere dedicato decine di libri.
    Ho conosciuto il direttore di Aleta Edizioni, la casa editrice che pubblicò in Spagna all’inizi degli anni 2000 una trentina di albi di Nathan Never, una delle pubblicazioni che mi ha fatto conoscere precedentemente il questo paese, ed é stato piacevole scoprire che il primo numero della collana (che aveva un’ordine di uscita tutto suo), era stata la storia "Le belve" realizzata insieme a Michele Medda. Ma una delle prime cose che mi ha detto, rammaricandosene, è che le storie Bonelli in Spagna non funzionano, ammettendo con dispiacere che evidentemente altri tentativi erano stati fatti anche su altri personaggi, ma con lo stesso esito negativo.
    Nella giornata ho conosciuto qualche responsabile dell’organizzazione, che si è mostrato gentile e felice di conoscermi, qualcuno si è già spinto ad invitarmi nuovamente ed io, da paraculo quale sono, ho mostrato la mia migliore dentatura in smaglianti sorrisi e pronta disponibilità.


    Insieme a  Kiko da Silva e all'amico Angel De La Calle.

    Ma la giornata è terminata, siamo tutti molto stanchi e la serata, nella splendida luce di un tramonto ancora lontano dall’annunciarsi, ci illumina mentre cerchiamo un taxi che ci porti al ristornate dove la CARTEm, al gran completo, consumerà la sua cena.
    In realtà il locale non è molto lontano, si sale tra viali alberati che a me ricordano quelli che raggiungono Piazzale Michelangelo a Firenze, Barcellona è ricca di verde e da l’idea di una città che sa respirare e lascia respirare chi ci vive. Il ristorante si chiama "El Xalet de Montjuic", ed ha una vista fantastica e panoramica sulla città.
    La serata scorre piacevole, Erik e Kostanz si rivelano simpatici e disponibili e tra una parola di spagnolo e qualche sentences in inglese, riusciamo a comunicare nonostante una torre di Babele che tutto sommata si rivela scalabile e raggiungibile.


    La tavolata di Cartem a El Xalet de Montjuic, da sinistra: César, Jaime, Daniel, Elena, Erik, Kostanz, io, Aimara e Raquel (moglie di César) che tiene, con la mano sinistra, la piccola Verduguez che non aveva volgia di addormentarsi.

    Per inciso, il filetto di vitello era magnifico, cotto alla perfezione e morbido come il burro e il vino tinto, carico di forza ma ottimo.
    Ma nonostante le musiche ritmate di una comunione nella stanza attigua, la stanchezza prende il sopravvento su tutti e decidiamo di andare a letto. È stata una buona giornata per tutti, e tra sorrisi e occhi che alludono al pigiama, riprendiamo i taxi e ognuno torna al suo albergo.
    Il sabato si conclude così, incontrando, appena sceso dal taxi e fuori dall’albergo, un tizio con la faccia da impiegato ma vestito con camicia a pantaloni grigi carichi di strass che sembrava uscito da un balletto di drag queen. Un bel modo per chiudere la serata, con una bella visione ammiccante a una Barcellona by night che stasera dovrà fare a meno di noi.
    Buenas noches de nuovo!

    DOMINGO

    Non ho dormito bene, ma non capisco cosa non ho digerito, ho mangiato con moderazione e le porzioni misurate, perciò mi sono trattenuto a letto fino a quasi le nove.
    Colazione forse eccessiva, viste le sveglie notturne, ma non riesco a rinunciare quando l’offerta è stuzzicante, neanche avessi un’atavica "fame" da soddisfare.
    Faccio il check-out, lascio la valigia all’albergo e mi dirigo verso il Palazzo dei Congressi, dove c’è l’area adibita all’entrata degli accreditati, non ho tempo per altro, avevo dato la disponibilità (non era prevista nel programma) alla casa editrice che avrei sostenuto ulteriori dediche.


    Lo stand che reclamizza "el comic de autor" , e di spalle "el trabajador endomable", sempre a testa bassa a dedicare i suoi libri.

    A volte mi viene il dubbio di essere un’idiota o un terribile romantico, ma per me là dove sono invitato vedo l’opportunità di divulgare le mie opere, e mi sembra che non esista sacrificio più nobile che dedicarmi a loro. E sto lì fino dalle 11,30 fino alle 14,20, firmando una quantità di albi impressionante.
    Ho idea di essere uno dei pochi autori, almeno tra quelli di lungo corso, che si sottopone a turni di dediche così intensi, ma ripeto, lo faccio per le mie storie e sono oggettivamente ripagato dai lettori che si mettono in fila per me. Sento perciò come un mio dovere quello di rispettare il loro gradimento nei miei confronti.
    In realtà, non ho molto altro da dire, oggi il programma indica solo due voci: check-out e trasferimento all’aeroporto.
    Vado a mangiare anche troppo presto, ma sono comunque oltre le 14,30, e so già che arriverò senza mangiare fino al pranzo del giorno dopo, mi impongo infatti uno di quei miei digiuni intermittenti che servono da interludi a momenti di stravizio. Al ristornate dell’albergo mi lascio servire da Ariel, una piccola cameriera dai lineamenti indio dalla parlantina veloce e la simpatia innata.
    Poi rientro allo stand per terminare, con maggiore perizia le dediche per i componenti della casa editrice, se lo meritano e, nonostante la stanchezza cerco di fare del mio meglio. Un ultimo giro per fare una sorta di recap mnemonico, poi saluto tutti e torno all’albergo.
    Ritiro la valigia e vado da una sorta di concierge all’ingresso dell’albergo, non c’era i giorni precedenti, è una ragazza molto carina e l’avevo notata quando era arrivata a inizio turno durante il mio pranzo. É una moretta dai lineamenti mediterranei, ed ha un bel sorriso. Sfoggio il mio splendido inglese chiedendogli se c’è una navetta o un taxi (come all’arrivo), per il trasferimento all’aeroporto. Ma evidentemente la mia pronuncia del Sussex mi lascia individuare immediatamente e lei mi chiede con un sorriso: -Sei italiano?- Appunto, come non detto.
    É sarda e vive a Barcellona da quindici anni, da un paio d’anni anche i genitori si sono trasferiti lì, insomma, facciamo quattro chiacchiere fino a che un tassista si avvicina col cellulare in mano e chiede di un certo Amil Kassous. No, non sono io.
    -Ecco…-mi dice lei- Fanno proprio così!- Ovvero si avvicinano col nome scritto o sull’IPad o sul cellulare, proprio come hanno fatto all’arrivo. Banale, no?
    La lascio lavorare, in effetti è un continuo via vai di americani chiassosi e tutti in gruppo, chiedono informazioni, si siedono ovunque, ridono come se fossero una banda di stand-up comedians in vacanza e come se il locale fosse di loro proprietà, è una caratteristica degli americani: si sentono padroni del mondo ovunque e, detto tra noi, forse lo sono.
    All’orario prestabilito mi alzo dal comodo divanetto e con la valigia mi dirigo all’uscita, attraversando la classica porta rotante, vedo un taxi che si ferma e dal quale esce il guidatore, mi viene incontro e, come se ci fossimo accordati mi chiede: -Stefano?- Manco fossimo cugini. La cosa più facile del mondo.


    Insieme a Erik Kriek.

    In neanche dieci minuti siamo all’aeroporto e venti minuti dopo già dentro l’area d’imbarco.
    Sfodero il mio IPad e comincio a scrivere di fronte ad una vetrata che da su una terrazza dove, i residui fumatori in circolazione, si godono le loro velenose traspirate osservando un cielo che si fa sempre più grigio.
    Adesso non mi resta che aspettare che mi venga comunicato il gate.

    Conclusioni? Solo le solite considerazioni che, di festival in festival si susseguono sempre identiche.
    Le manifestazioni di fumetti si assomigliano tutte, così come la fauna che le frequenta: stessi tipi e identici personaggi, cambiano solo nelle dimensioni e sono proporzionate al mercato che rappresentano, almeno quelle più importanti di ogni paese.
    Volete un chiarimento? Pur ripetendomi, Ve lo do.
    Angouleme è incentrata sulla BD (il fumetto per i non francofoni), tutto ruota su quel mondo, non esistono cosplayers, e i banchetti di paccottiglia non sono all’interno degli spazi adibiti, se ci sono sono fuori, in spazi pubblici ed extra organizzazione. Tutto quello che riguarda la manifestazione ufficiale è un’ elegia alla narrativa disegnata, le mostre sono molte e ben curate, gli ospiti internazionali altamente selezionati ma quelli nazionali sono più che sufficienti, ed è il crocevia di autori che provengono da tutto il mondo. Qui si viene per proporre storie perché si sa che, se accettate, i compensi saranno tra i più professionali ed il mercato il più attento ed esigente del globo terracqueo. É una mostra che rappresenta un mercato sano, con molti grandi competitors (ovvero innumerevoli grandi case editrici) cosa che garantisce concorrenza e opportunità, e autori che in questa offerta sono oggettivamente l’ago della bilancia delle fortune delle case editrici che rappresentano. Come nel nostro mercato librario, gli autori sono il termometro dei successi dei loro editori attraverso i loro personaggi e, mediamente, godono di grandi considerazioni, magari, cinicamente, in proporzione al fatturato che producono.
    Negli States (ma la mia esperienza risale a dieci anni fa, per cui le cose nel frattempo potrebbero essere cambiate), i fumetti se ci sono e là dove sono, sembrano una riserva naturale. Nell’ultima visita tutto girava intorno alla promozione di serie tv, di film animati, di cinecomics, non si contavano i personaggi di Hollywood con passerelle, non si contavano altresì i personaggi in cerca di una seconda occasione (foto a pagamento con Hulk Hogan o Lou Ferrigno, per citare due esempi), banchetti di action-figure, t-shirts e gadget di ogni tipo, un vero mercatino che va dalla paccottiglia ai vecchi albi. Mentre i mercanti di originali (vi garantisco con opere splendide), si lamentavano che le loro cose non interessavano più. E in fondo all’enorme padiglione, là dove quindici anni prima c’era un banco enorme di originali con illustrazioni meravigliose, adesso si trova l’artista alley con decine e decine di artisti con vele che reclamizzano il loro nome, che si prodigano, per una modica spesa, a farvi il vostro personaggio preferito (ma più volentieri il loro), in mezzo busto, figura intera o in primo piano secondo tariffa.
    Ovvero la commercializzazione di tutto.
    A Lucca, la prima manifestazione nata in Europa, il fumetto oramai è secondario rispetto ai Games e tutto il resto, é la patria dei Cosplayers, mentre il fumetto popolare, quello mainstream delle edicole sta scomparendo e bla, bla, bla… non ho più voglia di ridire le stesse cose, è roba vecchia. Questo è l’unico mercato che conosciamo bene, inutile riparlarne.


    Il Comic di Barcellona: come si può vedere gli ampi spazi agevolano il flusso di persone facilitando la circolazione tra gli stand.

    In Spagna i numeri sono diversi, le tirature minori, e le edicole non esistono, il mercato è inevitabilmente più piccolo, per cui il Comic di Barcellona rispecchia le dimensioni ridotte di questa realtà. Gli stand più grossi sono della Panini Comics, Planeta Editionese la storica Norma Editorial, ed hanno estetica e dimensioni che ricordano quelle della grandi case editrici francesi a Champs de Mars. E poi tanti piccoli stand di editori minori che realizzano, anche qui, graphic-novel. Le edizioni sono belle, si prediligono i cartonati ai brossurati, e i titoli di maggiore successo, a parte qualche artista locale (molti non li conosciamo), sono quelli che rifulgono di luce francese che riverbera anche qui: Canales e Guarnido con “Blacksad", Pellejero con “Corto Maltese", e il Roger di “Jazz Maynard", tanto per fare i primi tre nomi che mi vengono in mente ed ho trovato esposti. Di italiani da graphic-novel nessuno, l'unico presente ma solo con i suoi libri era Milo Manara. Era presente il nostro Tanino Liberatore, che ho visto soltanto all’aperitivo del primo giorno, del quale le Edizioni La cupole ha realizzato l’integrale di Ranxerox. Lo spazio è ricavato all’interno di una vecchia stazione ferroviaria ristrutturata e adibita oramai da anni a polo fieristico, per cui la manifestazione è contenuta tutta all’interno di questi ampi spazi. È collegata al Palazzo dei Congressi dove vengono allestite le mostre, c’è l’auditorium, la sala stampa. Il piazzale che collega il Palazzo al Polo ricorda quello della mostra di Oltremare di Napoli, ma a differenza di quella, qui non ci sono cosplayer (un fenomeno che sembra, almeno con le nostre dimensioni, tutto italiano), o almeno se ne vede qualcuno ma sembra una " fiera di arte povera", l’edonismo e il perfezionismo italico è ben lungi da raggiungere, del resto quando si tratta di "apparire", a noi non ci batte nessuno. C’è uno spazio Games (ma intendo videogames) che sembra però dedicato a giochi per più piccoli, a vedere il pubblico che lo frequenta e, almeno a quello che ho visto, nessun gioco per adulti n’è di società.



    Gli altri spazi ludici ed espositivi della manifestazione.

    Un’area con bancarelle per coplayers legati però all’universo fantasy, con i soliti duellanti che sudanti si muovono su una pedana per la gioia di quei rari visitatori che li osservano con tenerezza. Ma il tutto appare piuttosto dimesso, sembra effettivamente che, nonostante alcune variabili costanti con gli altri mercati, la gente sia lì effettivamente per i fumetti, e a quelli sono interessati.
    Direi che, se proprio devo mettere tutto in parallelo, che è Lucca l’unico baraccone che si fregia del nome di fumetto che però viene fagocitato da tutto il resto, e anche il San Diego COMICON, che però soggiace a dinamiche d’oltreoceano, e quindi distanti per chilometri e per cultura, per le altre manifestazioni il fumetto (presente nel nome del festival), ha un senso.
    Che impressione ne ho dedotto? Si tratta di una manifestazione che identifica un mercato come forse diventerà quello italiano, quando piano piano perderà edicole e personaggi popolari e si troverà rappresentato solo da quello che al momento pare l’unica alternativa: il graphic-novel.
    Gli spagnoli ci assomigliano, è gente diretta e semplice e se non fosse che per l’idioma, sembrerebbe di essere a casa propria. Si appassionano al disegno e restano contaminati dal fascino della creazione su carta, per cui la magia che si riesce a creare realizzando una dedica, li corrompe immediatamente e sono disposti a comprare il libro che non avevano messo in conto di acquistare.



    Il Nero Maccanti disegnato sul guest-book ufficiale della manifestazione, e un Apache a richiesta come dedica sul libro.

    Ho dedicato molte "La lama e la croce", ma ancora di più “Mimbrenos", e c’è da fare una considerazione sul western: è vero che è un genere desueto su cui oramai (l’Italia a parte anacronistica con Tex) non si investe neanche più, ma ogni volta mi stupisco di quanti appassionati e cultori ancora ci sono e, come vedono qualcosa che ricorda quell’epopea così lontana, rimangono ammaliati e l’acquistano immediatamente. Ma c’è da dire che è la storia sulla rivoluzione cubana che è stata la vera, unica protagonista di questa tre giorni catalana.
    "Hasta la Victoria!" ha superato molte aspettative, è risultato il libro più venduto in assoluto tra tutte le pubblicazioni della CARTEm, era la novità, è vero, ma essendo un integrale costava anche 40,00€. É vero anche che io mi sono speso molto perché si guadagnasse questo primato, ma del resto che volete che vi dica, se lo merita, no? Dopo quasi vent'anni le storie di Nero Maccanti &C. tengono ancora botta, e se la revoluciòn è un po' meno di moda, i suoi valori e i suoi ideali non sono mai stati attuali come in questo periodo.
    Un plauso sincero ai miei editori spagnoli che hanno costruito una collana e uno spazio web tutto per me, segno evidente che mi stimano molto e le intenzioni sono quelle di pubblicare tutto quello che ho fatto, ed ho l’impressione che, in futuro, nella penisola Iberica dovrò tornarci. È come se la mia vita fosse divisa a periodi, c’è stato quello francese, adesso è il turno di quello spagnolo, di sicuro cercare di allontanarmi da questo mondo non sarà facile.


    Il gruppo Cartem al gran completo, in senso orario: Aimara, Daniel, il sottoscritto, Elena e Jaime.

    Quando vengo immerso in quello che è stato il mio stagno per anni, torno ranocchio e rammento progetti, idee accantonate, e storie mia scritte, e talvolta verrebbe il desiderio di ritornare a realizzarne altre. Poi, guardò il mercato attuale (specialmente quello italiano, che in fondo è il mio) e, a parte questi sprazzi di entusiasmo, torno allo sconforto per la scarsa eco che tutto questo mio affannarmi porterebbe, compensi inclusi.
    Sarà difficile, quasi impossibile però uscire da questo loop periodico, in cui il miei ultimi trent’anni mi ha coinvolto, del resto i miei personaggi e le mie storie me lo impediranno, del resto l’ho già detto: nessuno sfugge al proprio passato.

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    LUCCA 2023

    Ero sicuro di saltarla quest'anno Lucca, e oramai mi ero messo anche l'animo in pace poi, come sempre accade, all'ultimo momento è spuntato un appuntamento.
    Anzi, nel momento che ho deciso di andare, si è aggregato anche mio figlio che, nonostante il padre lucca-dipendente, non l'aveva mai vista. Non ho cercato di dissuaderlo, e l'ho portato con me, anche soltanto per il gusto di trascorrere una giornata con lui.Ho recuperato dei semplici biglietti di ingresso senza i privilegi dell'autore, e per questo mi sono abituato all'idea di lunghe file al check-in, e prenotato quello che, a naso e tra gli impegni di lavoro, mi sembrava il giorno più tranquillo, quello cioè del giovedì 2 Novembre.
    Il distacco dalla manifestazione lucchese oramai si è consumato da tempo, purtroppo la maggior parte delle motivazioni che trasformavano questi primi giorni di novembre in una festa, un'occasione d'incontro tra colleghi e addetti ai lavori, il divertente scouting di nuovi libri da acquistare, sono evaporate, come evaporano le atmosfere quando tutto diventa business e si perde l'aspetto artigianale e anche un po' raffazzonato delle cose organizzate con un alto tasso di passione, ma che le rende uniche.
    Oggi è solo una bolgia di gente, di cosplayers che scambiano i vicoli di Lucca come fosse il lungomare di Viareggio a Febbraio, ragazzotti vestiti di tutto punto da artisti che hanno disegnato tre pagine e già si sentono in odore di santità, un altro mondo insomma, ed io me ne tiro volentieri fuori.
    Tra l'altro, quest'anno è cominciato anche malissimo.
    La sera del primo Novembre, su Facebook, che oramai è diventata l'agenzia di informazione più veloce dove apprendere le notizie, ho letto, sul primo post visualizzato, quello di Paola Barbato, dell'improvvisa scomparsa di Carlo Ambrosini.
    Un tuffo al cuore dal quale non mi sono ancora ripreso

    Comunque, siamo partiti giovedì mattina, io, mio figlio Alberto e Marcello Toninelli (compagno di mille avventure) già consapevoli che sarebbe stata una giornata piovosa e uggiosa, ed eravamo anche attrezzati per far fronte a tutto ciò, l'unica cosa era capire quanto brutta sarebbe stata la giornata e quanto fedele alle pessime previsioni.
    Le file del giorno prima, dalle quali mi avevano messo in guardia (compresa mia figlia) tutti quelli che erano venuti a sapere degli enormi disguidi avvenuti nel giorno inaugurale, delle lunghe e interminabili code per i check-in, tra l'altro sotto una pioggia battente che aveva messo a dura prova la pazienza degli avventori.
    Niente di tutto questo, l'unica fila fatta è stata quella all'ingresso di Porta Sant'Anna per il controllo degli zaini da parte della security, al check-in invece, segnalatomi lo spazio da Riccardo Moni, che gentilmente mi aveva procurato il biglietto, non c'era nessuno e sono stato pronto in un attimo.
    Siamo arrivati in piazza Napoleone dove avevo l'editore con il quale avevo un appuntamento, con l'intento di togliermi subito l'incombenza per la quale ero venuto, e così è stato.
    Complice un pubblico contenuto, vuoi per il giorno feriale vuoi probabilmente per le previsioni meteorologiche, con l'editore ci siamo comodamente presi il tempo per andare a bere un caffè e a disquisire sul nostro futuro rapporto.
    E l'accordo è stato trovato.
    Sono contento, che dopo quasi due anni dalla sua realizzazione, il mio ultimo graphic-novel abbia trovato una sponda italiana (dopo avere già trovato quella francese e spagnola, come si evince, nemo propheta in patria), lo sono anche di più perché la durezza e l'ambientazione della storia credo abbia una sua attualità in questi tempi e mi piaceva poterla offrire al pubblico italiano.
    Poi è cominciato il carosello degli incontri: il duo Davide Barzi e Andrea Rivi, un veloce incontro con Pierluigi Gaspa, un saluto a Francesco Barbieri e Marco Bianchini nello spazio di fronte al teatro del Giglio, dove era al lavoro come sempre, Simone Bianchi, che oramai ha cooptato tutta la famiglia nel suo stand dove vende illustrazioni e realizza commissions nella migliore tradizione americana.

    Giusto a dimostrare che Alberto ed io c'eravamo.

    Simone è un autore italiano che è riuscito a coronare il suo sogno che inseguiva da quando è uscito dall'Accademia e veniva a chiedere consigli a noi autori nelle lontane Lucca di quegli anni. Poi si è cimentato negli anni successivi in molti lavori come Rivan Ryan ed Ego Sum ma, alla fine è riuscito finalmente a sbarcare nel mercato a lui più congeniale che lo ha finalmente valorizzato: quello americano. E qui ha potuto dimostrare tutto il suo valore, perché con le sue ipertrofiche anatomie e le sue capacità pittoriche è riuscito come pochi ha esaltare i corpi e la fisicità dei supereroi del fandom americano diventandone uno dei beniamini, con un successo più che meritato.
    Poi, sotto un'acqua che nel frattempo ha cominciato a martellare la manifestazione, una sosta allo stand Bonelli per la firma su alcune copie di illustrazioni che Riccardo De Marino (lo steward decennale della Bonelli) mi aveva chiesto di realizzare, e che ho fatto sul tavolo del ristorante di Mimmo e Sergio Giardo, poco prima che gli servissero il pranzo.
    Infine un saluto a Enoch e Vietti alle firme dei loro lavori, in uno stand Bonelli che negli anni sento sempre più distante e lontano, quasi fosse una sorta di visione che si allontana sempre di più, diventando nebulosa e sfocata.
    Poi decidiamo di andare a pranzo, e andiamo nel ristorante di via Garibaldi dove gli ultimi anni abbiamo consumato le nostre libagioni.
    Ma quest'anno, ci siamo invece imbattuti nel cattivo costume che oramai negli anni sta pervadendo usi e costumi della città che, nella più classica usanza di certe occasioni, mettono menù turistici al limite dell'offesa alla pubblica intelligenza, con piatti banali e, in certi casi mal fatti e costosi. Abbiamo bevuto una birra alla spina (ridicola nel formato, poco più di un bicchiere) e mangiato due hamburger insapori (scelte obbligate visto l'aspetto di quello che veniva servito ai tavoli vicini) e pagato una cifra al di sopra del buon gusto. Nonostante il maltempo, abbiamo deciso di vedere le mostre che l'organizzazione aveva disseminato un po' ovunque nei mille angoli della città, per cui nella chiese sconsacrata dove convivono sia l'artist alley che i venditori di originali, e precisamente nell'abside, erano esposte le tavole di Dino Battaglia, uno degli esempi più fulgidi del nostro Fumetto, e autore di assoluto riferimento per la mia generazione, nonché una novità per me, che non avevo mai visto un suo originale. Il segno pulito e segmentato di Battaglia, e il suoi mezzi toni realizzati col pennello spuntato, non mi sarei mai immaginato fossero su tavole di dimensioni così ridotte, mi sarei aspettato ampi fogli e mi sono ritrovato invece disegni quasi in scala 1:1, davvero splendide.

    Un'emblematica immagine del diluvio del primo pomeriggio, che ci ha obbligati alla sosta forzata sotto le arcate della Cattedrale di San Martino.

    Poi, insieme ad Alberto, Marcello Toninelli e Sudario Brando Siena (incontrato all'artist alley) dopo avere atteso almeno venti minuti sotto il portico della Cattedrale di San Martino, in attesa che diminuisse la bufera d'acqua scatenatasi nel primo pomeriggio, siamo andati a vedere Howard Chaykin nel palazzo delle esposizioni.
    Chaykin è un autore che ho apprezzato molto alla fine degli anni '70, quando con il montaggio a pagina esplosa delle sue storie (realizzate in stile pittorico, che per l'epoca risultavano assolutamente innovative ai miei occhi), mi affascinarono e mi fecero avvicinare a quello che successivamente venne ribattezzato “rinascimento americano” che includeva autori come: Bill Sienkiewicz, Kent Williams, John J. Muth, Dave McKean, George Pratt, Frank Miller alle matite, e Morrison e Moore ai testi. Il suo stile in B&N mi ricorda Horak uno dei primi disegnatori del James Bond a fumetti degli anni ' 60, spigoloso e dalla pennellata frenetica, ma a suo modo affascinante.
    Infine, dopo che Marcello è ritornato in postazione per la programmata sessione di dediche, solo con Alberto mi sono andato a vedere le mostre allestite al Palazzo Ducale.
    Bella la mostra di Tomer e Asaf Hanuka, i due artisti israeliani che hanno deciso di non partecipare alla manifestazione dopo il rifiuto di Zerocalcare e il focus subentrato successivamente sulle vicende mediorientali. Mostra bella e inutile perché ahimè, le esposizioni fatte soltanto in stampe (visto che i due artisti israeliani lavorano solo in digitale), sono, dal punto di vista artistico in sé sterili, anzi, almeno le opere andrebbero retroilluminate quanto meno per meglio simulare la loro aderenza al reale. Luis e Romulo Royo (padre e figlio) mi hanno lasciato abbastanza indifferente, bravi nell'esecuzione tecnica ma privi di interesse, almeno per me.
    Akab e Furuya non rientrano nel range delle cose che sono di mio gradimento, mentre molto belle le opere dell'illustratrice francese Amelié Fléchais, delicate e leggere. Interessante quella di Garth Ennis, ma che trattandosi di uno sceneggiatore, è fatta però con illustrazioni e disegni degli artisti (appena visibili nelle etichette) che, appunto, hanno disegnato le sue storie.
    Le mostre del Palazzo Ducale però, hanno da sempre la qualità di abbracciare stili e universi diversi e multiformi, in modo che chiunque abbia la possibilità di visitarla, può trovare artisti ed opere in cui riconoscersi e l'allestimento e la bellezza della location hanno sempre un motivo in più per non disertare la visita.

    Il padiglione di Amazon Prime Video.

    Poi un ultimo giro al padiglione Napoleone, per vedere di riuscire ad acquistare qualcosa da leggere. Qui ho avuto modo di fare quattro chiacchiere con Daniele Caluri e Gipi, Caputo ed Emiliano Pagani, poi, con un cappello da vecchio baleniere di stanza sul Pequod, vedo Lele Vianello, che saluto fraternamente, rimandando i nostri incontri a future occasioni francesi, se mai ci saranno.
    Sono circa le 16,30 ed è il momento di rientrare, l'auto parcheggiata in piena periferia anzi, tra gli incipienti campi a ridosso della città, è ancora lì nel punto critico nel quale avevamo trovato uno spazio occupabile, la pioggia non ci ha reso più impervio del previsto il cammino fino a quel punto e, finalmente, ce ne rientriamo a casa.
    Lucca anomala, piovosa e indolente, almeno per me. Forse perché accettata in extremis, forse perché non avevo l'animo giusto per viverla, sicuramente il tempo, la pioggia e le complicazioni del tutto non l'hanno resa memorabile. Unico punto a favore è che finalmente ho trovato l'editore per il mio graphic-novel, piazzato, mai come questa volta (almeno in Italia), con tanta difficoltà. Il piacere, quello sì, di rivedere alcuni colleghi, percepire che fai parte nel bene o nel male di una comunità che sa riconoscersi e con la quale hai condiviso gran parte delle tua vita.
    Per Alberto non è stata una bella esperienza ed io, conoscendolo, non ho voluto dissuadere il desiderio (comprensibile) di volerla vedere, almeno una volta, nonostante ne immaginassi l'esito. La sua sfortuna è stata quella di viverla sotto una pioggia che l'ha resa inospitale, con l'impossibilità di vedere (per uno come lui che non legge fumetti, con buona pace di suo padre), almeno la parte più colorata e folkloristica della manifestazione che, anche se caciarona e invadente, la colora e la rende una sorta di Carnevale fuori stagione: i cosplayer. Questi, coperti dagli impermeabili e sotto gli ombrelli erano per lo più invisibili e anonimi e, almeno in quel giorno, per chi voleva “respirare” il profumo di quelli che oramai è diventata Lucca Comics&Games, e cioè un'enorme festa colorata: non c'è stata.


    Il loggiato che ospitava stand promozionali di film di prossima uscita.

    Per ciò che riguarda la manifestazione, almeno per me, ho avuto la percezione che il padiglione Napoleone, una volta il cuore del fumetto che mi interessava e di cui mi sentivo parte, si stia trasformando in qualcosa di diverso. La maggior parte degli stand sono di editori che non conosco e di cui conosco poco la produzione (colpa mia, per carità, che non riesco più ad appassionarmi a cose di quel tipo), autori sconosciuti, giovanotti barbuti, magari col cappello e con la pipa (come mi è capitato di vedere, ma solo uno, intendiamoci), che si atteggiano ad artisti consumati, insomma, a parte poche eccezioni (che temo spariranno tra qualche anno), un mondo in cui è difficile, almeno per me, riconoscermi. Tuttavia, questa evoluzione l'ho messa in conto da tempo e, se da parte le novità e i cambiamenti sono auspicabili, dall'altro mi spaventa questa mia riluttanza ad apprezzarne i risultati. Riconosco però che la difficoltà, almeno per la mia generazione, sono i punti di partenza, quelle che una volta si definivano: le basi. Noi siamo partiti da autori come Toppi, Battaglia, Micheluzzi, Pazienza, Pratt, Breccia e compagnia cantando, questo giovani autori, i sopracitati, neanche li conoscono, o quasi.
    Vabbè, ogni anno mi pare di riscrivere le solite cose, per cui mi fermo qui, alla fine, per esserci stato un solo giorno, ho scritto perfino troppo.


    Ah sì, un'ultima cosa.
    Il rifiuto di Zerocalcare di non partecipare alla manifestazione, che rispetto e che da un lato posso anche condividere, ha prodotto anche la defezione dei due autori israeliani Tomer e Asaf Hanuka, esposti al Palazzo Ducale e realizzatori del poster della manifestazione perché, a detta loro, il clima si era fatto un po' critico. La cosa, senza voler sminuire il gesto politico del primo, ripeto, anche condivisibile, mi ha ricordato però quelle ridicole affermazioni subito dopo l'inizio della guerra in Ucraina, quando si volevano mettere al bando rappresentazioni o marginalizzare artisti e autori russi, contribuendo a dividere tra buoni e cattivi, bianchi o neri, due parti senza distinzione di ruolo, semplificando e mortificando in modo manicheo e poco comprensibile, una realtà complessa e articolata.
    E non so, in tutta sincerità, se tutta questa schematizzazione sia utile.

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    APPUNTI DI VIAGGIO SPAGNOLI

    Verrebbe da dire “ripartenza”, ma a me sembra che ci sia poco da ripartire, é semplicemente finita l’estate e, con lei, si riaffacciano impegni che per mille motivi si erano fermati impigriti dall’indolenza stagionale.
    Stamani direi che non sono partito bene, infatti ho perso il treno.
    Ridicolo, vero?
    Fatto sta che per un pessimo calcolo degli ultimi minuti mi sono ritrovato di corsa per raggiungere i binari, ma le porte del treno mi si sono chiuse davanti al naso comunque, e così Maura, rinunciando ad un suo impegno, mi ha dovuto accompagnare alla prima stazione utile e raggiungibile in tempo: Empoli.
    Se il buongiorno si vede dal mattino…

     

    GIORNO UNO

    Tra l’altro il mattino non é neanche un gran che, visto che dopo giorni di sole e di caldo anche un po’ fuori stagione, la giornata si presenta nuvolosa e piovigginosa. Il bello é che parto per la 28 Jornadas Internacionales de Còmic Villa de Aviles, nelle Asturie, in Spagna e, nel mio personale e banale immaginario, mi ero visto al caldo e al sole della penisola Iberica, quando invece probabilmente troverò grigio e piovoso.
    Il grigio non si sposa bene con l’immagine che ho della Spagna, una nazione dai colori caldi e dal cielo terso, e mi da sempre fastidio dover riformulare certe immagini, quando queste si sono adattate così bene al mio album fotografico mentale.

    La grande locandina posta in mezzo alla piazza centrale del paese, con programma e poster della manifestazione.

    Alla stazione di Empoli mentre aspetto il treno in ritardo (ironia della sorte, il ritardo l’ha fatto qui), mi chiama Franco Spiritelli, il fondatore di Fumo di China, per chiedermi un paio di tavole per un regalo a degli amici, e poi facciamo due amene chiacchiere tra uno sferragliare di un treno e un annuncio all’altoparlante. Mi fa piacere parlare con uno che ci crede ancora, Franco è un puro, e un appassionato vero di fumetti, e niente e nessuno può scalfire la sua fiducia, la sua passione e il suo credo verso il medium che ha sempre amato, per questo ha fondato una rivista e non lo ha mai trascurato abbandonandolo in un angolo. Con lui non c’è gara, limito il mio pessimismo universale e lo lascio là dove gli piace stare, non è giusto turbarlo ed evito le mie filippiche anzi, vorrei evitarle anche nel mio prossimo futuro, mi sono rotto!
    Alla stazione di Firenze prendo la metropolitana leggera, ho tempo e voglio constatare oggettivamente le tempistiche per arrivare all’aeroporto e, effettivamente, in venti minuti ci siamo. È davvero comoda. Durante il tragitto mi sono messo a pensare da quante polemiche e da quanti mugugni è stata accompagnata la sua realizzazione, e già da oggi (a parte il lamento dei tassisti, legittimo perché va a toccare i loro interessi), mi immagino cosa penseranno quelli che, tra qualche anno, godranno unicamente dei suoi benefici, senza avere tenuto conto dei disagi, e la cosa più frequenta sarà pensare “come facevano i fiorentini prima di averla”.
    Ad Aviles non so bene che cosa mi aspetti, mi hanno comunicato che si dedicheranno anche i propri fumetti (ed ho portato il necessario per farlo), ma il modo con cui hanno sottolineato si “incontrano” i lettori, mi ha trasmesso un’idea di condivisione che potrebbe essere qualcosa di diverso. Per cui sono positivamente curioso. Del resto questo è il mio mondo, si può dire qualsiasi cosa, ma sono oltre trent’anni che sono qui, scarabocchio e realizzo storie, per cui qualcosa da dire ce l’ho, il fatto è che non attraverso propriamente un momento positivo a livello umorale perciò è sulle prospettive e lo stato di fatto del medium che, come si dice prima di un’interrogazione a scuola, non mi sento tanto preparato.
    Ma cercheremo di fare del nostro meglio, come sempre.
    Daniel Diéz, il direttore della Cartem, la mia casa editrice spagnola, ci sarà, e spero sia una buona occasione per parlare del futuro.
    La direttrice é quella Firenze-Barcellona-Oviedo, la destinazione è nelle Asturie, la parte nord della Spagna, non ci sono mai andato e sono curioso di conoscerla.
    Arriverò in tarda serata, ma se non ricordo male il festival è iniziato ieri e, anche per la sua lunghezza, ha qualcosa di anormale, se confrontato con il consueto dittico sabato-domenica di quelli francesi o italiani.
    Ok, abbiamo tempo, diciamo due cose di questa estate: é stata diversa dalle altre? No.
    A me sembra che oramai si perpetra sempre con le stesse modalità, le differenze non stanno tanto nelle occupazioni  “estive” che facciamo, quelle, nelle loro prevedibili variazioni, più o meno si equivalgono, le differenze stanno in come stiamo noi, come ci sentiamo, e che obbiettivi primari ci siamo posti. Poi, a ognuno di noi stabilire quali sono i “nostri” obbiettivi primari, quelli che danno un senso a come viviamo e come ci fanno sentire, magari sono semplicemente anche andare a cena con gli amici e vedere uno spettacolo estivo e, se sono questi, è probabile che avete trascorso una buona estate.
    Io, ma vorrei sorvolare l’argomento, ho soltanto centrato obbiettivi secondari, anche perché di primari, almeno quest’anno, non ne avevo, non me ne ero prefissati perché da tempo sto navigando a vista, per cui mi sento in quello stato nel quale sei esattamente identico a come ci sei entrato, in questa stagione.
    In realtà ho un progetto finito che attende una mia revisione, quella finale, per poi navigare verso i mari dell’indeterminatezza, da solo e con le sue forze, per vedere dove arriva. Premetto, questo progetto non è una cosa trascurabile, ci ho dedicato tempo, risorse intellettuali e fatica, e mi ha ripagato con la soddisfazione di rivelarmi una parte di me rimasta nascosta da tempo, quando forse si nascondeva più per timidezza e oscurata da una caratteristica invadente.
    Ho tenuto tutto fermo perché dovevo terminare un Nathan Never che è nel mio cassetto da almeno un paio d’anni e che, con fatica, dovevo terminare. Mi sono lasciato così il tempo per portarlo alla sua conclusione, e ce la sto facendo pur avendogli sacrificato l’intera estate. Una volta, le tavole che mi erano rimaste da completare le avrei fatto in poco più di un mese, ma oggi i tempi sono diventati biblici e vi evito la spiegazione dei motivi.
    Il desiderio vero però, é quello di occuparmi dell’altro.
    Arriviamo in tempo, e a Barcellona c’è il sole, ah, la Catalogna! evidentemente non tradisce, il mio immaginario al momento é salvo.
    Mi accorgo che non ho molto tempo tra un volo e l’altro, e mi rendo conto di non avere calcolato il breve intermezzo di tempo, meglio! Ottima tattica, inconsapevole ma giusta.
    Non avere controllato l’arrivo a Barcellona e la relativa partenza da qui, mi ha concesso una tranquillità che non avrei avuto, arrivando alle 15,10 ed avendo l’imbarco alle 15,40 con partenza alle 16,20.
    Ma anche il cambio di Gate all’ultimo momento, non è riuscito a mutare il mio umore, oramai testato al massimo livello con il problema avuto la mattina.
    All’aeroporto Asturias (equidistante sia da Aviles che Oviedo e Gijon) trovo come da accordi un tassista che mi preleva e mi porta all’Hotel 40 Nudos La Serrana, che scopro essere in centro. Fin dall’atterraggio attraverso i finestrini dell’aereo e per tutto il tragitto da Oviedo ad Aviles, mi rendo conto che i colori del mio immaginario devono necessariamente cambiare: i toni di giallo e arancio vanno cambiati con i verdi e gli azzurri, che sono i predominanti nelle campagne asturiane.
    Prendo velocemente possesso della camera dopo che uno degli organizzatori mi consegna una cartellina con gli orari e i programmi dell’intera manifestazione. Poi scendo per fare un giro del centro della cittadina che, a indagine sopravvenuta, in effetti consta di circa 80.000 abitanti, non é propriamente un piccolo centro, anzi. L’architettura ricalca gli stilemi della Grande Spagna, vicoli antichi con porticati, palazzi con decori e con pietre a vista, un meraviglioso parco posto al centro della cittadina, insomma, davvero una bella città.

    Quattro passi alla scoperta della cittadina di Aviles.

    Poi, da un baretto mi sento chiamare per nome, e mi si avvicina un uomo vestito di nero come la maggior parte di quelli che stazionano fuori dal locale, è un lettore e appassionato di fumetti che, insieme ad altri ha già fermato William Simpson (il primo collega straniero che incontro) e gli stanno facendo firmare degli albi. Ma è anche un grande lettore di Nathan Never di cui ha l’intera collezione spagnola edita da Aleta Ediciones, una collana pubblicata qualche anno fa.  Il tizio, dall'aria cordiale mi chiede di firmargli tutti gli albi realizzati da me, e l’accontento.
    La cena è in un locale vicino El Nogale, non siamo ancora tutti, c’é David Rubin, William Simpson, Jill Thompson, Mique Beltran e l’amico Alexis Nolent, in arte Matz, e altri autori spagnoli. Il menù è piuttosto basico ed io decido per una minestra di fagioli e, per pudore, decido di fermarmi, anche se ho una fame da lupo. Poi andiamo tutti in un locale poco distante  per una birretta, ma giusto per farmene offrire una, perché siamo già ben oltre la mezzanotte e decido di andare dritto a letto.
    Domani, come da programma, é la mia giornata.

     

    GIORNO DUE

    Mi sveglio neanche troppo tardi, tenuto conto che qui la sera si mangia tardissimo e ci si prende anche del tempo per un cicchetto finale.
    Ma la mattina nasce di buon auspicio, con una luminosità migliore delle previsioni e una colazione che non è a buffet come d’abitudine, ma su ordinazione al cameriere, ma va bene così.
    Ho la conferenza stampa alle 11,30 ma mi prendo il tempo per gironzolare in centro,  i concedo la mostra di tavole western (messe a disposizione da Jaume Vaquer, uno dei maggiori collezionisti spagnoli), con autori poco comuni nel panorama di genere, come Dave Johnson, Gil Kane o Joe Romita, e vecchie conoscenze come: José Luis Solinas, Victor de la Fuente e fratello, Hugo Pratt e Arturo del Castillo.
    Poi, riesco anche a fare un giro nello splendido parco all’interno della città, donato da re Juan Carlos e Regina qualche decennio fa, e che contempla quantità, quantità e una diversità di specie di piante incredibili, ed è tenuto come un salotto.

    Il bellissimo parco nel centro citta donato dal re Juan Carlos e la regina.

    All’orario prestabilito mi faccio trovare all’albergo, dove si tengono le conferenze stampa, con tanto di tv giornalista ed interprete (l’incredibile Diego Garcia), prima di me ci sono Humberto Ramos e Gabriel Hernandez Walta, ma io sono con una leggenda locale: Miqui Beltran, un veterano del fumetto spagnolo, in poco meno di 45 minuti c’è la caviamo.

    L'incontro con il pubblico al Centro Culturale con Angel de la Calle e Diego Garcia, e la sessione di dediche successiva.

    Uscito, mi ritrovo Francisco, un commerciale di Cartem che fa uscire da una scatola una serie di volumi che devo dedicare per lettori affezionati e, così, inizia a finisce la mia mattinata di dediche, praticamente fino all’ora di pranzo.
    A Francisco si sono uniti successivamente Diego e Pedro Iribarnegaray, i due partner titolari della casa editrice, e tutti insieme andiamo ad una sidreria Casa Lina molto conosciuta in città e, mi dicono, di livello.
    Il locale è spartano ma molto caratteristico, e la cosa che mi colpisce è che il pavimento è coperto di una leggera ombra di segatura poi, mentre attendiamo che si liberi un tavolo, percepisco dei leggeri schizzi al mio braccio sinistro, ma non gli do peso. Poi la cosa succede di nuovo e, prestando maggiore attenzione, vedo il cameriere che sopra un’apposito contenitore cilindrico in mezzo alla stanza, versa nel bicchiere il sidro.

    Il gruppo di Cartem, Daniel, Francisco, Pedro ed io.

    L'entrata de la Sidreria Casa Lina e sopra con Pedro.

    L’operazione non è usuale però, perché per farlo alza la mano con la bottiglia sopra la testa quasi stendendo il braccio e, senza guardare il getto del liquido dove va a finire, posiziona il bicchiere quasi stendendo l’altro braccio (che tiene invece il bicchiere) in basso. La “caduta” del liquido dicono che si favorisca l’effervescenza della bevanda, e il sapore cambia se versato invece in modo tradizionale. Tenete presente che il sidro di mela qui, è una bevanda molto usata, sta riscuotendo un enorme successo, e non è così innocua come si crede, visto che ha la stessa gradazione alcolica di una birra.
    La comida è a base di pesce come antipasto e scaloppe di vitella, oltre che  una salsiccia chiamata la Longaniza, un prodotto tipico del luogo come secondo, servite con patate fritta e il Cabrales un formaggio fuso che assomiglia molto al nostro gorgonzola, ma non finisco il piatto vista la quantità portata.
    Finiamo oltre le 16,30, e decidiamo di rientrare un po’ in camera per riposarsi un po’ mentre, fuori dall’albergo, teniamo a freno i lettori che sono già lì a pretendere disegni.
    Per le 18,30 andiamo nella sala conferenze del Centro Culturale della città, dove con Angel de la Calle e Diego, il traduttore, per 45 minuti subisco il fuoco delle domande di un Angel molto preparato e, dove con molta soddisfazione, annuncio l’uscita per l’anno prossimo di “Hasta la Victoria!”. Facciamo in tempo a fare un breve e veloce carrellata sulla mia carriera con la promessa che l’anno prossimo parleremo più approfonditamente della storia cubana.
    Fuori mi attendono nuovamente i lettori (che sono uguali da tutte le parti) che, prima al centro culturale, e poi ad un bar vicino, ricopro di disegni fino a che l’ultimo appassionato non è accontentato. Andiamo a cena e con Josè Manuel e Alexis Nolent ce ne stiamo in disparte anche se il tono della voce degli spagnoli è altissimo e, per capirci tra noi, bisogna avvicinarsi all’interlocutore.

    Con l'amico Matz. Da tenere presente che il signore qui presente, giusto per la cronaca, era reduce dalla presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia del film  tratto dal suo più grande successo: "Le tuer" (edito da Casterman) ovvero "Il killer", che ha come protagonista Michael Fassbender e la regia di David Fincher.

    Poi, come la sera precedente, c’è ne andiamo al pub a farci un whisky, ma fuori dal locale con Josè e Angel ci mettiamo a parlare di Cuba, del potenziale dei lettori sudamericani per Hasta la Victoria! e la conversazione si fa interessante e costruttiva.
    Poi un bicchierino con Alexis sulla terrazza del pub, e poi a letto.
    Sono le 2,46 e spengo la luce.
    Buonanotte!

     

    GIORNO TRE

    Mi sveglio molto presto riposato, ma sono solo le 6,28 e mi sdraio di nuovo sul letto sicuro di non riaddormentarmi, mi sembra di fare perfino fatica, fino a quando non decido di guardare di nuovo l’ora, e mi accorgo che inaspettatamente sono le 9,30. Ora ci siamo.
    Tutto come da programma poi, dopo la colazione e le abluzioni mattutine, ci soffermiamo ai tavoli fuori dall’albergo, è una specie di punto di smistamento, si parla tra gli autori, io ad esempio col mio editore spagnolo, ma anche i fans sono lì, in attesa di ghermirti per richiederti un disegno o una dedica.
    Il mercato spagnolo non ha una tradizione di dedica perché, più vicino a quello italiano, non ha una produzione di cartonati così ampi da giustificarlo né con spazi per giustificarle, la maggioranza dei titoli sono in brossura e in piccolo formato, e quindi, non c’è né spazio né abitudine a fare dediche. A me hanno fatto fare molte firme sulle edizioni di Nathan Never della Aleta, ma poi mi hanno presentano il conto su un foglio bianco su cui fare un disegno.
    Infatti appena Daniel si alza per andare a fare una conferenza su altri suoi autori spagnoli presenti, e un fan mi propone di fare un disegno, la danza ricomincia.

    Dediche ai tavolini di fronte all'albergo.

    Mi fermano gli organizzatori un paio d’ore dopo, perché oggi c’è l’incontro con la alcades, la sindaca nel palazzo del governo, nella piazza adiacente all’hotel.
    L’incontro è piuttosto breve, l’amministratrice della città è concisa e puntuale, non si parla addosso ed è pragmatica, e quando usciamo, ci mettiamo in posizione tutti sulla rampa di scale del palazzo dove facciamo una foto di gruppo, poi tutti in albergo di nuovo per il pranzo.

    Vediamo un po' se ricordiamo tutti, in primo piano lo sceneggiatore Carlos Portela, sopra di lui con la bambina in braccio Miki Montllò, dietro Leandro Fernandez con accanto Miqui Beltran e dietro a lui Jill Thompson: dietro di me Brent Anderson e leggermente sulla mia sx Amazing Ameziane e dietro di lui Matz.

    Al tavolo abbiamo lo stesso trio della sera precedente, Alexis, José ed io, e accanto a me mi ritrovo Jaume Vaquer, il collezionista che ha prestato le tavole per la mostra sul western.
    Dopo il pranzo io e Alexis decidiamo di fare un giro, lui ha la macchina e possiamo stabilire autonomamente dove andare, in un primo momento verso Gijon ma, all’ultimo decidiamo diversamente, visto che c’è un po’ di sole, scegliamo di andare al mare, e dopo neanche un quarto d’ora siamo a Salinas, una località balneare sulla costa. Questa ha una lunga passeggiata che raccorda i due promontori che racchiudono la baia nella quale si pone il paese, ha delle falaises che sormontano le case che ricordano la costa nord orientale della Francia e un lungomare che a me rammenta invece quello di St. Malo, con alcune villette che si affacciano sulla promenade, ma che poi abdicano a dei grandi casermoni sula parte est che la sviliscono.

    Bagnanti sulle spiagge di Salinas, mentre si vede la marea che, mentre sta salendo e bagna la spiaggia.

    Alexis mi propone costume e bagno e, anche se inaspettatamente, accetto, figurarsi, a me fare una proposta balneare è come invitare una lepre a correre. Mi cambio in un bagno pubblico stando attento a dove metto i piedi e poi scendiamo in spiaggia.
    Non so se siamo a fine stagione ma ci sono davvero poche persone, anche da noi le presenze sono diminuite, ma ancora qualche turista si vede, qui molti meno, e in più non esiste uno stabilimento balneare: -Ecco qua.- mi dico -Come volevasi dimostrare, qui il litorale non è fatto di un bagno dietro all’altro come in Italia. Ma si può accedere gratuitamente praticamente a tutta l’intera spiaggia.-
    Mai fare congetture troppo frettolose, però.
    Ad ogni modo ci spogliamo, ci gettiamo in mare e, nonostante la temperatura dell’acqua un po’ più fredda, facciamo il bagno. È un litorale di spiaggia che scende gradatamente, quasi come nelle spiagge romagnole, non c’è vento ed il mare è calmo, e qualche sup sta pagaiando beatamente davanti a noi.
    Ogni tanto arriva un onda e, come d’abitudine, guardo a largo per vedere quale motoscafo le ha alzate ma, il fatto che non ce ne siano nei paraggi, al momento non smuove nessuna riflessione. Continuiamo a fare il bagno poi, ragionando sul mare con Alexis mi viene una illuminazione, ma certo, quelle non sono semplici onde, ma è la mare che si sta alzando seguendo il flusso delle maree. Usciamo dall’acqua e ci mettiamo ad asciugare all’aria (il sole nel frattempo se n’è andato), e ci mettiamo ad osservare la risacca. Il mare guadagna centimetri velocemente, sale inesorabilmente poco dopo dobbiamo spostare i nostri vestiti una decina di metri dopo (lo faremo ancora una volta), é impressionante vedere come a poco a poco il mare sommerge tutto. Adesso capiamo quei bagnanti che erano distanti dall’acqua decine di metri, sapevano che la marea li avrebbe dovuto fare arretrare e capiamo anche perché non ci sono stabilimenti balneari. Non ci possono essere strutture fisse in un posto dove il mare va avanti e indietro a suo piacimento. È comunque una scoperta bella e affascinate che ci coinvolge.
    Mentre il cielo si scurisce, ci cambiamo e ci facciamo una bevuta ad un locale sulla passeggiata, poi decidiamo di rientrare proprio mentre, salendo in auto, comincia a schizzettare.
    Torniamo ad Aviles in albergo, una bella doccia ristoratrice e siamo già pronti per la cena.
    Scendo nella hall dell’Hotel, che è un tutt’uno con il bar, con cui divide sedute e tavolini fino all’esterno, qui stazionano i fan con cartelle, zaini e trolley pieni di album e libri per le dediche, e come ti siedi ti assalgono come fossi una diligenza. Io prudentemente, non mi sono portato niente per disegnare e mi traccheggio seduto su una poltrona col cellulare.
    Poi decido di fare due passi in centro, sta cadendo una pioggia appena percettibile che smetto poco dopo, perdo tempo e ritorno all’hotel per avvicinarmi più possibile alle 21,30, orario che credo del rendez-vous, ma in realtà ci muoviamo per la cena alle 22,00, ma il ristorante è ancora El Nogale, lo stesso della prima sera, è dietro all’angolo e fortunatamente il tragitto è breve.
    Siamo nell’angolo americano, con Alexis, Angel, William Simpson, Jill Thomson, Brent Anderson, Jordan Thomas e Amazing Ameziane che, come Alexis è francese, parliamo un po’ ma poi finisco per conversare con Ameziane che mi rimane di fronte, già il rumore è altissimo, il mio inglese è povero e il frastuono alto, alla fine si capisce poco e ognuno parla con il più vicino.

    Da sinistra a destra: io, Matz, Jordan Thomas, Brent Anderson, Jill Thpmson, William Simpson e Amazing Ameziane.

    Finiamo di cenare a mezzanotte, che è la normalità, e poi stasera torno in albergo, a fare le ore piccole e bere ancora alcool stasera non ne ho voglia.

     

    GIORNO QUATTRO

    Mattinata che si sta aprendo e, contro ogni previsione, va verso il bello.
    Esco con l’intenzione di andare a vedere il Centro Niemayer, una costruzione progettata dal famoso architetto brasiliano che si trova sull’altra sponda del fiume, spazi e proporzioni ampie, come se le forme pure dell’architettura si fondessero nello spazio dominandolo. Molto bello.

    Il Centro Niemeyer.

    Ricevo un messaggio di Alexis, che mi chiede cosa facciamo durante il giorno, e decidiamo di andare insieme a Gijòn, la seconda città delle Asturie. Lui è venuto in auto ed è comodo viaggiare per strade tranquille e senza troppe auto, è sabato e il traffico commerciale non c’è, e la città si trova a soli 22 km. e il tragitto è breve.
    Prima di partire però, ci prendiamo il tempo di vedere la mostra sulla Nueva Escuela Valeciana, una corrente di autori di fumetto che, a metà degli anni ‘80, fecero scuola e portarono alla fondazione delle riviste come Cairo o El Vibora. La mostra, distribuita su tre piani è molto esaustiva e mostra innumerevoli originali di autori come Mique Beltran, Daniel Torres, Mariscal e Calatayud.

    La mostra sulla Nueva Escuela Valenciana.

    La riflessione che mi viene da fare però è, ancora una volta, riscontrare come in anni passati, il fermento di novità e ricerca di nuove formule narrative ed espressive, fossero il sintomo del desiderio di inseguire nuove vie. Questi desideri credo fossero molto più facili da perseguire, perché le riviste permettevano di sperimentare segni e storie in spazi meno impegnativi, con racconti più corti che permettevano maggiore libertà e minori tempi di realizzazione. Oggi, gli autori sono tutti concentrati sul personaggio e graphic-novel che necessitano di spazi maggiori, molte più pagine e, la sperimentazione, è inibita dalla mancanza di spazi alternativi. Poi ci dirigiamo verso la città.
    Gijòn è una  bella città di 300.000 abitanti ed la pone come la seconda delle Asturie (la prima è la capitale del principato, Oviedo), è sul mare, caratteristica che, ai miei occhi è un vantaggio notevole. Oltre ad avere una conformazione come Salinas, al centro di una baia che la racchiude e la accoglie.
    La mattina è assolata e, camminando sul lungomare il caldo si fa sentire. La passeggiata è piena di asturiani che si godono la giornata prefestiva e la loro spiaggia molto ampia e come quella visitata precedentemente, con una sabbia battuta e compatta perché la marea ogni giorno la ricopre e la rassoda. Il litorale è pieno di bagnanti che camminano sulla battigia, prendono il sole e si tuffano in mare, uno spettacolo che smuove la mia invidia.

    Alla scoperta di Gijon.

    Ci perdiamo tra le strade strette e con poche macchine parcheggiate, e questa caratteristica mi ricorda Barcellona, dove mi chiesi dove gli abitanti nascondessero le loro auto noi, ad esempio, abbiamo lasciato l’auto in un ampio parcheggio sotterraneo e, evidentemente, la spiegazione sta tutta lì. Sono nascoste nel sottosuolo.
    Ora, mi verrebbe di chiedermi perché in Italia soluzioni del genere sono così sparagnine, ma aprirei un capitolo antipatico e la chiudo subito qui. Anzi no, perché un’altra domanda che mi nasce davvero spontanea e mi era balzata alla mente anche ad Aviles è la pulizia delle strade, sono curate e pulite, non c’è un foglio per strada, o una cicca, per non parlare dell’immondizia o i vari sacchetti fuori dalle abitazioni o dai negozi in attesa del camion della "monnezza". A Gijòn ad esempio, ho visto un netturbino con la ramazza in mano e una semplice cassetta per la raccolta, sarà questa la spiegazione? Non lo so.
    Lascio a voi ogni deduzione personale.
    Con Alexis ci godiamo la passeggiata nella parte vecchia, fino al promontorio che osserva la città dall’alto e la cinge come una sentinella, e al tempo stesso la divide da una seconda baia che dispone di un altro porticciolo e un’altra spiaggia. Sul promontorio, che è anche parco cittadino, le persone passeggiano dando uno sguardo all’oceano di fronte, punteggiato di imbarcazioni e da un mare particolarmente tranquillo anche se tira una leggera brezza che, a occhio e croce, potrebbe essere assimilabile al nostro maestrale. La città vista dall’alto, appare come fronteggiare il mare con un muro di altri palazzi che guardano l'orizzonte, divisi dalla lunga ed alta passeggiata che la protegge dalle maree, è un punto di vista molto suggestivo e da della città un aspetto austero.

    I due amigos sul promontorio.

    Ancora Gijon, dal promontorio della città vecchia e qui sopra la lunga passeggiata che costeggia la spiaggia.

    Appena scendiamo dalla parte vecchia per dirigerci di nuovo verso la passeggiata, il mare si è già mangiato una ventina di metri, avanza camminando inesorabilmente verso il muro della passeggiata come volesse divorarsi la terra.
    Decidiamo di mangiare qualcosa, e ci fermiamo in un bar adiacente ad un teatro, in una bella via centrale, pedonale, e che assomiglia un po’ a una ramblas. Ha dei tavolini posti sotto basse magnolie che proiettano una densa ombra e che ci protegge dal sole intenso, ordino un paio di quelle che io credo siano tapas e dal prezzo mi immagino la piccola dimensione, una di queste è una tortilla spagnola alla cipolla. In realtà mi portano un panino farcito con la pancetta e una tortilla con un altro panino della stessa dimensione del precedente. I prezzi qui sono più bassi che in Italia e, viaggiando, ho sbirciato anche i prezzi della benzina che sono notevolmente inferiori, verso Aviles ho visto vendere un litro a 1,59€.
    Quando nel pomeriggio ci avviciniamo al parcheggio, il mare si è già mangiato tutta la spiaggia a ovest e sta avanzando per mangiarsi la restante, più tardi sarà difficile prendere il sole anche per i più avveduti che si sono posizionati sotto la passeggiata.
    La cosa curiosa, che a me, uomo del mare Mediterraneo mi fa riflettere, è la differente gestione della fruizione della spiaggia, noi abituati a sdraio e ombrelloni profumatamente pagati, qui al nord, semplici ospiti temporanei a cui la natura concede del tempo per godersi il mare, ma che poi richiede ciò che ha concesso riprendendoselo, in un equilibrio che è più scomodo ma probabilmente più giusto.
    Rientriamo ad Aviles e ci concediamo tempo per doccia e riposo, poi nel pomeriggio le ultime dediche e si va direttamente al Centro Culturale, cuore degli incontri della manifestazione, per la cerimonia di chiusura.
    Partecipiamo alla fine dell’incontro con Jill Thompson, assoluta protagonista della manifestazione sia per presenza che per personalità, e si raccoglie i meritati applausi del nutrito pubblico presente.
    Poi, German, Angel e Jorge-Ivan insieme ad una disponibile sindaca, che neanche prova a prendersi la scena reclamando spazio per le solite inutili filippiche, ma restandosene tranquilla spettatrice, procedono prima ai ringraziamenti e poi a delle premiazioni molto simpatiche e per niente formali.

    German, Angel, la sindaca di Aviles e Jorge Ivan alla chiusura della manifestazione, mentre scorre sullo schermo una composizione per ogni artista presente.

    I tre premiati con il simbolico trofeo di pelouche in mano, Amazing Ameziane, il sottoscritto e Jill Thompson.

    Insieme ad Angel de la Calle.

    Qui, davvero inaspettatamente, i tre organizzatori dell’evento, ci comunicano le loro personali assegnazioni dei premi e, scopro con stupore, che il direttore Angel de la Calle, mi ha concesso il suo. Un gesto che ho apprezzato molto, proprio per la sopraggiunta sorpresa.
    Ci dirigiamo tutti a El nogale, il ristorante convenzionato con la manifestazione dove, ben oltre le 22,00 cominciamo a mangiare. La cucina spagnola, almeno quella che ho avuto modo di gustare, è fatta di piatti piuttosto semplici, non molto elaborati, direi quasi casalinghi, ma gustosi, non mi pare, almeno dai locali frequentati, che ci sia quella vezzosa (seppur esteticamente apprezzabile) tendenza a “l’impiattamento”, e anche le preparazioni mi sembrano piuttosto basiche ma, ripeto, i gusti sono buoni.
    Dopo, andiamo nel consueto pub a finire la serata, credo che l’idea di festival pensato da questa simpatica combriccola di sinceri appassionati stia tutta qui, la condivisione tranquilla del tempo tra autori e fans e tra autore e autore, in uno scambio di visioni e culture che provengono da altri modi di pensare il fumetto, devo dire è una formula che apprezzo molto. Al pub, con il mio sgangherato inglese, mi intrattengo con Jordan Thomas, uno sceneggiatore inglese che vive in Spagna, e con Jill Thompson, poi ci sediamo al tavolo dove Alexis, ha portato il suo rhum dalla Martinica, isola dove è cresciuto e qui, tra organizzatori e autori e dopo una lunga chiacchierata con Diego, l’interprete, abbiamo tirato tardi, andando a letto intorno alle tre.
    Due parole su Diego Garcia però, devo inevitabilmente farle. Diego parla otto lingue, una capacità strabiliante di passare da un idioma all’altro, ma la cosa più incredibile è che non interpreta e non dimentica niente di ciò che dici, nonostante tu possa parlare anche per cinque minuti di fila, alla fine ripete ogni tuo concetto o risposta che hai elaborato.
    Si aiuta con un taccuino su cui annota dei simboli che in un primo momento avevo creduto si trattasse di stenografia, e invece è un metodo particolare col quale disegna simboli (assolutamente individuali, che si è creato e che perciò parlano soltanto a lui) che racchiudono non parole, ma concetti e che per questo gli permettono di non dimenticare niente. Ma indipendentemente dalle indiscusse capacità professionali, in realtà è una gran bella persona.
    L’ultima giornata finisce qui, e mi sembra anche durata davvero molto, me ne torno in camera sicuro che il sonno vincerà immediatamente le mie resistenze.
    Ed è così che farà.

    La sera al pub con Jorge Ivan.

    Qui con Jorge Ivan e Diego, il fantastico interprete.

    ULTIMO GIORNO

    Qui c’è ben poco da dire, se non fosse per le conclusioni finali.
    Mi sveglio piuttosto tardi, e la mattina faccio colazione con Angel e Mique Beltran, e poi si aggiunge anche Alexis, e terminiamo ulteriori circonvoluzioni sul fumetto, del resto quando c’è un argomento che lega, difficile dimenticarlo. La sera prima German mi ha comunicato l’orario in cui il taxi mi porterà all’aeroporto, è vicino e non ci sono patemi.
    La giornata è bellissima, soleggiata e limpida, dispiace quasi perderla di viaggio.
    All’aeroporto siamo in quattro, Beltran, una giovane autrice spagnola e anche Jaume Vaquer,  anche lui va a Barcellona, per poi dirigersi a Maiorca, andiamo nella stessa direzione, e perciò prendiamo l’aereo insieme.
    A Barcellona rimaniamo ancora insieme visto la prossimità delle nostre partenze, pranziamo con un panino e abbiamo modo di conoscerci meglio, visto che, tra molti invitati, spesso si finisce per rimanere con quelli che si conoscono meglio o restano più vicini, a dispetto di altri. Ma stare con lui è piacevole, è una persona positiva, sempre sorridente, e poi anche lui non solo è latino, ma anche mediterraneo, e quindi l’empatia va da sé. Ci lasciamo con la convinzione reciproca che quelle due ore trascorse insieme ci abbiano uniti ulteriormente e ci proponiamo di incontrarci ancora.
    Il mio aereo parte in ritardo, e la cosa mi preoccupa un po’, il migliore treno che posso prendere è quello delle 19,28 e l’aereo, almeno sulla mia prenotazione, arriva alle 19,50. Non c’è la farò mai, mi dico.
    Invece, come sarebbe in grado di dirmi mio figlio, bisogna essere positivi, perché il pessimismo è sempre una lente che distorce in peggio la realtà, ed è proprio così.
    L’aereo atterra alle 18,35 e, pur essendo in coda, aprono anche il portellone posteriore, per cui non solo sono il primo ad uscire, ma il velivolo, essendo vicino all’entrata in aeroporto,  i passeggeri non hanno bisogno del bus navetta per essere portati fin lì. Esco per primo e mi appresto a dirigermi verso il parcheggio taxi e, nonostante una famiglia americana arrivi prima di me mentre arriva un taxi della compagnia di cui ho i ticket, riesco a convincerli a prendere quello dopo. Risultato: sono alla stazione alle 19,00 e devo perfino attendere che le porte del treno si sblocchino per fare entrare i passeggeri già sul marciapiede.
    Sempre essere positivi, deve diventare il mio karma.

    Che dire? Sono felice di essere andato ad Aviles, perché ogni nuova occasione apre sempre nuove opportunità e, quello che purtroppo non vogliamo capire, è che il contatto personale, la condivisione di universi diversi, migliora il mondo, e soprattutto noi stessi. Purtroppo i social networks ci illudono di avere amici e conoscenti, ma è solo quando lì incontri che ti accorgi quali sono quelli su cui puoi contare, nei quali leggi le espressioni, ti accorgi come ti guardano e come ti ascoltano.
    Aviles era un incognita, non sapevo cosa aspettarmi ma non avevo preconcetti, ero e sono curioso di conoscere questi miei nuovi lettori, questo mio nuovo pubblico e, anche in questo caso, quando lo hai conosciuto, com’è successo con i francesi, ti accorgi quanto siamo simili nelle differenze e, quanto ci vorrebbe poco per radunarci intorno a pensieri  comuni che potremmo condividere senza troppi problemi.

    Alcune dediche fatte alla manifestazione.

    Qui ho incontrato una squadra di amici che, intorno a una passione, hanno costruito un festival dove gli autori si incontrano, stanno insieme e discutono senza barriere (se non quelle linguistiche che tuttavia l’eccezionale Diego riesce ad abbattere), senza ambizioni commerciali, senza inseguire mode, senza coinvolgere social o YouTuber,  cantanti o tatuatori, o qualsiasi altro fenomeno mediatico che non ruoti intorno al fumetto, con amore e dedizione.
    Ringrazio perciò Angel per la stima che mi ha dimostrato a prescindere dal premio, ma con i suoi apprezzamenti su Hasta la Victoria! e il desiderio di starmi vicino; Jorge Ivan, dallo sguardo dolce ed amichevole, una persona alla quale sai di potergli concedere la tua fiducia; Diego per là simpatia e la disponibilità che dimostra con tutti, saltando da una lingua all’altra come un funambolo della parola e per l’amicizia che lo lega a Jorge Ivan; e poi al mite German, il bonario José Manuel e Rafa per i loro sorrisi, per la loro continua presenza e per avermi fatto sentire a casa.
    Spero di tornare presto.

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    DUBAI, IL SOGNO DELLE MILLE E UNA NOTTE

    Molte partenze ci sono state in questi anni, molte di più di quelle che mi sarei immaginato facendo un lavoro sedentario come il mio. Ma la vita ha disegni imperscrutabili, segue percorsi imprevisti che spesso ci stupiscono, questo è uno di quelli.
    L’Accademia Nemo al gran completo insieme al l’orchestra di Carlo Chiarotti and Friend’s siamo stati invitati ad una manifestazione che si terrà a Sharjah, una città degli Emirati Arabi, quella deputata alla cultura e all’arte. La manifestazione è improntata tutta sull’animazione, e l’Accademia è la patrocinante per tutto ciò che riguarda la presenza di artisti che collaborano con noi (e che saranno protagonisti di panels tematici), ne consegue che tutta la banda con una piccola corte, è in partenza per Dubai.
    Sono reduce da un weekend moscio, nonostante gli allettanti proclami di cene ed inviti previsti, tutti rimandati per un’indisposizione stagionale di Maura che, tapina, si è ritrovata vittima di una ricaduta influenzale per chi, come lei, l’influenza sembra generalmente solo un incidente che riguarda gli altri. In più, il ponte di questo 1 Maggio sarà ricordato come la constatazione di quanto la sfiga, per chi prenota per tempo le vacanze, spesso si metta d’impegno a legittimare la propria peculiarità.
    Parto con la consapevolezza di trovare, pur in una mattinata grigia che sembra novembrina, un clima estivo, un caldo che sarà combattuto da impianti di climatizzazione che produrranno l’effetto glaciale di chi, avendo mezzi, vuole un inverno che può provare solo artificialmente. Non ho tuttavia la valigia carica di indumenti di vario tipo (ho solo abbigliamento leggero che era già pronto per i mesi a venire), ma il peso è solo testimone di una scatola con dei libri che saranno esposti e venduti allo stand della manifestazione: sono corriere clandestino e pusher di libri illustrati.
    Come sempre parto senza essermi informato di ciò che troverò, se non per “sentito dire”, sia per atavica indolenza, o perché amo l’effetto sorpresa e adoro essere stupito. Di certo, per quello che ho visto e conosco da altri contesti e informazioni generiche, so che troverò qualcosa più vicino all’universo di Nathan Never, piuttosto che arabeschi, suk e moschee.

    Parto con il solito treno con cui vado settimanalmente a Firenze, comodo e veloce e, spero, in orario come quasi sempre; poi un FrecciaRossa per Bologna; una navetta per l’aeroporto Guglielmo Marconi; e poi l’imbarco sul Boeing 777 di Emirates diretto a Dubai.
    A Firenze mi aspetta Luca Chiarotti, tutti gli altri li troveremo all’aeroporto. L’orchestra, la Florence Pop Orchestra (il meglio dei musicisti del Comunale e del Maggio Fiorentino) aggregata a noi partirà da Calenzano con un bus a noleggio (sono una quarantina di elementi con strumenti al seguito) in direzione Bologna, poi ci saranno Sandro Cleuzo, Laura Lavorini, una nostra insegnante, e Alice Risi e Francesco Mariotti che ci raggiungeranno con mezzi propri.

    Con Luca e Laura (e Carlo indaffarato col bagaglio), in volo su Emirates.

    Poi la carovana del “gruppo vacanze Toscane” sarà pronto per l’avventura mediorientale.
    Cosa mi aspetto? Niente , un’esperienza, come ogni volta che parto. Non ho mai nessuna falsa illusione e, anche quando parto con programmi definiti, non mi prefiggo grandi aspettative, ma solide esperienze.
    Di certo, lo spirito è sempre stato quello di non lasciare (potendo) nessuna offerta, accettando ogni occasione e ogni opportunità per fare nuove conoscenze.
    Ogni viaggio é una porta che si apre su situazioni inconsuete, viaggiare è importante proprio per questo, per misurarci con il mondo al di là delle comode porte domestiche, capire quanto del mio provincialismo riesco a perdere per acquistare quel poco di internazionalità che fa molto cool, ma a cui molti non possono dire di appartenere. Viaggiare spero che mi faccia conoscere un po’ di più questo mondo che, inversamente all’esperienza che acquisisco ogni volta, mi sembra di capire sempre meno.
    Sto vivendo un periodo di transizione e di cambiamento, sto attraversando la palude di quello che sono stato e non sono sicuro di quello che diventerò, ammesso che abbia il tempo per diventarlo, e non conosco la nuova destinazione anche se ho un vago punto di partenza.
    Ma sono partito per un nuovo "viaggio", con timore, accompagnato dalla fiducia e dalla speranza più da parte di persone vicine che per mia totale convinzione, ma ho cominciato a camminare diretto non so dove, ma almeno spostandomi decisamente da dove ero.

    L’arrivo a Dubai è in tarda nottata, qui i sono due fusi orari in più, e sono le 11,30. L’aeroporto é in stile mediorientale, ampio, sontuoso, pieno di colonne, marmi e superfici riflettenti. Noi siamo in tutto quasi una cinquantina, un bel numero da gestire.

    L'aeroporto di Dubai-Al Maktum.

    All’uscita, quasi fosse una parodia di un film Pixar, abbiamo vissuto l’esperienza “Finding Carlo” (invece che Nemo, e non intesa come accademia), visto che un gruppetto dell’orchestra, capitanato dallo stesso direttore, si é perso subito dopo l’uscita dai controlli: una buona partenza ben auspicante.
    Fuori, una flotta di macchine dell’organizzazione ci ha caricati su per distribuirci nei due hotel assegnatici.
    Il Pullmann, della catena Accord che ci è stato assegnato, é un 5 stelle plus, bello, confortevole, ma non oso immaginare quelli super lusso che sono disseminati ovunque, come saranno.
    Al nostro arrivo, al check dell’albergo, trovo Emanuele Di Giorgi, l’editore della Tunué, la casa editrice con la quale ho realizzato le mie due graphic-novel. Insieme a lui Diego, un manager italiano che collabora da tempo con le autorità locali, e che ritroverò in seguito per tutta la durata della manifestazione. Qui conosco anche Andrea Bozzetto (in realtà ero l’unico della Nemo che ancora non lo conosceva), il simpatico figlio di Bruno, con cui condivideremo molti momenti nei giorni successivi.
    Prima di salire in camera però, viene fatto a tutti il tampone Covid, l’indomani all’inaugurazione dell’evento sarà presente lo sceicco di Sharjah, e tutto deve essere bonificato, partecipanti inclusi.
    Il primo giorno finisce qui, con l’esplorazione della lunga e ampia stanza situata al nono piano.

    La mattina del primo giorno, dopo una colazione internazionale con forti influenze locali, la nostra prima preoccupazione è quella di raggiungere il centro espositivo, che non dista molto dall’hotel neanche volendolo raggiungere a piedi, anche se il servizio taxi messo a disposizione, è imponente e comodo e finiamo per usare solo quelli.

    Gli enormi spazi della Sharjah Animation Conference, il corner dell'Accademia Nemo e la mostra dedicata allo Studio Bozzetto.

    Abbiamo portato con noi, distribuiti tra il bagaglio di tutti, diversi libri da mettere in vendita, non tanto per bramosia di guadagno, quanto per dare sostanza alla nostra presenza, oltre alle nostre già notorie competenze (più di Luca e Francesco che mie, in verità), di managing degli artisti che sono venuti qui a fare panel e workshop alla manifestazione, prestati, appunto, dall’Accademia Nemo.
    L’intoppo, come sempre, si manifesta subito all’ingresso. In albergo non ci hanno dato il risultato del test Covid (ma anche noi colpevoli non l’abbiamo chiesto), e non ci fanno entrare, oltre al fatto che non ci hanno dato ancora i pass e siamo perciò inesistenti per gli organizzatori. Agganciandoci ad un hotspot di un collega, ci vengono inviati su Whatsapp ed entriamo, per merito della potenza della connessione e soprattutto per la prontezza di Luca.
    La Sharjah Animation Conference é agganciata ad un’altra manifestazione legata ai libri per ragazzi ed é divisa da pannelli e dall’ampio corridoio centrale che divide l’intero spazio espositivo, ma a livello coreografico, é studiata con attenzione e senza lesinare in mezzi, e gli spazi sono ampi (in certi casi fin troppo) e colorati.
    Come ben sappiamo, la legge coranica vieta, nelle sue scritture, la rappresentazione dei corpi umani all’interno della cultura artistica musulmana ma, negli ultimi tempi, la politica degli Emirati si è aperta all’arte in tutte le sue forme, e sta cercando di colmare il gap che inevitabilmente hanno accumulato i loro artisti con il resto del mondo. Sono partiti perciò dai libri per bambini (la manifestazione editoriale infatti è già alla sua ennesima edizione), e da quest’anno hanno investito anche all’animazione, inutile constatare che a queste latitudini si stanno aprendo molteplici opportunità di investimenti.


    La parte dedicata all'editoria per ragazzi.

    Siamo tutti vestiti al massimo della nostra eleganza (intendendo questo nel modo più ampio possibile, e in relazione alla situazione), l’emiro infatti inaugurerà la manifestazione, e dobbiamo essere in tiro, anche perché non sappiamo che tipo di protocollo verrà usato e dobbiamo tenerci pronti. Devo dire che non ho badato molto a questo aspetto, anche se tendenzialmente è un cosa a cui dedico attenzione, forse per la preoccupazione del rapporto caldo/freddo, piuttosto che per opportunità di situazione ed eleganza.
    Attendiamo lo sceicco per oltre due ore, poi arriva con tutta la corte al seguito, siede sulle bianche poltrone in pelle disposte a semicerchio intorno al palcoscenico, ascolta la presentazione di Pietro Pinetti (CEO di Movimenti e direttore del BAD, che patrocina insieme all’istituzione locale l’evento) e della corrispettiva locale, una responsabile della manifestazione, ascolta il concerto lungo circa una mezz’oretta, non saluta nessuno e se ne va.
    Rapido, veloce, ed indolore.
    Poi, con una incessante regolarità, comincia il pellegrinaggio al nostro stand di: giornalisti, appassionati, personaggi in cerca di produttori per i loro progetti, aspiranti animatori, presenzialisti e nerd di ogni specie, esattamente lo stesso tipo di fauna presente nelle manifestazioni occidentali. E sarà così per tutto il giorno e per l’intera durata dell'evento.


    Lo spazio dell'orchestra durante le prove.

    La cosa curiosa e da considerare, specialmente quando abbiamo certi feed-back dal mondo, tanto la globalizzazione di costumi e icone è uniformante, che il comportamento umano oramai è identico in tutte le parti del globo terracqueo, e le idiosincrasie, i sogni, le speranze e le illusioni ci accomunano come fossimo un’unica tribù che ha le medesime aspirazioni, e tutto questo senza troppe differenze.
    Noi nel frattempo dobbiamo prendere confidenza con ritmi, spazi e orari della esposizione, e scopriamo solo nel tardo pomeriggio una stanza adibita alla consumazione di spuntini dolci e salati messi a disposizione dall'organizzazione per ospiti, e pranziamo così sul tardi.
    Conosco anche Edoardo Serino, un amico di Luca incaricato di occuparsi dei due autori giapponesi: Mamoru Yokota e Takahiro Yoshimatsu presenti alla manifestazione (lui che ha vissuto per quasi vent’anni in Giappone) e che conosce lingua e costumi, oltre che dotato della necessaria tranquillità e disponibilità, e che si è prestato perciò alla sopportazione e alla soluzione dei problemi che i due capricciosi autori gli hanno sovente procurato, assolvendo al suo compito con una professionalità e una dedizione unica.
    La giornata finisce nella hall dell’albergo, dopo una cena a buffet a base di piatti locali, buoni e speziati solo come lo sono da queste parti.
    Siamo stanchi, non abbiamo dormito molto, e andiamo a letto.

    Il giorno dopo, siamo presenti allo stand come soldatini anche se Francesco non verrà per una leggera indisposizione, restiamo così Luca, Sandro ed io a difendere la roccaforte Nemo.
    Lo spazio adiacente al nostro stand presentava una lunga parete di colore giallo di almeno una trentina di metri al che, ci viene suggerito da Pinetti, di incominciare a farci disegnare gli autori e rendere vivo quello spazio regalandogli una funzione social. I primi ad iniziare siamo io e Sandro Cleuzo, che siamo lì come guardie svizzere a presenziare lo stand nell’attesa che Sandro vada al suo appuntamento, e cominciamo a disegnare ognuno sui due lati dello stand. Curiosamente, e in modo almeno da parte mia totalmente inaspettato, i miei disegni ottengono un grande successo e cominciano a piovere, anche da me, curiosi, estimatori e personaggi d’ogni tipo a chiedere informazioni, quando credevo di fare più da spettatore che altro.
    Mi spiego meglio, giusto perché non voglio apparire come un falso modesto ma, essendo presente ad una manifestazione di animazione, mi ero fatto l’idea che lo ”stile” di riferimento fosse ben diverso dal mio, ovvero più vicino a quello "cartoon” (tra l'altro, sapevo che, dal punto di vista dei fumettistico, le preferenze dei locali erano più orientate verso il manga) , perciò pensavo che il mio non interessasse affatto.
    Mi sbagliavo.


    Le due illustrazioni realizzate sul muro dello stand, e con Mario Brioschi davanti a Nathan Never.

    Questa è stata una ulteriore prova della “fame” che hanno da queste parti per ogni forma artistica in ogni sua rappresentazione.
    Mi sono fatto l'idea che una visione del fumetto derivativa della cultura musulmana, ad esempio, potrebbe essere un veicolo importante per capire questo mondo che talvolta ci appare distante e spesso rimane incomprensibile.
    Un episodio carino è quando mi è stato presentato un ragazzo che avevo già visto ma che, nell’anonimato dei primi giorni, non avevo idea di chi fosse. Si trattava di Mario Brioschi, un esperto di effetti speciali (uno degli ultimi suoi impegni è stato per la serie “The House of The Dragon” ed aveva anche lui un incontro da presentare) e che, attraverso il disegno di Nathan Never realizzato sulla parete, era venuto a conoscenza della mia presenza alla manifestazione e, in quanto mio vecchio fan (e la preparazione dimostrata sui miei lavori ne ha confermato la veridicità), ci teneva a conoscermi. La sua presenza è stata una simpatica novità, ed abbiamo condiviso diversi momenti insieme nei giorni successivi.
    Come ogni giorno, in chiusura alla manifestazione, si esibisce la Firenze Pop Orchestra che intona le più famose canzoni dei cartoons, con grande successo di pubblico. Purtroppo l'orario è alle 19,30, un po' troppo tardi, e il pubblico feriale è piuttosto latitante a quest'ora.
    Poi, dopo cena la giornata è terminata con quella che voleva essere un tour by night della vicina Dubai (Sharjah è situata a poche decine di minuti da lei, ma fa già parte dell’emirato vicino), e non che non l’abbiamo fatto, ma si è svolto in maniera piuttosto diversa da come ce l'eravamo immaginato.

    I protagonisti del tour Dubai by Night: io, Sandro Cleuzo, John Nevarez e Luca.

    Dubai by night.

    Causa una incomprensione tra noi e l’autista incaricato (ma più che altro per la sua scarsa comprensione dell’inglese), questo ci ha portato a Dubai, ci ha fatto arrivare fino alla Marina (dove parte la famosa penisola con atolli a forma “palma” che si getta in mare), e che è piena di alberghi di lusso, residence e case vacanze ma, per l’impossibilità di fermarsi nelle loro vicinanze, il tour si è trasformato in una visita agli ingressi degli “alberghi” (belli, per carità), ma, pur avendo fatto un bel giro, la serata si è sviluppata stando stipati dentro all'auto con poche occasioni memorabili.

    La mattina del terzo giorno era libera, per cui, nell’impossibilità di visitare l’antico suk di Sharjah, perché bloccato da lavori di ristrutturazione, abbiamo pensato di chiedere alla reception un consiglio su cosa vedere lì vicino (poco in realtà). Siamo perciò partiti per una passeggiata che girava intorno al bacino artificiale su cui è costruita quella parte della città. Sharjah è la capitale culturale degli Emirati ma, nonostante questa vocazione, come Dubai condivide l’idea di sviluppo verticale delle proprie abitazioni, e l'idea si sviluppa con un unico concetto, immaginabile anche per i meno intuitivi: e cioè che i palazzi, dall’architettura ultramoderna, vanno tutti ben oltre i trenta piani, con il risultato di avere uno skyline degno di New York.

    Sharjah.

    L’impressione che abbiamo un po' tutti però, è che in molti appartamenti dei palazzi sotto i quali abbiamo consumato la nostra passeggiata, fossero vuoti o da affittare. Non so se la considerazione fosse dovuta alla constatazione che di gente in giro ce ne fosse poca (dalle 10,00 di mattina in poi, il caldo si fa sentire, per cui la scarsità di persone è perfino giustificata), ma dalla vacuità che traspariva dai terrazzi vuoti e le innumerevoli scritte “affittasi”. C'è da dire che questo è un dubbio che ci è rimasto.
    Comunque, con Andrea Bozzetto, Luca, Edoardo, Sandro e Mario, ci siamo fatti questa passeggiata (cercando meticolosamente la parte all’ombra dei palazzi), per attraversare l’istmo che divide le due lagune, collegata da un canale. Seppure il limitare delle acque, presenti una leggere striscia di sabbia che sembrerebbe balneabile, su questa non erano presenti che qualche isolato pescatore e nessun bagnante, anche perché sia per il colore verdastro dell’acqua poco invitante, sia per la poca inclinazione a mettersi in costume della popolazione locale, il tutto non favorisce certo l’affollamento del litorale.
    Torniamo, nonostante le mille accortezze, in albergo sudati, dove ci facciamo una doccia per prepararci al primo impegno della giornata: la cena tipica in presenza degli organizzatori della manifestazione.
    Alle 12,00 veniamo raccolti dalle auto preposte e attraversiamo la città per almeno 45 minuti di tragitto, per approdare successivamente in un locale nella lontana periferia assolata, dove si intravedeva il desolante inizio del deserto.
    Fuori dal ristorante, le auto erano parcheggiate in questo grande piazzale polveroso antistante al locale, dove sembrano fare  la guardia ad una struttura che dispone di verande in legno piuttosto vetuste, per quanto caratteristiche, fossimo stati in Italia, poteva essere scambiata probabilmente per una trattoria per camionisti, famose tanto per la scarsa estetica quanto per l'abbondanza e il sapore dei loro piatti.

    Pranzo tipico di cucina araba, qui sopra, uno dei vassoi a disposizione dei commensali.

    All'interno, con una disposizione diversa nei ristoranti ai quali siamo abituati, si vedono pochi avventori (probabilmente nascosti in stanzette private) ma molti camerieri, e veniamo fatti accomodare in una saletta che dovrebbe contenere tutti gli ospiti. A me sembra che lo spazio non possa contenerci tutti, ma forse è solo una mia superficiale impressione. La stanza è isolata dalle altre con una porta, e dispone di finestre che danno sul corridoio interno, ha per terra una sorta di enorme tatami, sul quale sono adagiati dei teli che simulano delle tovaglie e, a distanza regolare, dei piatti con delle insalate miste, incappucciati da pellicole trasparenti. Qui il capo della manifestazione, incorniciato da kefiah e abito lungo completamente bianco, ci saluta presentandosi e facendoci accomodare alla spicciolata, così come arriviamo in relazione all’arrivo della auto. Lo spazio per “inginocchiarci” all’indiana (e cioè a gambe incrociate), non è molto ampio, poi parte la “tovaglia”, il tutto mi sembra piuttosto striminzito, ma con spirito ospitale ci accomodiamo.
    Tra l’altro, accanto a me, c’è seduto Wouter Tulp, un olandese e con due gambe lunghe come due binari ferroviari, per cui vi lascio immaginare lo stato di comodità in cui mi trovavo.
    In un’altra stanzetta, come volevasi dimostrare, vengono reclusi Carlo, Laura, Edoardo e i due giapponesi, che ovviamente non riescono ad entrare nella nostra.
    Riconoscendo così che la mia non era solo un’impressione.
    La seduta ci obbliga all’immobilità, e fino a che stiamo fermi, va anche bene.
    Il problema nasce quando cominciamo a muoverci per prendere il cibo, disposto in due enormi contenitori con vassoi disposti a piani, e posizionati alle due mediane del tappetone, ed è in questo preciso momento che le ossa cominciano a scricchiolare e a lamentarsi, in un supplizio al quale nonostante tutto ci si abitua con stoica rassegnazione (sarà la fame?).
    La conversazione, amabile e in un inglese comprensibile (anche perché è l’autorità locale a tenere banco), si sofferma su alcune caratteristiche che emergono in occasioni simili, e cioè il consueto cazzeggio utile a smussare le differenze e rompere il ghiaccio, e cominciano col confronto tra “cucine” o a magnificando le glorie del proprio paese. La socialità delle convenzioni che si unisce alle leggi della convivenza. Scopriamo così la genuinità dei piatti locali (il pranzo è oggettivamente molto buono, speziato e piccante, ma decisamente gustoso) e l’apporto del relativo paese allo sviluppo mondiale della gastronomia, dell'innovazione alla civiltà. Noi italiani facciamo i diplomatici e non sventoliamo artisti, inventori e quant’altro abbiamo offerto al mondo (troppa roba, ne converrete), perché si può dire di tutto ma non che non siamo dei signori e rinunciamo a declamare onori e glorie per eccesso di offerta, e non annichilire l'invitante. Questo però, non ci impedisce di scoprire però con grande stupore, che un loro discendente ha inventato sia la chitarra che il dentifricio.
    Prendendo coscienza che ognuno, anche se in minima parte, a preso parte allo sviluppo del mondo, perciò prendiamo appunti e torniamo a casa con una informazione in più.
    Anche sulla bontà della cucina sorvoliamo senza eccedere in confronti e proclami di superiorità, volgiamo paragonare la nostra pasta o il parmigiano con l'hummus o il falafel? Direi di no, in fondo: siamo buoni, siamo ospiti, per quale motivo infierire?
    Anche i rappresentanti di altri paesi (indipendentemente dalla frecce al loro arco) si adeguano alla linea diplomatica di basso profilo usata, perciò restiamo così tutti felici e contenti.
    Il pomeriggio mi concedo un paio d’ore di libertà per andarmene in piscina, perché un bagnetto quando ancora è lontana la stagione balneare, volevo proprio farmelo.
    L’albergo è all’interno di un palazzo con due torri parallele, e nell’interstizio tra questi due elementi verticali, c’è situata la piscina, l’edificio parte compatto e a un certo punto, dove c'è la biforcazione, è collocato il piano con la piscina.

    Trascorro un paio di ore di relax, e faccio il bagno proprio quando il sole, nascosto dal palazzo di fronte, fa capolino e irradia i suoi raggi concedendo luce e calore allo specchio d’acqua, e mi rilasso così per un po’, guardando il traffico dall’alto mentre faccio il bagno.
    Rientro all’Expo in tempo per vedere l’ultimo concerto della Firenze Pop Orchestra, quello più lungo e completo e che, con una simpatica improvvisazione, vede anche cantare Momoru Yokota che interpreta il brano derivante dalla sigla della sua serie. La piacevole sorpresa è constatare la voce, il timbro e l’intonatura dell’artista nipponico che snocciola una prestazione canora di tutto rispetto, ricevendo così anche un grande consenso di pubblico.

    Robin Linn, il sottoscritto, Luca e Jamil davanti alla mascotte della manifestazione, creata dallo Studio Bozzetto.

    Dopo una lauta cena in albergo, convinco tutti ad andare al Monkey Bar, sul roof del 25h Hotel, un albergo vicino al Museo del Futuro, in pieno centro a Dubai. Qui fa il tender barman il figlio di Emanuele Vallini, lo chef de “la Carabaccia”, un ristorante di Bibbona con il quale, tempo fa e parlando di Dubai, era emerso che il figlio lavorasse qui.
    Partiamo tutti convinti di trascorrere una bella serata, io felice di fare un figurone della madonna, e poterci bere del sano alcool che da queste parti non viene servito, ma che invece nella più mondana Dubai viene elargito con maggiore tolleranza.
    Ma evidentemente le serate in questo angolo della penisola arabica non ci sono fauste, per cui, appena arrivati, ci rendiamo conto non solo che siamo in presenza di un evento organizzato, per cui avremmo avuto bisogno dell'invito, ma è anche un giorno prefestivo, per cui anche il locale successivo, tale “Amazonico”, è strapieno oltre che disporre già di una fila chilometrica all’ingresso.
    Per cui riprendiamo il taxi e, con le pive nel sacco e con il becco asciutto, ce ne torniamo in albergo per fare le solite quattro chiacchiere nella hall con la nuova arrivata, la giapponese naturalizzata italiana Yoshiko Watanabe, una famosa disegnatrice di manga trasferitasi a Roma da moltissimo tempo, che ha visto bene di allontanarsi da quel paese per avere una vita professionale più umana e meno stressante.
    Dopo avere fatto la conoscenza di questa vivacissima e vulcanica ottantenne e che il giorno dopo farà una conferenza sul manga, andiamo a letto.

    L’ultimo giorno è quello preposto per la gita nel deserto, ma partiamo nel pomeriggio dopo il pranzo, e la mattina ci organizziamo per andare nel suk di Dubai.
    Difficile rinunciare all’acquisto immotivato e razionalmente discutibile di paccottiglia quando siamo in vacanza, siamo in pochi (uno di questi sono indubbiamente io) a non amare i souvenir. Io li trovo di una totale inutilità. Capisco il desiderio di portare un pensierino a qualcuno a cui si tiene, ma l’idea di rammentarselo solo in occasione dell’acquisto della solita stronzata che alla fine viene buttata nel cassetto per dimenticarsene, non la trovo una cosa intelligente. É vero anche che quando vai all’estero non ti porti la lista delle cose necessarie da acquistare, tuttavia partire apposta per non deludere chi il viaggio non l’ha fatto ed è rimasto ad aspettarti lo trovo un’inutile sforzo. A me i queste occasioni, come si dice dalle mie parti: “non si attacca niente alle mani” e, addirittura, eviterei proprio la tappa, ma alla fine mi aggrego per sociale convivenza alla truppa che decide la spedizione.


    Sorvolo su acquisti, pellegrinaggi da un negozia all’altro e i relativi mercanteggiamenti all’interno del mercato di Dubai, e alla fine compro qualcosa anche io: una borsina di paglia intrecciata per mia figlia, un berretto per me nella previsione di usarlo nel pomeriggio e che passerò ad Alberto, e l’irrinunciabile magnete, quello sì immancabile cimelio necessario a testimoniare ogni viaggio.
    Alle 12,00 rendez-vous all’albergo dove veniamo intruppati nel più classico dei pullman seightseeing a due piani, per turisti, dove partiamo in direzione del deserto.
    Da qui, cominciamo a vedere la vera essenza di questa parte del mondo, fatto di una natura secca, con pochi arbusti scheletrici e anemici, e poi sassi e sabbia in un mix che diventa sempre più vasto mano a mano che ci allontaniamo dagli ultimi residui di civiltà.
    Incontriamo villette sempre più rade, il verde ci abbandona per sempre e poi poche case allineate alla strada principale, a sottolineare quanto la civiltà corra sempre lunghe le vie di comunicazioni, legami indissolubili tra uomini, culture e civiltà.
    Arriviamo al Museo Archeologico del luogo e lo visitiamo in un battibaleno, ci sono pochissimi reperti, vasellame, punite di frecce di selce e dell’età del rame, a testimonianza della lunga permanenza degli uomini da quelle parti e la loro sopravvivenza. La cosa però che ci accomuna tutti e alla quale riusciamo alla fine a dare una spiegazione, è la curiosità con cui enunciano la datazione archeologica.


    Non volendo considerare la nascita del Cristo come riferimento per la datazione del tempo (a C. o d.C.), sono costretti ad usare BCE o CE (Before Commonly Era o Commonly Era), una curiosità che indica l’assurdo vincolo religioso che non considerare un riferimento comune quello che tutto il mondo, per convenzione, ha utilizzato. Comprensibile dal punto di vista religioso, per carità, ma che sottolinea quanto certe ripicche cultural/religiose possono sconfinare nella mancanza di praticità.
    Accanto al museo, visitabili, ci sono alcuni recinti con impala e cammelli, una scuderia di cavalli con annesso maneggio di cavalli arabi. Un sodalizio di cui sinceramente capisco poco la logica, e l’incomprensione rimane lì, sospesa nel dubbio delle cose inspiegabili.
    La seconda parte del pomeriggio è finalizzato al raid con i fuoristrada attraverso le dune del deserto, per approdare in un punto dal quale assistere il tramonto dalle dune, e poi inerpicarsi alle pendici dei rilievi rocciosi che contornano quella regione, per finire a mangiare sotto le stelle.
    Il tour dei fuoristrada é spettacolarizzato dalla guida dei driver che si arrampicano sulle dune, slittano, derapano e si impennano sballottando i partecipanti come fossero su delle montagne russe, riempiendo così gli abitacoli di urla e hurrà compiaciuti di passeggeri felici di aver fatto un’esperienza fuori dal comune.
    Nelle soste, la sabbia finissima si insinua in ogni pertugio ed ogni interstizio che scarpe e indumenti concedono, ed ognuno di noi si sente appesantito da quel fardello che è costretto a portarsi dietro.

    Il raid nel deserto, poi John Nevarez, Luca e Sandro Cleuzo alle mie spalle.

    Quando ci fermiamo poi, ci comportiamo come dei bambini, in fondo gli adulti non sono altro che ragazzi cresciuti e appena gli si presenta l’occasione in contesti più liberi, tornano a vestire i panni della gioventù dimenticandosi pudori, timidezze e responsabilità, per cui ci si arrampica sulle dune, si fanno le foto anche alle impronte e ci mettiamo in pose ridicole. Sublimiamo il momento così, tornando alle origini e concedendoci la stupidità come concessione al divertimento.
    Più tardi osserviamo, tutti seduti su una duna, il sole che si abbassa lentamente per entrare nella caligine del crepuscolo, facendosi sempre più rosso fino a scomparire all’orizzonte. Credo che gli ampi spazi della natura concilino la vicinanza all’Assoluto, qualsiasi cosa questo voglia dire, c’è un momento di sospensione che rende un po’ mistici certi momenti che si possiamo vivere soltanto quando lo spazio intorno a noi si dilata in modo quasi pneumatico, isolandoci da tutto. Cosa non del tutto facile in quel contesto, visto che eravamo otto crossover carichi di persone, e il brusio di chiacchiere costante, quando invece il momento avrebbe avuto bisogno di solitudine.
    Ma vabbè.
    Poi risaliamo tutti sui jepponi e ci dirigiamo verso delle costruzioni alle pendici di un altura, dove sono stati allestiti delle postazioni dove mangiare, con tappeti in terra, tavoli bassi con cuscini dove sedersi alla maniera araba, e due lunghi buffet dove gustare la cucina locale.
    C’è anche un cammello da montare, che permette a tutti l’ebrezza di una breve passeggiata sul dorso della “nave del deserto”, nel quieto oscillare di questi animali miti e remissivi, che rimangono i principi di queste terre, gli indiscutibili amici della gente di questo territorio, e che da queste parti sono venerati.
    Ceniamo alla luce di pavesi illuminati e di torce disposte in circolo, in un’atmosfera di altri tempi, suggestiva e tribale, con un cibo saporito e piccante che ci ricorda dove siamo.

    Accampamento notturno nel deserto.

    Quando la notte si fa più nera, una postazione con tre telescopi ci fa osservare la luminosità di Sirio, Venere e Castore vicino al suo Polluce, e nella stessa oscurità, perdo inevitabilmente i miei RayBam che mi hanno accompagnato in molti viaggi. Finendo così nel peggiore dei modi la serata.
    Il rientro è silenzioso e stanco come lo sono tutti i componenti della brigata, chi rimane fuori dal bus é baciato da un vento caldo, domani molti di noi devono partire, e noi siamo tra questi e dobbiamo svegliarci presto.
    La notte, la stanchezza e il sonno ci indicano un’unica strada: una doccia calda dove lavarsi dai residui della sabbia che ci ha invaso, e un letto comodo per concludere una bella esperienza.

    Il rientro nella giornata di domenica è tutto sommato tranquillo, si alterna al volo che atterra al Bologna intorno alle 13,30 locali, al bus che dobbiamo prendere in sostituzione del Marconi (servizio bloccato per manutenzione) che ci porti alla Stazione Centrale, e da qui l’Eurostar per Firenze. Tutto in orario e senza particolari affanni, arrivando perciò a Firenze per le 16,30. Non mi resta che salutare tutta l’allegra brigata, che consiste in: Luca, Carlo, Laura, John Nevarez, Robin Linn e Jamil (Francesco, Alice e Sandro ci hanno lasciati all'aeroporto dove avevano l’auto), visto che sono l’unico a continuare il viaggio, il mio treno infatti parte solo alle 17,28 e ne avrò perciò ancora per quasi tre ore.
    See you soon guys.

    E’ stata un’esperienza, in fondo era la prima volta che mi confrontavo con un contesto che stride per i molti contrasti: da un lato una società che si arrocca ancora su certi fondamenti religiosi e che imbriglia pulsioni e libertà, sull’altro lato la stessa capisce alcuni suoi limiti e cerca di ovviare cercando di aprirsi al mondo grazie alla grande disponibilità economica.
    Il mondo fuori urla con la sua libertà, con i suoi eccessi, e con i social e i media amplifica ogni esagerazione, ogni iperbolica provocazione, difficile per i giovani anche di questa parte del mondo, nonostante vincoli e usanze millenarie, rimanere fuori da questo enorme circo multicolore e folle. Difficile immaginare per le donne, che ancora anelano a parità di diritti e trattamento identitario, diventare, come hanno dimostrato, un propulsore per una vera emancipazione sociale e moderna. Ma se la spinta al cambiamento radicale non avviene dall'interno di questi paesi, con l'energia e il desiderio delle nuove generazioni, sarà difficile immaginare sostanziali mutamenti.
    Si può solo sperare che il tempo, come la medesima tenacia dell’acqua del mare che scava le rocce della costa, riesca a consumare anche tradizioni, usanze e privilegi che sono durati per secoli.
    Le grandi fortune accumulate e il desiderio di allinearsi all’Occidente da parte della classe dirigente, oltre che la capacità di realizzare ciò che desiderano senza intralci burocratici o cavilli tecnici, ma per semplice volontà regale, unita alla volontà di colmare il gap che li divide dai paesi più sviluppati, ne fanno terre di enormi opportunità e un eldorado per tutti gli investitori che guardano con interesse a queste nazioni.
    Ma di certo la strada è davvero ancora molto lunga.

     

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    ANGOULEME 2023

    Giorno Uno

    Sembra impossibile tanto é stato veloce, ma mi ritrovo di nuovo in partenza per Angouleme.
    Sembra impossibile anche perché, come l'anno passato, anche questo non ho niente da promuovere, sono fermo, non sto pubblicando niente, ma ho un inusuale dinamismo che mi porta a presenziare in manifestazioni con l'unico intento di andare in vacanza o meglio, a fare zingarate con i soci, solo a scopo ricreativo.
    In realtà andiamo ad Angouleme come La città delle nuvole, la casa editrice dell'Accademia Nemo, a promuovere libri dei nostri ragazzi, lavori di giovani virgulti che promuovono e pubblicizzano il loro lavoro oltre che quello della scuola. Bella scusa, eh? Trovatela meglio voi!
    Comunque, giornata migliore non poteva accogliere questa nostra partenza. Dopo alcuni giorni di pioggia e tempo instabile, oggi, seppur caratterizzata da un'aria fresca e frizzantina, il cielo è sgombro di nuvole e il sole, appena uscito, fa risplendere il cielo di un azzurro intenso che mette di buon umore.
    Il mare sulla costa è calmo e piatto, e la luce mattutina fredda dell'alba, colora le case di un colore caldo che va in contrasto con la temperatura rigida di questo gennaio che, per una volta, fa il suo mestiere di mese invernale.
    Sulla piana pisana, le montagne dell'Appennino sono imbiancate dalla neve e sembrano fare da cornice a un quadro di Telemaco Signorini, ed ogni volta che mi ritrovo di fronte a spettacoli di questo genere, il mio pensiero va immancabilmente a quei paesi che sono costretti a vivere nel grigiore di un clima impietoso e triste, e mi sento fortunato.
    Sono in uno stato d'animo indeciso, indeciso da tempo.
    Diviso al mio interno per non avere ancora compreso cosa davvero voglio fare nei prossimi anni, se continuare a fare ciò che ho sempre fatto o dedicarmi ad altro, provando ad aprire un'altra porta, con tutta l'imprevedibilità e l'incertezza che questo può portare, e proiettarsi in una nuova avventura (anche se lo sto già facendo).
    Forse dentro di me spero che questi viaggi mi aiutino a trovare una risposta e forse, nel ripercorrere i sentieri fatti in questi ultimi anni, mi illudo che questi possono aiutarmi a decidere se continuare a realizzare storie disegnate, o pensare di fare altro. Ma davvero non lo so.
    Per il momento mi accontento del ruolo di viaggiatore, mi riservo di fare da testimone a nuove esperienze in vecchi luoghi, per annotare quanto queste sensazioni risveglino in me nuove pulsioni o se le raffredderanno definitivamente nei ricordi. A Firenze mi ricollegherò con i miei vecchi Pards (perdonate questo gergo texiano che non mi appartiene): Luca, Francesco e il fido Fabrizio che, in questi ultimi tempi non ci abbandona mai, diventando di fatto un membro del gruppo.
    E poi: che l'avventura abbia inizio!

    I quattro pards.

    La partenza è, come sempre fuori orario, partiamo infatti verso le 11,30 e quindi con estremo ritardo. Ma andare a prendere il furgone, fare il foglio di via per entrare nella zona a traffico limitato e caricarlo è ogni volta un'impresa che si traduce in inevitabili perdite di tempo.
    Partiamo però lancia in resta, non ci fermiamo per pranzare ma sbocconcelliamo qualcosa in auto e ci fermiamo soltanto nelle vicinanze di Savona per un caffè. Non troppi ritardi sulla strada, poche deviazioni per lavori e un sole che ci riscalda all'interno dell'ampio van, che ci lascia un enorme spazio a noi non-guidatori che siamo nei posti arretrati. Il viaggio è tranquillo e me lo sonnecchio baciato dal tiepido sole che attraversa i vetri bruniti. La nostra tappa è Montpellier, a soli sei ore da Angouleme dove, come l'anno scorso, abbiamo cenato e pernottato. Ci arriviamo verso le 21,30, dopo avere prenotato albergo e ristorante che, memori dell'anno precedente, chiudono la cucina molto presto e non vogliamo restarne fuori.
    L'albergo è in pieno centro, in un area pedonale e delimitata da dissuasori, ma l'albergo, visto l'impossibilita di parcheggiare il Van (troppo alto per i parcheggi privati), ci da il permesso per entrare nella stretta zona limitata a taxi e veicoli privati, concedendoci la password per abbassare i dissuasori e, con nostra grande soddisfazione, ci permette il nostro veicolo di parcheggiare nell'area protetta e davanti all'hotel.
    Poi a cena al Jolly Rouge, il ristorantino creolo dove cenammo l'anno scorso, e successivamente una birretta a coronamento della giornata, in uno dei pub che fanno sulla piazza del teatro, la più centrale della città.
    Poi tutti a nanna al Golden Tulip, un quattro stelle nelle vicinanze della stazione dei treni.
    Buonanotte!

    Sopra alcuni scorci di Montpellier, e di soliti noti intorno al tavolo del Jolly Rouge.

    Giorno Due

    Notte tranquilla.
    Francesco, che dorme con me, pare non accorgersi del mio tremebondo russare, tuttavia, almeno il sottoscritto, si sveglia ampiamente prima dell'orario previsto.
    Mi trovo completamente avvolto nelle lenzuola come un salame, anche perché, nonostante avessi rincalzato le lenzuola la sera prima, il letto pareva fosse stato rifatto semplicemente posando sopra coperte e imballaggi vari. Risultato, avevo i piedi che spuntavano fuori.
    Aspettiamo i nostri compari fuori dal l'albergo, e ci dirigiamo nella piazza del teatro, l'ampio spazio antistante all'edificio che è il vero centro della città, collega infatti la parte vecchia (ricca di localini), il viale principale della città che è attraversato da una linea tranviaria, e la stazione ferroviaria. Nel complesso Montpellier è una cittadina carina che lascia intendere una qualità della vita piuttosto buona, anche se locali e pub, chiudono ad orari improponibili,  se confrontati alla movida italiana.
    Decidiamo di andare a fare colazione in una brasserie che si affaccia sulla piazza, già animata di prima mattina da un viavai di persone che vanno a lavoro o in attesa alla fermata del tram che si trova ad ornate un lato del piazzale.
    Classico cappuccino e croissant, e poi diretti verso il Ford Transit che ci aspetta parcheggiato di fronte al nostro albergo, a quell'ora completamente circondato dai taxi.
    Il viaggio che ci divide da Angouleme dovrebbe occuparci per le prossime sei ore, non mettiamo in mezzo indugi, e partiamo di gran carriera. Ci fermiamo solo per problemi di personali impellenze idrauliche,  e facciamo sosta alla Brasserie des Pins, un localetto che Google Maps ci indica appena fuori all'uscita dall'autostrada. Del resto le aree di servizio francesi distribuiscono soltanto pasti freddi e preconfezionati, noi siamo italiani e per noi la sosta pranzo è sacra. Ci meritiamo così filetto alla mostarda e vitello con patate fritte, e ripartiamo dopo neanche quarantacinque minuti.
    Arriviamo ad Angouleme in una sola tirata, dormicchiando un po' a turno, salvo il conducente fortunatamente.
    Parcheggiamo il nostro Ford Transit nelle vicinanze del Mercato coperto della città, che rimane adiacente al padiglione che una volta veniva chiamato Para BD, dove abbiamo lo stand. Cominciamo a scaricare e iniziamo ad allestire il nostro spazio. Ad aspettarci c'è Stéphane Della Colletta, nostro amico e traduttore ufficiale della casa editrice, passerà questi giorni con noi e farà parte della squadra.
    Poi andiamo a prendere possesso dei relativi appartamenti, il nostro è in Rue Goscinny, la via più centrale di Angouleme, e che sfocia direttamente in Champ de Mars. Preleviamo nell'apposita cassetta le chiavi, abbiamo il codice d'accesso ed entriamo nel nostro appartamentino composta da due stanze matrimoniali separate, una sala con cucinotto e un bel bagno con doccia a pioggia. La sistemazione è ottima, spaziosa e centrale, meglio così.
    Mentre Luca ritorna allo stand per sistemare le ultime rifiniture, io mi appresto a fare una telefonata ad un'amica francese che non vedevo da tempo, e che al momento è immischiata in varie vicissitudini lavorative. Ne esce un racconto squallido e triste, che riflette una cattiva luce persone che un tempo avevo considerato in un modo e che, inevitabilmente, devo considerare in un altro.
    Un racconto che mi mette di cattivo umore, e mi ha guastato la giornata.
    Incontro i miei soci alla brasserie di fronte al padiglione: Le chat noir, pub che un tempo era un punto di ritrovo del luogo è stato semplicemente ristrutturato, e al vuoto lasciato l'anno scorso, adesso è ritornato a farne parte.
    Qui mi sento chiamare alle mie spalle, è Ning Wang, l'amico cinese con il quale ho condiviso ben due viaggi nel suo paese, mi metto a scambiare quattro chiacchiere con lui e mi dice che adesso abita in Francia, a Bellegarde, il paese di Michel e Thierry, due vecchi amici di antica data, e fa sei mesi qui e gli altri in Cina. Ci diamo appuntamento al giorno dopo, quando ci ritroveremo allo stand Mosquito per i saluti.
    Poi, visto la stanchezza causata dalla seconda lunga tappa, decidiamo di andare a cena, e lo facciamo nello stesso locale dell'anno passato, e almeno per me con un'assiette du boucher ed un'Afflingen, un piatto a base di carne e patate (aridaglie), e con questo sistemiamo lo stomaco.
    Torniamo tutti ai rispettivi appartamenti, non so gli altri, ma abdichiamo immediatamente alla stanchezza, e mi pare non ci sia più quell'estrema voglia di allungare la serata tra birre e chiacchiere per prolungare momenti che sembra ci sia l'obbligo di non fermare mai. Quando siamo stanchi gli occhi parlano da soli e senza inutili parole ognuno sa già cosa fare.
    Ci salutiamo e ci diamo l'appuntamento alla mattina successiva per la colazione.
    Adesso, dopo avere fatto una doccia calda, sono sul letto a terminare questo mio report che sembra procedere con una stanchezza indicibile, nella narrazione di fatti senza importanza e soprattutto, uguali a mille altri già raccontati, in un loop che talvolta mi appare noioso.

    Giorno Tre

    Dormiamo piuttosto bene, la camera è confortevole e silenziosa, pur avendo una finestra che da su una via centrale. Nonostante siamo le 8,15 sembra ancora buio, tanto la giornata è livida, e così resterà fino alla sera.
    Ci troviamo alla solita cioccolateria scoperta l'anno scorso La bisquitérie, e dopo poco tempo si unisce a noi anche Lele Vianello insieme a Stéphane. Lele oramai è un ospite fisso delle nostre colazioni, oltre che della manifestazione e con lui conversiamo amabilmente fino a che l'orario non gli impone di andare allo stand per onorare la sua presenza, ed io me ne ritorno in appartamento.

    A la Bisquitérie comme d'habitude con, da sx: Fabrizio, Francesco, Luca, io, Stéphane e Lele.

    La cittadina comincia ad animarsi fin dalla prima mattina, anche se oggi probabilmente sarà la giornata più calma. Davanti al padiglione di Champ de Mars si allunga una fila di appassionati che partiranno a corsa per accaparrarsi i primi posti per le dèdicacés, anche questa è una consuetudine, e faranno esattamente come le carovane del West alla partenza della conquista dell'Oregon, due secoli fa.
    Stazioniamo un po' allo stand e vediamo arrivare un personaggio che mi pareva di avere già incontrato in strada, ma appena si ferma allo stand, conferma la mia impressione: è Caparezza.

    Con Caparezza.

    Appassionato di fumetti, per la prima volta è venuto al festival francese con la consapevolezza che qui poteva circolare tranquillamente, ma noi lo abbiamo sgamato ugualmente (e non siamo stati gli unnici). Dopo un bieco selfie con il sottoscritto lo abbiamo lasciato libero di vagare liberamente per il padiglione. Una comitiva di giovani studentesse, mi hanno un intervista a base di domande standardizzate su chi siamo, il nostro rapporto con la BD e bla, bla, probabilmente dovranno redigere un articolo per il loro giornalino scolastico, non un grande scoop. Noi anzi, io, mi presto amabilmente all'intervista (chiamiamola così) essendo l'unico che blatera un po' di francese. Sembrano soddisfatte (ahiloro!) e se ne vanno felici.
    Andiamo a mangiare al Mercato adiacente al padiglione, e prendiamo dei di piatti street food che non possono non avere delle patate fritte come contorno, un evergreen alimentare che non ci ha mai abbandonato fino ad ora, e non ci abbandoneranno neanche in seguito.
    Qui incontro Fabiano Ambu che, come l'anno scorso, ha uno stand nel Nouveau Monde con una sua piccola casa di produzioni, facciamo due chiacchiere e ci ripromettiamo di vederci nei giorni successivi (lo vedrò invece la sera stessa).
    Rientriamo allo stand per un po', poi decido di andare con Francesco al padiglione centrale, quello situato in Champ de Mars, dove ci sono gli editori più importanti, i più grandi e con gli stand zeppi di novità.
    Me li giro tutti, sicuro che il flusso di persone probabilmente oggi sarà quello meno importante, da domani sarà il delirio per peggiorare definitivamente fino a domenica.
    Posso dire semplicemente che nel mio attento girovagare, credo di avere individuato le maggiori novità, e tutte le ultime uscite, messe più o meno in bella mostra, ma al di là di questo niente mi si è attaccato alle mani. File già piuttosto corpose alle dedicaces, e urla festanti di molti studenti accompagnati dagli insegnanti insomma, un bel casino, una bella festa per gli appassionati e addetti ai lavori, come risulta Angouleme ogni anno, e per anni appuntamento atteso ed imprescindibile.
    Ora, non voglio farla tanto lunga, perché temo che rischierei di risultare noioso fino all'ultimo giorno, ma nonostante questa mia peregrinazione abbastanza attenta, nessun nuovo albo o anche vecchio, ma passato inosservato in passato ha destato il mio interesse.
    Brutta cosa.
    Brutta sensazione non trovare niente che mi incuriosisca, brutto non sentirsi più facente parte di un qualcosa nel quale per anni ho sguazzato con gioia e soddisfazione  e di cui ero felice di farne parte. È tutto questo è continuato anche dopo, quando sono andato nello spazio Nouveau Monde, quello spazio che per lustri ho abitato allo stand Mosquito e di cui mi sentivo protagonista.
    Camminare lungo il corridoio osservando le decine di giovani autori, felici ed orgogliosi di promuovere le loro opera mi ha intristito, invece di godere di quella vista di genuino entusiasmo. Non sto a sindacarne i morivi, sono complessi e non interessano nessuno, per cui evito di tediarvi inutilmente con soporifere considerazioni, vi basti sapere che adesso sono altrove, dove ancora non lo so, ma quasi sicuramente non più dove sono stato fino ad ora.
    Speriamo almeno di starci bene.
    Ho sentito alcuni colleghi e ci siamo ripromessi di vederci il giorno dopo, amici di lunga data con cui abbiamo scambiato esperienze condivise in altri festival, chiacchierate e sfottò, e questa è una di quelle occasioni che non vogliamo perdere per stare insieme. Mi impensierisce questo mio nuovo stato d'animo, perché temo di non essere divertente e ameno come in altre occasioni, specialmente nell'intavolare conversazioni su argomenti che una volta erano il pane quotidiano (e che mi divertivano pure) e che adesso mi interessano meno. Vedremo.
    Io rientro all'appartamento prima degli altri, voglio scrivere il mio report e togliermi dallo stand. Durante il tragitto affianco un corteo sindacale che, fiaccole alla mano (creando così uno splendido colpo d'occhio), percorrono tutto il viale centrale e passa successivamente sotto la finestra di camera, con un cantare ed inneggiare slogan della gauche francese, per protesta a non so cosa, dimostrando, come c'è ne fosse bisogno, lo spirito belluino del popolo francese disposto a scendere in piazza per rivendicare i propri diritti.
    Cena a casa
    Stasera ceniamo nel nostro appartamento, i nostri pards si cimentano (loro, non io) nel cucinare i loro manicaretti, Francesco specialmente è un cuoco davvero sopraffino (e non sto scherzando), ma anche Luca smania nel voler cucinare un primo con la consapevolezza di non poterci deludere. Io sono in camera, e al momento sto scrivendo il mio report quotidiano mentre loro di là stanno spentolando come comari, io resto qui, sul mio letto a scrivere, sarei solo d'intralcio, lo spazio è esiguo e non sono certo io quello che glielo vuole ridurre ulteriormente, apprezzate il mio senso di responsabilità verso il bene comune.
    Crostini burro e salmone, tagliolini al carciofo con formaggio francese, e insalata di tonno con scalogni di riporto, il tutto annaffiato con un vinello francese che ha riscaldato gli animi, cenato anche troppo, come nostro solito, non riusciamo ad essere morigerati. Alla faccia della frugalità.
    Poi, ci siamo messi le pantofole ed abbiamo coronato la serata vedendo su Netflix (ebbene sì, disponiamo anche di un 39 pollici con un canale Netflix, sparato a video dall'Ipad di Luca), un film fracassone, un'americanata tutto sparatorie e alieni mostruosi con Chris Pratt dal titolo La guerra di domani. Abbiamo messo il cervello in stand-by per vederlo fino alla fine, ed abbiamo passato la serata così, riposando membra è materia grigia per preservare il tutto per la giornata di venerdì.

    I tagliolini compici della mezza indigestione del giovedì sera, e l'atmosfera grigia ma animata della cittadina francese.

    Giorno Quattro

    Nottata critica.
    L'abbuffata ha fatto i suoi danni, probabilmente non ho digerito bene e ho contato tutte le pecore possibili immaginabili fino alla mattina, probabile che abbia dormito anche a sprazzi, ma di sicuro non mi sono riposato.
    A conti fatti, credo che la responsabilità non sia tutta da imputare ai problemi digestivi, cercare di sistemare la finestra della sala che aveva problemi di chiusura sotto un venticello gelido che mi ha sbattuto contro per tutto il tempo, credo abbia fatto precipitare pericolosamente la situazione.
    Nonostante gli acciacchi, andiamo al nostro baretto dove ogni mattina incontriamo Lele e Stéphane, prima di dirigersi al nostro padiglione.
    Finito il rendez-vous, ognuno si dirige verso i propri lidi, e anch'io torno sui miei passi per tornare all'appartamento per le consuete abluzioni mattutine. Nel corso principale incontro un'accolita di bolognesi che sapevo essere arrivati il giorno prima: Piero Ruggeri, Francesco Barbieri, Otto Gabos, Onofrio Catacchio ed Enrico Fornaroli.
    Tornato all'appartamento, è non mi sono più mosso da lì, mi sono disteso sul divano con i piedi appoggiati sul tavolino di fronte, e tra un sonnecchiare continuo e l'altro, sono arrivato fino all'ora di pranzo.
    Una mattinata grigia e insignificante.
    Pranzo da convalescente al Mercato adiacente al padiglione, a base di ravioli di zucca con olio e parmigiano, praticamente una pasta in bianco.
    Poi, facendo leva più sulla volontà che sul desiderio, siamo tornati al padiglione Nouveau Monde, per salutare e portare a Michel alcuni libri tradotti in francese, a suggello di un'amicizia che proviene da lontano.
    Poi, con l'intento di tornare verso l'appartamento, convinco i miei soci a venire con me alla libreria indipendente Cosmopolite, situata nel centro commerciale sottostante a Champ de Mars. Una libreria dove oltre ad essere sede di un ampio spazio per le dediche di molti autori, ha anche la particolarità di avere un grande assortimento di novità BD e in un colpo solo, è facile avere una vista d'insieme su tutto ciò che in uscita, evitando il caos del padiglione grandi editori soprastante. Non compro niente, come ieri, le mie mani e i miei occhi vanno su decine di volumi senza smuovere il minimo interesse verso alcunché. Oramai è una prevedibile costante.

    L'interno dello spazio dove era allocato lo stand "Città delle Nuvole-Accademia Nemo", e il prode Fabrizio di guardia al presidio.

    Ci sediamo ad un tavolo in una saletta di un bar sulla piazza, proprio dove un gruppo musicale sta facendo il check per il concerto di stasera. È bello vedere la complicità dei componenti, i sorrisi sulle loro facce e la felicità di chi pregusta con anticipo la gioia di una serata da trascorrere dando anima alla propria passione.
    Noi ci beviamo tre succhi d frutta come te paciosi pensionati, la mia situazione evidentemente condiziona anche i miei amici.
    Li lascio per tornare all'appartamento.
    Mi sdraio sul letto  e mi copro con il giubbotto, non c'è cosa migliore di un po' di pace, quando il corpo reclama calma e tranquillità.
    Non mi sembra di dormire, di fatto finisco il pomeriggio in camera, fino a che non arrivano gli altri pards per la cena. Io sto terminando di scrivere il mio scarno e malaticcio report quotidiano, e poi mi unisco a loro per la cena.
    Non sto bene, ho caldo e mi si sono intasate anche le vie respiratorie, ma ceno con un piccolo pezzo di filetto giusto per riempirmi lo stomaco cn qualcosa e prendere una compressa antinfluenzale.
    Ci mettiamo tutti e quattro di fronte alla TV per guardare il film di stasera, e ognuno cerca di trovare un po' di ristoro quotidiano nella visione di Senza rancore, un film tutto sparatorie e forze speciali, che almeno io vedo con scarso interesse inframmezzandolo con delle sonore russate che, prontamente, mi vengono fatte notare dagli altri.
    Effettivamente, la compressa di Efferalgan mi ha fatto stare meglio, e spero sinceramente che almeno il domani sia migliore di oggi, e mi conceda una normale giornata di soggiorno.
    Buonanotte.

    La manifestazione nelle vie centrali della città,  incrociata prima di arrivare a casa. Anche qui si rivendcano pensioni più giuste per una vita dignitosa. Tutto il mondo è paese.

    Giorno Cinque

    Giornata strana. Si può dire divisa in due parti distinte.
    Mi sveglio da malato, naso intasato, dolore alle ossa, malessere diffuso: mi vedo di finire la mia vacanza francese disteso in un letto. Non esco con gli altri per fare colazione, e mi faccio portare un paio di croissant e una spremuta, per farla da solo, nell'appartamento, confortato solo dalla mia solitudine.
    Poi, lasciato sciogliere la solita compressa presa anche la sera prima, e bevuto il medicamento, me ne ritorno a letto, e consumo qui la mia mattina con il fastidio di dover attendere la fine della vacanza chiuso ed isolato.
    A fine mattina invece, probabilmente sotto gli effluvi benefici effervescenti della compressa, mi sento meglio, scompare l'intasamento delle vie respiratorie, e mi sento pronto per rischiare: e me ne esco così a pranzare con gli altri.
    Ci ritroviamo al Mercato al consueto tavolo di Bella Italia a mangiarci i soliti cappellacci ricotta e spinaci, al burro e parmigiano. Specifico: non siamo pasdaran della cucina italiana, né come quei compatrioti che non possono pensare di vivere una vita senza carboidrato nostrano, ma in questo caso, nell'ottica di una dieta da "malato", mi sembrava la scelta gastronomica più coerente.
    Lunga la strada verso il nostro padiglione incontro Nicola Genzianella, collega bonelliano anche lui prestato momentaneamente alla BD. Nicola è una persona che incontro sempre molto volentieri, è amabile, sorridente e positivo e ha la capacità di mettermi sempre di buon umore, ha senso dell'ironia ed ha una qualità che per me è fondamentale: è una persona modesta, e la sua umiltà ha nei miei confronti un effetto rigenerante e instilla in me grande simpatia e stima. Mi fermo a parlare con lui.
    Nel pomeriggio mi viene presentata Isabelle Giraud, la moglie del più noto Moebius, che ha lo stand accanto al nostro e la mattina è venuta a farci visita, parliamo un po', mi presento e dalla conversazione potrebbe nascere qualcosa di interessante e, anche se non mi faccio illusioni di sorta, la cosa mi fa piacere.
    In seguito, passano di lì Massimiliano Andreoni, un fan e amico lucchese lettore ed appassionato di fumetto, poi Davide Fabbri che come ogni anno non rinuncia mai alla sua zingarata ad Angouleme, e infine Daniele Brolli con cui scambiamo amabilmente quattro chiacchiere.

    Alle 18,00 mi accingo al rendez-vous che avevo fissato con Simona Mogavino e Alessio Lapo, e dopo qualche minuto di attesa, mi trovo costretto a chiamarli. Ma i signori, bontà loro, beati come pulzelle coccolate dalla mamma, si sono addormentati: e chi sono io per svegliarli?
    Li lascio perciò tornare tra le braccia di Morfeo, ripromettendoci di vederci domani? O chissà negli anni futuri, forse.
    Io me ne ritorno all'appartamento, il pomeriggio sta volgendo a termine ed io devo realizzare alcune dédicacès per un amico, per cui meglio sbrigare prima le incombenze.
    Stasera niente festa dei 50 anni di Angouleme, mia figlia gioca una partita importante di Coppa Italia ed io non voglio certo perdermela, e stasera mi farò trovare di fronte all'IPad per la diretta Facebook.
    All'arrivo dei miei soci è già quasi tutto pronto, Luca ha apparecchiato mentre io non ho fatto assolutamente niente, Luca mi tratta come fossi nella bambagia, specialmente oggi che sono anche cagionevole.
    Ci sono i crostini, i pomodori, l'insalata di tonno e Francesco con la carne rimasta ha fato una tartare non ho mai detto di quanto sia bravo Francesco in cucina? Beh, lo dico adesso: questo mio giovane socio ha davvero mille qualità, disegna e colora molto bene, suona le tastiere in un orchestra, parla fluentemente l'inglese, è un bel ragazzo e cucina talmente bene, che se la scuola andasse male e dovesse reinventarsi un lavoro, potrebbe tranquillamente aprire un ristorante con probabilità di un buon successo. Oltre che invidiarlo un po' (e non solo per l'età) ditemi voi se non sono stato fortunato a ritrovarmelo come socio.
    Alle 21,00 però, inizia la partita, e contro il mio volere (mi sarei appartato per vedermela da solo), tutta l'Accademia Nemo ha deciso di vederla proiettata dall'IPad al televisore. La partita è iniziata malissimo, e dopo avere perso il primo set per due punti e rovinosamente il secondo senza praticamente opporre resistenza, la squadra di mia figlia a vinto in terzo e il quarto e sono andate al quinto, ultimo e decisivo set.
    Oltre alla tensione dovuta alla rimonta, e complice il telecronista di Pontedera che aveva lo stesso lessico di una barrocciaio, ci siamo divertiti un po' tutti ad ascoltare gli svarioni verbali e i relativi improperi, salvo poi liberarci definitivamente dopo l'ultimo punto, realizzato per la cronaca proprio da Elena.
    Finita così, in bellezza, una giornata nata sotto i peggiori auspici. Non so bene se ringraziare la mia buona stella o forse imporrebbe di essere debitore all'Efferlgan che mia ha aiutato a debellare il fastidioso stato influenzale.
    Ad ogni modo abbiamo già fatto i bagagli per essere pronti già domani mattina, per la partenza del pomeriggio.
    E adesso il meritato riposo.

    Giorno Sei

    Siamo arrivati alla domenica, l'ultimo giorno di festival, oltre che quello della partenza.
    Prima della colazione carichiamo i bagagli sul Van, in modo di essere pronti all'orario di chiusura per partire al volo.
    Poi colazione a "La bisquitérie", il luogo eletto dalla confraternita costituita dai quattro moschettieri della Nemo, Stéphane e Lele Vianello che non rinuncia mai a questa consuetudine che oramai si ripete di anno in anno.
    Poi ognuno per sé, io rientro all'appartamento per prendere lo zaino ed espletare la riconsegna delle chiavi nell'apposita cassetta. Al ritorno mi fermo al padiglione grandi editori, voglio comprare il volume su Velasquez, realizzato dall'amico e collega Matteo Alemanno e, già che lo trovo in dedica, fissiamo un appuntamento per vedere la mostra sul "colore" insieme, forse questa volta ce la facciamo.
    Dopo il mio arrivo allo stand, senza che ci fossimo dati appuntamento, incontro Alain David, direttore di Futuropolis e scambiamo due parole poi, il tempo di fare un'illustrazione allo stand,  e di corsa all'appuntamento con Matteo per andare a vedere la mostra sul colore, e a questa nostra escursione si aggiunge anche Francesco.
    Prima di andare però, decidiamo di fare la pausa pranzo e, anche contro il volere di Francesco, che so non ama tornare su piatti nazionali quando è all'estero, questi si piega alle necessità degli altri visto che le esigenze miei e di Matteo prediligono piatti che abbiano uno sviluppo tranquillo e conosciuto. E torniamo allo spazio Bella Italia, all'interno del Mercato coperto. Matteo e Francesco instaurano subito un ottimo rapporto, entrambi sono musicisti e si mettono a parlare perciò di musica e strumenti, con Matteo so già che è molto piacevole incontrarsi per scambiare opinioni, ci conosciamo da un po' di tempo, ma a conti fatti non abbiamo avuto che poiché occasione per stare insieme ma, nonostante tutto, quando possiamo ci cerchiamo perché credo (almeno per me è così), che si sia creato un rapporto di reciproca stima e fiducia.
    Poi via alla mostra :  "Couleurs", una collettiva di originali di molti autori, che permette di avere una panoramica sull'uso della colorazione (tradizionale) nella BD, ci sono autori come : Proudhomme, Moebius, Fior, Lepage, Mattotti, Cosey, Meziérès, ... e molti altri. Talenti che usano colori, tecniche e mix cromatici innovativi e moderni. Tutti rigorosamente utilizzando dalle ecoline agli oli, dagli acquerelli agli acrilici, ma tutte sostanze che sporcano, macchiano e che non si possono cancellare premendo su un semplice pulsante di un computer (a buon intenditor...). Da vedere.

    Sopra, l'entrata del Mercato coperto di Angouleme, meta dei nostri pranzi, sia per la comodità della vicinanza al padiglione (l'ingresso è sulla sinistra), sia per la dieta obbligata di quest'anno.

    Al nostro ritorno allo stand, ci concediamo una foto con lo staff della Moebius Productions, nostri vicini di corridoio, quindi scatto di gruppo con madame Giraud e tutte le ragazze al completo.
    Poi decido di andare a vedere la mostra di Philippe Druillet. Io non sono mai stato un fan di questo personaggio storico della BD francese e uno dei fondatori del gruppo degli Humanoides Associeès, gruppo di visionari autori che rivoluzionarono la fantascienza nei fumetti agli inizi degli anni '70; ma tutti mi dicono che la mostra sia bella anche per l'inusitata grandezza delle tavole per cui, lasciatomi convincere dai positivi giudizi, mi sto per indirizzare verso il museo archeologico di Angouleme. Quando mi viene il ticchio di telefonare a Simona Mogavino, hai visto mai che oggi siano reperibili? Lo sono anzi, sono a poche decine di metri da me all'Hotel Mercure. Li raggiungo.
    Ci mettiamo a fare due chiacchiere (è dalla manifestazione dell'anno scorso che non ci vediamo), e li accompagno a pranzo, anche se è quasi ora di merenda. Mentre loro pranzano io li accompagno con una birra e continuiamo a parlare. Poi però, vista l'ora, insieme a Filippo Cenni (un disegnatore senese) che l'accompagnava, decidiamo di andare alla mostra, l'orario di partenza si avvicina inesorabilmente, e ci lasciamo ripromettendoci di vederci quanto prima. Se va bene, l'anno prossimo.
    Col Cenni arriviamo alla mostra, dove c'è un po' di fila, e mentre aspettiamo mi sento chiamare dal Luca, è già sul piede di guerra per la partenza. Non ho tempo, saluto il Cenni e lo lascio lì, mentre me ne ritorno allo spazio espositivo.
    Partiamo poco prima delle 18,00, la tappa è Montpellier, dove contiamo di arrivare per mezzanotte.
    E così sarà. Cena frugale sul Van e rollino di marcia rispettato, adesso siamo in un Novotel periferico prenotato in viaggio dove passeremo la notte.

    La foto di gruppo con le ragazze dello stand accanto, con M.me Giraud (ultima a destra), quello della Moebius Production.

    Il magro bottino di quest'anno, un paio di albi, uno acquistato per godere dei disegni dell'amico Matteo Alemanno, l'altro regalato da M.ma Giraud, due importanti biglietti da visita e il pass. Poca cosa.

    Giorno Sette

    Partenza alle otto, baciati da una luce fredda, ma viaggiare così, senza il grigiore della pioggia incombente che ci ha accompagnato per tutti questi giorni, è tutta un'altra cosa.
    Usciamo dalla città e andiamo a prendere l'autostrada con l'intento di fermarci alla prima area di servizio per fare colazione. Il traffico del pendolari, anche in Francia, crea gli stessi problemi che da noi, e lunghe file si srotolano intorno alle uscite della città.
    A levante la palla rossa del sole annuncia con vigore che sarà una giornata all'insegna del cielo azzurro e dalla luminosità radiosa.
    All'area dove facciamo colazione, beviamo probabilmente il miglior cappuccino della settimana, e i croissant sono buoni come al solito, intorno a noi viaggiatori e camionisti che, come noi, iniziano la loro settimana lavorativa.
    Poi ripartiamo, e l'obbiettivo è non dover arrivare troppo tardi a Firenze per scaricare le poche scatole rimaste al deposito, anche se io mi fermerò prima.
    Nuova sosta per rifornimento intorno alle dieci, dove cogliamo l'occasione per acquistare il vettovagliamento per il pranzo, in modo da consumarlo in viaggio senza perdere ulteriore tempo, deserto a parte, la nostra è come una Parigi-Dakar.

     

    Dovendo necessariamente fare un resoconto, non che il mondo lo richieda, ma perché egoisticamente sento la necessità di concedermelo, il viaggio è stato come sempre utile. Almeno per me.
    Devo dire che ho alternato momenti di reale sconforto nel constatare una certa distanza che sto mettendo da tempo tra me ed il lavoro che, con amore e soddisfazione, ho fatto fino ad oggi. Ma gli stimoli, gli amici, i colleghi e l'idea che forse ancora qualcosa da fare ci potrebbe essere, si è incuneato negli interstizi della mia indecisione dandomi fiducia.
    Quello che ho maturato in questi ultimi tempi, e che credo non debba essere disperso, è la serenità con cui affronto certe cose, non so se in modo più maturo (alla buon ora!), ma sicuramente con più calma, senza frenesie e quindi con meno patemi. È come se avessi cancellato ogni scadenza, ogni obbligo verso me stesso e gli impegni col mondo, e abbia capito che debba concedermi il tempo necessario per fare le cose che mi piacciono e desidero realizzare. Se voglio farlo, altrimenti aspetto, rimando e posticipo senza sentirmi in colpa.
    Vediamo se questo sentimento si concretizzerà realmente, o se rimarrà semplicemente una sensazione momentanea, dettata solamente dalla recente esperienza. Di certo viaggiare, vedere, conoscere, e togliersi dai perimetri quotidiani che spesso ci costruiamo è sempre utile, lo confermo ogni volta, ma è necessario farlo perché deve essere come un mantra che non va scordato.
    Per cui, se a metà soggiorno avevo già notificato che forse questo sarebbe stato il mio ultimo viaggio ad Angouleme (a volte mi piace essere definitivo), oggi posso spingermi all'idea che forse non sarà così, e non so perché, la cosa mi fa stare meglio.
    Sulla compagnia ormai non ci sono più incertezze, è rodata, siamo affiatati, ci vogliamo bene ed è un piacere condividere spazi ed esperienze, ed ogni occasione è buona per stare insieme.
    Spesso ci accade che, nel viaggio di ritorno, pianifichiamo già quello successivo: non è forse un bel vivere questo?
    Che continui a durare così: alle nostre zingarate, evviva!

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    CALIFORNIA DREAMING -parte tre-

    Giorno 9

    Inizio CTN, che poi iniziò non è.
    Noi siamo gli unici a sistemare lo stand, in un padiglione dove nessuno pare preoccuparsi dell'inizio della manifestazione, per essere la mia prima edizione, non mi pare gran che. Si vedono alcuni addetti ai lavori, è qualcosa forse ci dovrebbe essere, vari ragazzi chiedono informazioni armati di cartellino e zainetti, parliamo con Gary Goldman e sistemiamo lo stand, applicando i nostri teli che raccolgono subito i primi complimenti. Poi capiamo, ma gli anni precedenti era diverso, che oggi ci sarà qualcosa, ma la manifestazione vera e propria inizierà l'indomani.
    Io, Alberto e le ragazze decidiamo di andare a vedere il LACMA, il Los Angeles County Museum of Art che era saltato il giorno precedente perché chiuso, per cui riprendiamo il taxi e ci dirigiamo verso Wilshire Boulevard.
    Il museo è costituito da due monoblocchi piuttosto regolari, accanto a quello degli Academy Awards, lo stile è moderno ma la forma è regolare, il primo è disposto su tre livelli collegati da una scala, mentre il secondo gli è di fronte ed accessibile da un'unica porta. L'arte contemporanea, che non era contemplata al Getty Museum, riparte da qua. In effetti il terzo piano, e il primo da visitare, è costituito dall'arte dal '900 ad oggi.

    L'esercito di lampioni di fronte all'ingresso del LACMA, e l'accesso al museo.
     

    Alcune delle opere esposte, dall'alto: Henning, Modigliani, Hockney, Magritte e Koenig.

    Qui ci sono opere esposte dei più grandi artisti del novecento, con l'inizio di tutte le correnti del secolo che hanno cambiato la storia dell'Arte. Da Pissarro a Cezanne, a Margritte, Grosz, Feininger, Leger, Modigliani, Picasso, Rothko, Klee, Kandisky, fino ad arrivare alla Pop Art con Warhol, Jones, Mc Millan, Liechtenstein, e poi Hockney,Pistoletto. Poi lo sviluppo dell'arte nel design con Eames, Saarinen, Aalto, la pubblicità e gli ultimi artisti composta di varie installazioni. Nel padiglione accanto c'è una mostra temporanea dell'arte contemporanea sud coreana, molto interessante e molti nuovi acquisti di autori americani.
    Una carrellata nel novecento con pezzi unici, anche qui con sezioni donate da vari filantropi della città, che hanno donato opere prelevandole dalle loro collezioni per concederle alla città. Adiacente al LACMA, stanno costruendo il nuovo Museo Geffen, che sarà una nuova struttura moderna che regalerà alla città ulteriori opere d'interesse artistico. Andiamo a pranzo in un localino lungo il Wilshire e poi c'è ne torniamo all'hotel.
    Stasera siamo invitati ad una prima del nuovo film d'animazione Disney "Strange World", direttamente nel cinema all'interno della Disney stessa. Si può dire una prima quasi mondiale, visto che la prima è stata fatta al teatro El Capitan due sere fa.

    Altre delle opere esposte, dall'alto: Mc Millan, Liechtenstein, Wahrol, poi la poltroncine di Saarinene e Alvar Aalto, e infine la dinamica installazione di Chris Borden.

    Alla partenza, nella hall dell'albergo, incontro Christian Scampini, un giovane creativo conosciuto anni fa in un festival, di cui entrambi non ricordiamo la precisione dell'evento, e ci mettiamo a chiacchierare ripromettendoci di vederci i giorni successivi durante la manifestazione.
    Arriviamo in orario, nonostante sia stato difficile trovare il taxi Uber che ci portasse alla Disney. Qui scopriamo che la prima è stato organizzata in concomitanza del CTN e vediamo diverse persone che avevamo incontrato nella hall dell'albergo pochi istanti prima in attesa dei rispettivi taxi.
    Veniamo fatti sedere nella sala non grandissima degli Studi Disney, sormontata da luci che compongono la silhouette di Topolino che nasconde le luci che la illuminano, e non prima che ci venga consegnata una bottiglietta d'acqua e un pacchetto di pop-corn, evidentemente, da queste parti, la perfetta visione di un film non può prescindere da questi due accessori. C'è da ricordare, che precedentemente i nostri cellulari erano stati introdotti all'interno di una guaina protettiva che li bloccava dentro, per non permetterci né di filmare, né di fotografare alcun che, durante la proiezione.
    Il film non è stato niente di che, uguale a mille altri, il solito politically correct che prevede a livello di razza una selezione di: bianco, nero, mulatto, indiano, cinese e, per genere almeno un gay, una cosa un po' ' stucchevole non perché queste cose non meritino la loro legittima presenza, ma perché quando è dosata col misurino diventa una buffonata non spontanea, e a mio modesto parere perde molto delle sue potenziali positività.
    La trama tratta di un giovane figlio di un esploratore coraggioso e indomito che, negato per l'esplorazione e un po' imbranato, invece di seguire le orme del padre, decide di fare il contadino, e opta così per una vita più tranquilla nel mondo di Avallonia. Il padre, contrariato dalla scelta, lo abbandona al suo destino lasciandolo alla vita agreste che tanto ama.
    25 anni dopo, mentre il figlio ha una sua attività ben avviata (la coltivazione di una sorta di pianta il cui frutto verde genera tutta l'energia utile ad ogni attività del paese), viene contattato per risolvere un problema che mette in pericolo tutto l'ecosistema del posto e che solo lui, in quanto esperto di questa pianta particolare, può risolvere. Il giovane figlio, come da cliché, contrariamente al parere del padre lo segue, e la per non lasciarlo da solo, anche la moglie si unisce alla missione. Si tratta di andare al centro del pianeta ed entrare in un mondo del tutto particolare, che si ritroverà essere un corpo di un essere dove scopriremo essere il suo "cuore" che si sta ammalando. Un viaggio al centro del corpo, dove questo è "il mondo straniero" e le creature che lo abitano rappresentano globuli, batteri ed organi vitali e dove l'interno di questo universo è in realtà il pianeta da esplorare e da curare. Il nonno partito anni prima, ritroverà la sua famiglia e, insomma, finisce tutto a tarallucci e vino.

    L'ingresso del teatro ai Disney's Studios, e un allestimento con i protagonisti del film d'animazione "Strange World".

    Di fronte all'esposizione dei premi vinti dalla Disney, con Alberto e Luca.

    Fine del film, dieci minuti buoni di titoli di coda da reggere con religioso silenzio e sacrale attenzione, ma forse di più, poi i soliti nerd che fanno domande a capocchia ai due creativi presenti che rispondono garruli e pimpanti alla piccola discussione alla fine del film, e poi finalmente tutti liberi e a nanna, dove dimenticheremo in un batti baleno la trama del film, ma ricorderemo la serata disneyana.
    All'Hotel mangiamo tutti insieme, il Drill&Grill Restaurant è uno dei pochi che fa le ore piccole, qui tutti cenano alle sei, e alle otto sono già tutti chiusi. Poi ognuno ritorna nelle stanze, accompagniamo Fabrizio Mancinelli all'uscita, e c'è ne andiamo tutti a dormire.
    È una costante alla quale oramai ci siamo abituati tutti, dopo cena siamo così distrutti che non rimane neanche un po' di tempo per fare due chiacchiere.

    Giorno 10 

    È il giorno dell'inizio del CTN, praticamente la vera ragione per cui abbiamo intrapreso questo viaggio, se non fosse che ci abbiamo accorpato parecchi giorni di vacanza, inclusi gli incontri con i Three Tooners per le interviste da fargli per una collana di libri che vorremmo realizzare con loro. Ultima sistemazione dello stand, con l'esposizione dei libri che abbiamo editato, e lo spazio relativo lasciato a Willy Ito, Toni Benedict e Jerry Eisemberg, tre leggende dell'animazione che saranno ospiti fissi della manifestazione.

    I "Three Tooners" all'opera allo stand dell'Accademia Nemo al CTN.

    La giornata praticamente è tutta qui, trascorsa allo stand, a firmare le copie del cartonato dei tre autori, nell'incontrare personaggi che potrebbero essere importanti collaboratori della scuola, e le PR utili alla nostra presenza alla manifestazione, PR che sono sicuramente prerogative più di Luca che mie, perché io in queste situazioni, al di là del fatto che non ho competenze nell'animazione e non conosco le personalità, sono anche un po' orso marsicano. Incontriamo John Pommeroy, Tom e Tony Bancroft, Aaron Blaise, Ron Barbagallo, e Gary Goldman, e questi ultimi due, insieme agli autori con Kathleen e Raymonde (la prima assistente di Toni Benedict, e l'altra la moglie di Eisemberg), andiamo a pranzo insieme.
    Il CTN oggi è pieno di vita, per me che è la prima volta l'affluenza è equivalente a molti festival francesi di BD, ma questa di può definire una festa per professionisti o aspiranti tali, organizzata per addetti ai lavori: artisti, studenti d'arte, recruiters, uno spazio dove scambiare conoscenze, fare pubbliche relazioni e allacciare proficue collaborazioni tra operatori del settore.
    Poi verso le cinque ci mettiamo in movimento e cominciamo a salutare tutti, anche se il distacco dalla compagnia è complicato, dobbiamo andare al palazzetto dello sport di Los Angeles, che qui ha un nome diverso, perché effettivamente non è propriamente un palazzetto, perché il vezzeggiativo "etto" è riduttivo, qui si chiama cripto.com Arena, perché si tratta di un'arena vera e propria, vista la grandezze e la maestosità.

    Dall'alto i palazzi di fronte alla cripto.com Arena, in occasione della partita di campionato dei Lakers contro i Detroit Pistons, gli enormi video che sovrastavano ed illuminavano la via, l'ingresso dell'Arena e la vista dal primo anello del campo di gioco.

    La struttura è moderna e nuovissima, e si trova nel mezzo della downtown, la parte commerciale e finanziaria di Los Angeles, irta di grattacieli tutti vetro e acciaio, siamo tra gli alti palazzi che compongono la zona che se è operosa di giorno, invece si spopola la notte perché costituita solo di uffici. Di fronte a noi, si ergono appoggiati ad un palazzo che probabilmente è un enorme parcheggio, tre enormi maxi schermi che nel complesso saranno oltre 400 metri quadrati di video. Questi illuminano la strada e l'area dei colori di fondo delle pubblicità che passano ciclicamente con un effetto psichedelico e caleidoscopico all'intera zona, un vero e proprio spettacolo di luci ipnotico.
    La gente entra nella struttura con calma e senza problemi, sembra una tranquilla serata al cinema, ma appena si ha l'opportunità di dare una sbirciata all'interno, lo spettacolo dell'immensità della struttura che ospita 20.000 spettatori è impressionante.
    Noi dobbiamo salire all'ultimo livello, il più alto, e lo facciamo accedendo da scale mobili che attraversano in diagonale l'enorme atrio, dandoci una prospettiva dall'alto e una visione esterna dei maxischermi attraverso i vetri, davvero suggestiva.

    Nella nostra posizione con Alberto, e alla fine della partita.

    All'ultimo anello la vista è ottima, il rettangolo di gioco è visibile benissimo da ogni parte e da quassù si gode anche di una bellissima vista d'insieme. I posto mio e di Alberto è il primo della fila dell'anello, la visione sarà perfetta.
    È inutile parlare della partita dei LA Lakers contro i Pistons di Detroit, anche se nel primo quarto i secondi sembravano nettamente superiori, difendevano bene, sbagliavano poco e sono andati avanti per oltre dieci punti di vantaggio. Poi i locali hanno raggiunto gli avversari e dopo un piccolo testa a testa durato appena un quarto, sono sopravanzati di circa dieci punti e non hanno più perso il vantaggio fino alla fine vincendo agevolmente. Per la cronaca Lebronn James, l'astro di casa e il giocatore americano più importante è conosciuto al mondo, non giocava, era seduto a fine panchina in tuta, ma nonostante l'assenza, la sua squadra ha vinto lo stesso, con un Anthony Davis che si è portato a casa uno score di 38 punti personali, con non so quanti rimbalzi.
    Ma il vero spettacolo è tutto il resto, l'insieme è costruito come un grande show che deve soddisfare lo spettatore ben oltre la semplice attrazione sportiva, e lo fa con gli stacchi delle Lakers Girls (le cheer leaders), che nell'arco della serata hanno realizzato tre balletti, i giochi che vengono svolti tra le interruzione dei quarti, con gli sponsor che attraverso prove di abilità (facendoli fare un percorso con i canestri, e giochi a quiz sul basket) coinvolgono degli spettatori selezionati che vincono dei premi, l'orchestra che in una pausa intona la musica della squadra, e poi i giochi di luce che si riflettono sul parquet, la musica che incombe anche durante la partita con basi per quando la squadra è in attacco o è in difesa. Poi, per tutto il tempo sugli schermi che sovrastano il campo campeggiano punteggi, e lo score riguardante le percentuali dei giocatori, e passano continuamente le pubblicità. Poi, sempre sugli schermi, anche nei momenti d'attesa si coinvolge il pubblico con inquadrature mirate, una telecamere insegue le persone sugli spalti e le inquadra per alcuni momenti rendendole protagoniste momentanee. E' attraverso queste inquadrature che vediamo nei posti a bordo campo Jack Nicholson e Benicio del Toro, riconosciuti fans della squadra dei Lakers. Un enorme, gigantesco spettacolo nello spettacolo che si svolge ogni volta che la squadra gioca in casa e lo spettatore/cliente è il protagonista assoluto, il punto centrale in cui giocano le attenzioni degli organizzatori, è lui il vero protagonista insieme ai giocatori, e questo meccanismo trasforma la serata di sport in una serata di puro divertimento.
    E se talvolta, per mille altri motivi, trovi delle riflessioni un po' deludenti sugli americani in merito a molti altri contesti, devi convenire che su spettacolo e ottimizzazione del business non hanno da imparare da nessuno. Del resto questa idea di "divertimento totale" la ritrovi nei parchi a tema, dove tutto è sfruttato, ottimizzato per regalare totale divertimento allo spettatore, il business che si sposa con l'entertainment, è tutto riporterebbe al cinema che, anche se l'hanno inventato i fratelli Lumiere, qui ha trovato la sua massima espressione diventando il mercato e l'industria più importante del paese.
    Comunque, a fine partita il pubblico defluisce con tranquillità e senza problemi, anche se l'arena non era tutta esaurita il tutto si svolge senza intasamenti o file lunghissime, fuori ci accolgono svariati banchetti di venditori di hot dogs abusivi, che vista l'ora rifocillano le migliaia di persone che probabilmente non hanno cenato, per poi eclissarsi velocemente, probabilmente per paura di rappresaglie della polizia. Poi da ogni parte driver di taxi abusivi che si offrono al migliore offerente, ma noi coerentemente optiamo per il nostro Uber, una applicazione mai sfruttata così tanto in questi giorni. Arrivati all'albergo avremmo anche mangiato qualcosa se non fosse che a quell'ora anche i franchise poco distanti, i pochi aperti, fanno solo takeaway con le auto, per cui decidiamo di tenerci la fame, e soddisfarla il giorno dopo, del resto un salto di cena, con tutti i troiai che mangiamo, non può farci che bene.
    Fegato & C. ci ringrazieranno.

    Giorno 10

    Siamo già a doppia cifra, il che significa che la nostra vacanza sta volgendo verso il termine.
    Digiuni dalla cena, io e Alberto decidiamo di compensare con una colazione all'americana: uovo in camicia affogato in salsa olandese su un toast e una fetta di bacon e patate con ketchup, una cosa leggerina che mi rimarrà, nonostante lo spazio avanzato dalla sera prima, sullo stomaco per tutta la mattina, tant'è che a pranzo opterò per una semplice New England Soup Crowd, una zuppa che abbiamo già mangiato e che è diventato un must.

    La corposa colazione all'americana, con l'uovo in camicia, salsa olandese (il bacon è nascosto dall'uovo) e le classiche patate col ketchup, un inizio di giornata corroborante e ricca di calorie.

    Mi trovo sempre più convinto a pensare, che la "paura di morire di fame" nella catena del nostro DNA abbia radici molto profonde e difficili da estirpare, per cui nel contesto del trittico colazione-pranzo-cena, in una giornata tipo di un italiano, quando salta uno di questi elementi, deve subito essere rimpiazzato con un succedaneo o un rinforzo sugli elementi successivi.
    Ad ogni modo, siamo al secondo giorno di CTN, la manifestazione è in pieno svolgimento e le cose da raccontare non sono moltissime anzi, diciamo che per tutta la giornata il nostro baricentro è e rimane lo stand, intorno al quale accadono incontri, si fanno nuove amicizie o se ne incontra delle nuove. Gironzolando all'interno degli spazi della manifestazione capita di incontrare artisti più o meno conosciuti, per me meno, ripeto: non è il mio ambiente e mi mancano i punti di riferimento ma, per fortuna ho intorno a me persone che supportano e sopportano questa mia indolente ignoranza.
    Alberto si arrocca allo stand e comincia a prendere gusto alla vendita e, nel suo agile inglese, si inerpica anche in spiegazioni che non gli competerebbero ma dalle quali ne esce splendidamente al punto di apparire quasi uno standista preparato e competente.
    E il bello è che si diverte.

    Stand al CTN e quello dell'Accademia Nemo.

    È entrato subito in sintonia con i Three Tooners che lo hanno adottato come nipotino, così come hanno fatto con Rebecca e Ginevra, le figlie di Fabrizio, e loro lo chiamano e ci parlano storpiando il suo nome, come fanno simpaticamente con il nome di tutti, in un inglese che dilania in un miagolio che solo lontanamente ricorda la fonetica dell'originale.
    Stare allo stand, anche semplicemente a presenziare come faccio io, che sono l'emblema più vicino all'inutilità in queste situazioni, perché il mio pessimo carattere che non m'induce verso l'accoglienza e l'accomodamento altrui, mi impedisce di essere utile, e non riesco bene a capire come ma chi mi sta vicino non mi mandi a cagare, ad ogni modo, anche così la cosa stanca.
    Andiamo a pranzo che siamo un battaglione, è sempre così, siamo capaci di raccattare chiunque nel raggio di cinquanta metri, è più forte di noi, ma questa è sempre riuscito a dare forza al nostro gruppo. Poi, in questo caso, siamo oggettivamente molti, i tre artisti con Kathleen e Rymonde e una sua amica, noi quattro (Rebecca si sente poco bene), Fabrizio Mancinelli e Florian Satzinger.

    Il classico pranzo Nemo, "più siamo e meglio stiamo".

    Nel pomeriggio la musica non cambia, oggi tutta la giornata al CTN, Toni Benedict è tornato a casa insieme a Kathleen e il carosello che si alterna intorno allo stand è sempre molto concitato. Si presenta a noi un illustratore/animatore francese ma che vive negli USA e ci fa vedere un piccolo pitch molto bello di una produzione che vorrebbe realizzare, e rimaniamo colpiti dai disegni e dalla qualità delle immagini, e speriamo o di poterlo aiutare in qualche modo. Ci sono un sacco di giovani artisti a caccia di nuove opportunità, i tavolini dei recruiters sono sempre affollati di studenti che mostrano il loro portfolio, è una circostanza in cui si creano connessioni, ci si conosce e si spera che il proprio lavoro interessi a qualcuno che ce lo promuova e lo valorizzi.
    In merito a questo, stavo facendo alcune semplici considerazioni: la prima è che i controlli così poco stretti, in altri contesti sarebbero stati sfruttati dai soliti furbi che si sarebbero intrufolati senza pagare il biglietto, cosa che qui non succede.

    Alberto nei panni del bookseller e, devo dire, mi pare che gli stessero comodi.

    La seconda è che è una manifestazione dove sostanzialmente non si vende niente (a parte un paio di stand che hanno libri di making of, e le opere degli artisti), e quindi non si può pensare di avere enormi afflussi di persone, (in buona sostanza è un mercato circoscritto di addetti ai lavori) né promettere lauti incassi ai partecipanti, ma è stata invece concepita per dare opportunità e nuovi contatti per aiutare le aziende a trovare personale compatibile con le loro esigenze, e creare reali opportunità per artisti di trovare una collocazione professionale adatta alle loro competenze.
    La giornata scorre tranquilla, Alberto ci saluta e va all'aeroporto Internazionale di Los Angeles per ripartire e tornare a casa entro la fine della domenica. È il primo a lasciare la comitiva, lo aspetta un lungo viaggio di ritorno.
    Cambio di camera per una redistribuzione dei letti e ulteriore disguido con la reception, questi americani hanno una duttilità che a confronto i quaccheri sembrano giovani partecipanti ad un rave di techno. La sera a cena siamo insieme a Tom Bancroft, il resto del gruppo ed Eleonora Giuffrida, la studentessa che si aggregata a noi negli ultimi giorni. Io sono scosso da colpi di tosse fastidiosi da un paio di giorni e la cosa si sta acuendo, mi è passato il male di gola, ma è arrivato un raschino insopportabile ed ho momenti di violenta compulsione, stasera che dormo con Luca e Fabrizio, non vorrei rovinargli la nottata (con Alberto non avevo questo problema, cadeva in un sonno così profondo, che non l'avrebbe scosso neanche l'adunata dei bersaglieri). Così, prima di andare a letto prendo sciroppo, spray al proporli e perfino una Tachipirina, tutto l'armamentario a disposizione per contenere il problema.
    Domani vi dirò com'è andata.

    Giorno 11

    La situazione è andata meglio del previsto, mi sono svegliato alle 5,00 ma mi sono anche riaddormentato, anche se tuttavia credo di avere suonato diverse arie tratte da Bach col mio russare. Speriamo almeno di essere stato intonato.
    Sveglia normale e discesa a fare colazione per l'ultimo giorno del CTN.
    Anche oggi non ci sono resse. E per me, che è la prima volta che vengo, mi pare una manifestazione tranquilla e senza stress, dove chiunque può parlare con chiunque.
    Anche stamani visioniamo un progetto spagnolo molto bello (curioso come i più belli siano di origine europei), e incontriamo Fabrizio Mancinelli e Max Narciso, nel tourbillon degli artisti che però sembrano molto meno dei giorni precedenti.
    La mattina trascorre tranquilla e senza grandi problemi, e poi anticipiamo il pranzo consci di dover avere il tempo per organizzare il panel dei Three Tooners (ma senza Toni Benedict che non pare intenzionato a tornare), e quindi muoviamo verso il Drill&Grill Restaurant.
    Dopo il consueto pasto a base di hamburger, ci dirigiamo tutti verso la sala Pasadena del luogo in cui abbiamo l'incontro. Condurrà Fabrizio Mancinelli che si è prestato a fare il commentatore e da collante all'intero scambio di opinioni consueto tra Willi Ito e Jerry Eisemberg.

    La sala è molto ampia e si notano di più gli spazi, ma nel contesto della manifestazione possiamo dire che l'ora di racconti e comparazioni con un mondo dell'animazione che non esiste più, è stato davvero interessante.
    Finito l'incontro siamo andati allo stand a cominciare a inscatolare il restante del materiale fino ad oltre le cinque. Abbiamo smantellato lo spazio, venduto le ultime cose, ordinato ogni oggetto nell'apposita scatola e li abbiamo accatastati in un angolo.
    Poi insieme a Fabrizio Mancinelli e Eleonora Giuffrida, ci siamo diretti alla villa di Andreas Deja, che ci aveva invitato per farci vedere in anteprima il suo "corto" (di 29 minuti), che ha disegnato, diretto e prodotto.
    Arriviamo alla sua villa salendo su per stradine circondate da case di un certo livello, è piuttosto buio, ma si percepisce la ricchezza del quartiere. L'autista di Uber perfino si perde nel dedalo di viuzze tutte uguali, anche se sta seguendo pedissequamente le direttive del navigatore satellitare.
    La villa è situata alla fine di una ulteriore stradina in salita, è in stile simil-messicano, con archi alle finestre e bovindo, ci fa strada Roger, il compagno di Andreas, ed entriamo in una classica casa americana da Star di Hollywood. Sappiamo che Andreas sta molto bene, ed ognuno si è immaginato la casa in relazione alla propria fantasia, ma la realtà spesso proporne sempre inaudite sorprese. È illuminata con luce diffusa e la luce è presente in tutte le stanze, come se tutte, all'unisono volessero darci il benvenuto. Fabrizio e le ragazze sono già arrivai e sono nell'atrio, dove campeggia una scala che sale con moto rotatorio verso l'alto, dove si propone un piccolo ballatoio che ospita due poltrone e che dà accesso al piano superiore. Le stanze sono grandi e soprattutto numerose, c'è una sala, poi un'enorme cucina che da su un altro ampio spazio prospiciente all'esterno, dove si estende un giardino che da sulla città illuminata, e dove una luce bluastra illumina la piscina adiacente.
    Una vista da sogno.
    Andreas ci offre del prosecco e degli stuzzichini prima di farci accomodare nella sala adibita alla visione, dove infatti un ampio divano è posto di fronte ad un enorme schermo TV. Non posso fare a meno di sbirciare alle pareti, è un mio vizio, dove troneggia un bellissimo quadro con un primo piano di una tigre realizzato ad olio, e sul fronte opposto c'è una splendida illustrazione in BN di Hirshfield che raffigura Clark Gable e Vivien Liegh, splendidi protagonisti di "Via col vento". Poi devo necessariamente allontanarmi dal mio curiosare perché la proiezione ha inizio, e così comincia la visione di "Mushka". Mushka è una storia ambientata in Russia, e che parla dell'amicizia di una tigre siberiana con una ragazzina, che si ritrova a frequentare di nuovo il padre, a causa della malattia della nonna che l'aveva in custodia. Ci sono dei cattivi che a suo tempo uccidono la mamma tigre, la quale lascia un cucciolo di cui la ragazza si prenderà cura, e l'amicizia che cresce con l'età dei protagonisti, fino a che non dovrà abbandonarlo con grande strazio per salvargli la vita, e alla fine tornerà e ne ritroverà i figli. La storia naviga sui binari del classico, sia come trama che come dinamiche narrative, la realizzazione stilistica invece ha un sapore più moderno, il clean-up è volutamente sporco, e da all'insieme una maggiore freschezza, i colori sono tenui e la messa in scena stilizzata e sintetica, e il risultato finale è decisamente coinvolgente.
    Molto belle le musiche di Fabrizio Mancinelli, il nostro accompagnatore, mentore ed amico di questa nostra lunga vacanza, che ha cercato di rubare tempo al proprio lavoro per stare con noi e farci da pigmalione in questi giorni, ma anche divertendosi molto insieme a noi. Le musiche hanno un sapore classico che decisamente ricorda le melodie russe ed avvolgono col calore delle loro note l'intera storia, un lavoro di grande spessore. Appena terminata la visione, giusto il tempo di ringraziare Andrea di questo privilegio, fargli i complimenti per il lavoro, che usciamo per raggiungere il ristorante dove proprio lui ha prenotato la cena da: Hugo's.
    Il ristorante ricorda una road house, ed ha cibo che ci dicono attento alla qualità delle materie prime che, ci dicono, dovrebbero essere a Km 0 ( con tutto quello che può comportare in un contesto come quello di Los Angeles), e fanno una pasta decisamente buona.
    Siamo buoni, gli crediamo.
    Ordiniamo una pasta che sulla carta dovrebbe essere una "quattro formaggi", anche se uno di questi è il cheddar, che qui usano anche come zeppa per le porte; ci chiedono anche con cosa c'è la debbano accompagnare, e noi, su suggerimento di altri diciamo patate, (tanto per cambiare), pare che certi piatti di pasta debbano avere un degno compagno per essere serviti.
    Ma i consigli sono giusti, la pasta anche se a 8000 gradi farheneit, è decisamente buona, diversa dalla nostra ovviamente, ma buona.

    L'unico disegno realizzato in questa occasione, una dedica al caro amico Fabrizio Mancinelli.

    Noi gentilmente offriamo la cena, anche se Roger si era alzato per andare a pagare, non sia mai, è come fosse  scritto nella statuto della scuola, non sia mai che la Nemo faccia pagare o un pranzo o una cena, l'ho già detto e lo ripeto, noi siamo mensa aziendale e catering per tutti e, come da consuetudine, offriamo noi!
    Loro, a dire il vero, si offrono di portarci all'Hotel, meno male, almeno i soldi di Uber questa volta li risparmiamo.
    All'albergo salutiamo tutti, con Fabrizio ci rivedremo prima della partenza, con gli altri alla prossima occasione, poi un ultima sosta nel salottino pre-sonno per la chiacchieratina serale prima della ninna, e poi tutti a letto.
    Domani siamo al penultimo.

    Giorno 12

    Stamani andiamo da Jerry e Raymonde Eisemberg, la fantastica coppia, l'unica che sia rimasta ancora tale del trio di artisti, è l'unica che non avevo mai conosciuto, e ho avuto modo di farlo in questi giorni del CTN e mi sono rimasti nel cuore. Dobbiamo lasciargli delle scatole nel loro garage che poi andremo a far prendere da un corriere, il materiale e i libri rimasti, pochi per fortuna; inoltre Luca deve terminare anche l'intervista da inserire nel libro monografico che vorremmo dedicare all'artista.
    Oggi non prendiamo il solito Uber, perché uno degli steward dell'hotel, ci ha consigliato un suo amico tassista (probabilmente abusivo) che ci farà spendere un po' meno, ed abbiamo deciso di prenotarlo anche per domani per portarci all'aeroporto. Con noi viene anche Eleonora che, col suo inglese assai migliore del nostro, ci aiuterà nelle domande. La coppia vive a Tarzana (un nome che solo gli americani potevano dare a un paese, e non cominciamo a fare battute su Cita o Jane), un quartiere della città composta da mille altri come questo, in un punto che anche se ve lo dicessi non riuscireste a capire bene dove si trova, vista la loro somiglianza ed alla ragnatela di boulevard, drive, street e route che l'attraversano. Inutile dire che la giornata è esattamente come le altre, oggi, se volessimo essere ancor più precisi, all'ora in cui partiamo, qualche nuvola che opacizza leggermente il cielo c'è, anche se è del tutto ininfluente, e nelle ore successive, le suddette nuvole si vaporizzeranno lasciandoci ulteriormente immersi nell'azzurro. Ma è pur vero che l'imprevisto è sempre dietro all'angolo, a soli tre minuti dal traguardo, dopo avere udito un rumore sospetto qualche minuto prima, il guidatore si ferma per controllare le ruote e si accorge che quella posteriore destra è forata. Si ferma ad un distributore e la rigonfia giusto per accompagnarci a destinazione, sembra che le forature stiamo diventando una sinistra caratteristica dei nostri viaggi (vedi quello di Angouleme).

    L'imprevisto sempre dietro all'angolo, la foratura come costante nei nostri viaggi.

    Il quartiere dove ci fermiamo sembra appartenere a una zona residenziale tranquilla, a dire il vero mi pare di avere visto solo zone di questo tipo, casette in legno molto basse e circondate dal classico prato verde, ampi garage e macchine che stazionano fuori, alberi che costeggiano le strade e che si alternano con le classiche palme altissime, caratteristiche della città, insomma, la classica cartolina del quartiere residenziale medio americano. La casa di Jerry e Raymonde non fa differenza, scarichiamo le scatole e le mettiamo all'interno del garage, che ha il bello di essere incasinato come tutti i garage, ma in più questo ha anche molti originali di Jerry distribuiti un po' ovunque, una delizia per ogni appassionato. La casa ha ampi spazi, ma nel complesso non ha quelle esagerazioni che spesso sembrano un'ostentazione inutile, qui tutto ha una sua funzionalità, ed è perfetto per la vivibilità di una coppia. I mobili sono sobri e hanno una eleganza vintage ma al contempo anche un design semplice che denota buon gusto, tutto è vissuto ma non trascurato, e si percepisce un'ordine e una pulizia che rispecchia la coppia. Lo studio è sobrio ma non sovraccarico di minuterie leziose o inutili, ingombranti né ostentazioni del proprio operato, lo spazio di lavoro di una persona ordinata ed equilibrata anche nelle sue passioni. Disseminate per tutta la casa, ma con ordine e oculatezza, ci sono maschere, statue di giraffe un po' ovunque e suppellettili di foggia africana e precolombiana, così come da molti titoli in libreria, si percepisce l'interesse di Jerry per altri popoli, e questo è il chiaro indicatore di un'apertura verso civiltà diverse che lo rendono la persona che è.

    La casa di Raymonde e Jerry Eisemberg a Tarzana.

    Del resto, di tutti i personaggi che ho conosciuto Jerry è indubbiamente quello che ha uno spessore diverso, emana un'intelligenza arguta e curiosa, si percepisce anche dalla sagacia delle sue battute, sempre pungenti e mai banali, e dette sempre con quel sorriso bonario di chi ama prendere la vita con la giusta leggerezza cercando di vederne sempre il lato migliore. Nel suo volto e nel suo sguardo in particolare, scorgo la stessa bontà che aveva mio nonno, lo stesso modo che aveva di vedere il mondo, di quelle persone che cercano di smussare gli angoli piuttosto che acuire spigoli, e mi intenerisce il suo sorriso subito dopo avere detto una battuta, quasi a compiacersi non tanto per essere stato divertente, quanto per avere fatto quel piccolo regalo agli amici. Quando ci scambiamo gli sguardi, vorrei poter parlare con lui, ma il mio inglese non è tale da potermi permettermi di farlo come piacerebbe a me, ma non per chiedergli del lavoro e degli artisti che ha conosciuto, ma per sapere chi era, cosa faceva, conoscerlo in profondità; sono sicuro che mi sembrerebbe di parlare col mio amato nonno, ma purtroppo questo è un privilegio che non ho potuto avere. Mi accontento di avere scambiato qualche sorriso con lui, avere vissuto dei momenti insieme che ricorderò con grande affetto, per il senso di pace e di serenità che mi ha regalato. Del resto, tutto questo è merito anche di chi gli sta accanto, la moglie Raymonde, esprime una tale tenerezza e un amore verso quell'uomo che ho invidiato a quell'anziana coppia tutto il tempo che si sono concessi insieme, quando si guardano c'è una tale dolcezza nei loro sguardi, una tale complicità, è una tale condivisione di intenti, che mi fatto tornare in mente le parole di un filosofo sentito poco tempo fa, quando parlava d'amore, e affermava che quando due persone sono in quello stato, le loro onde magnetiche si fondono insieme entrando in sintonia, tutto è condiviso ed è vissuto con una intensità maggiore. Loro sono così, ancora adesso.
    Accomodati in salotto sulle comode poltrone, Luca ed Eleonora cominciamo con le loro domande alle quali soggiace con la consueta bonomia fino alla fine della mattina, sotto gli occhi attenti e materni della moglie. Poi andiamo tutti a mangiare ad un ristorante li vicino il CKP California Kitchen Pizza, dove ci concediamo un piatto di pasta e una pizza a metà tra me e Luca. La scelta della pasta, già fatta diverse volte, è soprattutto frutto dell'eliminazione di alternative di hamburger e consimili di cui ci siamo abboffati per tutti questi giorni, non siamo mai alla ricerca di qualcosa che ricordi casa (a me non è mai interessato anche perché so che non lo troverò mai, e non mi interessa) ma piuttosto siamo in fuga da macinati di carne rossa, ketchup, patatine o fritti di vario genere, per capirsi.
    Anche perché queste scelte talvolta portano a delle sorprese, la mia pasta infatti, che nel menù ha qualcosa nel titolo con Tijuana, ha infatti un sugo dai sapori messicani e, come ogni cucina estera, è concepita e rivisitata col gusto locale che, in questo caso ha fortissime influenze del paese limitrofo, oltre al fatto che la pasta non era neanche scotta e a me non è dispiaciuta affatto. La pizza che abbiamo condiviso con Luca, ricordava una quattro formaggi (anche se qui la facevo da padrone il sempiterno cheddar) con del pomodoro sopra e, a detta di entrambi, è stata gradita.

    A pranzo dopo un'intensa mattinata di interviste, da sx: un emaciato Fabrizio, Eleonora, Jerry, Roymonde, Luca ed io, davanti a pizza e spaghetti all'americana (Tijuana).

    Siamo tornati di nuovo a casa degli Eisemberg (dista poche centinaia di metri dal ristorante), ci siamo intrattenuti ancora un po', fare compagnia a questa anziana coppia ci rende felici e vediamo che rende felici anche loro, abbiamo movimentato la loro vite in questi giorni e Luca con i suoi progetti ha dato ulteriori stimoli a questi grandi artisti, oggi un po' dimenticati. Ma non vogliamo neanche abusare della loro resistenza, ed è giusto dargli un po' di riposo. Al commiato, vorrebbero non lasciarci andare, con quel trasporto che gli anziani riversano nei confronti di chi ha avuto l'attenzione di condividere con loro il tempo: mi chiedono di salutare Alberto, vogliono vedere le foto di mia figlia, e quella di mia moglie e, quando sul vialetto del giardino ci scambiamo un altro abbraccio, negli occhi di Raymonde c' è una tale gratitudine che a stento trattiene le lacrime.
    Speriamo di vederli ancora, Jerry ha qualche acciacco ed ha difficoltà di movimento, anche se ha un bell'aspetto, ma gli anni non sono pochi, e nei nostri occhi, e credo anche nei loro pensieri, resta fortemente il desiderio e la speranza di avere altre occasioni.
    Rientriamo all'albergo navigando attraverso il traffico di Los Angeles come oramai siamo abituati a fare, volevamo andare alla galleria di Van Eaton, ma il pomeriggio del lunedì è giorno di chiusura, rimanderemo a domani, se avremo ancora voglia e tempo per farlo. Ci dirigiamo verso il Marriott e decidiamo che questa penultima giornata californiana, per oggi può finire qui, tra le mura dell'albergo, vorremmo anche riposarci un po', io devo scrivere il mio report e dobbiamo fare il check-in online, decidiamo così di non muoverci più.

    Giorno 13

    In camera siamo tre acciaccati, io e Luca siamo in preda ad una sorte di rinite allergica agli acari e allo smog, che ci fa tossire a senso alternato, e sono giorni che tra sciroppi e pasticche cerchiamo di lenire i pizzicori di gola. Fabrizio invece, è dalla cena di domenica sera che ha un leggero disturbo di stomaco che lo ha messo ko il giorno prima, ammosciandolo come un cencio sporco.
    Ma stamani sembriamo leggermente più tonici, il problema è che dobbiamo partire, intendiamoci, non ho nessun rimpianto e torno anche volentieri a casa, abbiamo fatto quello che dovevamo fare, allacciato contatti, visto le persone che dovevamo vedere, e ci siamo goduti quello che la città ci poteva offrire, dodici giorni nella città degli angeli sono sufficienti per vederla.
    Stamani si va da Van Eaton, il collezionista che abbiamo visitato all'inizio della nostra avventura, di cui abbiamo visto la nuova sede e ci aveva invitato anche all'inaugurazione, alla quale non siamo potuti andare perché era in pieno svolgimento il CTN.

    Ventura Boulevard.

    Solita trafila con chiamata di Uber e arrivo in loco sulla Ventura Blvd, una via piuttosto ampia e con un'attività commerciale abbastanza florida. Al negozio, anche se è riduttivo chiamarlo così, ci perdiamo per oltre due ore tra originali, gadgets, memorabilia, pezzi storici, tirature limitate di originali, stampe e miniature di ogni personaggio Disney, un vero tempio per l'appassionato di Animazione, materiale Disney è tutta quella quantità di action figures e statuine che solo gli americani possono produrre intorno ad un brand di successo fino a spremerlo all'ultima goccia.

    L'ingresso di Van Eaton.

    C'è l'originale della planimetria del primo progetto Disney, pupazzi di Pinocchio ed altri personaggi a grandezza naturale, progetti originali degli architetti dei padiglioni dei parchi a tema, manifesti di film originali, sketches di ogni tipo, vetrine ricolme di characters di ogni dimensione rappresentanti personaggi di ogni tipo, il tutto di in un ambiente nuovissimo e organizzato come un museo.

    L'interno del negozio/galleria.

    Praticamente ci passiamo la mattinata, poi rientriamo in albergo per pranzare con l'ultimo hamburger della vacanza insieme a Fabrizio Mancinelli che non ha voluto rinunciare a dare l'ultimo saluto a questo brandello d'Italia che ritorna in patria, ma che con la sua goliardia ha portato un po' di sano casino in questa parte della California. Per l'occasione, Fabrizio ci ha gentilmente regalato il CD delle colonne sonore del film "The Land of Dreams" di cui ha curato musiche e testi delle canzoni e, alla fine, ci ha lasciato con rammarico di tutti, e con un sincero arrivederci a prossime occasioni, giusto in tempo per caricare i bagagli sul van del nostro nuovo tassista che, come per magia fa scomparire il nostro ingente bagaglio nel Toyota Serra, un gigantesco crossover come se ne vede da queste parti, e ci dirigiamo verso il Tom Bradley Airport di Los Angeles.
    Le pratiche di imbarco sono veloci, molto più del previsto, ma questo lo avevamo riscontrato anche all'arrivo, e in uscita dal paese è sempre più semplice. C'è ben poco da aggiungere, ci accomodiamo tutti sulla stessa fila di sedili, come fissato nel check-in-in online, e poi ci accomodiamo ognuno concedendosi le proprie priorità.
    Io mi guardo i film "Ambulance" di Michael Bay, un action adrenalinico che praticamente si svolge su un'ambulanza in fuga, e "La ragazza della palude" una sorta di procedural drama, con tinte noir, interessante.

    Il Tom Bradley International Airport di Los Angeles.

    Poi proviamo a dormire, ma sono nel posto di mezzo tra Fabrizio e Luca, e dispongo di possibilità di movimento molto limitate, mi gonfio il supporto per appoggiare il collo e provo a dormire. Passo tre ore così, tossendo per l'aria condizionata e rigirandomi sulla poltroncina, con la coperta addosso e come un'anima in pena. Poi si accendono le luci e comincia la distribuzione della "colazione", una sorta di sandwich confezionato, un Crunch e una mini macedonia che ci permette di rivedere la frutta dopo quasi quattordici giorni. La prima tratta del viaggio, la più lunga è tutta qui, atterriamo alle 4,30 americane che sono le 13,30 europee.
    Prima cosa: rimettiamo gli orologi.
    Solo un paio d'ore d'attesa per il volo per Firenze, una bazzecola.
    I ritorni sono sempre meno brillanti delle partenze, all'andata c'è l'euforia della promessa, al ritorno le certezze dei consuntivi, e l'idea di tornare ad una normalità abbandonata da parecchi giorni.

    Gli italici three tooners prima del decollo, da notare la prestanza di Luca, afflitto da malanni per l'intero viaggio. 

    Adesso che sono atterrato anche a Firenze, e quando per primo ho visto sul nastro trasportatore arrivare il mio bagaglio in stiva (cosa mai successa), mi dico che oramai il viaggio è davvero terminato, lo raccolgo, e mi metto in attesa degli altri che recuperino le loro.
    Prendo al volo un treno su cui non avevo contato soltanto perché ci mette una mezz'ora in più, ma ha il merito di non fare scali intermedi, ed adesso sono seduto, stanco e indolente a scrivere questa ultima appendice di report.

    Che dire, allora? Los Angeles è enorme, gigantesca e tentacolare e si può tranquillamente affermare che è una città che non ha un'anima, perché è un'insieme di altre cittadine divise da colline e vallate, accorpate ed unite tra loro unicamente da autostrade a dodici corsie che la attraversano e la sezionano in mille parti. È talmente vasta che praticamente è impossibile fornirla di mezzi pubblici adeguati, gli autobus della Metro che abbiamo visto, hanno dei percorsi che, nell'immensità topografica della città, non sono sufficienti per alleggerire il traffico che è caotico, e sono assolutamente insufficienti al fabbisogno urbano. Chi non ha un auto può ben poco, le distanze sono enormi e gli spostamenti impossibili, specialmente se si prendono le autostrade, fino a che si rimane nelle strade urbane, anche queste di cinque corsie, si viaggia con relativa tranquillità, come si prende una circonvallazione, ci si deve affidare al rosario e alla Madonna del Traffico, ricordate il film di Joel Schumacher con Michael Douglas "Un giorno di ordinaria follia"? Ecco, siamo da quelle parti.
    Qui ci si sveglia molto presto (del resto per colmare certe distanze, secondo dove si lavora, non si può fare diversamente), si fa una bella colazione, a pranzo si mangia poco o, mi dicono, molti addirittura lo saltano, ma in compenso si cena prestissimo, molti ristoranti infatti alle 20,30 sono già chiusi.
    Non abbiamo avuto modo, ma non abbiamo neanche capito, come si divertono, quando vanno a cena, ad esempio? O almeno, ma le cene tra amici, a che ora le fanno? E la domenica. Come impiegano il loro tempo, in una città dove sei costretto a mettere il culo sull'auto di lunedì per rialzarsi il sabato, si rimettono alla guida per andare da un'altra parte? O ci rinunciano e si godono la casetta?
    E tutti i visitatori dei parchi a tema, ad esempio, sono tutti turisti, sono americani provenienti da fuori, o sono tappa fissa per ragazzi che hanno ben poco altro da vedere?
    Per un europeo credo siano domande che, anche se troveranno una risposta, sono difficili da comprendere, tanto le modalità della nostra vita sono diverse e in certi casi, opposte. Tutto è un supermercato: abbiamo visto Farmacie che vendono di tutto, o sarebbe meglio dire, supermercati che vendono anche farmaci. Non ci sono negozi al dettaglio, non ci sono macellerie, panifici, fruttivendoli o pescherie, intendiamoci, qualcosa ho visto ma soprattutto mi è stato detto, non ho fatto un'indagine sul territorio, non ero lì per fare un documentario sociologico. Se vuoi del pesce lo trovi confezionato al supermercato, e così vale per frutta, pane e carne assortita. Ma tutto quello che trovi è industriale, non è che al supermercato trovi il banco del pesce, del pane, o della frutta, trovi tutto confezionato.

    Testimonianze del viaggio.

    La ristorazione ha praticamente due livelli, quella del franchising, varie tipologie di marchi strutturati a catene, più o meno piccole, dalle grandi: McDonald's, KFC, Burger King, alle più piccole Del Taco (messicano), Panda (cino-giapponese), Denni's, Bubba Gump (catena basata sul l'episodio del film Forrest Gump, con piatti a base di gamberi) e varie piccole che hanno più o meno menù e prezzi similari, con qualche fusione con varie cucine etniche, spesso messicana, molto vicina ai loro gusti ed ad una popolazione che ha una percentuale di latini altissima. Ai Ristoranti di livello, ma qui pagare 100 dollari a testa è il minimo e può essere considerata una fortuna, si va ben oltre. Comunque, al di là dei sapori, che possono anche piacere, se non fosse che sono sempre quelli, è la quantità di calorie, grassi insaturi e proteine che trasformano i corpi di questa gente, spesso, in forme esasperate, fuori proporzione, immense. Del resto è il paese dell'esagerazione, o si è salutisti (ma viste le premesse è molto caro), ed allora sei un palestrato che fa running tutti i giorni e ha il fisico di Chris Emsworth, ma a dire il vero ne ho visti pochini (evidentemente o ho frequentato i posti sbagliati), oppure vedi delle persone che hanno delle misure imbarazzanti, dei giovani che strutturalmente, appena avranno superato l'età in cui il metabolismo se ne frega degli eccessi, pagheranno dazio su un'alimentazione criminale.
    Le case sono carine, ma hanno tetti bassi e sono tutte in legno, anche quelle che sembrano costruite con i mattoncini, se vai vicino e le tocchi è legno modellato, carton gesso texturizzato, i rivestimenti sono di truciolato e poi sopra vengono intonacati o rivestiti sempre di legno, quello che si vede a Disneyland in realtà non è altro che una estensione del tutto, sembra tutto finto, carino ma leggero, senza peso, provvisorio. Poi magari si alternano strutture ciclopiche e gigantesche come la downtown o l'arena dove siamo andati a vedere i Lakers, ma i contrasti sono sempre enormi.
    Le auto americane sono praticamente scomparse, almeno a queste latitudini, l'industria pesante della Ford, della GM, Chevrolet, Oldsmobile, Chrysler (visibile solo nelle JEEP) se c'è, è rimasta nei grossi Van GMC, o crossover di grandi dimensioni, per il reso sono asiatiche le medie cilindrate e molte ibride: Toyota, Mazda, Nissan, Honda, Hyundai, Kia, mentre l'alta gamma è prerogativa delle tedesche: BMW, Mercedes, Audi, unica reale testimonianza americana, è l'auto di Elon Musk, la Tesla, che dall'ultima volta che sono venuto è letteralmente decuplicata, ce ne sono moltissime e in diversi modelli, quando invece era rarissimo vederne.
    Per me, l'America ha smesso da tempo di essere il paese dei miei sogni, per molti motivi, ma soprattutto, perché quando si prende consapevolezza di ciò che siamo, si ricalibra tutto quello che ci sta intorno, e lo si vede con occhi diversi. Certo, è una terra di opportunità immense e che possono cambiare la vita, perché nel suo gigantismo riesce a trasformare semplici idee in qualcosa di travolgente, e riesce a sfruttarne tutte le potenzialità, e questo che la rende così affascinante e meta dei sogni di tutti. Non bisogna mai dimenticarci però, che tutto questo è frutto di una subdola colonizzazione dell'immaginario, con cui hanno conquistato il nostro modo di vedere la vita vendendoci il loro modello di sviluppo, e la loro visione del mondo, da decenni,  ci ha convinto a suon di luci e paillettes che loro sono i migliori, sono i giusti e i buoni.
    Ma nonostante tutto questo, quando ci sei, l'America ha la forza di farti tornare bambino, perché attraverso il potere dei sogni, e loro sono i migliori a costruirli, hanno conquistato il nostro immaginario, e quello non vogliamo perderlo per nessuna cosa al mondo, ne siamo gelosi, perché abbandonarlo vorrebbe dire rimettere in discussione il periodo più bello della nostra vita, e questo nessuno vuole farlo perché nessuno è disposto a rinunciarci.
    Così, quando siamo tutti in fila ad un'attrazione Disney, come pecore al mattatoio, consapevoli che per vedere tre minuti di divertimento dobbiamo sacrificarne sessanta nell'attesa, il nostro volto è comunque sereno, lì in quel contesto il tempo sembra non avere valore, perché in fila non  ci siamo più noi, ma semplici bambini di sette anni, che aspettano che la loro giovinezza riprenda slancio e sia benedetta da quello che ci aspetta dietro all'ultimo cancelletto, che ci farà diventare protagonisti di quelle fantastiche avventure che fino a quel momento avevamo solo visto al cinema, e adesso possiamo finalmente viverle personalmente.
    Perché i sogni non si spengono mai.

     
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    CALIFORNIA DREAMING -parte due-

    Giorno 5

    La mattina della domenica è esattamente identica a tutte quelle trascorse fino ad ora, soleggiata e luminosa, se l'umore si dovesse misurare con il tempo, saremmo sempre ottimisti.
    Rebecca, Ginevra, Alberto ed io partiamo per il Getty Museum, mattinata di arte e cultura nella città degli angeli.
    Il Getty Museum è una struttura situata sulla punta di una collina nel quartiere di Bel Air, che guarda il panorama di Los Angeles fino all'isola di Catalina. Sotto, in lontananza, si vede l'Oceano e tutto il litorale, alle spalle il nastro d'asfalto composto da dodici corsie che attraversa la piccola catena collinare che divide la costa dalla San Fernando Valley. Il museo fa parte del complesso del Getty Centre, ed è una struttura che il vecchio Paul Getty ha lasciato in eredità ai posteri senza mai poterlo vedere costruito, essendo stato inaugurato a oltre i vent'anni dalla sua morte.

    Il Getty Museum, la sua entrata, la splendida architettura, e la vista sui nastri d'asfalto che collegano la costa con la San Fernando Valley.

    L'imponente costruzione è composta da blocchi di granito ed è visibile dalla sottostante autostrada, le varie costruzioni che compongono i vari padiglioni del museo è accessibile attraverso un trenino su monorotaia che parte dalla costruzione posta in basso, dove ha sede l'accoglienza (l'ingresso è gratuito).
    Nella struttura ci sono vetrate che danno respiro ai volumi e agli spazi e sono contornate da aree verdi, con inserimenti di roccia e cascatelle e specchi d'acqua che si uniscono in un'armonia architettonica perfetta, il panorama dall'alto della città, visibile da ogni lato della struttura, compone il background perfetto come sfondo scenografico all'insieme. Il complesso è imponente se si pensa concepito e costruito con le economie e le ricchezze di un'unica persona. I Getty sono stati tra i primi petrolieri che hanno estratto il prezioso liquido agli inizi del'900, e quindi l'escalation economica della famiglia è facile immaginare come sia stata vertiginosa nel secolo dove gli idrocarburi sono diventati l'oro nero e fonte inesauribile di energia per il mondo.
    Del resto, la rivista Fortune nel 1957 incoronava Paul Getty come l'uomo più ricco del mondo.
    Il giovane milionario, già dai suoi primi viaggi in Europa dimostrava una morbosa attrazione verso ogni forma d'arte, cominciando così ad acquistare opere di ogni tipo (quadri in primis, ma anche sculture, mobili, oggetti e di componenti d'arredo) e di moltissimi autori, fino a maturare il desiderio finale di donarli gratuitamente ai cittadini della città che lo aveva visto arricchirsi.
    I padiglioni sono divisi per periodi è si va praticamente dal '400  fino ai primi del '900, di artisti contemporanei, a parte alcune sculture, tra cui Marini, Manzù, Moore, e una scultura di Roy Liechtenstein, non v'è traccia. Ma dalle icone del '400, passando per Correggio, Tiziano, Veronese, Mantegna, Artemisia Gentileschi, i fiamminghi, vari Rembrandt, e poi Gericault, David, Delacroix, Pissarro, Sisley, Miller, Monet, Corot, Cezanne, Van Gogh(con gli splendidi Iris), Munch, Segantini, l'arte è rappresentata davvero in tutte le componenti. Le sale sono splendidamente illuminate sia artificialmente che in modo naturale, i quadri sono visibili e in teoria si possono perfino toccare, non ci sono barriere ne divieti e sono perfino troppo vulnerabili, ma visibili al meglio. Poi c'è tutta la parte dedicata all'arredamento antico e relative suppellettili, pezzi unici e preziosi.

    I fantastici "Iris" di Van Gogh.

    I visitatori del museo: io, Rebecca, Ginevra e Alberto.

    Il Getty Museum, un miracolo di vetro e granito con le sue armonie architettoniche, inseriti nel verde dei giardini che lo circondano e che si affaccia su un panorama mozzafiato.

    La commistione tra il contenitore (la bellezza della struttura con la sua architettura e la fusione con la natura intorno) e il contenuto (la bellezza delle opere esposte con il loro carico di prezioso valore culturale) fanno dell'insieme una meta assolutamente imperdibile per chiunque passi da Los Angeles.
    Certo, pensare che tutto questo è un regalo di un personaggio come Paul Getty, un tipo duro e spietato che non è certo ricordato come una persona tra le più simpatiche, sembra avere un certo contrasto, basta rammentare la sua estrema resistenza che fece per il pagamento del riscatto del nipote Paul Getty Jr. Il nipote che venne rapito dall'anonima sequestri negli anni '70 e rocambolescamente liberato, come si narra nel film di Ridley Scott, interpretato da Marc Wahlberg e Christopher Plummer che interpreta nell'occasione il miliardario, dopo l'estromissione di Kevin Spacey per i problemi di stupro.
    A pranzo ci dirigiamo verso i Warner Brothers Studios, dove nel pomeriggio abbiamo fissato il "Classic tour", ma il ristorante è lo Smoke House Restaurant, famoso, ma me ne accorgo solo all'interno, perché qui sono state filmate le scene del film musicale "La la land", è infatti il locale dove si esibisce al piano Ryan Gosling. Qui consumiamo il nostro pranzo con un wrap misto di pollo e bacon insieme al famoso pane all'aglio, circondato da foto in bianco e nero di famose star del passato di Hollywood, tra Marlon Brando e Humphrey Bogart, Dick Powell e Mirna Loy, che avevano eletto quel locale tra i loro preferiti.

    L'interno dello Smoke House Restaurant, il locale dove Ryan Gosling suonava il piano nel film "La la land", e meta tra le più frequentate dei divi di Hollywood, che infatti si trova nelle adiacenze dei Warner Bros Studios.

    Il giro che iniziamo nel pomeriggio ci riporta nel fantastico mondo della celluloide, nell'immaginario che ha eletto questa città ad icona delle nostre fantasie e regina del nostro immaginario. Probabilmente se avessimo scelto un giorno feriale, avremmo anche corso il rischio di vedere qualche divo del cinema passeggiare tra gli enormi blocchi dei teatri di posa, o a pranzo alla mensa degli Studios. Qui, si svelano i trucchi che si nascondono dietro a inquadrature oculate, nella parzialità di ciò che si vede e dalla soggettività del punto di vista. Negli esterni sono ricostruiti pezzi di strade, scorci di architetture di paese, strade di New York degli anni '30 che, alla bisogna, servono con le inquadrature più semplici che non abbisognano di muovere troupe all'esterno, risolvendo scene di film che possono essere girate all'interno degli studi. Si svela così, di fronte a noi, quello che sappiamo nella teoria ma che qui si palesa in tutta la sua nuda verità, nello squallore dei retroscena, nei grezzi supporti che reggono le facciate di edifici posticci, negli sfondi stampati su tela o negli alberi finti che compongono giardini fantoccio per le riprese di serie tv. Il fasullo come feticcio dell'apparenza, il ricostruito come prototipo dell'originale, il finto che diventa paradigma del reale, la fabbrica dei sogni in tutto il suo splendore che svela i propri trucchi senza perdere un etto del suo fascino.

    Alberto, io, Rebecca, Ginevra e Fabrizio all'ingresso dei Warner Studios.

    Il set di una serie televisiva di grande successo, e qui sopra la stanza dove si svolgevano le puntate della popolare serie "Friends".

    Alla fine del tour su trenino elettrico con speaker che spiega alcune curiosità degli Studios, si finisce nell'inevitabile Shop dove si può acquistare qualsiasi cosa attinente al contesto: t-shirt, felpe o oggetti legati a marchi, personaggi e prodotti della WB. Ma prima vale la pena percorrere una serie di corridoi carichi di curiosità, immagini, oggetti utilizzati nei film più famosi, abiti di scena, due allestimenti di due serie famose prodotte dalla WB come "Friends" e "The big bang Theory", dove si possono fare foto ricordo, e poi degli ampi spazi dedicati agli eroi DC con costumi della Justice League, e di Batman con tutte le tute, le auto, le moto e tutto quello che può rendere felice un fan dei cinecomic. Il giro è stato piacevole e divertente, non che si sia rimasti sconvolti più di tanto da cose che si conoscono già, rimane il piacere di condividere atmosfere di personaggi che abitualmente percorrono e vivono quegli spazi, ma in tutto questo, devo riconoscerlo, mi rende triste la consapevolezza del fatto che queste sono esperienze che avrei voluto fare da ragazzino, per poterle vivere con tutta quella carica di ingenuità e creduloneria che mi avrebbe reso euforico ed entusiasta in quel modo così intenso è irreversibile che solo la giovinezza riesce a valorizzare.

    La batmobile ed i costumi dell'ultimo film sull'uomo pipistrello "The Batman" diretto da Matt Reeves.

    Sopra: i costumi di tutti i supereroi della DC, protagonisti del film "Justice League" e in basso: il cappello e la pistola di William Munny, il protagonista del western crepuscolare e capolavoro di Clint Eastwood "The Unforgiven", in italiano "Gli spietati".

    Torniamo in albergo stanchi e spossati da un'altra giornata intensa come poche, saliamo tutti per rilassarci un po', per rivederci più tardi per la cena.
    La cena al  Drill e Grill Restaurant dell'albergo, è a base della solita zuppa di patate e vongole che è piaciuta a tutti, e tutti infatti prendiamo la stessa pietanza. Siamo stanchi, Luca torna in camera, mentre a noi pianifichiamo il giorno successivo, vorremmo fare un tour a Beverly Hills, si unisce noi anche Florian Satzinger, che era al bar insieme a sue due colleghi fino a quel momento, ma scambiamo solo poche battute prima di andare a letto, del resto il sonno, almeno per me, non è mai continuo e riposante, mi sveglio più di una volta, spesso anche dopo un'ora che mi sono coricato.
    Ma se questo è il prezzo da pagare per andare in giro, credo siamo tutti pronti a pagarlo. 

    Giorno 6 

    Stamani giro a Beverly Hills, il tour da nerd per chi vuole tuffarsi in un mondo che non sarà mai suo gettandosi, per chi si prende troppo sul serio, nel grande mare della frustrazione. Ma è anche utile per capire quanto è lungo l'ascensore sociale che lascia a piedi molti per portare in cime i pochi, e nessun paese come l'America può essere il più adatto per capire questo.
    Partenza da Hollywood Boulevard, Walk of Fame, dove c'eravamo soltanto l'altro ieri, la strada però è interrotta in un punto, perché stanno allestendo una enorme tenso-struttura che contiene il red carpet per la prima mondiale di una nuova produzione, più tardi capiamo che si tratta del film di animazione Disney "Strange World", è infatti il tendone si interrompe in corrispondenza del cinema El Capitan, il teatro dove Disney ha sempre presentato in anteprima i suoi film.

    Sopra: Hollywood Boulevard e qui sopra: il parco che delimita l'inizio del quartiere di Beverly Hills.

    Partiamo in un piccolo bus di circa una ventina di posti, senza vetri e con il tettuccio trasparente.
    La farò breve, perché è un giro che sostanzialmente appaga solo la parte più morbosa della curiosità di ognuno, io ovviamente non ne sono escluso, ma in realtà è anche un momento al quale non si vuole rinunciare giusto per farsi un'idea, dal vivo, di come vivono i nababbi di cui sentiamo parlare e che vediamo sui nostri schermi, sulle riviste patinate o in istantanee di Istagram, giusto per misurare la distanza in ricchezza delle nostre esistenze.
    Il giro praticamente inizia sulle parole del conducente-speaker simpatico e ciarliero di cui capisco meno della metà di quello che dice col suo inglese biasciato.
    Si sale per Mullholland Drive, la strada che si inerpica sulle colline che guardano quella parte della metropoli, dove lungo il percorso, nascoste da cespugli e piante di ogni tipo, si intravedono solamente cancelli e muri di cinta, e vediamo i contorni delle ville soltanto di quelle più distanti e che sono visibili dalla strada. La prima tra queste è quella di Jennifer López, poi arriva quella di Bruno Mars, Quentin Tarantino, Joaquim Phoenix e Taylor Swift, che enuncio ma che non conosco. Poi a scendere verso Beverly Hills, quella più imponente e ben visibile è quella di Sylvester Stallone, posta su una collinetta che domina quella parte della zona, poi arriva la parte pianeggiante e contraddistinta dalle palme altissime che finiscono con l'esplosione delle foglie, qui la visibilità è migliore e le ville si vedono nella loro maggiore completezza, qui non si individuano quelle di nessun attore in particolare, ma la ricchezza e l'opulenza di quello che vediamo ci da la misura delle ricchezze in gioco. Siamo su Beverly Hills Boulevard, qui l'alternarsi di magioni lussuose con tanto di auto di grossa cilindrata nel vialetto di casa, per quelle che non hanno recinzioni e separazioni, sono visibili in tutto il loro splendore, oltrepassiamo il Beverly Hills Hotel e circumnavighiamo la lussuosa Rodeo Drive (la via Montenapoleone di queste parti) che non è percorribile da pulmini, tanto per legittimare la differenza con le altre vie e stabilire le distanze. È la via più elegante ed esclusiva della città, che si distingue per una divisione tra le due carreggiate fatta di piante e palmette, quella via dove a spese di Richard Gere, Julia Roberts andava a fare shopping nel film "Pretty Woman".
    Dopo un giro durato un paio d'ore, ritorniamo su Hollywood Boulevard da dove siamo partiti, giusto in tempo per vedere smontare l'allestimento della posa di una nuova stella sul marciapiede della Walk of Fame, il tappeto rosso, la tenda parasole e le poltroncine per la solenne cerimonia, sono accatastate e riposte tra loro e pronte per una nuova occasione.
    Torniamo in albergo e ci apprestiamo a ripartire per il "party" organizzato da Willie Ito a casa sua, dalle parti di Monterey. Sono ormai quasi le quattro del pomeriggio e siamo digiuni dalla mattina, per onorare la nostra presenza, ci è stato consigliato di non mangiare, è così abbiamo fatto. Noi ci siamo premuniti di portare le bevande, anche se quando siamo arrivati lì c'è n'erano già abbastanza, insieme al sestetto base, c'erano anche Fabrizio Mancinelli e Florian Satzinger che si erano uniti alla brigata. Il nostro arrivo è stato salutato con grande gioia, Willie e Toni Benedict ci aspettavano con entusiasmo, e abbiamo cominciato a presentarci a tutti gli intervenuti: vecchie glorie dell'animazione, studiosi dello stesso argomento, amici e conoscenti. La cosa che mi ha dato un'enorme soddisfazione è stata che, in quel contesto, ed esclusi i ragazzi che erano con noi, noi rappresentavamo la forza giovane, visto che abbassavamo di gran lunga la media dell'età, ed ultimamente, a queste piccole gioie non posso rinunciarci.
    La casa di Willie è posta su una strada cieca in salita che finisce con una rotatoria nella quale l'auto deve girare in tondo per invertire la marcia. Il quartiere è residenziale e carino, e l'interno della casa è un museo dei gadget di personaggi dell'animazione, action figures di tutte le taglie di Topolino, i personaggi Disney e altre centinaia di characters occupano teche, mensole e armadietti disseminati in ogni angolo della casa, roba che se potessero parlare tutti insieme avremmo una cacofonia infernale, e in certi casi, se uno di queste statuette dovesse cadere, innescherebbe un effetto domino devastante.

    Parte del gruppo del party organizzato da Willie Ito (al centro con la camicia hawaiana) i nostri eroi equamente distribuiti, col cappellone Big Bob, un simpatico intervenuto e sulla estrema destra la vedova del compianto animatore scomparso recentemente: Dale Bear.

    Sul tavolo ci sono varie cibarie e tutte specialità messicane, un pasticcio di pollo, un'insalata di patate e maionese, varie salse incluso quella di jacamole, un vassoio di burritos, e poi birre, Coke, vino e altre bibite. Facciamo le presentazioni e poi, come in ogni festa, si formano vari gruppetti che parlano tra loro. Io non sono un esegeta dell'animazione, è risaputo, e mi districo attraverso le maglie della mia ignoranza con tutta la disinvoltura di cui sono capace. Willie Ito, insieme all'amico e collega Toni Benedict fanno parte del così detto trio denominato i "Three Tooners" insieme all'assente Jerry Esisemberg, che ha avuto qualche problema di salute, ma che vedremo nei prossimi giorni al CTN.
    Questi tre grandi artisti sono state le colonne della Hanna & Barbera, la mitica casa di produzione di disegni animati della nostra infanzia, quella dei boomerang, per intendersi, cresciuta con i personaggi creati da loro: Braccobaldo. Yoghi e Bubu, Magilla Gorilla, Svicolone, Lupo de Lupis, gli Antenati, I Pronipoti, una serie di characters indimenticabili e che hanno rallegrato i nostri pomeriggi di fronte alla TV dei Ragazzi. Trascorriamo tutto il pomeriggio con loro, Willie ci fa vedere il suo studio e racconta i suoi inizi, poi alla spicciolata cominciamo ad andarcene tutti, rammentando di incontrarsi nei prossimi giorni nei vari incontri organizzati al CTN.
    Noi rientriamo in albergo dove ci rilassiamo giusto un attimo prima di andare a cena, che sarà nuovamente al Drill&Grill dell'hotel, non riusciamo più ad uscire una volta rientrati nelle camere, finendo di scendere dabbasso per ordinare la New England Soup Chowlder, la solita zuppa a base di vongole e patata, buonissima.
    Appena terminata la cena, dopo giusto il tempo di scaldare appena i cuscini della hall, e provare a prenotare nuovi posti per la partita di basket di venerdì sera, non riuscendoci. Decidiamo che è l'ora di andare a letto, siamo nuovamente stanchissimi, e domani di buon ora dovremo partire per gli Universal Studios, ed affrontare così una nuova giornata campale. 

    Giorno 7 

    Oggi Universal Studios.
    Prenotati i biglietti da quasi una settimana, oggi è il turno di questo divertimento, la risposta della Universal a Disneyland.
    Ci troviamo mezz'ora prima dell'apertura dei cancelli d'ingresso, e siamo i primi ad entrare, la giornata è come quelle precedenti, radiosa e luminosa, perfetta per giocare.
    Iniziamo con il castello di Hogwarts e il mondo di Harry Potter, qui è stato ricreato il villaggio della serie che è dominato dalla struttura del collegio, lo stile è quello tipico inglese della fine dell'800, tutto brume, neve e tinte livide, ma solo in teoria però, perché qui in realtà è tutto illuminato da uno splendido sole. L'ultima volta che ci sono venuto, l'attrazione non era stata ancor realizzata e, a detta di tutti, risulta essere una della più apprezzate.

    Universal Studios: l'interno del castello di Hogwarts e le strade del villaggio minuziosamente ricostruito.

    Dopo non avere fatto neanche cinque minuti di fila, dopo avere attraversato molti degli ambienti del castello di Hogwarts minuziosamente ricostruiti, ma visti in tutta velocità, e gustandosi anche poco l'accuratezza dei particolari disseminati nel percorso che si dovrebbero osservare nelle lunghe file. Vista l'esiguità del pubblico di quell'ora, saltiamo direttamente tutto e ci ritroviamo con i piedi penzoloni, dentro una conchiglia che ospita quattro posti, con tanto di bloccaggio degli spettatori, e che vengono prontamente immobilizzati al sedile.
    Inutile che vi spieghi lo spettacolo, sarebbe difficile e non renderebbe l'idea, è solo che veniamo catapultati all'inseguimento di Harry a cavallo della scopa e inseguiti dai draghi fiammeggianti, per entrare in ambienti pieni di animatroni o alberi magici che ci crollano addosso, per poi cadere a picco e risalire in un alto/basso che rimescola la colazione nello stomaco. Avere i piedi liberi aumenta la sensazione di sballottamento, rotazioni e inclinazioni vertiginose della struttura, che segue in sinergia gli spostamenti delle immagini amplificandone gli effetti. Inutile dire che è tutto terribilmente divertente, appena ci si siede all'interno della struttura e veniamo imbracati e bloccati come salami alla stagionatura, ci si stampa sul volto il sorriso ebete di chi sa che sta per divertirsi, ma ancora non sa cosa aspettarsi e, inutile dirlo, si ritorna per alcuni minuti bambini.
    Forse queste attrazioni hanno effettivamente questa valenza o addirittura questa funzione per un popolo come quello americano, che deve essere trattato come un bambino perché, evidentemente, in questa condizione da il meglio di sé. E questa condizione è riscontrabile ovunque all'interno delle attrazioni, perché basta che un addetto ai lavori li inciti ad urlare all'unisono che questi urlano all'unisono, che applaudono e applaudono, che urlino e questo fanno, mostrando una partecipazione come diligenti soldatini, una gioia ed un entusiasmo per tutto ciò che banalmente gli viene richiesto, e che spesso è sempre artificioso, trasformandolo in qualcosa che ai loro occhi è originale e figo. Detto questo, pur con notevoli differenze non siamo molti diversi, magari senza urli e sbraiti, in questi frangenti ci divertiamo come pazzi anche noi.

    La cittadella dei Simpson, le auto dei "Flinstones" e il set di un disastro aereo ricostruito.

    Comunque sia, come dei bambini all'urlo di: "Ancora, ancora!", e visto che la fila in confronto a Disneyland non esiste, ci rimettiamo in coda e facciamo nuovamente l'attrazione nelle medesime tempistiche, velocissimamente. Con la differenza che, questa seconda volta, gli sballottamenti danno perfino un po' di nausea a causa dei cappuccini e dalle brioches ingeriti un'oretta prima, obbligati come sono a ballare il cha cha cha nello stomaco.
    Decidiamo di fare subito il Tour degli Studios, e anche qui non esiste la fila e cominciamo subito senza indugi.
    Il tour è quello classico: vie ricostruite (come alla WB), passaggio tra alti capannoni degli studi di posa, auto usate in film e telefilm parcheggiate in bella vista, la ricostruzione della via della serie "Desperate Housewives", ancora la casa di "Psycho", con tanto di Norman Bates col coltello che ci aspetta sulla porta di casa: un classico.
    E poi il tunnel dove King Kong, attraverso gli occhialini in 3D consegnati alla partenza, combatte con i dinosauri come nel film di Peter Jackson, mentre il trenino che ci accompagna si muove scosso in modo interattivo dai colpi delle bestie in combattimento. Altra cosa del genere onora il successo della serie cinematografica "Fast and Furious", con tanto di Vin Diesel, la Rodriguez e Dwyne Johnson impegnati in un inseguimento all'ultimo respiro sulle autostrade di Los Angeles, tra rocambolesche manovre, e spericolate azioni e sparatorie. Ci fanno saltare l'assalto dello squalo, mentre ci fanno invece passare nel villaggio di "Nope" (visto casualmente sull'aereo all'andata) l'ultimo film di grande successo, un thriller fantascientifico piuttosto inquietante, ma dove nell'attrazione non succede praticamente niente, e poi il passaggio in un set dove è stata ricostruita, con macabro realismo, lo schianto di un aeromobile passeggeri, con tanto di relitto, case distrutte e macerie sparse ovunque. Dopo è la volta di Jurassic World, attrazione modellata sulle forme degli ultimi film della saga. Un percorso su un battello all'interno del parco giurassico completamente distrutto dai sauri che si vedono soltanto alla fine. Poi ci dirigiamo di gran carriera verso il punto dedicato ai Trasformers, qui sono sicuro del divertimento dell'attrazione memore dell'ultima volta nella quale sono venuto. La fila è ridottissima, arriviamo ed imbarchiamo quasi subito, lo spettacolo è esattamente come lo ricordavo. Una volta indossati gli occhiali 3D, veniamo catapultati in una New York dove i Trasformers combattono contro altri mecha invasori, l'integrazione tra i movimenti della capsula in cui siamo imbracati, e l'azione in 3D che si svolge sugli schermi avvolgenti di fronte a noi è incredibile, è l'azione è vertiginosa e sincopata da lasciare senza fiato. Vista anche qui la fila esigua, appena usciti ci siamo rimessi subito in file e senza un minuto di coda l'abbiamo fatta un'altra volta.
    Visto che si trova nelle vicinanze, decidiamo di fare anche The Mummy, veloce ed indolore la fila, qui però la corsa del rollercoaster velocissima al buio, con sprazzi di visione di animatroni, è piuttosto datata è non è memorabile. Ci siamo massaggiati con Fabrizio Mancinelli e andiamo a mangiare con lui nello spazio Universal posto all'esterno del parco giochi, dove siamo stati la prima sera, e dove pare si mangi qualitativamente meglio. Ora, affermare che la qualità sia migliore è oggettivamente molto azzardato, a queste latitudini mangi in ristoranti in franchising, dove la qualità è pessima e non spendi neanche poco, in rapporto a ciò che mangi. La cosa migliore da fare sarebbe quella di non allontanarsi troppo dal cibo spazzatura americano classico, che comunque non ti porterebbe troppo lontano da Hamburger, patatine fritte, ring onions e pollo fritto, do optare per cibo messicano o di altre etnie, ma comunque addomesticato sul gusto americano. Per mangiare bene, almeno come lo intendiamo noi italiani, devi andare nei ristoranti degni di questo nome, e mettere la mano al portafoglio senza chiederti perché questo ti sarà svuotato senza ritegno.
    Ci accordiamo per incontrarci con Fabrizio al Grill Brew NBC Sports, un locale molto ampio con grandi schermi sintonizzati, in quel momento, sull'incontro di tennis all'ATP di Torino: Ruud-Fritz. Alberto appena li vede sul menù ordina subito dei nachos che vuole smezzare con me, e poi da veri maiali quali siamo ci ordiniamo due hamburger, entrambi col chili, giusto per rimanere su menù Mexico.

    La parte commerciale (esterna) degli Universal Studios, l'attrazione show "Westworld", ed io insieme a Luca ed Alberto, all'uscita del parco.

    Nel pomeriggio ci concediamo le attrazioni Kung Fu Panda e i Minions, anche questi con attrazioni che sfruttano la sinergia del movimento delle sedute con l'integrazione con le immagini, ma con modalità diverse, più soft ed adatte probabilmente ad un pubblico più piccolo.
    Alla fine, stanchi e decisi a porre fine a quella "gioventitudine" così stancante e farlocca, ci andiamo a sedere allo spettacolo dai contorni classici e live "Waterworld", esplosioni, corse con motoscafi sull'acque, acrobazie ed action muscolare, decidiamo di separarsi, Fabrizio con le figlie continuano con altre attrazioni, io Alberto e Luca torniamo in albergo dopo avere speso qualche soldo agli stop di gadget e merchandising delle serie utilizzate nelle attrazioni.
    Ultime foto di fronte agli Studios, e poi chiamiamo l'ennesimo Uber che arriva nell'arco di pochi minuti per portarci finalmente in albergo.
    Qui, nel giorno precedente all'allestimento dello stand, e facendo un giretto per capire come procederà la sistemazione della manifestazione, che pare non utilizzerà la tenso -struttura abituale, incontriamo ed ho il piacere di conoscere Tina Price, il deus ex-machina ed eminenza grigia della manifestazione ed Alberto ed io, ci presentiamo.
    Ma forse nei giorni successivi avremo modo di incontrarci e conoscerci meglio.
    Prima della cena ci prendiamo un aperitivo al Drill&Grill  Restaurant dell'hotel insieme a Sandro Cleuzo che deve andare all'aeroporto a prendere la figlia, poi ci raggiunge anche Fabrizio con le ragazze e andiamo a cena.
    Stasera, per evitare di nuovo la zuppa, buona per carità, ma avendo fatto filotto per tre sere di fila, questa volta vorremmo cambiare, così io, Luca e Fabrizio alla fine, optiamo per pasta pesto, una pasta, anche se fatta all'americana, giusto per mangiare carboidrati dopo avere ingerito solo carne macinata, lo sappiamo bene che è un rischio, ma questa volta con sprezzo del pericolo, ci va di accettarlo. La pasta, con nostra sorpresa, è mangiabile, il pesto sa di pesto e la pasta, ovviamente non al dente, non è però neanche colla immangiabile, io ne lascio un po' ad Alberto, visto che non ho tutta questa fame, avendo dovuto smezzare la porzione di nachos a pranzo.
    Finita la cena ce ne andiamo sui divanetti della sala, ma ben presto Luca ci chiama all'adunata, è ora di andare e noi siamo ben felici di farlo, dopo una giornata campale di giochi e sollazzi, siamo tutti distrutti, e corriamo il rischio di ripetere l'exploit della sera prima, dove siamo stati colti in tre sul divano della hall a dormire.
    Siamo a metà del tour, molto è stato fatto, ma ancora ne rimane di cose da fare.

    Giorno 8

     Luca e Fabrizio devono andare da Jerry Eisenberg, il terzo dei "Three Tooners" che non ho ancora conosciuto, ma mi risparmiano la visita casalinga, per cui mi aggrego ai ragazzi e ce ne andiamo verso il LACMA Los Angeles County Museum of Art, quando però scopriamo che proprio oggi questo è chiuso. Non ci perdiamo d'animo, Alberto è un perfetto tour operator e subito individuiamo un'altra destinazione che, forse, a conti fatti, è perfino più pertinente al nostro viaggio: Museo dell'Academy Awards, che si trova tra l'altro a poche centinaia di metri.
    È una bellissima struttura moderna e il museo è articolato su tre piani, gli ambienti sono illuminati alla perfezione e il sonoro è circoscritto alle aree di appartenenza, anche nelle sale dove ci sono molti video che trasmettono in contemporanea, perché la diffusione del suono è completamente controllata e circoscritta ed evita l'inevitabile cacofonia.
    Si parte dai primi strumenti di riproduzione delle immagini e si scende nel dettaglio di ogni settore, dai costumi, con ricche esposizioni di abiti, agli effetti speciali che vengono spiegati attraverso molti esempi, come le riprese di Avatar con le tute in motion capture per poi essere renderizzate con modelli in 3D. Un enorme spazio è dedicato al cinema nero, una Hollywood parallela che, ad esempio, in Europa è poco conosciuta, perché ad uso di un mercato prettamente americano e targhettizzato, nella parete dove erano esposte decine di attori neri tra gli anni '20 agli anni '70, io sono riuscito a riconoscerne solo tre: Sidney Poitier, Sammy David jr, e Harry Belafonte, al quale è dedicato un enorme spazio, anche perché strenuo difensore dei diritti dei neri. Un notevole spazio all'animazione, anche se non esaustivo, con un filmato su Winsor McCay che spiega il suo progetto di primo cortometraggio d'animazione, disegni, characters e machette di molti personaggi, sketches, curiosità e modelli di volti per l'animazione a passo uno. Bellissimo il matte painting del film "Intrigo internazionale" di Alfred Hitchcock, un'enorme tela di almeno 80 metri quadrati raffigurante il monte Rushmore, che fa da sfondo alle scene finali del film e pitturato completamente a mano e dispiegato in uno spazio che comprendeva due piani del museo, tanto sono grandi le sue dimensioni.

    Museo dell'Academy Awards: gli storyboards di "Uccelli" di Alfred Hitchcock.

    La scrivania di Don Vito Corleone del film "Il padrino", di Francis Ford Coppola.

    Il magnifico matte-painting alto più di due metri del film "Batman Returns" di Christopher Nolan.

    Bellissima la parte riguardante testi e sceneggiature, con parti di sceneggiature esposte nelle classiche copie in carta carbone con cui venivano scritte, le pesanti macchine da scrivere usate, e i copioni con tanto di descrizioni e vergature con correzioni da parte dei produttori, fantastico. A corollario di quella de "Gli uccelli" di Hitchcock c'erano anche gli storyboard del disegnatore incaricato (non sapevo che venissero usati anche in quel periodo), e poi le scene scritte a mano su un foglio protocollo dal Maestro del thriller.
    Un bello spazio è dedicato al cinema di Pedro Aldomovar, con manifesti, spezzoni di film in mostra su molti schermi, credo sia una mostra tematica e temporanea, che cambia periodicamente in funzione del maestro da celebrare.
    Una parte importante di oggetti e curiosità sono dedicate al film "Il padrino" di Francis Ford Coppola, un capolavoro assoluto, c'erano filmati di prova, i costumi, l'ufficio dei Corleone, gli abiti di scena, le lettere scritte da Coppola alla produzione, i disegni dei costumi e filmati di molti punti salienti dell'opera su molti monitor e, in quei momenti catturati dal film si riviveva con la stessa intensità quelle emozioni provate alla prima visione.
    Devo riconoscere che sono rimasto colpito dalla parte dedicata al "Padrino", perché anche messa a confronto con le nuove tecnologie, con i nuovi mezzi di produzione, la bellezza della ricostruzione, l'attenzione ai materiali e la ricchezza di arredi, oggetti e abiti, sono l'emblema del cinema, sono il manifesto della realtà delle cose che danno una concretezza che si riflette sulla credibilità del cinema. Tempo fa, mi capitò di vedere alcune scene di "Novecento" di Bertolucci, e vedere i veri cascinali della bassa padana, le reali moltitudine delle comparse, invece che indistinti personaggi virtuali o perfette ricostruzioni digitali, dava un corpo e un sangue all'opera che lo rendeva carnalmente più viva. Lo so che non si può tornare indietro, e che la tecnica sopperisce al tempo e al denaro in maniera indiscutibilmente utile e ineludibile, ma lasciatemi ricordare quando le comparse erano scelte dai registi, e le location andavano scoperte con attenzione negli angoli più remoti del mondo, per poi scoprirne le bellezze.

    La cornetta di Louis Armstrong e in basso il gigantesco matte-painting del monte Rushmore, realizzato per alcune scene del film con Cary Grant e James Mason: "Intrigo internazionale" di Alfred Hitchcock.

    Ad ogni modo il percorso museale è stato molto interessante e ne manterrò un ricordo piacevole. Usciamo dal palazzo e ci guardiamo intorno per trovare un posto dove mangiare, e al di là del deserto che si stende intorno a noi -Los Angeles è una città di auto e guidatori, e non certamente di pedoni e camminatori- vediamo che a qualche centinaio di metri c'è un ristorante che propone pizze. Lo so che è rischioso cercare italianità fuori dai confini nazionali è dannoso e spesso, se non sempre, ci si rimette, ma anche mangiare tutti giorni ad hamburger e patatine, alla fine stanca, e azzardiamo.
    Da Rocco's, la grandezza della pizza si misura in pollici, il prezzo invece, da ciò che ci butti sopra (toppers chiamano i componenti che aggiungi all'insieme), per cui ognuno di noi se la compone inserendo gli ingredienti che vuole. Quando dopo pochi minuti la portano, il primo problema è stato lo spazio per appoggiare i quattro mega vassoi. Le pizze hanno un bell'aspetto e, alla fine, neanche facevano schifo, forse quella di Alberto era un po' unta, e l'impasto non era eccezionale (e del resto la pizza si giudica dall'impasto), ma come la pasta al pesto della sera prima, alla fine è risultata mangiabile e, o sarà stata la fame o il desiderio di casa, che alla fine nei patti non c'è rimasto quasi nulla.

    Beverly Hills.

    Usciamo intorno alle due e trenta, il sole si fa sentire, specialmente nel riverbero che riflette dal cemento e, camminare dalla parte assolata della strada, è piuttosto stancante. Il Gps ci dice che Rodeo Drive è a circa sei isolati di distanza, non sono tanto, ma non sono neanche pochi, ma non ci perdiamo d'animo e, causa una deviazione che ci fa fare un altro giro. Ci immettiamo in stradine di quartiere di Beverly Hills, dove possiamo vedere realmente le classiche case circondate dal pratino, nelle lunghe strade alberate e dalle palme altissime, lo stereotipo dell'agiatezza americana e sogno di ogni comune mortale che abbia agganciato con l'immaginario, l'universo che ci è stato contrabbandato come panacea di ogni desiderio.
    Poi, dopo tanto camminare dopo avere incontrato ogni tipo di stile architettonico, ogni archi decorato o villetta in stile coloniale, siamo arrivati finalmente a Rodeo Drive.
    Questa via, e qui il nazionalismo è giusto che prenda il sopravvento e si bei di tanta superiorità, perché il manifesto allo stile e al gusto italiano (o di quel che ne è rimasto).
    Qui si contano i nomi dello stile italiano, e vado rigorosamente a memoria: Stefano Ricci, Pomellato, Brunello Cucinelli, Prada, Etro, Versace, Moncler, Armani, Valentino, Bulgari, Tod's, ed altri che non rammento ma di sicuro sbatacchiamo fortemente tutti gli altri concorrenti. Su questi marciapiedi esclusivi, con un centro carreggiata con filari di palme inframezzati di vagoni natalizi già pronti per le feste, le persone sembrano essersi rianimate, e passeggiano garrule lungo la strada. Evidentemente lo shopping, che da queste parti è praticato solo da pochissimi personaggi è però un momento di rara socialità, forse incentivata dall'ostentazione di McLaren, Porsche, o RollsRoyce come quella gialla, decappottabile e appartenente ad una limited edition parcheggiata lungo il marciapiede.

    La strada che congiunge artificiosamente (ad angolo) Wilshire Boulevard con Rodeo Drive, si intravedono i marchi Porsche Design e Pomellato.

    Rodeo Drive.

    Non c'è niente da capire, qui siamo in uno dei cuori più ricchi del pianeta, qui niente è impossibile e tutto questo, come si raccontava in una antica trasmissione TV, fa spettacolo.
    Siamo stanchi e ci mettiamo ad osservare il traffico che scorre sulla Wilshire Avenue, nella città che si muove su quattro ruote, il parco macchine è nuovissimo, vecchie carrette non se ne vede, ma non mi è capitato di vederle neanche in quartieri ben più poveri di questo, magari mi è capitato di vedere grossi pick-un parcheggiati fuori da catapecchie, ma nessuno si sogna di non avere un'auto all'altezza. Dall'ultima volta che sono venuto qui, dove vedere una Tesla era raro, oggi posso affermare senza ombra di smentita che, tra le tedesche, le giapponesi e le coreane, la Tesla invece rappresenta l'auto americana sicuramente più presente su questo mercato. Per onorare il mercato italiano, oggi (e solo oggi) siamo riusciti a vedere quattro o cinque 500 Fiat, unica e rara auto nostrana presente da queste parti.
    Chiamiamo il nostro autista Uber che oggi è un tizio dalla guida scattosa, ma che non riesce ad evitare di portarci all'albergo in meno di un'ora, il traffico è intenso su tutte le routes, e tra le auto tinte di rosso nei colori del tramonto, rientriamo al Marriott quasi all'imbrunire.

    Insieme a Gary Goldman.

    Qui incontriamo con sorpresa Gary Goldman che non sapevamo essere qui, e John Pommeroy nell'atrio dell'albergo, li salutiamo e ci dirigiamo a prendere un drink al bar, dopo aver salutato Eleonora Giuffrida che si è unita a noi, una studentessa che proveniva da San Francisco, dove stava usufruendo di una borsa di studio della scuola, presso lo studio di John Nevarez.
    I prossimi giorni ci sarà anche lei, e domai inizia il CTN.

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    CALIFORNIA DREAMING -parte uno-

    Una nuova epopea americana ha inizio in questo primo scorcio di Novembre, il nostro eroe, dopo un'attenta "pianificazione", e vista la sua disponibilità in un periodo che in altri anni era congestionato da festival francesi, ha deciso di unirsi alla combriccola dell'Accademia Nemo che ogni anno attraversa l'oceano per approdare a Los Angeles per partecipare al CTN (Creative Talent Network).
    Il CTN, per chi non lo sapesse, è una delle più importanti kermesse dell'animazione mondiale, un evento dove si riuniscono i più importanti professionisti del settore, si incontrano, si organizzano panels informativi, workshop tematici e dove gli artisti si scambiano informazioni e si riuniscono tra loro, e dove il gotha dell'animazione trova la sua massima espressione. La manifestazione, creata dalla fervida mente di Tina Price, deus ex-machina dell'intera organizzazione e icona indiscussa del settore, è allestita a Burbank, uno dei sobborghi di Los Angeles.
    In realtà l'occasione è un misto di lavoro/vacanza, perché oltre a presenziare lo spazio alla manifestazione, ci sono anche incontri da fare, ma almeno per il sottoscritto, il solito vergognoso scansafatiche, si tratta prevalentemente di un minimo di rappresentanza a fronte di molta vacanza.
    La comitiva è composta da ben sei persone, Luca, Fabrizio and daughters (Rebecca e Ginevra), ed io con mio figlio Alberto, che giustamente non ha voluto lasciarsi sfuggire l'occasione ci completare il tour americano, che nel lontano 2014, era rimasto orfano proprio dello scalo di Los Angeles, è privo delle relative attrattive.

    Giorno 1

    Partenza con volo Lufthansa (Air Dolomiti) per Monaco di Baviera, e poi rotta senza scalo per la capitale californiana. L'orario è improbo, si parte alle 6,20 da Peretola, per cui dobbiamo arrivare a Firenze il giorno prima, pernottare in loco, per avere la possibilità di prendere il volo ben molto prima dell'alba. Il portiere di notte dell'albergo dove avevamo prenotato una stanza, ci guarda stupiti quando gli diciamo l'orario di partenza: "Dormite poco", ci dice quasi preoccupato per noi, con un pizzico di pietà nei nostri confronti. Ha ragione il buon uomo, infatti il rendez-vous all'aeroporto è alle 3,45, esattamente in linea con le raccomandazioni della compagnia, per scoprire però che l'aeroporto apre alle 4,00, e a noi, insieme alla già lunga fila di passeggeri formatasi, dobbiamo attendere fuori prima che ci vengano ad aprire i cancelli.
    Leggera colazione e check-in necessario solo per imbarcare il bagaglio in stiva, visto che l'avevamo già fatto on-line il giorno precedente per poter avere tutti i posti vicini.
    Volo per la Germania tranquillo ed in orario, con una splendida vista su un'alba rincorsa dalla direzione del fuso e che non aveva voglia di nascere, nascosta com'era tra nubi basse e con un colore rosso che sembrava volesse accendere il mondo. Nel capoluogo bavarese, attesa di oltre tre ore in cui il gruppo ha avuto il tempo per compattarsi conoscendosi meglio, (la giovane prole non si conosceva), di giocare a carte e di cazzeggiare il giusto per smussare gli spigoli della diffidenza naturale portata dalla privazione del sonno ed entrare nella giusta sintonia del viaggio. Adesso, imbarcati sul volo LH 452, stiamo in trepidante attesa delle leccornie della prima pausa pranzo, per vedere la compagnia teutonica con che prelibatezze conquisterà i nostri palati.
    Il volo é lungo, molto, dodici ore di seduta, nonostante mitigata dalla visione di ben tre film e intervallata da pranzi, spuntini e bevute, rimane sempre estenuante.

    La sosta all'aeroporto di Monaco di Baviera, prima della partenza per gli Stati Uniti. ingannata da veloci partite di briscola a carte.

    Da Monaco, il volo è andato a nord, per trasvolare quasi fino al circolo polare artico, a nord della Groenlandia, per poi scendere in picchiata verso sud e attraversare tutto il Canada. Il pranzo, che attendevo con una certa trepidazione, visto l'ora della colazione, si è basato sulla scelta tra pollo e ravioli, e abbiamo propeso per i secondi, non tanto per nostalgia di casa (sempre cattiva consigliera all'estero), ma per il dubbio che il pollo fosse la solita fettina incolore e insapore tipica dei polletti da viaggio, ed è stato oggettivamente così. I ravioli, seppur pasticciati, alla fine non erano poi neanche così male e si sono lasciati mangiare col nostro sempre usuale entusiasmo, poi il solito paninozzo col un tocchetto di formaggio (aveva le sembianze del brie, ma non ci giurerei), e un quadratino di dolce alla frutta.
    Poi la visione di "The Northman", un film tutto vichinghi, vendetta, sangue e morte, sul quale mi ha preso anche un naturale abbiocco, visto la corda monotematica che corre tutta lungo l'intera durata del film fatto di violenza, vendetta e sangue. Poi sono saltato a "Top Gun -Maverick", con un Tom Cruise scatenato che mi ha piuttosto stupito, perché pur essendo un sequel, e quindi con tutti i crismi per essere deludente, forse l'ho trovato perfino più carino del primo, con maggiore azione e, trattandosi per un prodotto per i più giovani, e quindi immaginando che fosse stato pensato per chi non avesse visto il primo, l'ho trovato riuscito. Infine, "Nope" un thriller fantascientifico che avevo visto decantare sulla rivista di cinema che compro abitualmente e, anche in questo caso, il film mantiene ciò che promette, forse un po' lento in certe parti, ma di quella lentezza congeniale al caricamento della suspence, un finale non proprio scontato ed effetti speciali perfetti per il film. Poi, a due ore dall'arrivo, nuovo spuntino a base di sandwich con salsa bernese e formaggio, non prelibata ma almeno saporita, uno yogurt e uno stickers alle mandorle.
    L'arrivo è abbastanza in orario, e dopo un veloce cechi all'immigrazione, dove contro ogni pronostico facciamo velocemente, saliamo su una navetta che ci porta nelle spazio Uber dove andiamo a prenotarci il taxi per portarci all'albergo. Il viaggio è di oltre un'ora tra il traffico piuttosto intenso della città californiana. Al Marriott di Burbank prendiamo possesso delle camere, e dopo poco più di mezz'ora ci ritroviamo nella hall per andare agli Universali Studios per la cena, fuori dal parco a tema c'è una main street pieni di localini dove poter consumare la nostra cena.

    Cena al Bubba Gump, nella parte commerciale adiacente agli Universal Studios che, a quell'ora era semideserta. Ma che fanno gli americani dopo le 20,00?

    Pensavamo a dei canonici hamburger, ma l'Hard Rock Café dove volevamo dirigerci era chiuso per lavori di ristrutturazione e, a questo punto, abbiamo dovuto ripiegare su Bubba Gump, la catena di ristoranti a base di gamberi che hanno preso il nome di Forrest Gump e del suo amico Bubba. Cena a base di fritti a tutto spiano per una serata "leggera", ma abbiamo poca scelta, siamo stanchi, è l'unico nostro miraggio è andare presto a letto, siamo in piedi da oltre 24 ore e siamo stanchissimi.
    Domani, già prevista Disneyland.

    Giorno 2

    I biglietti per Disneyland li abbiamo già prenotati ieri, o meglio, siamo stati obbligati a farlo, anche perché la scelta era soltanto tra due giorni disponibili tra tutti quelli a nostra disposizione, gli altri erano tutti al completo. Tutti i biglietti d'ingresso vanno ordinati on line, perché non esistono più le biglietterie tradizionali, tutto deve essere fatto tramite internet e app scaricabili, per cui l'efficienza del vostro smartphone e l'affidabilitá della linea telefonica devono dare le relative garanzie.
    Attraverso un'app particolare del parco può essere controllato in tempo reale la lunghezza della fila delle relative attrazioni per regolarsi di conseguenza è, almeno per oggi, giorno non festivo è assolutamente ordinario andavano da un minio di 45 a un massimo di 95 minuti, almeno per tutte quelle attrazioni che interessavano a noi. Per me sarà la terza volta, dopo quella fatta anche a Disneyland Paris, ma da quell'epoca sono cambiate molte cose, Disney ha acquistato altre realtà dell'entertainment come l'universo della Imagine Lights and Magic di George Lucas, ad esempio, e in questo caso il mondo di Guerre Stellari con tutto il relativo armamentario, è stato inserito nel parco a tema.

    La fantastica cittadella dell'universo Star Wars ricostruita all'interno del parco di Disneyland, mille particolari e minuziosi dettagli per catapultarti nell'universo creato da Gerorge Lucas.

    Partiamo infatti da lì, il villaggio futuribile che collega le nuove attrazioni relative a Star Wars è a dir poco fantastico, per me, oltre all'assoluta novità, è l'ennesima riprova dell'abilità di ricostruzione di ambientazioni da parte degli americani, esperienza maturata e sviluppata nell'allestimento di set per il cinema e che riproducono nel dettaglio più minuto, la realtà, anche quando questa è immaginifica. Qui sembra di vivere direttamente sul set e se vedessimo sbucare Luke Skywalker da un momento all'altro, lo saluteremmo tranquillamente come fosse il droghiere sotto casa. Chewbecca invece possiamo invece davvero vederlo in giro perché è uno dei charachter che circola liberamente nel parco. Ogni dettaglio è curato, ogni particolare sembra di uso comune anche quando dovrebbe appartenere ad un mondo futuribile, in ogni angolo c'è qualcosa che ti ricorda dove sei è serve a non farti mai uscire dall'ambiente in cui sei stato calato. Lungo i corridoi che costeggiano gli spazi adibiti ad accogliere le centinaia di persone in fila ci sono particolari, dettagli e oggetti posizionati in modo da giustificare l'habitat con una perfezione ed un'attenzione maniacale. Del resto, per chi non è mai entrato in un parco a tema Disney, deve mettere in conto che nel contesto della giornata il rapporto in percentuale tra il tempo di durata dell'attrazione e quello della fila è di 98 a 2.
    Comunque, la prima attrazione da fare pare sia una garanzia, almeno dal prode Pacetti, esegeta, fan e totale appassionato della serie di Lucas, e che l'ha già visitata una volta, ed è: Millennium Falcon: Smugglers Run, quasi un'ora di fila per cinque minuti di una simulazione di battaglia e corse su un equipaggio stellare fatte da sei persone all'interno di un abitacolo di un ipotetico velivolo spaziale che che sono in accompagnamento ad un cargo stellare e devono guidare e sparare ad eventuali aggressori. È una corsa con sballottamento e sincronia tra movimenti dell'abitacolo e immagini che immergono nello spazio e nei panorami del film, un enorme videogioco interattivo che conquista con la verosimiglianza e la credibilità del mix di esperienze, un'attrazione davvero superlativa.

    In dinamico gruppo a pranzo con menù tipicamente intergalattico, alla fine neanche troppo male. Da sx: il sottoscritto, Luca, Ginevra, Rebecca, Fabrizio e Alberto.

    Di fronte alle truppe imperiali all'inizio dell'attrazione: Millennium Falcon: Smugglers Run.

    Alla fine, le luci della sera fanno risplendere di mille colori il parco, e anche a quest'ora la visione è suggestiva.

    Difficile non tornare bambini in queste condizioni, dove la lunga attesa ti introduce prima con l'ambientazione nel clima e poi con la performance finale ti concede solo puro divertimento. Pranziamo in un locale nello spazio Star Wars con menù tipicamente spaziale, come se questo volesse dire effettivamente qualcosa ma qui, giusto per fare un esempio, anche il marchio della Coca Cola rispecchia la grafica del pianeta su cui siamo.
    Decidiamo di andare a vedere la Casa dei Fantasmi, Rebecca e Ginevra non l'hanno mai vista e giustamente sembra giusto concederglielo anche perché, le altre attrazioni che vorremmo vedere hanno tempi improbi.
    Anche qui, avevo visto già la dimora dei fantasmi, ma in questo caso mi ha un po' deluso, anche se è stata aggiornata con i personaggi di "Nightmare before Christmas" e il personaggio di Jack Skeleton, i disegni di corredo sono bruttini e gli animatronic mi sono apparsi come quelli del carnevale di Viareggio e il ricordo di quelli vintage della prima volta (e alcuni ancora si individuano tra quelli presenti) mi hanno deluso.
    Poi è stata la volta dei Pirati dei Caraibi, attrazione presente già da molto prima la venuta di Jack Sparrow, ma anche qui, il successo della serie cinematografica ha fatto inserire una quantità di riferimenti a quella attualizzandola. La ricordavo bella e la ritrovo solo passabile, nonostante gli animatronic fossero datati, la ricchezza dei dettagli e dei particolari me l'hanno fatta apprezzare comunque. Decidiamo di andare a l'attrazione di Guerre Stellari che nessuno ha ancora vista che è Star Wars: Rise of the Resistence. La fila è lunghissima, si snoda all'esterno per la prima parte, e tra cunicoli di roccia (creata ad arte ovviamente) che simulano una base segreta dei ribelli, con casse d'armi lungo il percorso, armadietti con caschi per i piloti, tute ed armi, è tutto questo per ingannare l'ora è un quarto di fila necessaria per arrivare allo start. Poi, entriamo in un base dell'Impero, gestita dall'accoglienza del parco vestita con le uniformi dell'esercito imperiale, ci dividono per colori e ci fanno salire su delle navicelle da sei posti che verranno catapultate in un percorso dove schermi interattivi con gli stessi attori del film ci immergiamo in un'azione all'interno della base, per fuggire da essa. Il percorso è impervio è pieno di agguati, spari, luci e poi veniamo inseriti dentro una navicella che aiuta l'evasione, veniamo lanciati nello spazio e anche qui l'inseguimento è simulato con interazione tra i movimenti della navicella e la parte visiva immergendoti per qualche istante nelle atmosfere del film, quasi ne fossi protagonista, un'esperienza indubbiamente coinvolgente e che giustifica, in parte, la fila.
    Andiamo verso Adventureland, spazio che abbiamo lautamente pagato in anticipo sulla prenotazione, ma decidiamo di non andare in un'attrazione con i salti nel vuoto, quelli vietati ai cardiopatici, per intendersi, e ci mettiamo a perlustrare quella zona del parco in cerca di un ristorante che possa tornarci utile, tra le decine di punti ristoro del parco. Optiamo per uno in stile anni '50 nella parte dedicata al film d'animazione della Pixar Cars, tutto sui toni del verde pallido dell'epoca e decidiamo di orientarci su un classico menù fatto di hamburger e patatine, visto che il giorno eravamo andati su una specie di insalata con pollo.
    Prima di chiudere la serata, vista la fila molto ridotta rispetto a un'ora prima, decidiamo di metterci in fila per l'attrazione di Cars, una tra le preferite del web e di conseguenza con un tempo d'attesa tra i più lunghi, un misto di percorso a tema con una corsa finale che assomiglia a delle montagne russe ridotte ma sulle automobili del film.

    Con Alberto di fronte alla statua bronzea del grande Walt con Topolino.

    Di fronte all'attrazione di Cars.

    Giochi di luci e acqua davanti alla ruota di Mickey Mouse.

    Oramai sono circa le 9,30 e ci rimane ben poco tempo, la fiumana di persone ancora presente nel parco comincia a dirigersi verso l'uscita, riusciamo a vedere la parte finale dei giochi d'acqua e colori nello specchio di fronte a un rollecostaer dalla velocità impressionante (a quell'ora già chiuso) e la ruota panoramica di Topolino. Poi anche noi, preoccupati dalla possibilità di prendere un taxi tra quelle migliaia di persone, ci dirigiamo all'uscita ma, alla fine, l'operazione è perfino più semplice del previsto, con l'applicazione di Uber, il taxi viene assegnata alla richiesta, ti indica il percorso d'arrivo e in neanche una mezz'ora siamo su un Van da sei posti che ci riporta, stanchissimi, al Marriott. Nell'auto, per tutto il tempo del viaggio di ritorno, non si ode una parola, l'intero team è accasciato, distrutto dalla stanchezza sulle poltrone a schiacciare un ristoratore pisolino prima di andare a letto.
    Buonanotte.

     Giorno 3

    Stamani siamo la invitati a casa da Fabrizio Mancinelli, giovane compositore italiano emigrato in America da anni, un musicista bravissimo che ha conquistato la fiducia degli americani col suo talento. Proprio oggi, se non sbaglio, è stato distribuito in Italia il musical di produzione Italo-americana "The Land of Dreams", del quale ha scritto parole e musiche dell'intero film. Fabrizio lo conosciamo da anni ed è legato con noi dell'Accademia Nemo da un'amicizia e una stima reciproca che valica gli oceani, ed oggi ci ha invitati a fare colazione a casa sua a Glendale, dove lo abbiamo trovato in compagnia dell'adorabile figlia Nyrie, una bellissima bambina di quattro anni che ci ha tenuto compagnia per tutta la mattina.

    Il gruppo con Fabrizio Mancinelli e la splendida Nyrie.

    Abbiamo parlato di molte cose, ascoltato alcune sue composizioni e cazzeggiato con tranquillità in quel modo consueto di quando non ci vediamo da molto tempo ed abbiamo bisogno di ricalibrare il tempo perduto, e lo abbiamo fatto ascoltando sue composizioni, parlato dei progetti è tenuto bada Nyrie che, dopo avere rotto il ghiaccio dell'iniziale diffidenza con i presenti, ha richiesto la sua giusta attenzione.
    Dopo esserci dati appuntamento nei giorni successivi, ci siamo diretti all'Hollywood Boulevard per passeggiare sulla Walk of Fame, andare al Dolby Theatre è gironzolare intonerò alla strada delle celebrità, in quel modo un po' assurdo di quei cercatori di personaggi famosi che vogliono calpestare le strade dei propri idoli. Non c'è da dire molto di più che abbiamo trascorso il restante tempo a fare foto a stelle murate sul marciapiede e a scritte e impronte di mani e piedi nel cemento di fronte al Chinese Theatre, insieme ad altre decine di persone.

    Il gruppo all'Hard Rock Cafè di Hollywood Boulevard, con un perfetto cibo americano a base di hamburger e patatine.

    L'Hollywood Boulevard con tanto di lastroni in cemento con firma e le impressioni delle mani e dei piedi dei divi davanti al Chinese Theatre dove proiettavano il nuovo cinecomic Marvel "Wakanda Forever", i quali manifesti giganteschi  campeggiavano anche in molti altri punti della città, a dimostrazione di una promozione incredibile.

    I tre pards davanti al Dolby Theatre, teatro dove ogni hanno vengono consegnati gli Oscar.

    Una vista ingrandita della scritta Hollywood, visibile sul retro del centro commerciale accanto al Dolby Theatre.

    Le strade di LA sono davvero piene di una moltitudine di personaggi dalle più svariate etnie, ma si può certo azzardare andando vicino al vero, se si afferma che la comunità ispanica è decisamente quella più numerosa. La strada, a parte le serate ufficiale quando si mette il vestito della festa e stende a terra il red carpet per onorare i suoi divi, pare sia male frequentata, sia piena di homeless e di prostitute che la sera ne offuscano la fama.
    Pranzo all'Hard Rock Café, dopo una prenotazione e quarantacinque minuti di attesa, spesa ad andare in un centro commerciale vicino, per poi essere serviti da Luigi, un cameriere del locale che ci ha tenuto a rivendicare le proprie origini italiane. Pranzo all'americana a base di rings onions e hamburger, in questo caso della migliore specie, e poi ognuno per sé. I ragazzi verso l'osservatorio astrologico della città, i vecchi verso il negozio di Van Eaton, un collezionista di originali che Luca doveva assolutamente incontrare. Così, se Rebecca, Ginevra ed Alberto andavano verso la collina dell'osservatorio, noi andavamo verso Ventura Avenue, nella San Fernando Valley, sede del negozio.

    Un disegno a matita di Walt Peregoy, un autore che non conoscevo e che mi ha incantato con una sola immagine. Gliel'avrei rubato.

    Ma appena arrivati abbiamo scoperto che il negozio non aveva più sede all'indirizzo cercato, perché è stato spostato di ben oltre due isolati. Ma tutte queste informazioni ci sono state date da Stephen, un canadese proprietario di un caffè lì vicino, dove eravamo andati per prendere un espresso. Appena ha capito chi eravamo e perché cercavamo Van Eaton gli ha telefonato, ci ha spiegato un po' di cose sulla zona, sullo sviluppo della città e ci ha dato mille informazioni sul quartiere. Lì vicino infatti, ci abitava James Dean, e poco distante, sulla medesima strada, ebbe il fatale incidente con la sua Porsche che lo uccise precocemente, nello stesso quartiere vissero gli anni della loro unione Clark Gable e Carole Lombard, e mentre ci perdevamo in questi mille aneddoti maledettamente interessanti, è venuto direttamente Van Eaton a prenderci con il suo gigantesco SUV. Con un'incredibile gentilezza ci ha portato al suo nuovo negozio, sempre sulla stessa strada ma in una zona un po' più moderna e, all'occhio, più a vocazione commerciale. La struttura è nuova, gigantesca e in fase di inaugurazione, che avverrà il 18, venerdì prossimo, speriamo di esserci. Facendoci passare dal retro ci ha fatto vedere in anteprima cosa diventerà lo spazio che si sta creando, una mostra permanente di originali di Comic art, animazione, gadget e merchandising dell'animazione, una vera bengodi di quel genere di attrazione, in uno spazio moderno e bellissimo che sarà un fiore all'occhiello per l'arte dell'entertainment.
    Qui abbiamo sfruculiato tra le decine di originali passando da maestri del calibro di Glenn Keane ad Alex Toth, da Matt Davis a Evyn Earle, scambiando opinioni e curiosità col titolare, che ci ha messo a disposizione tutta la sua gentilezza, oltre a farci entrare in anteprima e con grande rispetto nei nostri confronti, in uno spazio non ancora inaugurato. Dopo che Luca ha acquistato gli originali che cercava, siamo tornati all'albergo stranamente stanchissimi ( ma probabilmente si tratta di un accumulo di stanchezza), e ci siamo trovati la hall dell'hotel invasa da appassionati di musica di un "Records Show" una mostra di dischi in vinile che stava per aprire i battenti.
    Non ci muoviamo da qui, prenotiamo al Drill & Grill Restaurant dell'albergo, e stasera decido di cenare a base di una calda zuppa di patate e vongole piuttosto piccante e decisamente buona. Nel frattempo nella hall dell'albergo e nei suoi prospicienti spazi, si è aperta la fiera del disco vintage e in vinile e, oltre al fatto di farla cominciare alle 20,00 della sera, ha anche un biglietto d'ingresso di 30 dollari, non proprio uno scherzetto per chi dovrà spendere per altre rarità all'interno di essa. Ci fermiamo pochi minuti nella hall, Luca non sta benissimo, un colpo di freddo lo sta mettendo ko, ma anche gli altri li seguono a ruota, vista la stanchezza che ci accomuna.

     Giorno 4

     Decisamente non è un buon anno per Luca, il mio socio, dopo le peripezie di Angouleme, dove passò una mezza nottata e una mattinata all'ospedale per una colica renale, anche qui a Los Angeles sta avendo problemi di salute. Un abbassamento di voce, causa un virus o più probabilmente un colpo di fresco o uno sbalzo di temperatura, gli sta impedendo quasi di parlare.
    Stamani, mentre si occuperà di altre cose e poi probabilmente si riposerà in camera, dopo una nottata tribolata, io, Fabrizio ed i ragazzi abbiamo come destinazione Santa Monica Pier.
    L'idea sarebbe quella di arrivare fino a Venice Beach lungo il litorale, e vedere il famoso borgo sull'acqua famoso per la "somiglianza" con la nostra Venezia e la passeggiata lungo l'Oceano Pacifico.
    Arriviamo sotto l'arco che sancisce la fine della Route 66 e l'inizio del pier, un lungo pontile comune a molti altri moli americani che si spinge per diverse centinaia di metri nell'oceano e che dispone sulle sue palafitte di ristoranti, negozi, bazar, giochi e tutto quanto fa spettacolo. Lungo il perlinato di legno che ricopre il molo, si alternano saltimbanchi, cantanti che inneggiano a successi evergreen, giocolieri, acrobati e altri personaggi in cerca di un pubblico. Oggi è sabato, ma sicuramente anche ieri ci sarà stato lo stesso numero di persone, turisti, locali in una fantasmagoria di razze e nazionalità da coprire il mondo intero.
    Un'asiatica in costume da bagno, con una pelle raggrinzita e cadente, si muove a ritmo di musica dietro alle note di un cantante che suona Cat Stevens; un ragazzo di colore da sfoggio muscolare ed acrobatico dopo avere imbonito un folto pubblico in attesa di sorprese, un anziano rocker canta random canzoni all'indirizzodi ogni popolo e ogni cultura, passando con disinvoltura da "L'italiano" di Totò Cutugno a le "Feuilles mort" di Edith Piaf.

    Il molo di Santa Monica, il punto dove termina la famosa Interstatale 66 che attraversa l'America. In fondo, i più giovani del gruppo: Rebecca, Ginevra e Alberto.

    Arriviamo fino alla fine del molo, pieno di curiosi e pescatori con le canne infilate nel legno della balaustra che protegge la camminata, che ha gli appositi fori per contenerle. Poi, dopo avere occhieggiato a Nord Santa Barbara e Malibù e a Sud verso Venice Beach, decidiamo per il Sud.
    La giornata è limpida e pulita, spira un venticello freddo che se fosse dalle mie parti non faticherei a definirlo come maestrale, ma qui siamo davanti l'Oceano ed è tutt'altra cosa. Scendiamo sulla spiaggia e prendiamo la pista ciclo-pedonale che costeggia il litorale in direzione di Venice.
    Intorno a noi ce di tutto, jogger, ciclisti, camminatori, chi a torso nudo, chi in t-shirt, che col piumotto, giusto per stabilire che anche qui la temperatura è un fatto del tutto soggettivo. Gente abbronzata, homeless sotto una tenda, o che rufola dentro ad un cestino dei rifiuti, giovani abbronzate che corrono con le cuffie, Milf che cercano di mettere in mostra i loro ultimi centimetri di gioventù, palestrati che si gonfiano e corrono in mutande per valorizzare l'effetto degli steroidi che usano.
    Orinali, campi da beach volley o da mini american-football con ragazzi che giocano, surfisti in mare con le mute che prendono onde microscopiche con un impegno ammirabile, gente che cammina sulla spiaggia e gente che anche qui sembra debba abbattere record. Una moltitudine di umanità che cerca di impiegare il proprio tempo per migliorare la propria vita, alla ricerca di un benessere difficile da mantenere in una terra che ha eletto la carne in tutte le sue cotture a unico alimento di riferimento.
    Camminiamo per circa otto chilometri, costeggiando il mare, qualcuno, come Alberto, anche togliendosi le scarpe e bagnandosi i piedi nel Pacifico, circondato da personaggi buffi, strampalati è fuori dall'ordinario: una goduria.
    La lunga passeggiata corre con pista ciclabile è perdonabile in parallelo, poi la pedonale si regolarizza accanto alle abitazioni e abbandona la sua fora un po' serpeggiante avuta fin lì, permettendo così a negozi: piccoli bazar e shop vari di avere una loro legittimazione e di affacciarsi su essa. Uno tra questi si chiama: Titanic, ed è un negozio curioso ed originale che con pezzi di ricambio costruisce nuovi robot che assomigliano ai personaggi più disparati. Qui ci sono negozi di ogni tipo, da dischi, t-shirt, gadgets ed ogni tipologia merceologica e un po' fricchettoni, fanno bella mostra sulla camminata, inframezzati da case che danno direttamente sul viale, in un alternanza di architetture tra le più imprevedibili. Quello che manca sono i ristoranti, quelli che sarebbe impossibile immaginare su una passeggiata del genere in Italia, dove tutto diventa gastronomico, commestibile e gustabile, questi li scopriremo più tardi nel punto in cui i canali di Venice terminano, ed avremo già consumato il pranzo.

    Verso Venice Beach, sulla pedonabile che costeggia l'enorme arenile di fronte al Pacifico.

    Troviamo campi da basket dove nel più classico stile americano si intravedono squadre composte da individui tra i più disparati che si combattono a colpi di canestri, poi arriviamo a Muscle Beach, il punto dove una palestra all'aperto con attrezzi e connessi permettono a muscolari individui di mettere in mostra la loro fatica insieme alla loro prestanza, e dove muscoli con un uomo dentro si sforzano è si gonfiano per far vedere il frutto dei loro sacrifici, ma lo spettacolo sta tutto lì, nel vederli srotolare la loro ruota da pavone. Troviamo anche un bellissimo spazio attrezzato per gli skater, una pista pensata, realizzata è costruita a loro uso e consumo, una zona transennata e dove decine di spettatori decidono di osservare le evoluzioni di quegli atleti (tra cui alcuni molto bravi) con quegli infernali attrezzi.
    All'ora di pranzo, non avendo trovato che microscopici negozietti che vendevano gli stessi hamburger mangiati nei giorni prima, ma in condizioni igieniche più precarie, ci siamo decisi di rubare un po' di wi-fi a qualche struttura vicina, siamo andati a cercare un ristoro. Abbiamo trovato un franchise di Tacos e lì ci siamo fermati.
    Appena terminato il luculliano pranzo, abbiamo deciso di andare a visitare il famoso quartiere di Venice, che era proprio un paio di strade sotto.

    Venice e Muscle Beach, dove palestrati mettono in mostra i propri muscoli mentre usano attrezzi in una sorta di palestra all'aperto, con tanto di passerella per esibizioni di body-builders.

    Il quartiere è stato costruito alla fine dell'800, e intorno alla fine degli anni 90 è stato decretato come "opere di interesse culturale dell'umanità", ed è stato costruito scimmiottando una città, come la nostra Venezia, scavando canali e costruendoci intorno delle abitazioni. Le case guardano tutte il canale e tra loro e lui sono divise da una passeggiata dove si affacciano i cancelli i di accesso alle abitazioni e, spesso, hanno attraccato di fronte a loro, una barchetta a remi di legno o resina e, qualcuna, anche piccole chiatte a motore che gli permettono di arrivare vicino a dove si vuol arrivare, probabilmente da un vicino con la casa sul canale, con cui fare un piccolo party.
    Non è un area grandissima ma le case che si affacciano sui canali sono caratteristiche e realizzate in stili architettonici tra i più disparati, vicinissime tra loro e praticamente è possibile vedere internamente gli arredi e curiosare impunemente attraverso le finestre. Passeggiare lungo i canali è piacevole e rilassante e nel contesto americano è un paesaggio piuttosto unico.
    Terminiamo il pomeriggio percorrendo anche il pier di Venice Beach, questo è solo un molo che si tuffa nell'oceano per circa duecento metri, ma non ha attrazioni di nessun genere, ed è al suo inizio che troviamo ristorantini e caffè che non avevamo incontrato prima.

    Tra gli incantevoli canali di Venice. 

    Poi chiamiamo come sempre Uber, che ci raggiunge dopo pochi minuti e rientriamo a Burbank, dopo circa un'ora di viaggio è dopo avere attraversato un bel pezzo della città.
    All'albergo prenotiamo i posti per una partita dei Lakers, e incontriamo Luca, poi ci andiamo a riposare un po' prima della cena. Sul letto, in tutta tranquillità e sfruttando il wi-fi dell'hotel, in tutta tranquillità mi rivedo tutta la partita di volley di mia figlia.
    Appena scesi nella hall, incontriamo Florian Satzinger, anche lui al Marriott per il prossimo CTN, e decidiamo di andare con lui a cena.
    Florian è un nostro amico di lunga data, è stato uno dei nostri primi invitati di Nemoland, e successivamente lo abbiamo invitato altre volte per vari workshop. È un insegnante austriaco che si è inventato un modo personale per ridisegnare i paperi Disney personalizzandoli con uno stile tutto suo e perciò rinnovandoli, un talento indiscusso e un artista tanto bravo quanto modesto. Di fronte all'hotel c'è uno spazio con diversi franchise di ristoranti McDonald's, Denni's, Panda (con cucina cinese), un ristorante greco e Wish-Dish che propone piatti con gamberi, andiamo nell'ultimo perché gli altri vicini stanno già chiudendo, nonostante non siano ancora le 20,30, questo giusto per avere un'idea degli orari americani.
    La cena è veloce (il locale stava chiudendo ed è rimasto in stand-by per non perdere gli ultimi clienti), è davvero dimenticabile, gli spiedini su un letto di riso con fetta di pane abbrustolito e cavoletti buttati là, aveva un sapore indefinito. Rientriamo nella hall per pianificare i prossimi giorni e capire come organizzarci, e in quel momento arriva John Pommeroy e famiglia che salutiamo rimandando tutto a incontri più approfonditi nei giorni successivi, essendo anche loro lì per il CTN.
    Terminiamo la serata facendo il planning dei giorni successivi e prenotando l'entrata ai Warner Studio's per il pomeriggio successivo, mentre la mattina andremo a vedere il Getty Museum.
    In camera mi metto a scrivere il report quotidiano con molta fatica, il caldo del letto, la morbidezza delle lenzuola e la stanchezza che giorno dopo giorno aumenta per incapacità endemica di recuperare le forze in giornate così intense, mi fa chiudere gli occhi. Accanto a me Alberto sta ronfando tra le spire di un sonno profondo, e anch'io quando rileggo ciò che ho scritto, mi accorgo di leggere cose senza senso, quasi come se fossi stato in trance.
    Ed è allora che spengo la luce.

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    MADRID GENERATION X

    La giornata è cominciata con delle grigie nuvolaglie che hanno ben presto introdotto la pioggia, giusto per non far rimpiangere ai ragazzi la fine dell'Estate,  e mitigare invece il consueto fastidio dell'inizio della scuola.
    Poi, come nei giorni precedenti, è tornato prepotente lo scirocco, il caldo umido e anche le nuvole, stanche di quell'appiccicaticcio, si sono allontanate per far spazio nuovamente al sole, come se quest'anno l'Estate non ne avesse avuto abbastanza.
    All'ora prestabilita, così, mi sono incamminato verso la stazione.
    Domani parto da Firenze per Madrid, dove avrò un evento in cui per la prima volta presento due miei lavori pubblicati in terra di Spagna. Finalmente.
    Ho sempre pensato, forse presuntuosamente, che le mie storie potessero essere adatti per il pubblico spagnolo ma, a onore del vero, l'unica pubblicazione sconfinata in quelle terre straniere, era stata ben oltre due lustri fa, "Moonlight Blues" per i tipi di Astiberri, una casa editrice basca.
    Poi l'oblio.

    La cARTEm Ediciones invece, dopo aver pubblicato "Mimbrenos " nell'inverno di quest'anno, in questi giorni ha fatto uscire anche "La espada y la cruz", e ben quattro mesi fa mi ha chiesto di partecipare questo incontro in uno spazio/negozio/libreria (sarò più preciso in seguito), per onorare un consueto "firma copie" e una sorta di presentazione del sottoscritto. Una specie di entrata in società.
    Era da tempo che non scrivevo uno dei miei consueti report, del resto ho fatto pochino, ho latitato molto, mi sono fatto molte domande (con poche onorevoli risposte), mi sono rimesso in discussione, e tutto questo con un unico risultato: mi sono allontanato dal fumetto in modo preoccupante.
    L'ultimo report è stato quello di Angouleme, che sancisce già il mio status attuale, e cioè non tanto quello del protagonista, quanto da ameno turista in vena di gozzoviglie, amici gaudenti e alla ricerca di uno svago soprattutto vacanziero e avventuroso. Il bisogno di rompere con un routine che non mi soddisfa abbastanza, nella speranza di trovare nuovi stimoli.
    Si dice così, no? Quando non si sa che pesci prendere e la quotidianità ci fa cagare.
    Se scorro nelle pagine precedenti, rileggo in fila tutte le mie riflessioni contenute in questo vecchio IPad, utilizzato praticamente come macchina da scrivere, e compagno di molte sortite in terra straniera, per la maggior parte realizzate per la Francia, la Cina, ultimamente anche il Kosovo, una sorta di archivio costituito da brani di ciò che ho fatto negli ultimi dieci anni. Un memento di quello che ero e al momento non so se lo sarò ancora in futuro. Ma così è.
    È una strana sensazione quella che sto vivendo, mi fa piacere andare, ci mancherebbe, è giusto per gratificare nuovi lettori e onorare il mio lavoro, ma è come se dovessi rivivere le gesta di qualcuno che faccio fatica ad far albergare dentro di me, quasi come se non volesse starci e facesse fatica. Tranquilli, non sto diventando un paranoico schizoide, forse ho bisogno di passare dal gommista per una riequilibratura delle gomme o una sostituzione delle stesse. Probabilmente hanno percorso troppa strada, si sono consumate e sono calate di pressione.
    Parliamo d'altro.
    Le spiagge sul litorale che sono visibili dal treno lungo il tratto costiero del tragitto per Firenze, rivelano il diradamento progressivo e costante dei turisti (in questo periodo per lo più tedeschi), ancora abbastanza numerosi, ma che rappresentano il canto del cigno di questa lunga e calda stagione estiva. Quest'anno l'estate è cominciata prestissimo, non ci ha dato tregua col caldo intenso e prolungato, e adesso vuole chiudere i battenti avendo fatto del suo meglio. Io in realtà vivrei in un'estate eterna, vorrei non finisse mai, magari interrotta da qualche sano acquazzone (e non quelle piogge tropicali che allagano pianure e rovinano colture), ma in realtà più che i solleoni e i bagni al mare, adoro l'atmosfera di quella stagione, di quel tempo spensierato che probabilmente riconduco alla giovinezza, ma che poi mi rendo conto idealizzo in quel mese di Giugno che è foriero di una stagione carica di promesse, come fosse il mio  personale "sabato nel villaggio".
    Comunque stasera sarò con Luca e Francesco, i miei partners di quell'Accademia Nemo, che tra le altre mille cose, in parte è anche la causa delle mie paturnie, visto che per mia somma fortuna, mi ha concesso scelte che solo la sua presenza mi ha permesso e fare, e che anche adesso, tra i miei mille dubbi, mi concede di coltivarli senza troppi traumi e pericoli, privilegi che non tutti possono avere, e di cui gli sarò eternamente grato.
    Questa estate il Dinamico Duo l'ho visto pochissimo. Ci siamo sentiti sì, ma la latitanza l'ha fatta da padrona tenendoci lontani, e soltanto la ripresa della scuola ci rimetterà vicini e sodali nei nostri impegni e nei nostri destini comuni.
    Alla stazione c'è più fila che taxi, decido allora di farmela a piedi, dove devo andare  non è molto lontano, ma è ancora caldo, un caldo fastidioso che ti si incolla addosso, e che devi sopportare insieme alla calca di turisti che affollano le vie del centro. Pazienza.
    Abbiamo incombenze americane, in città c'è Caitlin, la figlia di Tony Bancroft (il co-regista di Mulan) and husband (il simpatico Joe, un vichingo dall'aspetto bonario e solare), che ci accompagnano, dopo un aperitivo, alla cena che celebrerà il compleanno di Federica (non lo sapevo, ma che tempismo, mi dico), la compagna del mio socio e colonna portante del nostro corso di Animazione.

    Joey, Caitlin, Laura, Francesco, Carlo, Federica, Luca e il sottoscritto alla cena al Finisterrae.

    La cena al Finisterrae procede benissimo, bagnata da un Bruciato degli Antinori, un vino rosso prodotto dalle mie parti, e dalle solite amene chiacchiere tra noi (con vari aggiornamenti sullo stato dei nostri interessi) e il consueto scambio Italia-America fatto di curiosità, confronti e simpatici baloccamenti.
    Prenoto il taxi per la mattina dopo, non che tema di non trovarli, ma per la certezza dell'orario, alle 5,30 non ci sono file a rompere le scatole, ma neanche miriadi di vetture, e poi in vecchiaia si diventa previdenti.
    La notte non è particolarmente riposante, la finestra è aperta sulla strada per smorzare il caldo, e i rumori che provengono da via Ghibellina mi svegliano più volte, allungando illusoriamente i tempi, ma impedendomi il sufficiente riposo nelle cinque ore scarse che mi dividono dalla sveglia.
    Adesso sono qui all'aeroporto, ed inganno il tempo scrivendo e riempiendo queste pause di fronte al bar dell'aeroporto che sforna colazioni e panini  a go-go, ad un variopinto parterre di stranieri vestito in ogni modo, che c'è da divertirsi solo a vedere le sfilate di personaggi che transitano da lì. Se c'era una cosa che mi piaceva all'aeroporto di Firenze, era il lungo corridoio posto prima dello stretto budello che permette di raggiungere i gates; nella recente ristrutturazione, erano state poste delle comode sedute circolari provviste di interruttori per la ricarica dei devices (ci sono ancora ma sono stati spostati più avanti, ma ne hanno ridotto il numero), un ampio ambiente che dava un respiro architettonico che compensava l'angusto spazio successivo delle partenza, evidentemente impossibile da ampliare. Adesso questo spazio è scomparso, per lasciare il posto a un nuovo cancello d'imbarco, inserito, come si vede, in modo corsaro e che da sentore di provvisorietà. Ecco, visto che la ristrutturazione dell'aeroporto è recente, vedere cose del genere, è l'indice inequivocabile dell'incapacità di programmazione tutta nostra, l'impossibilità di essere lungimiranti e pensare spazi e ambienti futuri senza dover ogni volta sacrificare qualcosa per mancanza di una visione in prospettiva. Vuol dire non avere considerato spazi passibili di cambiamento d'uso, e quindi hai subito sacrificato qualcosa per tamponare una nuova esigenza, a solo poco tempo di una riprogettazione del tutto. E vabbè.
    Il 25 si vota, e la politica italiana ragiona esattamente così (...ragiona, diciamo proclama), giusto per non fare polemica. Ma mi fermo subito.
    Scendo al piano inferiore e l'imbarco è già iniziato, il serpentone delle persona si snoda nell'angusto spazio dei gates, un quarto d'ora di fila, e poi ci sediamo in coda a un Airbus A 319 pieno fino all'ultima poltroncina. E adesso, nella speranza che il cagnetto che ha il medesimo aspetto di un topo muschiato e la simpatia di una zanzara tigre, che è alle mie spalle e che abbaia con latrati striduli, si zittisca, mi farebbe piacere recuperare quel riposo che la notte mi ha voluto negare. Sperem.
    Madrid, sto arrivando!
    Arrivo in perfetto orario con una giornata luminosa come quelle che solo settembre sa offrire. L'aeroporto dista dalla città soltanto una quindicina di minuti, rapido, veloce e indolore, quasi come una puntura Pic.
    Anche l'albergo, in posizione centrale, è piuttosto comodo: l'Hotel Claridge ha un aspetto piuttosto moderno, potrei sbagliarmi ma l'architettura ha una sua austerità che mi ricorda gli edifici degli anni '70, un mix fatto di toni un po' cupi e un desiderio frustrato di modernità, interni scuri, poltrone in velluto, boiserie in legno che gli da un aspetto più nobile di quello che probabilmente è, ma è confortevole.

    La camera dell'Hotel Claridge.

    L'unico problema è che le tempistiche spagnole differenziano leggermente dalle nostre, e devo attendere quasi un'ora e mezza per avere la camera, per cui il mio piccolo progetto ci concedermi almeno una passeggiata nei paraggi, favorita anche dal clima e dal sole, va a farsi benedire.

    Sono in camera da solo cinque minuti, che ricevo un messaggio da Elena (che in questo caso non è mia figlia), che mi avverte che sono arrivati e mi aspettano nella hall.
    Ad attendermi, come mi aspettavo c'è Elena una delle mie interfacce all'interno della casa editrice e che sarà, all'occasione, anche l'interprete, Daniel l'editore, e Jaime responsabile della diffusione. L'impatto è positivo, si rompe subito il ghiaccio, sono tutte persone semplici, simpatiche e tra latini si capisce subito che l'intesa si trova facilmente, mediata da caratteri, culture e spontaneità che ci accumuna. E non rimango deluso.
    Entriamo nel vivaio delle dinamiche editoriali, chi sono,  cosa vorrebbero fare e quali sono i loro piani per diventarlo. Io faccio altrettanto.
    Mi hanno scoperto come un autore che rappresenta il loro modo di pensare il fumetto e vogliono stringere una collaborazione che in futuro potrebbe essere molto proficua per entrambi.
    Io colgo l'occasione per ringraziarli per la splendida edizione dei due albi (vedo "La espada y la cruz" in quel momento, ma è realizzato con la medesima cura di "Mimbrenos"), per l'attenzione con cui hanno valorizzato ogni riferimento di documentazione inserito nella storia, di ogni dettaglio storico, trattato e ampliato nella bella introduzione all'albo, fatta di un testo ricco e puntuale con foto e riferimenti davvero precisi
    Non è un caso, perché la cARTEm è una casa editrice specializzata in riproduzioni d'arte, nella realizzazione di esatti fac-simile di opere pregiate, testi antichi, documenti storici che sono pezzi unici e della quale le riproduzioni, curate nei minimi dettagli, saranno appannaggio di appassionati, cultori e collezionisti di opere d'arte. Ma da poco più di un anno si sono aperti anche all'arduo mercato del fumetto, che anche in Spagna sta diventando importante e che, ed è quello che emerge dalla nostra chiacchierata, ha più o meno le stesse dinamiche di quello italiano. La targettizzazione del mercato, l'ascesa del manga, la proliferazione di pubblicazioni che intasano le librerie specializzate, la nuova apertura del fumetto all'interno delle librerie generalista ad opera dei graphic-novel.
    Vi ricorda niente tutto ciò?
    Appunto, per avere un'idea precisa della globalizzazione che fagocita tematiche,  stili e modalità interscambiabili tra loro, basta girare un po' anche nelle vecchia Europa, per averne una prova. Tutti siamo succubi, protagonisti o vittime (fate voi) delle stesse dinamiche.
    Prendiamo el coche e ci dirigiamo verso il centro, dove si trova la libreria Generation X, una delle tante distribuite in molte città, un franchising sullo stile di Forbidden Planet, e dove avrò l'incontro nel tardo pomeriggio.
    La città, anche vista dall'auto è bella come la ricordavo, imperiosa e solenne, con architetture ottocentesche che risplendono alla luce del sole settembrino che ha, tra le sue qualità, quella di scolpire le forme e i volumi degli edifici come fosse un fotografo d'arte. I viali sono ampi e alberati, anche questa è una città giovane, lo si vede dagli spazi che offre alle vie, trafficate ma che danno l'impressione di essere ordinate e pulite. Ci fermiamo e lasciamo la macchina in un parcheggio sotterraneo vetusto, e lo si evince dall'altezza minima con la quale si può accedere, segno evidente che quando lo si è progettato, i SUV erano ancora da venire, e le altezze delle auto erano  loro più ridotte, perché dubito che oggi alcuni modelli possano entrarci.
    Ci inoltriamo tra i vicoli del centro, stretti e caratteristici, pieni di finestre e illuminati dal sole e al tempo stesso riparati da lunghe ombre, una miriade di localini si snodano lungo di essi, e sono pieni di avventori che, ad occhio e croce sono appena all'aperitivo, sono le 13,00 ma qui tutto slitta allegramente di almeno due ore.
    Insieme a noi si unisce anche Adisa che si occupa di diritti e vendite che pranzerà con noi, è  di origine bosniaca ma è vissuta per molti anni in Italia, a Senigallia (proprio una delle città colpite dal nubifragio del giorno prima) e finiamo anche per parlare di quello.

    Ci fermiamo di fronte ad un locale come gli altri (mi dicono che gli è stato consigliato, gli editori sono infatti di Salamanca e sono venuti a Madrid appositamente per conoscermi e stare con me per tutto il giorno), il nome dichiaratamente proustiano "Al buscado del tiempo perdido", un po' pretenzioso ma simpatico. In realtà vista la confidenza e la spontaneità con la quale si parlano, sembrano conoscersi da tempo, e ci fanno accomodare in una saletta al pian terreno, capisco che, appunto, ci facciamo un aperitivo prima di passare di sopra per la comida.
    Continuiamo a parlare amabilmente e poi ci servono gli antipasti, buoni e appetitosi fatti di bocconcini, jamon (il prosciutto per i più sprovveduti) e polpettine. Io credevo di avere già quasi terminato quando arriva il vero e proprio pasto, tre piatti fatti di carne di maiale,  loro morbida e cucinata in modi diversi, con patatine e spuma di olive: eccellente. Abbiamo chiuso con una cheescake consigliata da loro, che era davvero strepitosa (termine questo che a loro faceva molto ridere perché nel loro lessico ha una valenza un po' diversa ma che trovavano tuttavia appropriato. ma evidentemente divertente).

    Il pranzo "Al buscado del tiempo perdido" insieme a: Daniel, Adisa, Jaime ed Elena.

    Abbiamo terminato poco dopo le tre e mezzo, ma i tavoli del locale si erano riempiti da poco più di un'oretta ed erano nel bel mezzo del loro pasto, tanto per dire.
    Usciamo e ci incamminiamo tra i vicoli, poi ci dirigiamo verso Plaza Mayor, nel cuore delle città, la classica piazza centrale che caratterizzano le città spagnole, un enorme spazio quadrato circondato da un edificio dalla forma regolare e continua con decine di finestre che guardano all'interno, una struttura architettonica affascinante e che denota immediatamente il tutto. Ci sediamo ad un locale all'aperto, e ci godiamo il tepore di questa giornata che si è concessa a noi in tutto il suo splendore. Trascorriamo del tempo mentre al centro della piazza è montato un set dove stanno girando, mi dicono, una serie per Netflix. Pare che da quando il grande network ha aperto i battenti, Madrid sia diventato un grande palcoscenico.
    Si sta avvicinando l'ora dell'incontro e ci avviciniamo al luogo preposto.

    Il gruppo che si gusta una sosta ristoratrice in Plaza Mayor (anche nelle due foto sopra), da sx: Adisa, Elena, Daniel, Jaime e io.

    Generation X, il negozio che lo ospiterà, è in una invidiabile posizione centrale, è ampio ed allestito con gusto ed attenzione per il dettaglio, ha ampi spazi e un grande assortimento di volumi, libri di genere, giochi di ruolo e un assortimento invidiabile di action figures.

    Lo spazio- libreria Generation X.

    Il tempio ideale dell'intrattenimento comics/ludico del tempo.
    L'enorme numero di albi in tutte le loro forme (in Spagna si realizzano anche gli spillati), omologa a tutto il comparto editoriale di genere anche questo paese, che non scampa alle logiche di mercato sempre più simili tra loro. Riconosco autori francesi, spagnoli e molti colleghi italiani... oddìo molti, Fior, Igort, spuntano curiosamente (ma con enorme piacere) tre volumi di Andrea Pazienza, Zerocalcare (sì, figurarsi se mancava, e lo conoscono anche per la serie animata TV), l'albo di Saviano, e poi il sottoscritto a cui hanno dedicato un'intera parete tappezzata dalle mie due ultime uscite, ma questo non fa testo, è ovvio, sono l'ospite della giornata.

    Io e Daniel, l'editore.

    Nella parte finale dello spazio, c'è anche un bar dove campeggiano simpatici tavolini caratterizzati da vistose tovaglie a quadretti verdi e dove si possono consumare caffè, bibite e frugali merende, e per l'occasione diventerà il luogo dove effettuare le dediche sugli albi. Il posto è davvero carino e accogliente.
    Intorno alle 19,00 inizia l'incontro, non potrò utilizzare le foto che avevo portato per problemi col PC del locale e ci sediamo al centro della libreria, allestito con sedie che verranno presto occupate tutte e microfoni per l'uso.
    Sorvolo sull'ora abbondante nella quale mi hanno presentato e nella quale mi sono descritto, il tutto di fronte ad un auditorio attento e concentrato, anche se mediato inevitabilmente da Elena che traduceva ciò che dicevo con una precisione millimetrica, non perdendosi nessuna delle mie parole.
    Figurarsi, da come annuivano alcuni, avevo quasi l'illusione che capissero anche quando parlavo in italiano, ma temo fosse solo delirio di onnipotenza.

    La sala non si può definire gremita, ma del resto è solo l'inizio, arriveranno in seguito.

    Poi la sessione delle firme che è durata quasi tre ore, le persone si aggiungevano alle altre e la giornata è stata molto proficua. Comunque sì, avete capito bene, praticamente abbiamo finito quasi alle 23,00, perché quello è l'orario di chiusura del negozio, non di tutte le attività commerciali (per gli altri i battenti si serrano alle 21,00).
    L'avevo già detto, qui slitta tutto di almeno un paio d'ore, quasi che per gli spagnoli le giornate avessero due ore in più.
    Mangio un boccone offerto dalla gestione, e poi ce ne usciamo per le strade della città, in una serata bellissima e tiepida, avvolti da una temperatura ideale, circondati dal flusso della movida madrilena fatta di localini aperti e un costante via vai di persone.
    Ma non è finita, in albergo mi aspettano altre dediche da fare, e queste sono per la cARTEm, i loro clienti, il socio, Daniel e Jaime, e ne ho per quasi un'altra ora.
    Ci lasciamo a mezzanotte, io stanco ma soddisfatto di questa bella esperienza, loro con ancora un paio d'ore di viaggio da affrontare  per rientrare nella loro Salamanca, ma altrettanto contenti, almeno così mi sembra.
    Ho conosciuto nuovi amici, belle persone alle quali invidio quell'entusiasmo tipico di chi affronta una nuova esperienza che si schiude davanti a loro con tutto il bagaglio di novità, speranze e aspettative com'è prerogativa di ogni sfida e di ogni avventura.
    Buona fortuna cARTEm, spero di collaborare con voi in questo vostro nuovo viaggio.
    Anche il sabato mattina è splendente, la Spagna non ha voluto deludere le aspettative di chi, come me, ogni volta che la penso non riesco ad immaginarla senza sole. La colazione è misurata e consumate in una sala vuota, se slitta tutto di due ore, è chiaro che le 8,00 sono troppo presto.
    Arriva il taxi chiamato dalla reception, l'aria fuori ha il giusto mix tra la bellezza dei riverberi del sole e il clima settembrino, e tutto brilla come lucidato da un detergente. Il traffico è regolare e modesto, e in quindici minuti arrivo al Terminal 4.
    Il resto è noia: le solite pratiche con le tempistiche giuste, gli orari calibrati al quarto d'ora, la puntualità di imbarco, partenza e arrivo ha quasi del soprannaturale, con un timing che rasenta la perfezione, mi ritrovo alla stazione di S.M. Novella di Firenze con un anticipo di mezz'ora sul treno che non credevo di poter prendere.
    Sul treno finisco di completare il mio report, che negli ultimi tempi si sono fatti sempre più distanti tra loro.
    È così mi pongo una domanda ineludibile, visto il mio stato d'animo attuale:
    È cambiato qualcosa nel mio atteggiamento?
    Probabilmente no, ma di sicuro nella vita alcune prospettive cambiano a secondo dell'angolazione con la quale decidiamo di osservarle, esattamente come in geometria.
    Non mi faccio illusioni, mi conosco, ma di certo queste zingarate mi fanno bene, me lo hanno sempre fatto, lo so, vorrà dire che cercheremo di aumentarne la frequenza.
    A scopo terapeutico.

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    ANGOULEME 2022

    GIORNO UNO

    Sono qui al finestrino del treno, a guardare un mare grigio come il cielo che lo sovrasta, separati da un orizzonte che a malapena si distingue, confuso com'è tra queste due entità contrapposte. Una giornata indefinita, tra inverno e primavera, incerta come sta diventando incerto quasi tutto quello che ci sta intorno.

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    BELLEGARDE 2021- RESTART

    Eccoci qua di nuovo.
    Se saltiamo il Gran Fest di Pristina, che era un incontro tra autori a fronte di un'esposizione di tavole per promuovere il fumetto in Kosovo, e quindi qualcosa di diverso dal semplice festival BD o di Fumetto in genere, questa è la mia prima uscita ufficiale per promozione di libri dal lungo letargo causato dal Covid.
    L'ultima mia sortita era stata in occasione di BDBoum di Blois nel lontano 2019, quasi faccio fatica a ricordare, poi una sequenza di festival annullati e già programmati e poi tutti annegati nel limbo di un periodo sospeso.
    Se torno indietro a quei mesi è curioso pensare a che cosa ci saremmo dovuti adattare e cosa ci sarebbe successo, averlo dichiarato sarebbe sembrata fantascienza o almeno un sicuro spunto per realizzarci proprio un fumetto, e invece è stato tutto reale, fin troppo, e ancora non è finita.
    Sono successe talmente tante cose che star qui a parlare di fumetti mi sembra quasi superficiale, perdonatemi, e infatti faccio fatica a ritrovare quell'intensità e quelle convinzioni che animavano il mio spirito d'autore globetrotter entusiasta, e che mi distinguevano nelle mie frequenti trasferte.
    I morti, le rinunce, l'isolamento, la DAD, le mascherine, i vincoli, i Greenpass, i no-vax, le polemiche, i politici che fanno giochini come al Risiko, le uscite con mille precauzioni, le contrapposizioni e tutto l'armamentario di questi mesi, mi hanno un po' depotenziato, hanno ri-gerarchizzato le mie priorità, mi hanno allontanato dall'obiettivo forse per distinguerlo meglio, spero, mettendo in maggiore evidenza le cose su cui focalizzarsi e che probabilmente risultavano sbiadite o in secondo piano.
    È avvenuto un cambiamento probabilmente, ma non chiedetemi quale.
    Ma non staremo qua a menarcela su quisquilie del genere, oggi dal mite clima della costa Toscana andiamo a gettarci tra le rigide temperature del Nord, dalle previsioni infatti non solo i gradi Celsius andranno vicino allo zero, ma sono anche previste delle copiose nevicate.
    Che bello! Faremo a pallate!
    Dopo avere sbrigato on-line vari protocolli per l'entrata in Svizzera prima (vado in Francia ma atterro a Ginevra facendo transito da Zurigo) e per il rientro in Italia poi, vere e proprie pratiche burocratiche dal potere deterrente e che complicano ogni tipo di viaggio. Sono partito in una grigia giornata funestata da una violenta pioggia, che si è parzialmente mitigata solo sui marciapiedi della stazione di Cecina, nel momento in cui, facendo capolino un pallido sole, mi ha salutato con un arcobaleno a pieno raggio.
    A Peretola l'aeroporto è ulteriormente migliorato, ha un unico punto in cui si percepisce  i suoi precedenti e si trova in corrispondenza di una strozzatura dove si passa uno alla volta, retaggio delle dimensioni ridotte dalla nascita. Per il resto le modifiche lo hanno reso quanto meno gradevole alla vista anche se probabilmente piccolo per una città come Firenze, anche se il traffico aereo c'è dea dire che non è così intenso.
    Adesso siamo qui a bordo di un A220 mentre i passeggeri stanno prendendo posto nelle rispettive poltrone, e non è che mi ritrovo ad avere qualcosa di intelligente da dire, se non a constatare che a queste latitudini è davvero difficile mantenere un tempo buio e tempestoso, spesso, come adesso, le nuvole si aprono quasi a voler regalare a questa parte di mondo quello spicchio di sole quotidiano di cui pare debba nutrirsi.
    Ok, detta la banalità della giornata, non mi resta che constatare quanto l'aeroporto di Zurigo sia piuttosto bello (non ricordavo di esserci già stato, spuntato anche questo nel cartellino delle presenze), ampio, con innumerevoli punti ristoro e Duty Free Shop, con l'eleganza tutta elvetica e ricca dei proventi delle innumerevoli banche, immagino, del resto tutti 'sti risparmi da qualche parte devono pur essere investiti, perché non nelle loro infrastrutture? Ci sono  anche punti piuttosto deserti, ad esempio gli imbarchi sono concentrati nei Gate A, mentre la parte B è totalmente deserta (ci siamo passati all'arrivo), segno evidente che la circolazione delle persone è molto ridotta nei confronti degli standard pre-Covid e l'hanno concentrata in un punto preciso dell'aeroporto.
    Sono in attesa per la coincidenza per Ginevra, per adesso passo e chiudo, forse avrò da dire qualcosa a fine giornata.
    La partenza da Zurigo per cause sconosciute è stata ritardata per cui sono arrivato a Bellegarde a inaugurazione festival iniziata. Il viaggio dall'aeroporto è avvenuto con Jean, un volontario dell'organizzazione alla guida di una Kia completamente elettrica dal design futuribile, lucine al led e mille optional, anche se non siamo stati capaci di far partire il riscaldamento temo più per incompetenza nostra piuttosto che per difetti dell'auto.

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    L'inaspettata mostra realizzata alla manifestazione con pannelli che descrivono i mii personaggi e il mio lavoro.

    Nel centro Jean Vilar che nel frattempo è stato oltre che ristrutturato anche ribattezzato in Jean Marinet (manchi per qualche tempo e ti cambiano subito le cose sotto gli occhi), le tartine, le vin blanche e i vari appetizers non erano terminati e ho avuto modo di assaggiarne qualcuno, prima di partire tutti in direzione del ristorante.
    La serata in compagni di Samantha Cefaliello, Cosimo Ferri, Stephanie Dunand-Pallanz, Andrè Guinard e Sophie Turrel è stato davvero piacevole, e sono finalmente tornato a rinfrescare dopo tanto tempo il mio francese.

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    Cena a Le pot a Fu con da sx: André Guinard, Stéphanie Dunand-Pallanz, Sophie Turrel, Cosimo F

    erri e Samatha Cefaliello.

    La notte è trascorsa tranquilla in una camera dell'Hotel La Sorge, centro nevralgico di pernottamenti e ristorazione della manifestazione da sempre, essendo un partner della stressa da che io ricordi.
    Il giorno successivo, dopo esserci svegliati con una lieve spruzzatina di neve su prati e tetti, siamo partiti per la consueta corvée, che da un po' di tempo aveva perso la sua consuetudine, tanto siamo stati forzatamente fermi.
    Poi all'orario stabilito avevo il primo lettore in attesa di dedica è abbiamo tirato dritto fino alle 12,30.
    La cosa curiosa è stata quella di ricercare quei movimenti automatici di dedica su determinati personaggi, che per la lunga sosta erano stati un po' dimenticati, accennando saltuariamente così a degli svarioni su piccoli dettagli che non ricordavo più e che riesco a vedere solo io.
    Poi, piano, piano tutto è rientrato, ed è stato piacevole ritrovare meccanismi rimasti fermi per almeno due anni e la soddisfazione di avere di nuovo di fronte lettori entusiasti del tuo lavoro e che ti apprezzano per ciò che fai. Avevo dimenticato un po' la sensazione.
    Alle ore 15,00 ripartenza su dedicaces fino alle 19,30, e anche qui rispolverare l'antica tradizione di lasciare lo stand quando i benevoles passano a pulire. Qui a Bellegarde ci sono vecchi amici come Michel Rodrigue, Christian Lacroix, Stéphanie e Sophie, Samantha e Cosimo, in certi casi non sono proprio amici ma semplici conoscenze incontrate in mille altri festival come Pica, in altri addirittura nuovi amici come Marc Jondot, un nuovo giovane e simpatico autore della Mosquito, o Thierry Duranceau e David Barnier.
    Poi apertivi all'Hotel la Sorge e successivamente cena e premiazione.

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    Centro Jean Marinet, il baricentro della manifestazione.

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    Alle dediche accanto a Marc Jondot.

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    Alcune scene della manifestazione.

    A BD dans l'Ain (così si chiama la manifestazione), la premiazione è un lungo ex-aequo che comprende tutti gli artisti partecipanti, ai quali viene donato una statuina a tiratura limitata di vari personaggi della BD. Questa volta, probabilmente a causa di una nuova uscita della serie Blacksad, le statuine erano tutte uguali, ed io viste le mie innumerevoli presenze sto per completare la collezione.
    Adesso sono qui a scrivere prima di una salutare doccia che porti via tutti i residui di stanchezza di una giornata che, fatti i dovuti conti, è stata ben più pesante e lunga di una mia qualsiasi giornata lavorativa.
    Per cui, Buonanotte a tutti.

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    L'aperitivo del sabato sera a l'Hotel Ristornate La Sorge con Cosimo e Samantha.

    La mattina ci svegliamo con un manto ancora più compatto della giornata precedente, e continua a nevicare. A me la neve piace, intendiamoci, sono anche un discreto sciatore, ma la detesto quando si frappone, come in questo momento, tra me e la partenza del pomeriggio. Io tra l'altro a Ginevra ho il ricordo di una partenza traumatica, qualcosa come oltre dieci anni fa, al Festival di Evian, dove cadde ben oltre il metro di neve, e per quanto gli svizzeri siano abituati ad eventi del genere, l'aeroporto a mezzogiorno della domenica, chiuse. Slittarono tutte le partenze e persi la coincidenza che allora avevo a Roma, e dovetti partire il lunedì mattina. Per cui il ricordo di quell'ombra funesta cala ancora su quell'aeroporto ogni volta che pe la circostanza si presenta una giornata simile.
    Nonostante abbia nevicato la notte, evidentemente non deve aver attaccato così bene, per cui anche se scende copiosa la temperatura deve essere tale che non gli permette di crescere di livello.
    Meglio così.
    Al centro Jean Marinet, gli organizzatori sono un po' preoccupati per la possibile riduzione degli intervenuti causa il tempo poco amichevole. Anche se da queste parti dovrebbero essere abituati, e la neve e il freddo sono di casa  evidentemente lo stress alberga non solo a casa mia ma è generosamente ripartito ovunque.
    Comincio a fare dediche alle 10,15 e terminano alle 12,30 quando ci dirigiamo tutti al ristorante Le pot a fu, il locale dove ogni domenica consumiamo il classico pasto di commiato per chi se ne va nel pomeriggio.
    Con Cosimo e Samantha abbiamo instaurato una buona complicità che, per un motivo o nell'altro, a pranzo però non riesce mai a condividere lo stesso tavolo, a causa di disguidi di vario genere, e così pranziamo separati; è un po' campanilistico, lo ammetto, ma dopo che hai parlato in francese con i lettori per tutta la mattina, hai bisogno di sentire parole amiche e gli italiani finiscono per fare sempre comunella.

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    "Nathan Never for ever" il musone ci raggiunge ovunque, qui la dedica all'amico Thierry su un albo della collana Glenat 2 et 1/2.

    Condivido perciò il pranzo con Michel Jans e ci scambiamo informazioni come una volta facevamo abitualmente, e poi tutti torniamo al centro e ricominciamo per un paio d'ore.
    Poi l'amico Jean mi fa segno che è arrivata l'ora della partenza, saluto tutti dopo una bella rimpatriata con amici, colleghi e soprattutto grato per essere rientrato in abitudini che negli ultimi anni erano state un po' dimenticate.
    Con un nuovo modello Kia elettrico messo a disposizione da un autosalone partner della manifestazione, mi avvio insieme al collega Thierry Capezzone (il papà di Petzi), un simpatico autore di chiari origini italiane dall'aspetto bonario e gioviale, ci indirizziamo verso l'aeroporto di Ginevra.
    Qui espletiamo le comuni pratiche d'imbarco e ognuno si divide al gate corrispondente.
    Adesso devo arrivare a Monaco di Baviera, qui dovrei avere il tempo necessario per la coincidenza, curioso dover andare così a Nord per tornare a Sud, capita in quel bizzarro carosello che talvolta ti propongono le combinazioni più economiche dei voli.
    Ma tant'è, devo adeguarmi.
    L'unica cosa da sperare che il meccanismo di arrivi e partenze sia rispettato, per rientrare finalmente a Firenze; ad altre possibili combinazioni non voglio neanche pensare.
    Per finire, un mio caloroso grazie a tutti gli amici di Bellegarde: alla fantastica Aurelie Turmine che mi ha accudito nell'indicazioni sulle pratiche burocratiche da evadere prima della partenza, la scelta dei voli e la continue attenzioni per tutti durante lo svolgimento della manifestazione, sempre col viso sorridente e con la battuta pronta. A Michel Suro e Thierry Martinet, la vecchia guardia dell'organizzazione con i quali è sempre piacevole chiacchierare e scambiare opinioni (sabato a pranzo è stato davvero simpatico stare insieme), e poi Sébastien e tutti gli altri simpatici benevoles che si sono messi a disposizione per ogni nostra esigenza, e infine Jean, il mio chaffeur sia dell'andata che del ritorno, abile conversatore con un francese preciso e puntuale che è stato come parlare con un amico di Riparbella.
    Grazie a tutti!

    Stacco.
    Piccola riflessione.
    Visto il tono dimesso e la scarsità di entusiasmo nella descrizione di questo mio ultimo report: dai, confessatelo e dichiaratelo apertamente, è una palla!
    Causa motivazioni che pare si siano esaurite nel tempo, scarsità di gaiezza e ripetitività di situazioni, sto seriamente considerando la possibilità di interrompere non so se in via definitiva, la scrittura di questi report (ammesso che ci siano ulteriori occasioni per farlo in futuro) che in questi ultimi anni mi hanno accompagnato al termine di viaggi per festival e manifestazioni un po' in tutto il mondo.
    Il ripetersi di circostanze, di chiacchiere e di conoscenze per quanto carine possano essere, credo che a mio avviso ultimamente abbiano dimostrato tutti i loro limiti. Penso che se questi dubbi vengano a chi scrive, non riesco a immaginare lo spallamento di chi deve continuare a leggere queste cose, aspettandosi magari di trovare chissà quali curiosità, ma constatando come le cose da raccontare siano sempre le stesse ed io stesso non dica più niente di nuovo.
    Se in futuro tornerò su esperienze del genere, e sottolineo SE, sarà per parlare di occasioni specifiche ma non mi dilungherò più su scali, interconnessioni tra aerei, località che si somigliano tra loro o tempi morti e paturnie di questo genere.

    Tutto questo ha anche a che fare anche con la mia assenza in questi ultimi tempi su spazi come FB o anche questo, mi verrebbe da dire che sia una latitanza dovuta alla constatazione che non sono più certo che lo sforzo di scrivere, esprimere concetti e opinioni, sia da profondere in questi spazi solo per avere la soddisfazione di vedere apprezzati con dita alzate o faccine sorridenti.
    Sto diventando noioso e supponente?
    Spero di no, ma quello che vorrei cercare in questo momento non so né dove e né come trovarlo.
    Chi vivrà vedrà.
    Se ci sarà qualcosa da vedere.

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    GRAN FEST DI PRISTINA

    Eccoci qua, dopo due anni di statica immobilità, siamo nuovamente con la valigia in mano.
    Mi mancava? Sì, in realtà una grande astinenza per cause così gravi e che ha coinvolto il mondo, era dura da immaginare e ancora facciamo fatica a metabolizzarla. Ma nei continui cambiamenti che il mondo ci sta offrendo pro e contro voglia in questo breve scorcio di inizio secolo, quella del "mascheramento" a scopi sanitari non l'avremmo mai preventivata, situazioni del genere sembravano relegate solo all'interno di trame di film americani catastrofisti e che sembravano poco probabili. E invece l'abbiamo vissuta,  subita e a certi condizionamenti dovremmo farci pure l'abitudine.
    Non vorrei commentare altro, sugli ultimi due anni abbiamo visto e letto fiumi di parole, statistiche, congetture e prese di posizione, io me ne asterrò.
    Sto scrivendo a bordo di un A-321 della compagnia WIZZ, una compagnia già vista nei vari aeroporti ma con la quale non ho mai volato, la mia destinazione è Tirana, quella finale Pristina in Kosovo.
    Che vado a farci? Sono stato invitato al GranFest, una manifestazione di fumetti che si tiene in questa città e dove ero stato invitato per l'edizione del 2020,  ovviamente saltata causa Covid. Sull'invito dell'organizzatore Gani Jakupi, uno sceneggiatore che ho conosciuto tempo fa al Festival di Blois e con il quale abbiamo allacciato un rapporto immediato e complice.

    Gran Fest Pristina

    A dire il vero non conosco né il programma né su cosa sarò coinvolto, il mercato del fumetto è piuttosto esiguo in questo territorio, non fosse altro perché anche il numero della popolazione credo ruoti intorno a pochi milioni di abitanti, tuttavia mi sono portato l'astuccio professionale che porto sempre con me ai vari festival, nella certezza che in questi tre giorni almeno un disegno dovrò sicuramente farlo.
    L'anno scorso ero stato contattato anche da Matteo Corradini, l'addetto all'ambasciata italiana a Pristina che durante questo anno di immobilità mi aveva coinvolto anche ad una conferenza on-line, ma purtroppo non avrò il piacere di conoscerlo visto che è stato trasferito al consolato italiano a Birmingham. Così sono stato preso in consegna dall'Istituto Italiano di Cultura di Tirana che mi ha organizzato viaggio e permanenza, e che invierà al mio arrivo un autista che mi porterà dopo tre ore di viaggio a Pristina.
    La mia curiosità, al momento, va a un territorio che non conosco e che difficilmente avrei conosciuto non essendo propriamente mete turistiche, ma come molto spesso è accaduto, attraverso la mia professione sono riuscito a vedere.
    A Pisa, al gate 21 dove partiremo, la comunità di passeggeri è già in attesa dell'imbarco e, come sempre, il mio sguardo ruota intorno a me per scannerizzare i miei compagni di viaggio. Io sono un po' lombrosiano in certi casi, e questo potrebbe anche non deporre a mio favore, ma spesso nei volti intravedo non soli tratti genetici o tribali, ma talvolta mi pare di scorgere anche segnali precisi del carattere. Detto questo, è senza voler offendere nessuno, i volti dei viaggiatori del volo W6 3854 ricordano un po' le facce spaurite di quella massa di persone che sbarcarono da noi circa venticinque anni fa. Volti scuri, di gente abituata a lavorare al sole, e con gli occhi alla ricerca di nuove opportunità e che mi hanno sempre ricordato le foto dei miei nonni negli anni '30, quando i volti erano quelli dei contadini che lavoravano nei campi e le donne non facevano né manicure e tanto meno messa in piega e taglio ogni settimana.
    Solo i più giovani, cresciuti nell'opulenza di cui le giovani generazioni hanno beneficiato, hanno un aspetto identico ai nostri, stesso taglio di capelli, abbigliamento alla moda, scarpe sportive firmate, in quella omologazione forzata a cui siamo tutti sottoposti.
    Ma al momento stiamo già sopra le nuvole, Pisa è alle nostre spalle e la velatura del sole di questa bruna mattinata dell'8 Ottobre illumina quella pianura Toscana che tra un cumulo e un nembo riusciamo a vedere.
    Arrivo a Tirana intorno alle 10,00, l'aeroporto è piccolo ma piuttosto moderno, ho il bagaglio a mano e faccio presto a sbrigare le pratiche doganali, all'uscita c'è l'autista che mi aspetta con il mio nome scritto sul foglio: un classico.
    Saliamo sulla sua Audi ultimo modello e partiamo in direzioni onde di Pristina. Mi avvisa subito che c'è da fare qualche decina di chilometri prima di entrare ne l'autostrada che ci permetterà di avere una velocità di crociera migliore. Lui é un kosovaro, e ci tiene subito a mettere i puntini sulle "i", l'Albania è tutt'altra cosa dal Kosovo, quest'ultimo è più moderno, pulito ed efficiente mentre si capisce che oltre la rivalità tra i due paesi confinanti diversi per cultura e popolazione, lui a queste cose ci crede, e perora la causa fino all'arrivo.
    É vero, il panorama albanese è migliore di quanto me l'aspettassi, un po' trascurato e spoglio, con quel disordine percepito anche facendo una statale tipico dei paesi che ancora non hanno trovato una loro collocazione allineata a quelli di riferimento, ma che sono sulla buona strada per farlo. Poi purtroppo noi italiani abbiamo riferimenti incomparabili, e noi toscani in particolare con le nostre colline, le nostre campagne fatte di dolcezze topografiche e armonia di forme, siamo abituati talmente male che al confronto quasi nessun paesaggio regge il paragone. Le campagne albanesi appaiono brulle e le alture che incontriamo hanno vegetazioni basse e sicuramente meno suggestive, non c'è niente degno di nota, nessun particolare da rammentare né paesaggio da ricordare.
    L'arrivo all'hotel Sirius è esattamente dopo tre ore e mezzo di viaggio, quelle preventivate. Saluto lo chauffeur e vado in camera. Qui non siamo in Europa e quindi le tariffe telefoniche sono maggiorate, inserisco il Wi-Fi e a qui comunico con Watsup col mondo. Gani Jakupi, l'organizzatore della mostra passerà più tardi, mi comunica che io ad altri tre autori siamo ospiti dell'albergo.

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    La via centrale della città, e in alto la Biblioteca Nazionale

    Faccio in giro nelle vicinanze dell'albergo. Sono a ridosso dell'arteria principale della città che rappresenta con la sua vasta area pedonale il suo centro commerciale e di maggiore attrazione, qui si allarga in un punto dove una fontana a zampilli sincronizzati intona il suo balletto nonostante la pioggia insistente che non ci abbandona mai, tra palazzi nuovi, il teatro e qualche monumento equestre di eroi con cimiero e spada. Certo, con il sole l'aspetto sarebbe stato sicuramente diverso, ma dobbiamo accontentarci di questa vista sotto un manto di nubi grigie e anonime che ne uccidono i colori. Sono a digiuno dalla prima mattina, ma al contempo non voglio impegnarmi in niente di particolare, tanto meno misurarmi su menù sconosciuti e dei quali non conosco ingredienti e sapori, mi imbatto in un Burger King e, per non rischiare, mi fermo su un classico cheeseburger, optando per il sapore omologato di un qualsiasi cibo spazzatura. Una volta tanto si può anche fare.
    L''organizzazione è un po' latitante, Gani è rimasto da solo nella gestione di ogni cosa è il planning della manifestazione e nessuno lo conosce, ma abbiamo capito che stasera abbiamo un evento alla Biblioteca Nazionale e l'inaugurazione dell'esposizione.
    Il Kosovo è un paese piccolo, conta circa due milioni di abitanti e tutto questo si riflette sul coinvolgimento diretto delle autorità anche in manifestazioni piccole come questa, all'inaugurazione infatti c'è il primo ministro Albin Kurti  (un po' come se Draghi venisse ad inaugurare una mostra di fumetti... ci voglio credere) oltre che a una delegazione di ben tre ambasciatori, quello francese, svizzero ed italiano, praticamente tutte le persone che contano in questo paese sono all'inaugurazione della manifestazione. Miracoli del piccolo ma molto importante è l'amicizia precedente la carica politica che esiste tra Gani (l'organizzatore) e il premier.

    IMG_3384 IMG_3386 IMG_3387 IMG_3388Alcuni momenti dell'inaugurazione dell'esposizione.

    Qui conosco l'ambasciatore italiano (che è in carica da solo otto giorni, e quindi non conosce ancora bene le dinamiche locali) e il suo addetto Ugo Ferrante (che mi fa firmare una copia del catalogo della mostra per Matteo Corradini, il suo predecessore e appassionato di fumetti e di Nathan Never in particolare), persone molto simpatiche che mi fanno sentire a mio agio in una manifestazione, dove, come al solito, sono l'unico rappresentante della mia nazione. Pochi brevi discorsi alla Biblioteca e poi subito all'inaugurazione dove ci attende anche un piccolo rinfresco a base di vino, dolci e stuzzichini. L'esposizione è in una galleria messa a disposizione della facoltà delle Arti, direi che è piuttosto minimal, otto stampe digitali prese dagli albi degli autori distribuite in due stanze completamente bianche, con un effetto piuttosto asciutto da punto di vista estetico ma non privo di un certo fascino che tende ad esaltare più il contenuto che la forma, essenziale in una repubblica giovane di dieci anni che cerca di darsi una personalità e crescere a livello culturale e internazionale. In questo contesto, attorniato da televisioni e guardie del corpo il primo ministro si sofferma a chiedere informazioni sugli autori, e aiutato da una collaboratrice dell'ambasciatore cerco di descrivere il mio percorso professionale attraverso le immagini esposte. Poi il buffet ci accoglie con i suoi vini locali e qualche appetizer, e qui conosco Donato Giuliani, un addetto all'ambasciata francese di origini italiane molto simpatico con cui ci mettiamo a parlare, è sempre incredibile quanto italiani emigrati in Francia si trovano e quanto della nostra cultura permea la loro, e c'è da dire che l'amore verso il nostro paese nonostante l'abbandono per fini lavorativi dei genitori, rimane indissolubile. Donato spiega come il compito di alcune ambasciate e la sua in particolare, verta sul tentativo di cambiare la percezione culturale del paese rappresentato, nei confronti di un paese come il Kosovo che è in crescita, ma dove la popolazione si parla oltre all'idioma locale, tendenzialmente inglese e tedesco, e come l'attenzione dell'intero popolo del Kosovo sia rivolto soprattutto alla Germania e certamente non per l'aspetto culturale ma per ciò riguarda la possibilità di trovare lavoro e possibili opportunità di crescita.
    Alla fine, la comitiva degli artisti capitanati da Gani, si dirige verso il centro poco distante, a dire il vero pur essendo  intorno alle 20,00 non è che intorno a noi ci sia tutta 'sta vita notturna. Entriamo in un ristorante dai toni piuttosto scuri e dall'arredamento moderno a massiccio, il classico locale che oscilla tra il pratico e il desiderio di essere sofisticato, nonostante l'ora è praticamente deserto, solo un tavolo è occupato da quattro persone. Non so cosa pensare. Il menù è difficilmente comprensibile e mi lascio guidare dalle scelte di Gani, anche se l'uso di termini gourmant lascia perplesso pure lui, ma alla fine decidiamo un po' tutti su piatti di carne (la pietanza più utilizzata da queste parti), e devo dire che la scelta si dimostra veramente riuscita, al di là della velocità con cui vengono serviti i piatti, la carne è davvero morbida, delicata e saporita. Siamo vicini alle 22,00 l'ora del coprifuoco, qui per quanto la curva pandemica sia sotto controllo a quest'ora le attività notturne chiudono causa Covid, ed è l'ora di rientrare all'albergo.
    Non vedo l'ora, sono stanco e ho bisogno di una doccia calda.
    Il sabato mattina mi sveglio ad un orario umano, all'apertura delle tende oscuranti però lo spettacolo non varia dal giorno precedente, il cielo è plumbeo e cade quella pioggerella fastidiosa e costante che sempre concepita semplicemente per disturbare le attività umane. La colazione è fatta  all'ottavo piano dell'albergo dove si gode di una splendida vista della città seppur ammantata di grigio.
    Dopo la classica colazione internazionale, scendo in strada giusto per dare il tempo di rifare la camera, perché la pioggia effettivamente impedisce qualsiasi tipo di passeggiata, non ho l'ombrello e per colmo mi sono dimenticato il cappellino impermeabile che sarebbe stato provvidenziale in questa occasione.
    Il programma indica un incontro col pubblico alla Biblioteca Nazionale, la stessa dell'inaugurazione, mi faccio trovare in camera e Gani è costretto a chiamarmi, ero qui che scrivevo il mio report, neanche fossi un corrispondente di guerra.
    Non è neanche sicuro che ci siano molte persone, l'aspetto della comunicazione è stato un po' latitante e si rischia la sala vuota. Non è così, per fortuna.
    All'ingresso trovo Dardan Luta, un autore locale (anch'esso presente all'esposizione) che si unisce a noi per l'incontro con il quale facciamo quattro chiacchiere, apprezza il fumetto italiano ed anche lui ama il bianco e nero come forma espressiva.

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    Poi comincia la conferenza, come al solito c'è una traduttrice in francese ma per me, l'unico italiano del gruppo, come spesso mi accade, tocca parlare in una lingua non mia e spiegare le mie origini, il mio lavoro e alcune relative conseguenze.
    Ce la facciamo senza neanche troppi patemi, e c'è perfino il tempo di una replica.
    È tempo per un piccolo aperitivo, e Gani decide di portarci a mangiare in un localino di non più di una quindicina di metri quadrati, qui ci viene servito un burak, una specialità della gastronomia locale che consiste in una specie di cannellone fatto di pastella cotto nel forno elettrico e farcito o di formaggio o di carne. Buono è felice di averlo assaggiato, adoro quando riesco a consumare specialità locali dove si intuisce le influenze culturali di altri paesi, questo ad esempio per forma e realizzazione ricorda un incrocio tra un involtino primavera e il kebab turco.
    Siamo così tutti liberi di andare al Pichat (lo ricordo per la ricerca del Wi-Fi) un locale vicino all'albergo dove pranziamo. Anche qui mi faccio indicare da Gani la specialità locale e ci accordiamo sul Grand Circle, un piatto dal nome un po'pomposo e per quattro persone che ci dividiamo io, Gani e David, ma che si rivela essere una serie di schiacciate farcite, buone, ma meno originali del burak. Il pranzo scorre veloce con le chiacchiere tra noi e la verve instancabile e comunicativa di Gani che è davvero una fonte inesauribile di argomenti e spunti.
    Praticamente ci alziamo da tavola che sono quasi le 17,00 l'ora esatta per andare al cinema Armada, dove verrà proiettato in anteprima mondiale il documentario realizzato da una nostra collega presente: Lilie Sohn. Un'ora di proiezione sulla sua personale esperienza del Sentiero di Santiago, l'esperienza che negli ultimi anni viene affrontata da molte persone come viaggio catartico alla ricerca delle proprie essenze perdute, un modo per allontanarsi dagli stress e dai condizionamenti quotidiani, dalla schiavitù di internet e dai social network e riscoprire attraverso la marcia il proprio equilibrio. Non a caso il film di intitola Digital Detox.
    La proiezione scorre in maniera molto piacevole, tra riflessioni, paesaggi suggestivi e linee grafiche che si rincorrono sullo schermo a ricordare il filo conduttore della storia e che la protagonista è, alla fine di tutto, una disegnatrice: davvero molto carino.
    Sul finale a vengono fatte delle domande sull'iter della realizzazione che si rivelano molto interessanti, anch'io ho dei dubbi che voglio risolvere e Lili con la sua aria davvero simpatica risponde a tutti i nostri quesiti. Ricordo che tra i produttori c'è anche Casterman, la casa editrice per la quale lavora, segno evidente che l'autore a quelle latitudini viene seguito anche di fronte a proposte diverse dal suo percorso abituale, con un attenzione all'aspetto culturale ed espressivo dell'autore stesso.
    Usciti dal cinema, via tutti a un bar a bersi una birra, tutti insieme e qui approfondisco la conoscenza di Edith e Judith Vanistendael, altre due tra le colleghe francofone presenti.
    Ci alziamo a bar per andare al ristorante dove ceneremo, questo sabato mi sembra che abbia la caratteristica di vederci tutti di fronte a un tavolo con dei bicchieri, mi sembra soltanto di avere mangiato e bevuto per tutto il giorno.
    Il ristorante è dietro ad un cancello in legno quasi invisibile alla strada, ma alla sua apertura si rivela una costruzione molto caratteristica, fatto in mattoni con delle parti in vetro, e sembra rivestito di porfido come il pavè. Qui ci aspettano Donato è un suo amico, che credo sia anch'esso un dipendente dell'ambasciata, tanto parla bene il francese, mentre scopro alla fine della cena che è un kosovaro e non parla male neanche l'italiano: -E' il vantaggio di vivere in paesi poveri- mi dice più tardi Gani - Siamo costretti ad imparare altre lingue per trovare lavoro.- . La cena è offerta dell'ambasciata francese e noi siamo tutti ospiti.

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    La cena offerta dall'ambasciata francese.

    Inutile dire che la serata scorre piacevole, accanto a me ho Donato, di fronte l'amico (di cui purtroppo mi sfugge il nome) e Gani, e accanto a me la simpaticissima collega Judith che, in quanto belga,  ci spiega  le complicazioni culturali,  linguistiche e di convivenza tra fiamminghi e valloni, e qui scopro, come se c'è ne fosse bisogno, ma alle volte anche sì, che in ogni comunità e in ogni paese ci sono dei problemi da risolvere e che in certi casi sono talmente radicati che sembrano di natura insormontabile. Gani è ancora straripante, un vero maestro di cerimonie, tutto ruota intorno ai suoi aneddoti e alle sue esperienze ed è divertente e altrettanto stancante, almeno per me stargli vicino, almeno fino a quell'ora. Lui parla tranquillamente il francese, inglese, spagnolo (credo anche il portoghese), italiano e ovviamente il kosovaro, mentre io è tutto il giorno che sembro un citoyen del 13imo arrondissement, tanto ho dovuto parlare e ascoltare in francese.
    Ma se Dio vuole la cena è finita e la giornata è andata molto meglio del previsto, ho approfondito la conoscenza di colleghi simpatici e siamo stati impegnati tutto il giorno in un'esperienza totalmente diversa da altri festival ma altrettanto viva ed interessante.
    Una doccia calda mi aspetta e la stesura del mio consueto report che, assente da un paio d'anni, mi appare come un piacevole passatempo che mi era dispiaciuto abbandonare.

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    Il Grand Hotel di pristina e sopra uno scorcio della città visto dal terrazzo dell'Hotel Sirius.

    È l'ultima mattina, aspettiamo Gani nella hall per andare in un complesso culturale dove c'è anche un teatro nel quale nel suo ridotto due delle nostre colleghe devono promuovere due album che gli sono stati tradotti in albanese (Kosovo e Albania hanno pressoché la stessa lingua). Come negli ultimi tre giorni, la carovana di autori si dirige sotto la pioggia verso la loro destinazione, all'interno di questo enorme complesso situato di fronte allo stadio di calcio, e dall'architettura che ricorda le astronavi degli Harkonnen (chi ha visto Dune, primo o secondo fa poca differenza, capisce cosa intendo), all'interno del quale ci ritroviamo in un caldo ambiente che ricorda le cantine degli esistenzialisti, qui un bar offre bevute e caffè e stanno arrivando qualche persona per assistere all'evento.

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    Il ridotto del teatro e sopra "l'astronave degli Harkonnen", l'imperioso palazzo del centro direzionale.

    Non c'è presentazione o introduzione che sia, le due autrici si mettono al tavolo di fronte ai loro libri e le persone intorno ai tavolini antistanti, parlottano tra loro e poi senza fretta e prendendosi il tempo necessario si avvicinano e, chi vuole, si fa fare disegno e dedica. La cosa che più mi ha colpito in questo giovane paese è la capacità di fare le cose con quella lentezza che da noi si è un po' perduta, un modo di affrontare le cose con calma e tranquillità, senza patemi e con quel mix di semplicità e improvvisazione tipica dei paesi balcanici, con una filosofia di vita a differente velocità per noi poco consueta ma molto affascinante.
    Ma è l'ora in cui alcuni di noi ha il taxi per l'aeroporto o come me quello dell'autista che deve riportarmi a Tirana, saluto Sophie, Edith e David Proudhomme, una bravissimo autore francese che apprezzavo da sempre e con il quale abbiamo stretto una simpatica conoscenza.
    Poco dopo arriva Mosa, è puntuale e con la sua Audi mi è venuto a prendere di fronte al Sirius, sempre sotto l'incessante pioggia che ci ha accompagnato. Telefono a Gani che è rimasto con l'altro gruppo a teatro, volevo salutarlo per ringraziarlo dei suoi sforzi, della sua compagnia, e per avermi dato l'occasione di interrompere questo digiuno da Festival durato oramai due anni e che mi mancava un po'. Tuttavia sento che sta cambiando qualcosa, e non so quanto tutto questo possa ancora durare, almeno per come l'ho conosciuto, ho l'impressione che si presenti un periodo dove devo necessariamente rivedere qualcosa, qualche priorità, fare dei cambiamenti, nuovi obbiettivi per regalarmi di nuovo quell'entusiasmo un po' perduto, pur non avendo le idee molto chiare.
    Ma mi resterà un caro ricordo di questa sortita balcanica, quella di un un festival vissuto tutto sotto la pioggia, con un'accoglienza diplomatica e politica come pochi e che a modo suo è stato un punto di rottura e di ripartenza dopo un periodo buio, isolato e misogino, e mi ha dato nuovamente la possibilità di riprendere i miei amati report interrotti per così tanto tempo.
    Grazie Gran Fest di Pristina.

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    DIGRESSIONI DI INIZIO ESTATE

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    Da un po' di tempo è sempre così, quando termino un lavoro che mi ha impegnato per un lungo periodo, ho bisogno di un lasso di tempo in cui ricaricarmi, in cui sedimentare stati d'animo, raccogliere pensieri che mi permettano di ripartire.

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    SCHINASI

    C'è stato un tempo, e sembra di raccontare una favola, in cui a Rosignano Solvay, un paese sotto l'egida della fabbrica che praticamente l'ha fondato, quest'ultima si premuniva di educare i figli dei suoi dipendenti (ma anche quelli dell'intera comunità) all'interno dell'Università Popolare, una organizzazione gestita (extra lavoro) dai dipendenti che forniva attraverso varie iniziative, corsi, lezioni in quelle che praticamente potremmo definire in modo un po' desueto le “arti applicate”.
    Tutto questo all'interno di un senso di comunità che, almeno in quei valori e in quei modi, oggi sembra scomparsa.
    Io, sotto l'insistenza dei più, viste la mia riconosciuta attitudine nel disegno, ma non con qualche riluttanza, alla fine mi iscrissi al corso di pittura. La riluttanza era dovuta a quella presunzione tutta infantile di quando eccelli in qualcosa e non capisci (perché effettivamente non sai) che altro ti avrebbero dovuto insegnare in una cosa che a te veniva così naturale e senza fatica.
    Il corso era gestito da un pittore di origine ebraica, nato ad Alessandria d'Egitto ma livornese d'adozione: Daniel Schinasi.

    SchinasiDaniel Schinasi

    Schinasi era stato, tra le altre cose, in fondatore de “la renaissence du cubo-futurisme” una corrente artistica fondata da lui medesimo e non so da quanti altri pittori fosse seguita, di sicuro da tutti i suoi allievi dei quali, poco dopo, feci parte anch'io, una corrente in cui si rivalutava l'esperienza dei due movimenti storici fondendoli insieme e rivisitandoli con spirito nuovo.
    Il primo giorno del corso mi sedetti tra i tanti ragazzi e cominciai con un ritratto del “Franchi”, un pescatore di Castiglioncello che si prestava come modello e che aveva un volto rinsecchito e pieno di rughe formate dai mille maestrali che lo avevano scolpito.
    E ne avevo di cose da imparare, come in ogni nuova avventura (avrei capito dopo), perché in quegli anni il corso mi aiutò a osservare le cose e il mondo in modo diverso, con occhi nuovi e non convenzionali, conobbi tempera e oli, ma sopratTutto riuscii a trovare dentro di me l'energia di trasfigurarlo, di dare un senso ai colori e alle linee che non fossero quelle consuete del realismo e cercando forme e suggestioni che andassero oltre allo stretto figurativo.

     

     

     

    Donna con cravatta (after Cezanne)
    After Cezanne, opera mia a 17 anni.

    Tra noi allievi Schinasi a volte era un po' contestato perché -non dimentichiamoci il momento storico- aveva un senso molto pratico e pragmatico del suo lavoro e noi, tutti nipotini di un non lontano '68, avevamo ideali un po' diversi, meno pratici e tutti votati ad un idealismo tanto lirico quanto ingenuo, ma di certo il suo modo di dipingere e trasfigurare la realtà ci contaminò tutti e, come da consuetudine gli allievi si rifacevano un po' tutti al maestro come nelle botteghe rinascimentali o in certe nuove factory.

    Deposizione 75
    Deposizione 75.

    Daniel organizzò mostre collettive ed acquistò anche quadri che promosse in varie esposizioni ed è stato, per molto tempo, il mio pigmalione (ma non ero l'unico a cui dedicava molte attenzioni) e spesso, quando rientrava dai suoi lunghi pellegrinaggi o a Nizza o da Israele, avevamo modo di incontrarci e, come l'ultima volta in un estate di qualche anno fa, in occasione di una mostra a San Vincenzo, scambiare amichevoli chiacchiere.
    Sono convinto che molto dello stile del mio disegno derivi da quell'esperienza artistica, certe durezze e certe spigolosità del mio disegno sono frutto di elaborazioni provenienti da quegli anni, gli anni in cui si cresce e ci si forma e nei quali tutto ciò che entra in contatto con la nostra sensibilità diventa sostanza. Daniel Schinasi entra perciò di diritto nella mia storia scrivendo un capitolo importante e imprescindibile, con un peso specifico enorme, un peso di cui gli sarò sempre grato e che oggi nel momento della sua scomparsa, diventa un'eredità di cui farò per sempre tesoro.

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    VASCO

    Faccio uno strappo alla regola e inserisco questa mia nuova news dai connotati particolari, rimbalzando un post già pubblicato altrove, un post dedicato a un lettore che tanto mi ha colpito, per l'affetto, la stima e la riconoscenza che

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    NORMALMENTE

    Parto così, parafrasando una bellissima canzone di Joe Barbieri (malinconica e triste, ma la consiglio), perché capitatoci per caso sul mio sito (essendo il mio che ci vado a fare?), mi accorgo che l'ultimo post è nientepopodimeno che un report sul Festival di Blois, praticamente un anno fa.
    Mamma mia.
    E sono appunto qui per correre ai ripari ed occupare così uno spazio che è rimasto orfano delle mie paturnie per molto tempo, perfino troppo.
    In effetti essendo uno spazio dove inserisco avvenimenti e, appunto, reportage sui miei festival esteri, mi sono di fatto ritrovato sbattuto in faccia il totale immobilismo di un anno, l'anacronistico status quo di 365 giorni in cui (anche se non è vero) è successo poco o niente, professionalmente intendo.
    Poco o niente”...si fa sempre per dire.

    Italiani alla finestra

    In realtà è successo di tutto, ma tutto ciò che è accaduto farà sì parte della storia di questo giovane e nuovo secolo, ma esula da quei contesti che valgono la pena essere ricordati anzi, siamo e saremo molti più occupati a dimenticarcene (almeno chi l'ha vissuto direttamente), se non per stretta necessità pratica.
    L'esplosione di un virus aggressivo e sconosciuto trasformatosi in pandemia, ha sconvolto molte certezze a cui ci eravamo erroneamente arroccati, e svelate le mille debolezze di una società che, presa dal correre e rincorrere soldi e crescita indiscriminata, si è dimenticata di essere popolata da miliardi di persone vulnerabili, connesse in maniera indissolubile tra loro e che, nel bene e nel male dipendenti l'una dall'altra in maniera imprescindibile.

    CovidxCarlo

    Abbiamo scoperto quanti politici di cartapesta fatti a “chiacchiere e distintivo” capaci solo di speculare su disgrazie, ma privi del ben che minimo etico e cooperativo, o di società che hanno valori su cui si basano e che sono, seppur più povere di altre, molto più moderne, lungimiranti ed eticamente migliori di quelle tecnicamente ed economicamente più avanzate, ma barbaramente fondate su egoismi e capitalismi selvaggi.
    La domanda però è sempre la stessa: ce ne siamo accorti?
    La risposta la lascio all'introspezione di chi se la vuole porre, io la mia ce l'ho.
    E' stato chiuso tutto, si è fermato il mondo (chi prima o chi poi), e chi ha continuato ad andare avanti ha pagato dazio, si sono serrati negozi, attività lavorative, teatri, cinema, festival, musei e manifestazioni, il mondo ha trattenuto e sta trattenendo il fiato per capire quando riprendere aria (e che sia respirabile), e ancora non siamo fuori dal pantano.

    Acquerello, china e matita su carta Arches, illustrazione realizzata per una pubblicazione realizzata dal PAFF di Pordenone peronare il ricavato in beneficienza, in occasione della pandemia di Coronavirus 2020. Aprile 2020 Copyrights Stefano Casini

    Abbiamo cantato sui balconi, ci siamo detti che sarebbe “andato tutto bene”, che le categorie sanitarie erano i nostri eroi, i nostri salvatori (prima) per passare all'istante ad essere untori (dopo), poi ci siamo liberati delle paure e siamo tornati ad essere i soliti pazzarelli irresponsabili di sempre, ed adesso ci ritroviamo di fronte a scelte difficili e sacrifici che non avremmo più voluto fare e siamo immersi in una quotidianità fatta di talk-show che non parlano d'altro, di TG che non parlano d'altro, e di scienziati che parlano troppo, in questo maledetto anno crudele che ha fatto di tutto per non farsi dimenticare tingendosi di nero.
    Se esiste una sola ragione di riflessione che ci aiuti ad essere meno critici sul contenimento di ciò che ci sta accadendo e che, se facciamo lo sforzo di osservare fuori dai nostri confini, tutti si stanno comportando nello stesso modo, segno evidente che i problemi sociali, quando emergono in un mondo globalizzato come il nostro, sono per tutti uguali, perché navighiamo tutti nello stesso mare e, per restare nella terminologia nautica, sulla stessa barca.
    Il mondo editoriale nel quale vivo da anni ha avuto, come se ce ne fosse stato bisogno, una ulteriore battuta d'arresto, vuoi perché la mancata mobilità e le chiusure ha bloccato le persone all'acquisto di fumetti e libri (anche se ordinare on-line era possibile), vuoi perché quando i settori sono in crisi ogni criticità fa peggiorare la situazione
    Perciò è normale che professionalmente il mio mondo si sia fermato a Blois, annullati tutti gli impegni dell'anno ci siamo ridotti a “vedere il mondo da un oblò” (Gianni Togni, docet), limitare gli spostamenti anzi, annullarli proprio, terminare la scuola con didattica a distanza, e rimanere fino ad oggi in regione, in un'inamovibilità che non mi è propria ma che, alla fine, non è che mi sia costata neanche più di tanto.

    La cultura crea-Manifesto

    Trascorsa la stagione che più amo tra la pineta delle mie passeggiate e bagnarsi nel dirimpettaio Tirreno trovando conforto in effimere abbronzature stanziali, sono rimasto sul Nathan Never da realizzare e ho deciso di sacrificare il mio tempo in un graphic-novel scritto durante il lockdown e a tinte fosche da realizzarsi a data da destinarsi (tanto impegni dove promuoverlo, al momento non se ne vede).

    NN.Uomini in guerra.Pag.38

    Scagnozzi 1 & 2

    Anche il mercato francese mi pare non se la passi bene, annullati i festival e manifestazioni, e quindi fermata ogni occasione di promozione, le vendite e di conseguenza le uscite (lo vedo dalle newsletters di siti specializzati), latitano e, come nel cinema, i “big” si aspetta momenti più propizi per farli uscire, per paura altrimenti di penalizzare troppo le vendite.
    E' così: viviamo alla giornata con una relativa progettualità, non sospesa, ma neanche al massimo, perché quando la prospettiva è nebulosa, tutto si appanna, e anche i nostri propositi restano nel guscio, in attesa di momenti migliori.
    Mi sembra già molto e non lo è, avere occupato di un post questo spazio del mio sito rimasto congelato per un anno, a segno di una ritrovata vitalità che voglia stigmatizzare il periodo che stiamo vivendo, come una speranza più auspicata che intravista, ma sicuri che sia comunque dietro all'angolo.

    A Napoli dicono “Ha da passa' a nuttata!”... ma ancora mi sembra di avere passato appena la mezzanotte.
    Siamo fiduciosi.

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    BLOIS, FIRENZE E L'AUTUNNO DI UNA VOLTA

    Ultima trasferta dell'anno, che credevo fosse verso i caldi venti del Santa Ana californiano, e che invece avrà la caratteristica delle gelide temperature della Francia centrale.
    Infatti non ricordavo più di avere questo ultimo impegno promozionale, e meno male che l'editore mi ha inviato una email per ricordarmelo, altrimenti avrei fatto una pessima figura, perché avevo programmato un viaggio nello stesso periodo per andare dal CTN a Burbank. Tuttavia BDBOUM, dove sono diretto, è un festival tra i più grandi e con moltissimi autori (credo che siano intorno ai 200) e svariati eventi, per cui andare non è mai un sacrificio ma una piacevole consuetudine, perché è un avvenimento importante e ben organizzato, di cui Bruno Genini è il perfetto responsabile.

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    Il manifesto del Festival realizzato da Emmanuel Lepage.

    A conti fatti però, tra due giorni di lezione a Firenze, quelli della manifestazione ed ancora due giorni all'Accademia Nemo per le lezioni della prossima settimana, sarò fuori casa per quasi dieci giorni. Avevo previsto con l'abbondare dei giorni, un ampliamento del mio report con estensione fiorentina, includendo anche le mirabolanti avventure nel capoluogo toscano, avventure però, che con l'intensità delle lezioni e la scarsità del tempo, sono rimaste nella tastiera. E adesso sono qui a scrivere mentre col volo Air France (insieme al mio amico e collega Gradimir Smudja) siamo indirizzati verso Parigi Charles De Gaulle, come sempre.

    Il tempo non è splendido, ma rimane un'oasi di tranquillità all'interno di un periodo meteorologicamente instabile, che ha riportato alla memoria di tutti quello che rappresenterebbero gli standard del periodo autunnale, se per anni non ci fossimo abituati al tempo mite, riportando come protagonista: la pioggia.
    Ma siccome siamo nei tempi dell'abbondanza e dell'esagerazione, per mancanza endemica in ogni cosa della giusta misura, ne ha portata fin troppa, per cui sono
    proliferati allarmi di ogni colore, sono esondati fiumi, sono state chiuse scuole, sono caduti alberi, e si alzato il livello del mare affogando una delle più belle città d'Italia, della serie quando si devono fare le cose, che vengano fatte al meglio; e nella scala negativa dei valori, questo Paese non lo batte nessuno, neanche allo scatenarsi di eventi di cui non è neanche il diretto responsabile.

    Dopo anni in cui siamo stati quasi indivisibili, tra mostre e festival, io e Gradimir, il mio compagno di viaggio, abbiamo avuto un intervallo di qualche anno in cui, per vari motivi, mancando le coincidenze necessarie, abbiamo diradato le nostre partecipazioni insieme, vedendosi solo di sfuggita. Ma a Lucca, saputo che avremmo avuto le stessa destinazione (e da pochi giorni gli stessi orari e i medesimi mezzi di trasporto), abbiamo concordato l'incontro all'aeroporto Amerigo Vespucci.
    Gradimir è un serbo molto simpatico, che con la famiglia è fuggito dall'ex-Jugoslavia per tempo, girando l'Europa e stazionando in Germania prima e in Svizzera poi, per finire con l'intera famiglia, in quel di Capannori, vicino a Lucca, dove abita da molti anni. È un autore completo e un incredibile artista, ed uso il termine "artista" (per me cosa abbastanza rara) perché le sue tavole sono davvero una gioia per gli occhi, belle, multicolori, ricche di dettagli e infinitamente suggestive, al punto che lavora moltissimo con la vendita dei suoi originali, molto ricercati quanto apprezzati. È amato dai suoi lettori e da molta altra gente, ma come succede con autori molto bravi che realizzano opere con un alto valore commerciale, alcune di queste usano la loro presunta "amicizia" per scroccargli qualcosa o per cercare di avere prezzi e offerte di favore, finendo così spesso vittima della propria bontà e generosità. Con me ha un curioso rapporto di fiducia, che negli anni si è consolidato e che mi fa apparire ai suoi occhi un po' come una sorta di "grillo parlante" che gli da dei consigli (spero utili),  non sapendo che anche il sottoscritto in realtà, ne avrebbe molto bisogno. Così ci apprezziamo molto, ci lega una certa complicità, ore di chiacchiere insieme (specialmente quando un tempo andavamo ai festival in auto) e un amicizia sincera.
    Non essendo però vicini di posto in aereo, causa un check-in on-line fatto direttamente dall'organizzazione, ci troviamo a tre file di distanza e questo mi ha permesso di iniziare questo report, mentre dal finestrino un bel sole risplende sulle Alpi innevate di una neve che sicuramente farà felice legioni di gestori di stazioni sciistiche dell'arco alpino, preludio a una stagione invernale che è iniziate con tempistiche perfette.

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    Firenze si fa natalizia, la grande mela in via Tornabuoni.

    A Parigi abbiamo due ore di tempo prima di prendere il TGV in direzione di Bordeaux, ci sediamo a un baretto e mi mangio un panino, la conversazione scorre tranquilla: i problemi di lavoro, la famiglia, la politica.
    Una mezz'ora prima della partenza ci avviamo verso il terminal dei treni, il nostro pare in orario, ma avendo le aperture verso l'esterno, il freddo e la nebbia che nel frattempo ha catturato la città, si sente tutto e riprendiamo giacconi e sciarpe, la Francia è tutta qui, spiegabile in una dozzina di gradi celsius di differenza.
    Sul treno veloce ci separiamo di nuovo, io ho il 23 mentre Gradimir il 101, anche se la vettura è la stessa.
    È ovvio che non tutte le ciambelle riescono col buco, la coincidenza che dovremmo prendere a Saint Pierre de Corps ha un intervallo di ben 11 minuti tra il nostro arrivo col TGV, e il regionale che dovremmo prendere ma, come si dice, il problema non si pone, perché pur arrivando in orario, seppur con minimo scarto, scopriamo che il nostro treno è stato soppresso. Da un lato è quasi un sollievo constatare che anche in Francia qualcosa va storto, i treni ritardano e vengono soppressi è il tutto si avvicina al nostro paese, dall'altro però, prende forma il reale giramento di coglioni.
    Scopriamo che il treno successivo che potremmo prendere parte quasi mezz'ora dopo, in fondo non è una tragedia: aspettiamo.
    Il fatto è che anche questo comincia ad accumulare ritardo, prima dieci, poi quindici, fino ad arrivare a quaranta minuti di ritardo, telefoniamo all'organizzazione per avvisare del nostro ritardo ma poi, alla fine, ci accorgiamo che esiste un'altra opzione sulla stessa linea funestata da problemi, è in transito infatti un altro treno in direzione Orleans che ferma a Blois-Chambord.
    Increduli aspettiamo e, con mille titubanze, alla fine lo prendiamo, è carico di pendolari che rientrano a casa, alcuni di loro muniti anche di biciclette e dobbiamo perciò stare in piedi condividendo spazi angusti, ma alla fine con un'oretta e mezza di ritardo ce la caviamo.
    Scopriamo di non avere le camere nello stesso hotel, Gradimir alloggia al Novotel, io all'Ibis, facciamo intanto il check con lo chauffeur che ci attende paziente, per portarci in seguito al ristorante Monarque, dove è prevista la cena del giovedì.
    È freddo, ma il calore degli ospiti ci accoglie con entusiasmo e facciamo subito la conoscenza con nuovi e vecchi amici, gli organizzatori Bruno Genini, Tomás, Julie, Jean-Pierre, Jean-Charles e Valeriè, il nostro contatto logistico, poi ci sediamo e ceniamo, accanto a me Michel Jans di fronte Barbaud, nel tavolo opposto Serge Le Tendre e Emmanuel Lepage.
    La giornata, lunghissima e stancante si può dire che finisce qui, sia io che Gradimir lasciamo a poco a poco scemare la conversazione, non ne abbiamo più, è l'ora di andarsene a letto e noi, docilmente ci ritiriamo.

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    La scalinata dedicata a Lucky Luke e comprimari, i personaggi di Morris e Goscinny che ancora oggi cavalcano da protagonisti le classifiche di vendita del mercato franco-belga. 

    Sveglia con il sole, e non è poco, visto che vengo da giorni e giorni di pioggia, ispira quasi fiducia.
    Mi dirigo alla scalinata che riporta Luky Luke, Saltafossi e uno dei fratelli Dalton, per chi conosce il personaggio di Morris e Goscinny, scatto una foto e mi dirigo verso la piazza principale dove sono allocati la tenso-struttura e il fulcro della manifestazione.
    Sono nel padiglione all'interno del palazzo Halle aux Grains lo stand Mosquito è situato qui, insieme ai grandi, quei pochi che ci sono (io ho visto solo Futuropolis), al piano superiore la mostra di Boucq, e quella di Noctambule, faccio un veloce giro ma sono un po' in ritardo e non mi piace farmi aspettare, per cui vado a posizionarmi e, inutile dire, comincio per non fermarmi più fino alle 13,00 e oltre.
    Vado diretto al Novotel (tre minuti a piedi) dove saranno serviti pranzi e cene per l'intera durata del festival, ma qui mi trovo di fronte a buffet già assaliti e tavoli con pochi posti liberi (i tavoli da otto posti disseminata al piano terra dell'hotel sono davvero tanti) , del resto la tribù da foraggiare è enorme, mi siedo in uno dei pochi tavoli dove ancora rimangono qualche posto libero.
    Gradimir non si vede all'orizzonte, non so dove sia anche perché non ho visto nulla, potrebbe anche essere allo stand di fianco a dove sono io (in realtà non molto distante). Sono al tavolo di Achdé, il disegnatore di Lucky Luke (ironia del destino) quello cioè che ha preso il posto di Morris alla sua morte, è simpatico e ci conosciamo da tempo, a dire il vero c'era anche la sera prima e ha tentato di salutarmi ma evidentemente non l'avevo visto. Poi accanto a me siedono una giovane coppia simpatica di benevoles, Tomàs e Julie, che mi era stata presentata la sera prima, e in loro scambiamo quattro chiacchiere amabilmente, fino a che non arriva Gradimir con Darko Perovic, un serbo che lavora anche per Bonelli e che conosco dai tempi di Makraska, e terminiamo il pranzo siete.

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    Un italiano tra balcanici, Ivan Stojkovic, Darko Perovic, l'italico e Gradimir Smudja.

    Poi ci dirigiamo alla biblioteca pubblica per vedere la mostra organizzata da Mosquito: "Il western italiano", che comprendono riproduzioni di Battaglia, Toppi, Serpieri, Vianello, Serpieri, Tisselli e il sottoscritto, qui incontriamo Baru con la moglie con cui amabilmente conversiamo e che dimostra di apprezzare le mie opere.
    Un breve giro nel padiglione esterno sotto la tenso-struttura, per vedere ulteriori postazioni di disegnatori e ulteriori espositori, poi di nuovo a lavoro.
    Sarò monotono ma qui devo staccare inevitabilmente, perché riprendo alle 15,00 e vado sparato fino alle 19,00, per poi dirigermi da Gradimir che deve terminare (è un classico), mentre rischiamo che spengano le luci dell'esposizione, poi con Jean Charles, Gani andiamo diretti fino al Chateau de Blois dove si inaugura il festival.
    Arriviamo in tempo per vedere la parte finale e per dirigerci come tutti verso il buffet, e qui è un proliferare di personaggi e colleghi che conosco, Lax (Christian Lacroix), Baru, Loisel e consorte e scambiamo due parole tra tutti.
    Poi con leggero anticipo ci dirigiamo verso il Novotel, qui verrà servita la cena e quando arriveranno tutti (non a caso molti se ne sono già andata) ci sarà l'accaparramento dei posti per andare "con chi". Al Novotel scambiamo quattro chiacchiere con Zidrou, e Gregoire  Sagan (Gradimir in questo è una calamita, s'intrufola tra le persone con battute e sorrisi, ha una grande capacità di condivisione che un po' gli invidio, io anche se non mi tiro mai indietro ad ogni conversazione, sono molto più orso), il primo è un famoso sceneggiatore mentre l'altro un editor di Delcourt, poi andiamo a sederci al tavolo di Hermann due organizzatori di mostre e poi arrivano Etienne Le Roux un disegnatore e Gregoire, e con quest'ultimo è molto simpatico conversare per tutta la sera, essendo editor e librario al tempo stesso, è interessante scambiare opinioni su molte cose, spesso finendo per convenire sulle stesse considerazioni.
    C'è da dire che a tutti invidio un po' dell'entusiasmo che dimostrano nel fare, nell'esserci e nel parlare, io sto al gioco (vi giuro che non si percepisce, anzi) ma talvolta faccio tutto solo per legittimare la mia presenza, a volte mi sembra di essere estraneo, a volte meno, alla fine mi convinco di essere nel posto giusto, ma mi pare una convinzione più accettata che sentita.
    Io sono alloggiato all'Ibis, non è lontanissimo ma devo uscire e imbarcarmi in una camminata, e approfittando in un momento di stanca, prendo la palla al balzo e, come spesso mi accade, improvvisamente saluto tutti, mi alzo e me ne vado (anche Gradimir approfitta e mi segue).
    Ecco, in certe occasioni ho la netta sensazione di non essere capace di sfilarmi dalle situazioni con eleganza, quando mi accorgo che mi sto rompendo le palle non faccio discorsi: mi alzo e me ne vado. Sono incorreggibile, lo so, ma faccio sempre lo stesso, non riesco a modificarmi, ho il timore di essere preso per scontroso anche se un minuto prima conversavo con chiunque, ma poi al momento che mi scatta il momento dell'addio, non mi perdo in convenevoli inutili.
    Spero di non apparire scortese.
    Ad ogni modo: buona notte.

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    La mostra "Le western italien" organizzata da Mosquito presso la Bibliothèque Abbè-Grégoire.

    Mi sveglio riposato, il letto dell'Ibis devo riconoscere che è comodo, fuori si capisce che la notte non si è risparmiata e ha gettato acqua su Blois a dintorni, e il cielo minaccia ancora pioggia.
    Ma per fortuna al momento di uscire la minaccia è rimasta tale, e tranquillamente arrivo alla piazza della manifestazione, un breve giro e un saluto a tutti per ricominciare come se non avessimo mai terminato.
    E va così fino alle 13,00.
    A pranzo sono con Michel e "Cisco" Francisc Grimalt, autore catalano di Mosquito, è simpatico e parliamo amabilmente per l'intero pranzo, io alla fine li lascio per dirigermi verso la biblioteca, voglio fare un paio di foto all'esposizione con la mia camera. Prima di rientrare allo stand faccio un giro al padiglione esterno, qui trovo Gradimir e Darko allo stand di autori serbi, ed insieme andiamo a prenderci una birretta.
    Poi il valzer ricomincia a suonare intorno alle 15,00 e da qui fino alle 19,00 non smetterà più di intonare la sua melodia: una faticaccia.
    Mi metto ad aspettare Gradimir che non è felice fino a quando non vede le luci spegnersi, e invece di andare al cinema Lobis dove consegneranno i premi, ci dirigiamo al Novotel dove anche stasera sarà servita la cena, e ben presto scopriamo che alla premiazione ci deve davvero essere poca gente, perché alla spicciolata arriva un sacco di persone, che si mette a sfumacchiare fuori dell'albergo in attesa di entrare.
    All'interno dell'hotel c'è chi si fa l'aperitivo, a Gradimir viene offerto una bevuta ed a me pure, e dovendo scegliere scelgo uno Champagne, che mi viene offerto da Gregoire, l'editor Delcourt, scroccandoglielo vilmente (giuro, pensavo fosse offerto dall'organizzazione e comunque non pensavo che l'offrisse lui).
    Ci sediamo allo stesso posto della sera prima, accanto però ho Gani Yakupi un simpatico sceneggiatore di origine kosovara e oltre lui c'è di nuovo Hermann con la moglie, e sull'altro un Gradimir stanchissimo (come se io fossi fresco come una rosa). La cena scorre in modo  piacevole anche se molto lentamente, si è dovuto attendere chi realmente era andato alla premiazione (oltre ai premiati), poi mentre Gani si era alzato per andare a salutare un collega, con Hermann ci mettiamo a parlare... non ricordo più di cosa, ma a un certo punto, avendo accanto a me uno dei miei miti di disegnatore dell'età adolescenziale, non posso fare a meno di dirgli della prima volta che vidi il suo Comanche, pubblicato in bianco e nero sul Corriere dei Piccoli, e di come mi lasciò a bocca aperta. E il ricordo è così nitido che lo riverbero ancora: Red Dust con la sella a terra alza il braccio col fucile per fermare la diligenza, esattamente come John Wayne interpretando Johnny Ringo in Ombre rosse (Stagecoach) di Ford, dietro una collina piena di alberi di basso fusto": una folgorazione.

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    La cena del sabato presso il Novotel, da destra: Gradimir Smudja, il sottoscritto, Gani Yakupi e Hermann.

    Hermann ride consapevole e di gusto dopo la mia circostanziata descrizione, e si lascia scappare un "...erano bei tempi" che dice tutto, e poi mi soffermo sul veloce duello di Red Dust con Hondo poche vignette dopo, un pistolero evidentemente assoldato per fare sloggiare Comanche dal suo ranch, un duello mitico perché si consuma senza che il lettore veda sfoderare le pistole perché lo si legge unicamente attraverso gli spari e il volto stupito del postiglione. Tanto è veloce Red Dust che nella vignetta dopo lui ha già la pistola nel fodero e sull'avversario ancora in piedi, con la pistola in mano ma col volto stupito di chi è stato fregato in velocità
    Nell'aria solo un po' di polvere.
    Mitica.
    Anche qui Hermann sorride compiaciuto ( al contrario di chi lo definisce un burbero scontroso), ma io credo che l'idea fosse tutta di Greg, altro gigante della sceneggiatura.
    La cena continua lentamente portata dopo portata, ma dopo il formaggio, pietanza imprescindibile per ogni pranzo francese, io e Gani decidiamoci allontanarci, siamo tutti e due ospiti dell'Ibis e ci attendono cinque minuti di passeggiata che scorre tranquilla in una serata mite e senza pioggia.
    Stop.

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    La Halle aux Grains, la struttura centrale dove si svolgeva la manifestazione. Nella foto centrale la tenso-struttura esterna con ulteriori stands.

    La sveglia della domenica suona su un giorno stranamente limpido, con un cielo senza una nuvola, quando dalle previsioni doveva dare acqua... segno che il meteo non è una scienza esatta neanche qui.
    Prima di dirigermi alla manifestazione, e complice il sole che fa risplendere anche le cose più grigie, vado verso il castello per scattare alcune foto, la sera di venerdì in occasione della inaugurazione avevo il cellulare spento e non ho potuto farvi delle foto.
    Il castello, la piazzetta e l'architettura francese è inconfondibile, e non mi meraviglierei se vedessi uscire da una porta un moschettiere, potenza delle convenzioni.
    Poi di nuovo al festival, e cominciamo come sempre, allo stand ho già tre persone che mi aspettano, ma vanno a dormire questi?
    Alla fine della mattina, con Michel che mi aveva già invitato ad andare a pranzo, mentre sto terminando l'ultima dedica, mi ritrovo di fronte un bambino di circa otto o nove anni con un padre giovane e teneramente attento, si mettono a sfogliare un mio libro, il bambino mostra un interesse fuori dall'ordinario, gira e si rigira le pagine osservandole con attenzione, e il padre lo asseconda parlandogli amorevolmente e spiegandogli molte cose: sono meravigliosi. Alla fine si fanno fare una dedica (ma è ovvio che è per il figlio, davvero innamorato di ciò che aveva visto), io non posso fare a meno di confermare al padre lo stupore e la bellezza di vedere un bambino di quella età così interessato (in Italia ne ricordo solo uno che venne portato via con decisione dal padre, neanche fossi un pusher di metanfetamine) ma non gli dico che il suo amore e la sua attenzione mi hanno colpito altrettanto, e lui mi confessa che dall'età di quattro anni il figlio divora fumetti e disegna con amore e passione e che lui asseconda questa sua vocazione, chiudendo così un quadro talmente edificante da sembrare quasi finto.
    Fare dei paragoni diventa antipatico ma sopratutto autolesionista, ad ogni modo avere un figlio in quel modo può essere possibile solo in un paese dove alla cultura non è riservato lo sgabuzzino ma un posto di primo piano, dove le maestre e le scolaresche (venute in gran numero il venerdì mattina) sanno di cosa parlano e sanno cosa dire, e dove uno spazio permanente è destinato al fumetto dove periodicamente si allestiscono mostre di autori, e realizzate come Dio comanda.
    E poi avere un figlio così è possibile solo con un padre del genere, vi garantisco che vederli uniti in quella complicità mi ha riscaldato il cuore, e sono andato a pranzo più felice, anche perché ho pensato che, probabilmente, quelle pagine potrebbero rappresentare per quel bambino un ricordo esattamente come quello che è stato per me quelle di Hermann, e la cosa mi ha fatto piacere, sopratutto pensando a quanto seppure col nostro piccolo, infinitesimale contributo, possiamo modificare nella vita degli altri, magari migliorandola.
    Poi, saltato il momento libro Cuore, con Michel ci dirigiamo al Novotel, qui ci accomodiamo ad un tavolo a sei con Gani, Francisc Grimalt, un autore libanese e un critico di ActuaBD, Didier Pasamonik, un sito tra i più importanti del panorama francese, di questi non ce n'è uno della stessa nazione, neanche fossimo una delegazione delle Nazioni Unite. Qui la conversazione è piacevole, ma alla fine mi stacco da tutti per andare a vedere la mostra alla Maison de la BD di Emmanuel Lepage, un amico e collega di rara perizia grafica e raffinata tecnica, uno dei più bravi disegnatori francesi in circolazione.
    Ritorno allo stand e trovo un giovane italiano di nome Vasco (ricordo la dedica), che insegna Storia della Musica all'Università di Tours e vive in quella città da quindici anni, è un appassionato di fumetti e il padre è stato l'artefice di questa passione, sia lui che il genitore sono miei appassionati lettori e mi conoscono dai primi Nathan Never. Ancora non si è formata la fila e ci mettiamo a parlare, mi racconta le sue vicissitudini e mi descrive la facilità di entrare all'università in un concorso per cinque aspiranti, di cui tre francesi (prima gli italiani!!! tanto per non fare paragoni), evidentemente era il migliore e qui, come per magia, le qualità vengono premiate, do you remember something?
    Purtroppo devo lasciare la conversazione, arrivano altri lettori e non si può cazzeggiare, il tutto procede tranquillamente, il pomeriggio è meno intenso degli altri giorni e arriviamo all'ora di chiusura senza patemi.
    Un saluto agli autori in partenza che ci capita di incontrare, e una birretta giusto per sfruttare gli ultimi tickets rimasti che regalo a Gradimir che decide di rimane per aspettare i compari serbi, io mi dirigo di gran carriera all'albergo, alle 19,00 inizia la partita di Volley di mia figlia e non mi voglio perdere lo streaming Facebook, visto il prospettarsi dell'inaspettata possibilità di vederla.
    E infatti non lo è, al seguito della squadra manca l'accompagnatore che detiene la telecamera che viene posizionata per fare la riprese, per cui salta tutto mi ritrovo solo nella camera.
    Motivo in più per rilassarsi.
    (PS La partita è finita 3 a 2, perdevano di due set a zero de hanno rimontato di due set per finire al tie-break vincendola 15 a 13, mi sono perso probabilmente la più bella partita di questo scorcio di stagione, esattamente come la gag di Raimondo Vianello che durante una partita di calcio alla TV che naviga su uno stanco 0 a 0 gli si spegne il televisore al 43imo minuto del secondo tempo, e quando il video gli riappare è terminata con un 5 a 4, e il contrasto diviene esilarante).
    Alla cena stasera siamo molti meno, solo pochi autori (quelli che partiranno il giorno dopo) e tutti i benevoles che, anche se ancora devono terminare alcune cose, si godono il meritato relax di fine festival. Ma sono stanchi e poco ciarlieri, lo si legge nei loro magri interventi, il down dopo l'adrenalinica pressione dei giorni precedenti si fa sentire.
    Al tavolo con un simpatico Fabrice Meddour, Bruno, Jean Pierre, Jean Marc ed altri, Gradimir trattiene tutti con l'ascolto di una sorta di personale playlist di musica (e dentro c'è davvero di tutto, dai Daft Punk a Dalla, alla musica galiziana, da Ennio Morricone fino a Brassens) poi, come il giorno prima, arriva la mia adunata, alzo il culo e mi permetto (sicuramente per merito della riflessione del giorno precedente) di salutare tutti i presenti al tavolo (e non solo), ma mi guardo bene di andare nell'altra stanza, per poi dirigermi diretto all'uscita, con un senso incondizionato di liberazione, vivendo il mio arrivo all'hotel come un grande traguardo.
    Lo so che sembro esagerato, ma in certe situazioni ci sguazzo con tanta tranquillità da rasentare la consuetudine quanto riesco a stufarmi in un nanosecondo e abbandono il convivio. Che volete che vi dica?

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    Alcune immagini di Blois, nell'ultima foto il tranquillo scorrere della Loira.

    È lunedì mattina, e oggi che posso dormire di più mi sveglio alla stessa ora, ovvio.
    Faccio colazione e cazzeggio col Wi-Fi, scribacchio e mi angoscio, controllo la partenza e le coincidenze dei treni e sono in ambasce per Gradimir che è alloggiato altrove, deve venire al mio hotel, ma deve anche disegnare qualcosa alla manifestazione e, conoscendolo, so che può perdere la cognizione del tempo e arrivare in ritardo, e non riesco ad agganciare il suo cellulare, mi suona a morto.
    Ora, la nostra tranquillità ce la guadagneremo una volta seduti sul TGV a Saint Pierre de Corps, ma fino a lì tra partenza da una stazione minore e che all'andata non è stata così sicura avendo soppresso un treno ed essere arrivati con un'ora e mezza di ritardo, e i soli venti minuti di tempo per prendere il TGV, autorizzano il mio stress non solo a sguazzare in un'orgia di divertimento ma a garantirsi una piena realizzazione.
    Staremo a vedere.
    Adesso, seduto nella hall dell'Ibis in attesa del compare e del successivo trasporto, non mi resta che osservare lo scorrere della tranquilla vita cittadina della provincia francese, nel grigiore di questa giornata piovosa, uggiosa e anonima.
    Arriva Valerie con la sua vettura privata, gli altri chauffeurs oggi lavorano e tocca a lei, è in perfetto orario e almeno questo step lo abbiamo superato brillantemente.
    Al binario 6 della stazione di Blois-Chambord il treno ha cinque minuti di ritardo, che recupera tranquillamente arrivando in orario, ma qui assistiamo alla gestione dei "furbetti" locali, il controllore (che curiosamente qui controlla) arrivato di fronte al wc, trovandolo chiuso, bussa per verificare che chi è all'interno gli mostri il suo biglietto, questo tergiversa un po' troppo, e dopo averlo richiamato più di una volta ha chiamato un suo collega e hanno aspettato che uscisse, appena è uscito ha giustificando i suoi bisogni corporali e tirato fuori un abbonamento che evidentemente era scaduto, questi avranno chiamato la locale Polifer e poi non ho visto l'epilogo perché alla stazione successiva siamo scesi.
    Che c'è di curioso? È che sulle linee che frequento io, spesso, in una percentuale altissima non vengono controllati i biglietti e quindi specialmente su alcuni orari i "furbetti" proliferano ed hanno campo facile, i controllori spesso sono soli, per cui l'esito di certe operazioni dipendono sempre da chi ti trovi di fronte e da quanta resistenza fa, anche se c'è da dire che quelle rare volte a cui ho assistito chi ha gestito la situazione lo ha fatto egregiamente, ma temo che le maglie della rete (i controlli) qui siano dannatamente più strette.
    Adesso sono sul TGV in direzione Charles De Gaulle, e osservo il mio stress arroccato in un angolo che si fa grigio e sta diventando sempre più piccolo, e so che appena ritorno con lo sguardo su di lui sarà scomparso definitivamente per mancanza di ossigeno. A dire il vero, stare con Gradimir riduce almeno quel tipo di stress, poi lui ti bombarda con le sue riflessioni come fosse un fighter che ha stringo all'angolo l'avversario, ma questa è ad ogni modo tutta un'altra cosa.
    All'aeroporto dobbiamo attendere quasi tre ore, spizzichiamo io una specie di torta salata e un panino, dopo aver fatto il check-in on-line a Gradimir, spendiamo un po' di tempo e ci dirigiamo al gate dopo i relativi controlli. Tra una chiacchiera e l'altra arriviamo all'imbarco ed è qui in fila che mi sorge un dubbio: l'arrivo dei miei amici a Firenze dagli States era previsto alle 19,30, e qui mi sovviene un pensiero: non è che per caso fanno scalo a Parigi e siamo sullo stesso volo?
    È in quel momento che mi guardo intorno, magari sono proprio qui, osservo le persone in attesa di passare il gate e scopro a tre metri da me la chioma bianca di Luca, e poi scorgo Federica e Fabrizio, facciamo effettivamente il viaggio insieme, neanche a farlo apposta.
    Ma non c'è tempo per parlare, la fila scorre e tutti siamo presi dalle pratiche d'imbarco, ci parleremo in attesa delle valige, perché quasi a voler agevolare la nostra réunion, tra tutte per persone scelgono proprio me per caricare il mio bagaglio in stiva, e sia, non ho nessuno che mi rincorra.
    A Firenze saluto Gradimir e ci ritroviamo in sala bagagli, ma ai miei soci non sono arrivati a causa il poco tempo della coincidenza a Parigi, ci lasciamo lì (tanto ci rivedremo l'indomani) e io mi dirigo in taxi all'albergo che mi ospiterà per i prossimi due giorni. Dopo quattro giorni di sapori francesi ho bisogno di una full immersione nella tradizione toscana, il concierge mi consiglia una trattoria tipica a cinquanta metri, e io dopo avere lasciato il bagaglio in camera mi dirigo a spron battuto verso di lei.
    Non mi voglio abbuffare, mi basta solo un tuffetto nei vecchi sapori, e ordino insieme ad un buon Chianti, dei crostini col pecorino e cipolle caramellate è una sana è vecchia carrettiera, come solo a Firenze sanno fare.
    Nel locale non prende internet, e nell'attesa spesa a guardarmi intorno come si faceva una volta, tra foto alle pareti di celebrità che hanno lasciato dediche e testimonianze, in un locale pieno di giapponesi e di habitué italiani (lo si vede dalla confidenza con cui vengono trattati), mi metto a guardare la litografia del cavallo esposto di fronte a me, che seppur non del tutto orribile mi ricorda quanti scempi sono stati fatti in nome di una presunta "arte", mai tanto disconosciuta.
    Non vi dico la gioia con cui il mio palato ha accolto il tripudio dei sapori delle portate, è ancora qui che mi ringrazia e vorrei che smettesse perché vorrei anche andare a letto, ma tra l'armonia dell'agrodolce della cipolle col pecorino caldo, e l'equilibrio della cottura degli spaghetti tra peperoncino e aglio, il tutto era da applausi.
    Mi sono alzato felice, e per la strada qualcuno mi pare perfino che mi abbia indirizzato un ben augurante: "Benvenuto in Italia", terra piena di stronzi e di difetti ma che sa stare a tavola.
    Ma quanto sono banale!
    Poi, sarà stato il vino, sarà stata quell'atmosfera che non mi capita di rado (se non fosse per una cosa che mi ha un po' guastato il tutto), questi momenti di nullafacenza, senza troppi pensieri, in cui ti prendi cura solo di te stesso, non avendo impegni e obblighi a cui sottostare e che se anche durano poco, ti rendi conto di quanto siano importanti, e di quanto poco tempo dedichi a te stesso con quel' egoismo e quell'amore totale che sono fondamentali per ritrovare un equilibrio fatto di niente.

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    Un paio di dediche realizzate al festival.

    Siamo all'ultimo di questi giorni di trasferta franco-fiorentina, e sono su un treno che parte più tardi dell'orario abituale, alla fine mi sono detto che aveva poco senso partire a un'ora così mattutina, quando già sapevo che nella mattina non avrei combinato niente di rilevante.
    Sono circondato da stranieri che quasi sicuramente mi lasceranno a Pisa, meta turistica appetibile, a scapito di una Livorno che diventa turisticamente meta di transito e scalo solo nel periodo delle crociere, e questo non lo è.
    Dopo quasi dieci giorni con la valigia in mano, ho davvero voglia di tornare a orari più tranquilli, il viaggio in Francia è stato piacevole, tanto lavoro nei giorni di festival, ma anche tanti incontri, tante conferme all'interno di una tra le manifestazione più importanti del settore, tra molti colleghi e la necessità di ritrovare certezze che talvolta latitano.
    Lo devo dire con un certo rammarico, sentirei più la mancanza di festival francesi che di quelli italiani, accusatemi di esterofilia, fate come volete, ma la professionalità, la serietà, e l'interesse generale che si respira oltralpe, oltre al disagio di ammettere questa supremazia dei cugini, non ha paragoni in terra italiana.
    A parte alcune realtà, attive da anni e con una solida esperienza e credibilità, in molti casi e per molti festival per lo più locali, oltre che sembrare di partecipare alla "sagra della porchetta", il disinteresse per il medium fumetto è l'unico legame (a parte alcuni cosplayer che si agitano dentro a costumi colorati a volte non conoscendone neanche l'origine), spesso è totale e relegato solo alla semplice curiosità da passeggiata domenicale.
    Non mi piace ammetterlo, ma è così.
    È per questo che devo anche riconoscere che torno più "gratificato" da un qualsiasi festival francofono piuttosto che da manifestazioni come Lucca, dove oramai i lettori interessati pare siano solo dei semplici follower prima conquistati sul web, per poi vendergli il relativo cartaceo, in dinamiche che, seppur comprensibili, trovo estranee.
    Sono un nostalgico? Sicuramente sì, per quanto sguazzi da anni dentro le logiche del web, non riesco ad estendere la mia consapevolezza a questo aspetto del mio lavoro che, inevitabilmente, mi piace antico.

    Vedo scorrere la campagna solcata dall'Arno e protetta da un cielo grigio ma al momento senza pioggia, mi sembra essere via da non so quanto tempo e,  anche se per diversi giorni sono stato lontano dai miei problemi, preso a fare altro, il ritornare a casa mi è di conforto.

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    LUCCA, LA PIOGGIA E I COSPLAYER NAZISTI

    Andata anche quest'anno.
    Oramai è come spuntare un calendario o togliere i petali ad una margherita, ogni anno che passa, nonostante in certi casi (come questo) non avessi novità da supportare e promuovere, non sono riuscito a non venire, e le motivazioni sono le solite: la nostalgia, la breve distanza, il senso di appartenenza, gli amici, i colleghi, la curiosità.

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    BD EN PERIGORD

    Il fatto stesso di aver creato l'evento su FB la mattina stessa della partenza per questo festival, per ricordarne agli amici francesi la mia partecipazione, la dice lunga sullo stato di questo periodo, la poca enfasi che mi circonda riguardo fatti di questo genere, non per sminuire la portata del festival, dove sono già stato ed ho amici che mi aspettano, ma proprio perché come si dice: non ci sono, e se ci sono vorrei essere altrove.
    Del resto per ora va così.

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    EVREUX 

    Distogliermi dall'estate e dal suo svilupparsi nei soli tre mesi a disposizione, è una pratica tanto sadica quanto colpevole, alla quale però quest'anno mi sono voluto sottoporre, non fosse altro perché l'invito a questo festival mi è arrivato così tanto tempo fa, che mi sono lasciato sorprendere dalla premura e le attenzioni dell'invito.

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    GRENOBLE, E POI L'ESTATE...

    Ero quasi tentato di non scrivere questo report, tanto sono stanco per l'essere arrivato alla fine di quest'anno di lavoro oberato di impegni e viaggi, ma non mi sembrava giusto, per l'editore

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    NANJING, AGAIN CHINA -3a Parte

    Giovedì

    Il tempo non è decisamente dalla nostra, anche oggi piove, non si può dire di avere visto Nanjing sotto il sole, è capitato davvero, poche volte, peccato, perché con i molti viali alberati il gioco di ombre sarebbe stato molto bello.

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    NANJING, AGAIN CHINA - 2a Parte

    Lunedì

    Ci alziamo un po' più tardi ma è tutta un'illusione, l'orario del risveglio è lo stesso, ma il sonno almeno è stato continuo, o ci abituiamo ad orari e consuetudini o siamo semplicemente più stanchi.
    Colazione con Nicolas, neanche ci mettessimo d'accordo, e partenza verso il lago interno alla città, sembrava che oggi la giornata fosse migliore ed invece è grigia come il giorno prima e comincia anche a piovere seppur debolmente.

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    NANJING, AGAIN CHINA - 1a Parte

    Un titolo in inglese per sottolineare il nostro essere internazionali of course, che è invece inversamente proporzionale alla realtà, o almeno, come ci sentiamo realmente.

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    TORINO, IL SUO SALONE E IL FASCIO

    Terza settimana di fila, e dopo Napoli e Albissola adesso tocca a Torino ed il suo Salone del Libro, la più importante manifestazione dell'editoria italiana. Quest'anno, causa il clima politico teso e incattivito e la polemica dell'editore fascista inserito all'interno della manifestazione, non si è parlato altro che di questa aspetto, tanto fastidioso quanto strumentale.
    Già che ci sono voglio dire la mia.

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    ALBISSOLA TRA TERRE DI MARE E PONTI CROLLATI

    Il titolo è catastrofista e ingiusto per l'occasione, ma devo dire che è utile per contestualizzare il mio primo pensiero, e cioè come bypassare il ponte Morandi crollato a Genova, e non incorrere in inutili perdite di tempo ottimizzando il viaggio.

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    NAPOLI COMICON &C.

    Come natura vuole, la primavera è l'artefice di ogni risveglio letargico, anche il mio, anche se a dire la verità io avrei dormito volentieri ancora un po' ma, come oramai è consuetudine, il nostro lavoro ci impone tour e partecipazioni promozionali per i nostri libri. Tanto è difficile venderli che prima o poi dovremmo trasformarci in venditori porta a porta.
    Sono reduce da una simpatica inaugurazione di una mostra flash a Grosseto, inaugurata il 24 Aprile all'interno del Festival Resistente che si concluderà il 27 Aprile, cioè sarà già conclusa al momento della pubblicazione di questo report. Una mostra fatta in collaborazione con l'ISGREC, l'istituto degli studi storici di Grosseto, ente con il quale avevo già collaborato in occasione del libro "Di altre storie e di altri eroi".

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    Manifesti della mostra organizzata da l'ISGREC a Grosseto.

    A lato dell'IPad vedo l'elenco dei report fatti e le date che si susseguono mi ricordano l'incalzante frequenza con la quale ho partecipato a festival e manifestazioni nel periodo autunnale, e mi stresso soltanto a leggerle; l'ultima in ordine cronologico è Angouleme, fine Gennaio, quasi tre mesi fa, e un ricordo che al di là dell'ottimo andamento del libro promosso (Mimbrenos, il mio primo western), non è memorabile.
    Ma cerchiamo di girare pagina, anche se il mio status non è entusiasmante e, a dire la verità, sarei rimasto volentieri a casa, ma oramai questo tipo di lamenti fanno parte del tedioso momento che sto attraversando, mentre invece l'agenda vede un Maggio con molti impegni e con probabile sorpresa finale, una presenza addirittura extra-continentale.
    Ma vedremo, e ad ogni modo dovrò, come sempre , fare buon viso a cattivo gioco, ammesso che poi il gioco sia così cattivo.

    In realtà a Napoli vado sempre volentieri, non essendo una tappa abituale, ogni volta entrare nella città partenopea coincide con una sorta di piacevole condizione turistica, ma sono proprio io che in questo periodo di totale indeterminazione faccio fatica ad appassionarmi, a trovare stimoli convincenti e progettualità lavorative. Si va, in balia della corrente, aspettando un approdo che al momento non è visibile all'orizzonte, e non è neanche spiacevole come condizione, se non fosse come un limbo asettico.
    Asettico come la giornata di questa mia partenza, conseguente seguito della precedente, che era partita con i migliori auspici sotto i raggi di un bel sole primaverile, e terminata con qualche goccia e un'anemia lattiginosa che sbianca il cielo anche stamani.
    L'Intercity proviene da Sestri Levante e arriverà diretto a Napoli dopo cinque ore filate e poche fermate, il treno è già piuttosto pieno, e i miei compagni di viaggio sono una improbabile coppia di mezza età che fino a questo momento si è lamentata solo di rapporti familiari difficili: lei sembra una zietta inglese con un cesto d'insalata di capelli rossi in testa, lui ha la faccia non propriamente vispa con un mento a grondaia, e da come si agita dimostra una notevole difficoltà a stare fermo e, se non ricordo male, è sceso proprio a Cecina per accendersi una sigaretta al momento della sosta del treno, segno evidente di una dipendenza da cronico tabagista.
    Accanto a me invece, sono salite a Campiglia una coppia di napoletane veraci della serie "gemelle diverse", nel senso che pur condividendo delle analogie, sono diverse per età e taglia, una extra-large, l'altra extra-minimum, ma entrambe super truccate e dai capelli corvini, sopracciglia rasate ma accuratamente disegnate, oltre che una maniacale attenzione alle unghie, rigorosamente curate e laccate. Su una di loro, tatuata sull'avambraccio tra decori floreali, ombrellini, ciliegine, ferri di cavallo e bocce di profumo spicca un'ode degna del miglior D'Annunzio Ti amo perché io ho te, tu hai me, ed insieme abbiamo tutto, sono commosso da cotanta profondità e genuina condivisione, e a stento mi rimetto a scrivere.
    Sono in buona compagnia, il viaggio può cominciare anzi, è già cominciato.

    Mi metto a leggere un libro di un amico scoperto tardi ma che si sta rivelando una persona preziosa.
    Del resto meglio leggere qualcosa, se continuo a scrivere per l'intero viaggio (e ne sarei anche capace), finirei per uccidervi definitivamente.
    Ma per fortuna il libro mi piace e poco prima di arrivare, mi accorgo di essere a poche decine di pagine dalla fine.
    A Napoli Centrale, poco prima di scendere chiedo ad una signora napoletana quale linea di metro prendere per andare a Campi Flegrei, si tratta della Linea 1, mi dice amorevolmente e carica di entusiasmo. Sicuro dell'indicazione, appena trovo la relativa biglietteria, immaginando un certo viavai, acquisto senza battere ciglio cinque biglietti (convinto, erroneamente, che mi serviranno), salvo poi scoprire che la linea da prendere è la 2, non è una metro ma un trenino gestito dalle Ferrovie e che non utilizza i biglietti acquistati dal sottoscritto, adatti quindi ad altra linea e altro gestore. Scendo nel piano a livello della linea, dove per fortuna la biglietteria mi riprende i biglietti, dirigendomi di nuovo alla linea giusta, incontro Loris Cantarelli di Fumo di China, ci mettiamo a parlare e prendiamo il solito treno, scendiamo nella stessa stazione, per la cronaca: Piazza Leopardi, perché abbiamo alberghi vicini, ci aspettiamo a vicenda per un veloce check-in-in e ci incamminiamo verso la Fiera d'Oltremare, sede della manifestazione.
    Sono in orario anzi in tempo per una bevuta nella zona PRO, dove con stupore scontro che il mio pass Artist però, non ha accesso. Dovrà essere una questione da sistemare, mi dico.
    Mi faccio portare la birra dal gentile Cantarelli e mi metto a parlare con qualche collega, incontro il buon Alfonso Rizzo, notorio cacciatore di disegni  che, giocando in casa ripasserà per farsi fare un nuovo disegnino, trovo Glauco Guardigli editori della Bonelli con cui ci ripromettiamo di vederci la sera e poi, di ritorno allo stand Tunuè dove ero aspettato, incontro Raffaele De Falco, amico prezioso e gentilissima persona, con cui mi fermo a fare quattro chiacchiere insieme allo sceneggiatore Giuseppe De Nardo, poi mi metto a lavorare, anche se interrotto da molti amici e conoscenti che si fermano a parlare. Uno tra questi è Mauro Uzzeo, giovane rampollo che conosco da quando era pischello ed oggi come sceneggiatore si sta facendo strada nella Nuova Bonelli.
    Incontro finalmente Sergio Brancato, che mi ha scritto una bellissima ed appassionata prefazione per "Hasta la Victoria!" edita da Mondadori Comics, ci conoscevamo ed apprezzavamo a distanza ma non ci eravamo incontrati de visu.
    Faccio il mio tour di firme e poi mi dirigo verso Magic Press al quale ho promesso qualche firma per "La lama e la croce", ultima fatica pubblicata da Mondadori Comics. Ma allo stand Bonelli mi metto a parlare con Michele Masiero direttore Bonelli, Riccardo De Marino e di nuovo Glauco, due saluti a Ivo Milazzo incontrato casualmente e poi  Giancarlo Soldi, il regista degli ultimi due documentari sul fumetto italiano più interessanti, la sua bella faccia sorridente da puttino seicentesco mi mette sempre molta allegria, ed adoro parlare con lui, è una di quelle persone che con dal primo momento è scaturita una sintonia immediata.
    Incontro anche il duo più felice del mondo, perché sono i soli che in Bonelli godono di una relativa tranquillità, che di questi tempi di vacche magre e al limite dell'anoressia, non è poco, perché il loro Dragonero ha vendite stabili e una programmazione accurata, e sono il duo Vietti -Enoch, accompagnati da Marina Sanfelice della casa editrice di via Buonarroti.
    Ma la giornata è finalmente finita, ci ritroviamo con Glauco e, seppur tentati da una festa organizzata dal Comicon all'Istitute Français, decidiamo entrambi prima di farsi una bella pizza da Ciarly, per poi raggiungere gli altri con un taxi.
    Riusciamo di straforo a farci regalare due posti e mangiamo una fantastica pizza condita in modo leggero e composta di una pasta magnifica.
    Poi all'Istituto dove arriviamo a buffet già assaliti, ma io e Glauco siamo già pieni come otri e ci accontentiamo solo delle bevute mentre gli altri si accalcano ai buffet tra tartine, affettati e mozzarelle di bufale.
    Qui indicherò, con un elenco della serva tutte le persone che abbiamo incontrato e parlato: Igort, De Felice, Barbara Baldi, Alino, Alina, Claudio Curcio, Sualzo, Bilotta, Cantarelli, Soldi, Laura Scarpa e molti altri.
    Ci sarebbe anche il tempo per un'altra festa, ma mi sono alzato alle 5,50 di mattino, e non fa per me.
    La Suite Partenopea mi aspetta.
    Good night.

    Il sabato mi sveglia con un bel sole cristallino, è meno caldo e l'aria è sicuramente più leggera.
    È piacevole fare colazione sotto la tenso-struttura del bar convenzionato con il B&B, un bel cornetto alla crema  ed un cappuccino ed iniziamo la giornata di slancio, come diceva una pubblicità di decenni fa.
    Di fronte agli ingressi della Fiera d'Oltremare, molto numerosi come quelli dello stadio San Paolo di fianco alla struttura, le fiumana di gente in attesa è impressionante.
    Da domandarsi se, a farli entrare tutti, la struttura li potrebbe contenere... la risposta è sì, li contiene.

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    L'enorme folla di visitatori di fronte ai cancelli d'ingresso della Fiera d'Oltremare.

    Incontro gente e vedo persone, elencarle in ordine cronologico sarebbe lungo, mi ricordo soltanto che Marco Gasperetti, gentilmente mi offre un caffè che io accetto volentieri, ho ancora diversi minuti che mi separano dall'orario alle firme concordato, e traccheggio volentieri fino a quel momento.
    Poi si comincia, accanto a me per l'intera manifestazione oramai c'è Khalina Muhova una bravissima illustratrice bulgara che disegna splendidamente, ed insieme condividiamo le innumerevoli dediche della mattina.
    All'ora di pranzo insieme al buon Guardigli, eletto a maggioranza a mio pigmalione della manifestazione, decidiamo all'unanimità di andare a pranzo insieme da Ciarly, il Ristorante-Pizzeria fuori la fiera che ci ha ospitato il giorno prima, insieme a Italo Mattone, Davide Rigamonti e Mariano De Biase tutti componenti del nuovo progetto Odessa della Bonelli. Qui spero di non aver tediato sulle mie teorie sul futuro del fumetto il buon Mattone che, pazientemente ha ascoltato i miei sproloqui, spero di non averlo né annoiato troppo, né avvilito; è un giovane fumettaro che si è affacciato alla professione in un momento non troppo brillante, ma non per questo deve rovinarsi l'umore per colpa del sottoscritto. L'orario è probabilmente troppo presto per i miei appetiti, ma perfetto per coordinamento sugli orari popolari, per cui non fatichiamo a trovare il tavolo libero a differenza di quelli che arriveranno da lì ad un'ora. Una delle abitudini del ristorante però, sono un paio di zonzelle e stuzzichini prima dell'ordine effettivo, con relativo rilassamento da parte del nostro famelico appetito, per cui avvedutamente invece dell'ingolfante pizza (seppur buonissima), opto per uno spaghetto ai frutti di mare che mi delizia ma non mi intasa. Tanto per parlare fino.
    Si rientra e sfruttiamo il cambio del pass.
    Allora, come vi avevo già detto nell'area PRO, curiosamente, col pass "artist" mi avevano vietato l'ingresso allo spazio riservato agli addetti ai lavori. Non ne conosco il motivo, ma sono propenso ad immaginare che, visto il proliferare degli "artist " (veri o presunti tali), l'organizzazione abbia optato per un ulteriore stretta di cinghia, onde operare una revisione sostanziosa delle uscite per bevute gratis che, seppur sembri una malignità, proprio per l'intrinseca cattiveria, potrebbe avvicinarsi al vero.
    Io, per non saper né leggere né scrivere ma, muovendo le pedine giuste, mi sono fatto cambiare il pass da artist a pro (cosa che pareva impossibile), potendovi così accedere, non chiedetemi come, perché ho giurato fedeltà e sono pronto ad usare la pillola al cianuro pur di non rivelarla.
    Incontro Marco Grasso, organizzatore di Etna Comics con cui scambiamo quattro chiacchiere, poi di nuovo la sessione di firme del pomeriggio.
    Una breve sosta, e poi una sosta all'area PRO giusto per ristorarsi, una chiacchierata con Luca Scornaienchi e Stefano Piccoli per poi andare allo stand Magic Press e finire la giornata con dediche su Cuba e "La lama e la croce".
    Alla fine della giornata tutti pronti per il gran finale, le premiazioni del Comicon sono un l'momento importante perché, gioco-forza (e qui l'area "chiusa" della manifestazione aiuta), non si accede al buffet finale senza prima essersi sorbiti la cerimonia di premiazione che, si sa, è una gran rottura di coglioni per chi NON vince. Il gran cerimoniere è il nuovo direttore artistico della manifestazione: Matteo Stefanelli coadiuvato da una buona regia con filmati, schermate ed ospitate.
    Le premiazioni non sono fondamentali e se volete saperne di più andate ad informarvi sul sito del Comicon.

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    La passerella finale dei premiati, e un bel gruppo di intervenuti in un interno: Silvia, il sottoscritto, Fabio Genovesi ed Elena.

    Alla fine del cerimoniale, vedo vicino a me Fabio Genovesi (che era uno dei membri della giuria), è uno scrittore che leggo e apprezzo da sempre, per avere letto molte delle sue cose, non ultima il bel "Il mare dove non si tocca", siamo amici su Facebook e lui, al tempo, mi fece posto tra i suoi contatti pur avendo il full sul suo account. Io non amo intromettermi, odio l'invadenza, che spesso sconfina nella cafonaggine quando entri a gamba tesa nella vita delle persone, ma è lì a pochi passi da me, e decido di presentarmi. E come spesso accade in queste occasioni, lui si ricorda di me, mi conosce e ci troviamo subito on-line, come si dice oggi, la frequenza è la stessa e ci intendiamo o al volo. Due convenevoli e la promessa di tornare a parlare tranquillamente al piano di sopra.
    Poi, tutti al buffet che, i più avveduti, si sono premuniti di assalire subito dopo la fine della cerimonia e qui, obiettivamente, bisogna essere dei professionisti di questi attacchi da guerrigliero. La fila era lunga, ma in compagnia del buon Loris Cantarelli, siamo riusciti a non farci fregare il nostro vettovagliamento finale, e a sfangare la serata, almeno sotto la voce: cibo ed alimentazione.
    C'è da dire che per accedere al buffet, c'era un ulteriore step da superare, uno step bypassabile con un braccialetto che, se non posseduto, inficiava l'accesso alla sala al piano superiore, in questo ambiente come in quasi tutta questa idiota società fatta di piedistalli ridicoli e gerarchie inutili, c'era quella degli eletti, degli Dei, delle divinità inarrivabili e VIPS e non per i comuni mortali che, miserrimamente, sono dovuti tornare nelle squallide ed umili pizzerie dei dintorni.
    Al piano nobile c'erano gli altri, tutti gli altri, quelli che contano, devo farvi i nomi? No, non ve li faccio, sarebbero troppi e molti forse vi direbbero anche poco.
    Mi apparto in un angolo per gustarmi la scelta alimentare e non parlare di fumetti, per qualche minuto vorrei mangiare il risotto o le orecchiette, la mozzarella e la crostata salata che mi ero fatta servire poi, in un modo o nell'altro (ma sempre piacevolmente) sono arrivati nell'ordine Emanuele Di Giorgi, Silvia Bellucci, un editor de il Castoro con cui abbiamo parlato di premi e non, e poi Vietti e Ticci, di nuovo Cantarelli, Federico Bertolucci e Antonio Vincenzi in arte "Sualzo", Max Clemente, i gemelli Cestaro e poi mi metto a cercare Fabio Genovesi, con cui finalmente mi metto a parlare compiutamente dopo la promessa che ci eravamo fatti qualche tempo prima, ci scambiamo cellulari e foto ed è un piacere poter conversare con una persona gradevole e di spessore, con cui si percepisce una unità di condivisioni (territoriali e non) che ci accomunano. Poi torniamo a parlare con altri colleghi fino allo sfinimento, ma la serata è finita anche se vorrei bruciare qualche altra cartuccia, ma mi astengo da ulteriori sforzi, contro ogni pronostico la serata è stata piacevole (il trucco è non aspettarsi mai troppo), ma sono stanchissimo e, uno dei vantaggi, è avere la camera soli cinque minuti dalla mostra.
    Saluto tutti e me ne vado, e so che rimpiangeranno la mia assenza, ma dovranno farsene una ragione, e pur rammaricato per loro, me ne vado a letto. Tardi.

    Mi sveglio con la stessa considerazione di sempre, sbuffo e impreco quando devo partire, perché la mia pigrizia la fa sempre da padrona, ma poi quando ci sono non mi dispiace di esserci. Del resto in queste occasioni, indipendentemente dagli impegni fissati e gli orari da ottemperare, tutto il resto è un incognita, non sai mai chi incontri e che relazioni intraprendi. Non è che non lo sappia, ma ogni volta è come se dovessi averne una riprova.
    Mi preparo ed esco per fare la colazione al Sandomingo, il baretto convenzionato col B&B, mi rilasso un po' e mi dirigo verso la fiera. Agli ingressi non c'è la monumentale calca del giorno prima, ma c'è pur sempre molta gente, dal punto di vista numerico mi pare che gli organizzatori non possano che essere soddisfatti.

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    Porto la valigia allo stand e cazzeggio un po' con amici e colleghi, e mi accorgo di quanto non abbia né visto mostre, né cercato novità o quant'altro, la cosa non mi piace molto ma non posso che prenderne atto, e non che gli stand non siano riforniti, è proprio che mi manca il richiamo della foresta, non sento più ululare i lupi: è silenzio.
    Mi metto allo stand a fare dediche, non che la gente si accapigli, ma qualcosa si fa, la mattinata non è tonica ma, considerazione fatta anche durante la mia partecipazione di sette anni fa, non c'è proporzionalità tra la gente che c'è e le vendite dei libri, il rapporto è estremamente deficitario.
    Le ragioni si prestano a tutte le possibili interpretazioni, io sono propenso a credere che il rapporto tra la domanda (un pubblico in recessione) e l'offerta (sempre maggiore e sproporzionata alla domanda), portino tutto il gioco al ribasso. Fetta della torta più piccola con maggiori competitors, uguale a meno vendite di singoli volumi.
    Ma non è detto che sia così.
    Accanto a me c'è ancora Khalina ma dopo un po' si alterna Simona Binni, ricomponendo così, anche in questo caso, la coppia lucchese.
    Tra una dedica e l'altra, Simona mi chiede che ne penso di un libro considerato un capolavoro, un autore di sicuro successo e dal segno originale ed innovativo, e in un colpo solo ho la risposta al mio non sentire più l'ululato, il richiamo all'acquisto, la pulsione verso la/le novità. Ho sempre pensato di essere un lettore piuttosto onnivoro e riuscire a digerire molte cose, talvolta anche obbligandomi a spuntini indigesti pur di aggiornarmi e cercare di capire, e credo anche di avere delle conoscenze estetiche e artistico-tecniche che che mi permettano di amalgamare il tutto, ma sarà la vecchiaia, l'assoluta mancanza di empatia con quello che vedo, e di conseguenza di soggiacere solo a quell'idea di spendere il tempo in maniera più gradevole possibile, che non vedo perché debba iniziare un libro che ha un disegno che non mi dice niente, non evoca nessuna emozione e sembra un gioco di cartellonistica stradale. Certo, la storia sarà sicuramente bellissima e memorabile, ma perché il disegno deve fare necessariamente cacare?
    Non attendo risposte, perché non me ne frega niente.
    E, diplomatico, mi tengo sul vago.
    Terminate le firme, dopo avere mangiato un quarto di pizza gentilmente offerto dalla casa editrice, mi faccio una birretta nell'area pro insieme ad Elena e a ..., una telefonata, qualche chiacchiera e poi mi dirigo verso lo stand. Ormai l'occhio va a l'orologio, c'è ancora tempo ma è cominciato il count down.
    Vicino allo stand incontro Italo Mattone, il disegnatore al quale il giorno prima ho letteralmente assassinato tutte le speranze di un futuro migliore, perché sulla constatazione dell'attuale stato delle cose, la mia visione diciamo pure che non sia rosea. Mi scuso con lui, che è intelligente ed ha capito le mie constatazioni, ma gli confermo che, di fronte ai problemi, piuttosto che negarli, la soluzione migliore è quella di prenderne atto e guardarsi intorno per sapere come muoversi.
    Il collega però mi mette sull'avviso, visto l'orario di partenza del treno, mi conviene partire per tempo, il trenino che collega Campi Flegrei con piazza Garibaldi (la fermata della Stazione Centrale), al tempo del Comicon rischia, ad una certa ora, di intasarsi per la troppa affluenza di persone e per la regolamentazione che il personale spesso attiva, bloccando i flussi di passeggeri e quindi facendo sballare orari e coincidenze.
    Per cui prendo il bagaglio, saluto tutti e mi dirigo verso la stazione, per me il Comicon 2019 è terminato, direi confermando però tutte le aspettative.
    Preferisco aspettare in stazione Centrale, piuttosto che rodermi l'anima per ritardi e complicazioni. Adesso sono su l'Intercity  dove pare che le Ferrovie abbiamo fatto un po' di casino cambiando il numero del treno e riposizionando i numeri delle poltrone assegnate per i passeggeri con il risultato che in certi caso, i posti assegnata sono perfino doppi. Ma la cosa pare non riguardarmi.
    Continuo a scrivere questo report cullato dal rollio del treno e, neanche a farlo apposta, mi addormento. Ma è Renato Chiocca che mi sveglia, l'organizzatore di Lievito, un festival molto importante nel programma culturale della città di Latina, nel quale sono stato inserito la giornata di Lunedì.

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    Il libro di Fabrizio Gargano e il depliant con gli innumerevoli appuntamenti del festival Lievito.

    Arrivo a Latina, e appeno vedo Renato Chiocca mi scappa da ridere, è uno dei ragazzi della Tunuè che conosco da tempo, un euforico personaggio dal l'entusiasmo contagioso ed il sorriso accattivante, un affabulatore impenitente che venderebbe il ghiaccio agli eschimesi, un tipo davvero simpatico, ed è lui uno degli organizzatori del programma di Lievito, la manifestazione all'interno della quale sono stato inserito con un incontro.
    Vengo consegnato nelle mani di Fabrizio Gargano e la simpatica moglie Gisa che gentilmente mi portano non albergo.
    Sono abbastanza stanco, la notte prima non ho dormito poi molto, e mi metto spaparanzato a vedere la semifinale del torne maschile di Volley di A1, Perugia-Modena (per la cronaca ha vinto Perugia al quinto set), e poi decido di andare a fare quattro passi in centro, e sono davvero quattro visto che l'albergo è situato proprio lì.
    Latina, fin da subito si dimostra quella che è, una città nuova, nata dal niente e senza quel substrato di stili che compongono generalmente le nostre città, gli manca  quella sovrapposizioni di epoche che invecchiano, e quasi sempre abbelliscono con l'anarchia dei substrati architettonici della storia le nostre città. Ma in questo è anche l'unica splendida testimonianza di forse l'unica cosa buona lasciataci dal ventennio fascista: l'architettura. Latina (come molte città satellite: Sabaudia, Aprilia, Pomezia), e nata con il nome di Littoria, per magnificare la grandezza del genio fascista ad uso e consumo di immagine del regime, ma ha permesso a Piacentini, Terragni &Co. di lasciare una testimonianza tangibile di quel razionalismo architettonico molto in voga negli anni 20-30 con palazzi e costruzioni edificate su linee orizzontali e verticali, in spazi di grande ordine e pulizia, eleganti e formalmente apprezzabili ma l'ultimo riconoscibile stile architettonico italiano ascrivibile alla nostra cultura nazionale.

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    Alcuni scorci di Latina.

    La serata la trascorro in compagnia di Fabrizio Gargano, un simpatico ed educato autore con il quale non è affatto difficile entrare in sintonia, e ha la caratteristiche che all'età di ben cinquantadue anni ha prodotto il suo primo graphic-novel (30 giorni edito da ALT!), e con il quale l'indomani presiederemo insieme un incontro all'interno del programma della manifestazione.
    La serata scorre tra piacevoli chiacchiere di fronte alle domande che Fabrizio mi pone con la curiosità di chi, da lettore, vuol conoscere un mondo che da poco sta vivendo dall'interno, e con la curiosità di chi in quel mondo ci entrato da poco e ne viene affascinato dai retroscena. La serata continua così, in gradevole compagnia e tra amabili conversazioni.

    La mattina del Lunedì si alterna tra luce ed acqua, in una stagione che dalla primavera sembra voler fare qualche passo indietro ed arretrare verso l'inverno.
    Alle 11,30 sono atteso al Polo Artistico Statale di Latina, e Renato insieme alla bella fidanzata Arianna mi passano a prendere per portarmici. Nell'aula magna ci saranno almeno tre classi di liceo accompagnate dai relativi insegnanti, c'è anche un monitor collegato ad un PC e se avessi portato una penna digitale avrei anche potuto mostrare delle immagini, ma improvvido e non avvisato di tale opportunità, abbiamo dovuto sostenerci con delle immagini catturate da Facebook che, una volta tanto ha avuto una funzione didattica. Ma alla fine è andata meglio così, una cosa più strutturata avrebbe avuto meno senso di un incontro basato più su l'improvvisazione, come in realtà è stato.
    Gli studenti hanno avuto l'educazione di ascoltare per l'oretta e mezzo che mi sono trattenuto, ma anche se qualcuno di loro hanno dichiarato di leggere qualche manga, il livello di interesse, nonostante gli interventi di Renato e la mia buona volontà nel coinvolgerli, hanno mostrato un livello di attenzione standard. Ma purtroppo, parlare con questa generazione di fumetti e relative dinamiche, è come parlare di fisica quantistica ad una convention di veterinari, proprio non conosco di cosa si sta parlando, tanto è distante dai loro interessi. Ma, almeno a sprazzi, ho intuito dalle espressioni dei loro volti e nei momenti in cui il loro livello di attenzione era abbastanza alto, un certo interesse lo hanno mostrato e una studentessa, alla fine, mi avvicina per farmi vedere un suo disegno e chiedermi che ne penso. Non è molto ma vale la pena accontentarsi, e questo è già abbastanza.

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    L'incontro al Polo Artistico Statale di Latina.

    Sono andato a pranzo con Emanuele Di Giorgi, direttore della Tunuè, e successivamente in camera, perché volevo finire di leggere il libro 30 giorni di Fabrizio Gargano col quale mi sarei dovuto relazionare, e volevo anche riposarmi un po'.
    Verso le 17,30 mi sono avviato verso il Teatro D'annunzio luogo dell'incontro, qui nella sala congressi, insieme a Fabrizio e Renato come moderatore, abbiamo dato vita ad un incontro che parlasse del nostro lavoro, del coinvolgimento emotivo e creativo, dell'importanza dei luoghi rappresentati o immaginati e uno sguardo che girasse intorno ai nostri libri, con il finale dedicato al firma copie.
    La gente intervenuta era consistente, la sala quasi piena, ma è al momento delle firme è saltato subito all'occhio come Fabrizio fosse il beniamino di casa, amici e conoscenti erano lì per la celebrità locale che, per la prima volta, si era cimentata in una vera e propria prova professionale, le dediche sono state svariate ed il merito va a lui se l'interesse è stato così alto. Qui ho incontrato nuovamente Luciano Cisi, appassionato fumettofilo che avevo avuto modo di conoscere anni prima e che, gentilmente, realizza delle foto che mi invia seduta stante.
    Divisi da impegni derivanti dalla manifestazione, siamo andati in un wine-bar per la cena, Renato, Arianna, Simona (un'amica) ed il sottoscritto, e qui intorno alla mia zuppa bazzoffia, la conversazione è stata piacevole e simpatica, Arianna ci stupito con le sue rivelazioni socio-ginecologiche, mentre Simona ci ha illuminato su argomentazioni intorno al tessuto sociologico autoctono.
    La serata finisce qui, anche se alla fine della cena abbiamo raggiunto Fabrizio e Gisa impegnati in un'altra cena-degustazione a base di olio extravergine, vini locali e prosciutto cotto nel vino, anch'essa legata al festival Lievito, qui ci siamo fermati il giusto per salutarli e scambiaci ancora i convenevoli, ma la tappa successiva è stata quella di salutare tutti e andare a letto.
    Domani si rientra.

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    La presentazione alla sala congressi al teatro D'annunzio, in ordine da sx: Fabrizio Gargano, io e Renato Chiocca.

    Sono sull'Intercity 510 diretto a nord, dopo aver terminato il libro dell'amico che mi ha tenuto compagnia chiudendo, come due parentesi, questo viaggio, e sono arrivato così alle conclusioni, sempre ammesso che da un viaggio, e per di più di lavoro, si debbano trarre delle conclusioni.
    Il Napoli Comicon, è una di quelle manifestazioni che, per colpa del suo stesso successo e nell'inevitabile cambio di proporzioni tra spazi e spettatori, ha perso quel fascino che aveva quando si svolgeva all'interno e sulle mura dello splendido Castel Sant'Elmo, ma è riuscito a mantenere una compattezza a livello organizzativo con i suoi ospiti, nonostante l'asetticità da spazio espositivo della Fiera d'Oltremare. Le cene e gli incontri riescono a mantenere uniti gli invitati, permettendo così occasioni di condivisione che, in un lavoro di relazione come il nostro, sono utili oltre che piacevoli e divertenti.
    A differenza di Lucca Comics (ma con questa manifestazione per chiunque ogni parallelo è quasi sempre inutile, per storia e quindi per tradizione), non esiste la medesima proporzionalità tra affluenza di pubblico e venduto, anche se ad onore del vero l'impatto visivo dei visitatori di sabato mattina all'entrata è stato davvero impressionante come le cifre che mi hanno detto (ma non sono ufficiali) ovvero di 140.000 biglietti venduti.
    La premiazione, che a dire il vero è sempre stato l'ultimo dei miei pensieri, ma visto che sono stato presente vale la pena parlarne, mi ha lasciato perplesso, ma questa non è una novità. I premi hanno il potere di accontentare solo i vincitori, lasciandosi immancabilmente polemiche alle spalle, perché qualsiasi formula si adotti, si tratta sempre di "giudizi e valutazioni" soggettivi che vanno bene per alcuni e non per altri, e a poco vale il giudizio di una giuria, seppur scelta con criteri validi, se la si chiama a giudicare dei libri precedentemente selezionati da altri, perché in questo caso è da stabilire chi possiede il reale potere: il giudice o il selezionatore?
    Perciò non entro nel merito delle scelte che rispetto, anche perché non conosco, salvo rare eccezioni, quasi nessuno dei premiati: ma io non faccio testo è risaputo.
    La sosta a Latina invece ha avuto il potere di farmi "scoprire" (il virgolettato è d'obbligo trattandosi di un giorno soltanto) una città che non conoscevo, un po' distante dai circuiti turistici e quindi abbastanza sconosciuta, rivelandola però con caratteristiche di grande vivibilità, ampi spazi, una struttura aperta e luminosa, grandi piazze e strade larghe che trasmettono l'idea che il regime doveva avere dell'Italia che immaginava e che, indipendentemente dall'idea politica, poteva anche essere condivisibile.
    Gli incontri pubblici sono stati piacevoli, avere il contatto con il pubblico o comunque con la realtà che ci circonda è sempre utile per ridimensionarsi e rapportarsi col mondo  intorno a noi, e anche se i risultati non ci confortano (e le mie conclusioni ve le risparmio), vale sempre la pena il confronto, ci aiuta a migliorare e a non isolarsi su posizioni distanti dalla realtà.
    Il vero mondo sta là, e non nelle nostre stanze dove talvolta ci rifugiamo alla ricerca di sicurezze che non troveremo altrove, per cui questi viaggi sono salutari per avere una visione che non ci allontani troppo dalla realtà, quella realtà che noi alla fine abbiamo la presunzione di voler raccontare con i fumetti, seppur mistificata da artifici narrativi o invenzioni letterarie.
    Dobbiamo esserci, anche se alla partenza qualcuno mi sentirà sempre lamentare.

    Nota a margine che vuole, dopo continui pessimismi, essere però auspicante.
    Appena rientrato a casa, nell'intento di controllare e mettere ordine (onde evitare ingolfamenti) nella corrispondenza digitale noto, nel mio gruppo Facebook Autore-Disegnatore, una richiesta di accettazione.
    E' uno degli studenti del liceo artistico di Latina, e in quel momento mi si dipinge un ebete sorriso sul volto, sono contento, come lo si è quando la sorpresa ci aggredisce.
    Il cinismo non paga mai.
    La disillusione talvolta ci nasconde quel fiorire dell'ottimismo necessario per vedere il futuro con i toni luminosi di un prato fiorito, e immaginarlo migliore di quello che ci aspettiamo e, per quanto pochi possano essere i fiori che in quel prato nasceranno, varrà sempre la pena accudirli per farli crescere.
    Una cosa è certa, non dobbiamo mai smettere di seminare.

     

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    Angouleme 2019

    Abbiamo saltato un anno, che dal punto di vista della monotonia delle frequenze è anche un bene, se non fosse che il bagno di folla per edonisti all'ultimo stadio come siamo io ed i rappresentanti della mia categoria, alla fine manca.

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    Più Libri, Più liberi e sempre Più impegnato

    Vedere casa e salutarla ancora, è stato tutt'uno. Oramai anche immaginare una tranquilla serata da trascorrere stravaccati sul divano a vedere un film, sta diventando una chimera.

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    Rive de Gier con Tom Waits

    No, intendiamoci, non sarò insieme al cantautore americano (che tra l'altro adoro, magari), ma la serata del venerdì, cioè stasera, dovremmo andare ad un concerto dove si canteranno le canzoni del musico degli emarginati e dei losers, otre che caratterista indimenticabile di alcuni film cult degli ultimi decenni.

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    BD COLOMIERS 2018

    Non siamo ancora saturi di avventure, e vogliamo terminare l'anno con il botto, ci siamo presi con ottimistico entusiasmo molti impegni in questa ultima tranche dell'anno, perfino troppi, in un contesto all'interno del quale non abbiamo praticamente il tempo materiale per portare avanti il lavoro.
    Che fini strateghi.
    Siamo fatti così, non vogliamo lasciare niente, preferendo inusitati impegni piuttosto che una pianificazione ragionata, poi ci lamentiamo per lo stress.

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    LUCCA COMICS&GAMES 2018

    Da domani comincia il tour des forces delle cinque giornate meno cruenti di quelle milanesi, ma sicuramente altrettanto stancanti.

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    ROMA - Una giornata particolare.

    C'ero solo quattro giorni fa, ma ancora sono in viaggio per la capitale, e il parafrasare il titolo del film del compianto Ettore Scola, mi è utile per sottolineare una di quelle giornate che, almeno sulla carta, si preannunciano "speciali".

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    Romics Caput Mundi

    Oggi è davvero l'inizio di tutto.
    Dal 6 Ottobre infatti inizierà un tourbillon di appuntamenti, interviste, festival, esposizioni, incontri e quant'altro che mi vedrà protagonista fino almeno alla metà di  Dicembre, se nel frattempo non se ne sovrappongono altri.

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    PRIMA TAPPA: OLONNE-SUR-MER

    Non so mai se sono contento o meno di ricominciare i miei pellegrinaggi per festival, da un lato la pigrizia strategica unita agli impegni che in questo periodo cominciano ad addensarsi per finire in una malloppa indistinta, come sempre, durante il periodo autunnale, dall'altra, il bisogno di evadere, la necessità di ritrovare lettori e consensi ai propri lavori, il desiderio di riappropriarsi del proprio ruolo, da molti mesi abbandonato per dedicarsi alla graphic-novel che mi ha assorbito molto, di tempo, di testa e di energie.

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    Graphic-novel again

    Dire che avevo trascurato questo spazio è dire poco e forse, definirlo un vero e proprio abbandono è un termine più calzante, visto che sono trascorsi circa otto mesi dall'ultimo post.
    Imbarazzante, lo riconosco.

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    BD dans l'Ain - Bellegarde 2017

    Quattro giorni fatti di impegni ed ulteriori viaggi, giusto poche ore prima di riprendere la valigia (tra l'altro mai riposta), per ripartire per Ginevra.
    Bellegarde sur Valserine è un piccolo borgo tra le alture non distanti da Ginevra, che all'incirca dieci anni fa mi regalò la consapevolezza che, forse, potevo davvero inoltrarmi con tranquillità

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    BÉDÈCINE ILLZACH 2017

    Si riparte.
    Novembre non è mai stato un mese tra i più tranquilli, festival a raffica ed impegni vari lo trasformano nel primo mese freddo per la temperatura e caldo per festival, scadenze varie e programmazioni prenatalizie.

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    LUCCA COMICS&GAMES 2017

    Ci risiamo, puntuali come i compleanni, arriva inesorabile il rituale di fine Ottobre che si perpetua in modo uguale, per adesso, come sempre. Lucca è un appuntamento irrinunciabile (quasi), in parte perché almeno per me, la vicinanza geografica lo permette, dall'altra perché in questi anni volenti o nolenti abbiamo sempre avuto qualcosa da promuovere e che meritasse questo sforzo.

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    Primavera... ad Eurre

    Eccoci di nuovo qua, in partenza per un altro festival BD.

    Sono felice di tornare ad Eurre dove ho lasciato amici che da molti anni apprezzano il mio lavoro e sono stati tra i primi ad invitarmi al loro "piccolo" festival (ma spiegherò meglio dopo cosa intendo, per piccolo), ma al tempo stesso dispiaciuto perché ho dovuto rinunciare a Nemoland 2017, la manifestazione organizzata dalla mia scuola, l'Accademia Nemo, oramai alla sua undicesima edizione.

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    UNA GIORNATA PARTICOLARE

    Il 30 Marzo 2017 è stata una mattina in cui oltre che un incontro all'Istituto Agrario Leopoldo II di Lorena, nel pomeriggio, all'ultimo momento, ero anche stato chiamato per partecipare ad una trasmissione televisiva su una tv locale, TV9. Come si dice: la previsione di una giornata piuttosto piena.

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    FestiBD Moulins

    È sempre piuttosto interessante partire alla volta di un nuovo festival, perché le dinamiche sostanziali oramai le conosciamo ed hanno più o meno gli stessi meccanismi, quello che cambia è il panorama, la città e la speranza, almeno per me, è quella di incontrare aree di potenziali lettori sempre nuovi, che non ti conoscono e che hanno l'opportunità di scoprire il tuo lavoro.
    In contemporanea si sta svolgendo anche BD e Beaujolais, a Villefranche, manifestazione alla quale ho già partecipato e dove ho già molti amici, ma Medina&C. che mi ha contattato a Blois, quest'anno li ha bruciati sul tempo.
    A Firenze, sono tre giorni che splende un sole primaverile, il cielo terso fa da sfondo a panorami da cartolina, e la primavera sembra voler bruciare i tempi, per cui, partire con queste prerogative, mette inevitabilmente di buon umore, anche se le previsioni francesi, almeno dal meteo che ho consultato, prevedono pioggia.
    Non capisco perché i francesi, sempre così in tendenza, sul clima debbano per forza ostinarsi a fare il contrario.
    Il volo è Air France in direzione Parigi e poi cambio per Lione, oramai è una rotta che conosciamo bene e che ha, nonostante lo scalo, pochi momenti morti che, quando il volo fila liscio è una fortuna, ma quando s'inciampa in qualche ritardo promette ansia.

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    Il manifesto del Festival realizzato da Pierre Alary.

    La prospettiva è quella di un weekend all'insegna del francese tout court, sono l'unico italiano e le speranze si parlare con questa lingua è solo con l'amico e collega Vincent Pompetti, un italo- belga che conosco da anni, per il resto sarà una full-immersion francofona, e comunque sarà un modo per perfezionarla ulteriormente. Vive la France! ( e credo sarà proprio il caso di incoraggiarli, vista la rintronata del 6a1 che si è preso il PSG con il Barcellona in Champions League).

    L'aereo ritarda un po', circa una ventina di minuti, il vantaggio è che non devo essere io ad aspettare l'autista che in effetti mi aspetta in mezzo ad un nugolo di persone con in mano un pannello con su scritto FestiBD, il suo nome è Thomas.
    Ci attendono due ore di auto per autostrade, superstrade e strade semplici dell'immensa campagna francese, sotto un sole che mi accompagna dall'Italia a dispetto delle mendaci previsioni meteo, ne indovinassero una...
    Parliamo, ne abbiamo di tempo: il mercato francese, le sue origini italiane (i suoi provengono dalla Sicilia che ahimè per lui, conosce poco), il PSG e un po' di calcio, di lui e di me e poi, vuoi il caldo, vuoi il sole che non dà tregua, vuoi pure la giornata intensa del giovedì, comincio a caracollare e alterno sprazzi di (rara) lucidità, a sonnecchiamenti altalenanti.

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    Uno scorcio di Moulins e il palazzo dei Borboni.

    Moulins al nostro arrivo, mi da l'impressione di una bella cittadina,  non è così piccola come pensavo ed ha invece una bella estensione urbana (dicono ventimila abitanti circa), si percepiscono forme architettoniche di un certo rilievo storico e poi approdiamo di fronte al nostro Hotel de Paris, che sarà la struttura che ci ospiterà durante il soggiorno.
    Pochi minuti per apprezzare la bellezza è la ricchezza degli arredi della camera dall'ampiezza di un monolocale, del resto il nostro hotel ha ben quattro stelle meritate che punteggiano il blasone all'esterno dell'ingresso, con tre belle e luminose finestre che danno su un interno tranquillo, un bagno dotato di vasca oltre che un ampia doccia, un letto sovrastato da una quantità di piumotti e cuscini che al momento di andare a letto m'impegneranno non poco nello smontaggio dell'intera struttura, ma che nell'insieme è proprio un gran bel vedere.

     

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    L'Hotel de Paris e la magnifica camera messami a disposizione.

    Squilla il citofono, già mi aspetta l'auto per portarmi al vernissage dell'inaugurazione della manifestazione.
    In questa nuova struttura abbastanza periferica di cui sinceramente mi sfugge l'utilizzo, viene celebrato il rito dell'inaugurazione, politici locali e regionali, sindaci nuovi ed ex, capi dell'associazione e vari personaggi a diverso titolo ringraziano, pontificano e, come al solito prolungano l'attesa dell'assalto all'arma bianca verso il buffet, posizionato più in alto del pavimento, in modo che tutti gli astanti vedano in bella mostra, campeggiare salatini, tartine ed ogni tipo di appetizers degni di questo nome, oltre una serie di bottiglie di vino declinate nei tre colori primari della categoria: nero, bianco e rosè.
    L'attesa è spasmodica, si vedono le facce di chi, oltre che per obbligo e buona creanza è chiamato a partecipare all'avvenimento, ma di cui l'unico ed effettivo desiderio è quello di dare sfogo a quell'atavica fame che alberga nei peggiori reconditi anfratti del nostro stomaco e si palesa rabbiosamente in quei momenti in cui, per costume o per fortunata circostanza: il cibo è gratis.
    Curiosa è un'anziana signora vestita in abiti piuttosto giovanili che per prima si è posizionata in un punto di strategica importanza per l'assalto finale ma che, al momento del "via", con nonchalance e signorile noncuranza fa finta di niente, si guarda intorno attendendo che il volgare gesto lo compia prima qualcun altro e poi, sfruttando la posizione, si getta su tutto quel ben di Dio.
    Alla fine della serata era ancora lì...

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    L'inaugurazione con le autorità locali, e il presidente della manifestazione di quest'anno: Pierre Alary.

    Io mi sento piuttosto solo, stranamente non conosco nessuno e di quei colleghi di cui so la partecipazione, e che conosco personalmente, ancora non si vedono.
    Mi unisco al balletto, visto che non c'è altro da fare.
    Gironzolo, sbevacchio e mangiucchio qualcosa, in questi divertissements i francesi sono bravi, tartine, bicchierini e intruglietti gustosi fatti di salsine e salsette non sono secondi a nessuno, poi mi apparto in una zona bar adiacente, c'è più fresco e meno gente ed il rapporto cibo/famelici è perfino migliore, e mentre mi concentro a leggere notiziole su giornali e magazine locali riguardanti la manifestazione, osservo un tizio rotondetto e rubizzo che, circospetto, si avvicina.
    Come un rapace in zona di caccia si guarda intorno, osserva, e poi allunga la mano e si infila in bocca qualsiasi tartina gli si pari di fronte, e devo dire ce ne sono parecchie allineate sui vassoi, infatti lui si ferma, continua a guardarsi intorno e, ferino, colpisce!
    Poi, evidentemente, per mascherare il suo unico interesse, e cioè ingozzarmi alle spalle del festival e risparmiare sulla cena, decide di intavolare un discorso con me, giusto per sviare i sospetti sui suoi reali obiettivi e, purtroppo per lui, poco concentrato sulla domanda mentre invece la sua attenzione andava sulla scelta del bicchierino a base di tonno o la tartina con la salsa rosè, l'unica cosa che gli viene in mente di chiedermi, ovviamente in madrelingua è qualcosa tipo:" Ma ci si riesce a vivere di fumetti?"
    Avrei voluto piangere.
    Venire nella patria della BD, dove l'autore è quasi un guru dotato di poteri speciali, dove la categoria in ogni dove bistrattata gode di una stima e di una reputazione (temo ancora per poco) invidiabile, e sentirsi fare una domanda del genere mi sarei volentieri sciolto in lacrime.
    Gli ho risposto, freddo e sistematico, tanto a lui di ciò che gli stavo dicendo non gli fregava assolutamente niente, il suo sguardo allupato si era già posato su una saporita tartare a base di pomodoro che dopo pochi  secondi era già scomparsa nella sua bocca.

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    Le Grand Café.

    La serata doveva concludersi al Gran Café, una bella struttura fine '800 ampiamente restaurata tutta stucchi e decori con enormi specchi alle pareti che ne amplificavano all'infinito l'ampiezza, qui ho visto arrivare Frederic Brremaud e poco dopo anche gli altri amici che conoscevo, Vincent Pompetti e Tarek, due autori che conosco da anni e che sapevo partecipanti alla manifestazione.
    In loro compagnia oltre che a quella simpatica di Carine, l'organizzatrice che a Blois mi aveva chiesto la disponibilità alla partecipazione, abbiamo consumato una veloce cena e poi siamo rientrati all'albergo a piedi, passeggiando amabilmente per le vie della cittadina e vedendo in notturna la bellezza del Municipio illuminato, il duomo ed altre amene strutture.
    Poi diretto a letto, una bella doccia in quello splendido bagno e poi a scrivere queste rapide note sull'IPad.
    Domani siamo in pista.

    La sale delle feste, luogo imprescindibile per ogni località francese, è all'interno di un nuovissimo complesso in via di esecuzione, prevede una mediateca ed altri edifici di utilità pubblica (che solo a vederne l'ampiezza e la consistenza, mi è venuto subito da pensare in Italia quanta gente ci avrebbe "mangiato sopra", guarda come sono/siamo ridotti), i lavori non sono ancora terminati e ci sono ancora le transenne, speriamo che la manifestazione sia stata ben pubblicizzata perché immaginarla in un luogo che sembra non ancora finito potrebbe essere un problema.
    Non lo è.
    Infatti il sabato è di fuego.

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    La "sala delle feste" e lo spazio dediche, per ultimo l'unico disegno dedicato al "cattivo" Aren Wetten Von Kreuz, della serie "La lame et la croix".

    Non credevo, ma sin dall'apertura, si è creata una fila che non è mai diminuita per l'intera giornata, al punto che all'interruzione si sono dovuti distribuire i numerini per non perdere la precedenza acquisita.
    Alla manifestazione partecipano colleghi che conosco da tempo, ed è un piacere ritrovare Pixel Venguer, un autore molto interessante ed innovativo che conobbi a Brignais quasi una decina di anni fa (ed il piacere ulteriore è quello di constatare che anche lui si ricordava piacevolmente dell'occasione), ma divido quasi tutto il mio tempo con l'amico Tarek, sceneggiatore ed artista poliforme di una simpatia esuberante e che adesso si dedica perfino all'Arte con la "A" maiuscola, proponendo i suoi dipinti di fattura etnico-metropolitana in gallerie, e il sodale Vincent Pompetti, un bravissimo disegnatore di origine abruzzese e che adoro per la semplicità, la modestia e la pacatezza, un amico con il quale adoro intrattenermi perché ha la splendida capacità di rilassarmi con la sua calma, e anche con Alexis Nolent in arte Matz, lo sceneggiatore molto conosciuto ed apprezzato, salito alla ribalta perché da una sua storia, qualche anno fa, venne estratto un film (Jimmy Bobo - Bullet to the Head) che venne prodotto da Hollywood ed interpretato da Sylvester Stallone.
    Per il resto, il report della giornata di dediche è poco interessante, perché praticamente non ho alzato mai il culo dalla sedia. Amen.

    Quello che c'è da dire invece è sull'Associazione VILTAIS (il quale motto è Vivere ed Agire),  mi chiedevo cosa fosse e a cosa servisse l'edificio (nuovo e moderno) che oltre al vernissage dell'inaugurazione, ospita gli autori ed organizzatori per i pranzi, una struttura accogliente a metà tra un albergo ed un ostello. Si tratta di una struttura di accoglienza all'interno della quale si ospitano giovani, famiglie ed immigrati in difficoltà, li si supporta, gli si insegna la lingua e gli si aiuta ad integrarsi nelle realtà sociali e si fanno lavorare. Molti dei ragazzi ospitati sono i volontari delle manifestazione e Medina stessa, il mio contatto con il quale ho comunicato per la messa a punto della mia partecipazione, è arrivata all'età di sedici anni dalla Bosnia in guerra e, come molti altri ragazzi, adesso lavora all'interno dell'associazione.
    Ecco, adesso potrei scegliere tra la filippica del confronto tra due paesi, tra due modi di concepire l'accoglienza e le finalità di uno stato e di amministrazioni moderne e calate sul territorio ma, ovviamente eviterò. Non che in Italia non esistano associazioni ce si occupino di accoglienza, ci mancherebbe, oltre al fatto che il problema massificato che noi abbiamo dello sbarco di immigranti, non è minimamente immaginabile a quello francese, ma vedere com'è possibile la gestione dell'inserimento di "persone in difficoltà" è comunque illuminante e socialmente possibile è, per certi versi confortante. Ad ognuno di voi le relative considerazioni .

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    La sede dell'Associazione Viltais.

    Finiamo alle 18,00 per fortuna, il tempo per rilassarsi un po' in albergo e poi dritti alla premiazione di autori selezionati per i premi della manifestazione, qui ci aspetta un altro discorso (di non so quale figura politica) ed un ulteriore vernissage prima della cena, accompagnato da una di quelle orchestrine francesi che si rifanno alla musica "dixieland" d'ispirazione blues, che in realtà non ci ha lasciato che alla fine della serata.

    Serata che ha avuto il suo culmine nella cena, appunto, nella splendida cappella restaurata adiacente all'Hotel de Paris, una fantastica struttura adattata a ricevimento e cene di rappresentanza che oltre ad una serie di volte affrescate presenta delle magnifiche vetrate alle pareti, un luogo davvero cult che ha donato alla circostanza una ufficialità ed un segno di distinta originalità degno delle migliori occasioni.
    Il tutto poi, guarnito da una cena in tipico stile francese, con portate davvero esclusive e che si facevano notare per un impiattamento (la nostra terminologia è migliorata con la visione di Masterchef) degni di una haute cuisine, senza contare che la qualità e la bontà dei piatti era davvero di prim'ordine.
    Poi, inevitabilmente, a letto distrutti.

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    Il municipio illuminato, le volte della cappella all'interno della quale è stata servita la cena, la band in stile "Dixieland"e l'antipasto a base di pesce.

    La domenica mattina è scorsa tranquilla, non c'è stata la ressa del giorno prima, pur facendo le nostre dediche, ma la giornata, almeno per me, dimezzata dalla necessità di partire subito dopo il pranzo in direzione di Lione, ha la valenza di un trasferimento (ancora con il fedele Thomas, oramai chauffeur ufficiale del sottoscritto), il bello della manifestazione è e resta alle mie spalle.
    Saluto i miei amici e m'incammino verso la nuovissima Citroen Picasso che mi ospiterà per il tragitto, cullandomi nel mio reiterato dormiveglia pomeridiano, mi aspettano un paio di ore di macchina.

    Che dire del festival, è stata una bella sorpresa, bella la cittadina ricca di storia e di bellezze architettoniche, molto efficiente l'organizzazione, l'accoglienza poi, veramente di primissimo ordine, l'Hotel de Paris lussuoso senza ostentazione offre un soggiorno davvero perfetto, spero sinceramente di poter tornare, perché la simpatia di Medina, Carine, Juliette &Co. merita di essere rinnovata.
    Bellissimo e, per certi versi umiliante, il riscontro di una realtà utile, efficace ed estremamente necessaria come l'Associazione VILTAIS che, anche attraverso addirittura un magazine promuove e pubblicizza i suoi interventi sul territorio, una realtà a metà tra il pubblico ed il privato che meriterebbe essere copiata, solo se ne avessimo l'intelligenza, le capacità e la volontà per farlo.
    Ecco, appunto, resterà solo un bell'esempio per noi, almeno al momento, irraggiungibile, ma almeno rimane anche la consapevolezza che da qualche parte esiste un altro modo di fare integrazione.

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    ANGOULEME + PARIS 2017

    Ormai non è più una novità, e sappiamo che in questo periodo dell'anno la destinazione è la ridente cittadina francese che ci vede ospiti nell'ultimo weekend di Gennaio, sicuramente non il periodo più agevole per condizioni climatiche (vai a capire con quali criteri i nostri cugini hanno scelto il periodo per organizzare quella che sarebbe diventata per portata editoriale la più importante kermesse fumettistica europea), noi saremo quelli che siamo, ma anche loro...

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    TRILOGIE FRANÇAISE: BELLEGARDE

    E tre...
    Terzo impegno per il rush autunnale di festival, l'ultimo del 2016, e questa volta è come andare a casa di amici, tanto sono Michel Suro e Thierry Matrinet (quest'ultimo facente parte anche della confraternita della spedizione in terra cinese).

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    TRILOGIE FRANÇAISE: BLOIS

    Solo cinque giorni dopo Grenoble, si riparte alla volta di Blois, in un viaggio che non nasconde una certa apprensione, non tanto per la distanza (anche), quanto per l'impervio percorso con cambi di vettore e quindi coincidenze da rispettare, in un alchimia che deve avere un dosaggio abbastanza preciso per non rischiare di rovinare la miscela, compromettere tutto e complicarmi la vita. Blois con circa centosettanta autori invitati ( ma arriva tranquillamente a duecento con quelli invitati direttamente dagli editori) e con 22.000 visitatori nei tre giorni di manifestazione si colloca tra uno dei più

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    TRILOGIE FRANÇAISE: GRENOBLE BD

    Andando avanti a trilogie, permettetemi un francesismo per differenziare questa da quella di Settembre.
    Impegni presi, parole date e, anche se il periodo è poco favorevole (troppe cose da fare e poco tempo per farle), c'è anche da dire che l'autunno è generalmente un periodo in cui ogni fine settimana in Francia ci sono dagli otto ai dodici (fino addirittura a ventiquattro) festival BD, e in molti dei quali oramai sono non dico un ospite fisso, ma quanto meno una presenza costante.
    Quello di Grenoble, organizzato dalla Mosquito (la mia casa editrice) è uno di quelli ai quali non posso mancare, ed infatti sono qui a smanettare sull'Ipad, per scrivere il primo di tre report in rapida successione che pubblicherò ad ogni modo a fine Novembre, alla fine di tutto, festivals e lavoro.
    Grenoble BD, che ha sostituito da qualche anno "La 5 Jours del la BD" suo festival precedente, per me oramai non ha più molti segreti, conosco gli amici che incontrerò e l'unica sorpresa è sapere con quali altri autori dovrò dividere il desk delle dediche, ma neanche quella è in realtà una sorpresa, perché è sufficiente andare su Opale BD, portale d'informazione di tutti i festival francesi in programmazione, per sapere quali sono gli autori invitati.
    Quest'anno, tra i molti, incontrerò insieme a molte altre conoscenze, le due "inseparabili" Stéphanie Dunand-Pallanz e Sophie Turrel, incontrerò nuovamente Rubén Pellejero, il grande disegnatore catalano con il quale ho condiviso la bellissima esperienza cinese, e fresco autore del ritorno alle stampe di Corto Maltese, e l'italiano Sergio Tisselli, con il suo Tex  pubblicato da Mosquito.

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    Insomma, si riparte, a Novembre ormai non è più una novità, ma quest'anno per la realizzazione del secondo volume "La lame et la croix" sono andato molto lungo, nel senso che vuoi per la lunghezza del secondo volume (72 pagine), vuoi perché la programmazione alla fine non è mai rispettata in toto, gli ultimi mesi sono stati congestionati da giornate di lungo lavoro è un po' di sana ansia (è giusto non farsela mancare mai, non foss'altro per il pepe che dissemina sulla vita), per l'insicurezza di rispettare i tempi di consegna e mancare l'uscita in anteprima ad Angouleme, come da programma.
    Sono a pagina 62 e quindi sono piuttosto tranquillo, anche se le ultime tavole sono complicate, per combattimenti, cavalli, armature e particolari di ogni tipo, oramai riesco a vedere la luce in fondo al tunnel e quindi parto a cuor relativamente leggero.

    Gli aeroporti oramai sono per me delle sale di scrittura, con il mio fido tablet ottimizzo le attese scrivendo i miei report senza togliere tempo prezioso ad altro certo, come ormai il 90% del genere umano (l'altro 10% si spera che lavori) non stacca gli occhi dal video che ha di fronte, che sia del tablet, dello smartphone o del portatile, i nostri occhi sembra che non cerchino altro, se un alieno sbarcasse adesso è dovesse dedurre chi siamo dal nostro comportamento, forse riterrebbe la vita sul globo pallosa e per niente interessante, se tutta la nostra attenzione è rivolta a dei pixel animati su degli schermi asettici.

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    Nell'ordine, in alto con l'amico Ruben Pellejero, e in basso la mostra a lui dedicata dagli organizzatori.

    A proposito di schermi, forse sono disattento io, o forse effettivamente non ne avevo visti dal vivo, ma prendendo un caffè al bar dell'aeroporto, il mio sguardo è stato attratto dal vetro del frigorifero che conteneva i gelati della Sammontana, il vetro, pur mantenendo la trasparenza e quindi permettendo la vista dei gelati contenuti, stava proiettando un filmato animato realizzato ad hoc dall'azienda stessa... forse sono ingenuo e provinciale, ma non ricordando di averne visti altri, e comunque immaginando che se una simile tecnologia può essere utilizzata a basso costo per un contenitore di gelati, allora forse la data dell'anno che stiamo vivendo non è casuale.
    È il 2016 signori miei, l'anno in cui si svolgeva la storia raccontata dal Blade Runner di Ridley Scott e forse, abituati oramai a vedere fantascienza ovunque, non ci rendiamo conto che la fantascienza la stiamo vivendo oggi è in ogni momento della nostra vita... non ci sono replicanti, è vero (ma chi può davvero dirlo?), ma si tratta solo di un dettaglio.

    Ok, adesso vi lascio, la HOP! la compagnia col salto, dell'area Air France, sta preparando il desk per l'imbarco, all'orizzonte mi appresto a salire su un misero ATR-72, un turboelica con una sessantina di posti, e mi appresto a lasciare una temperatura piuttosto mite per il periodo, per entrare a pieno titolo nell'inverno.
    Appena arrivò vi dirò che effetto fa.

    All'arrivo, in perfetto orario, mi aspettavo Henri o Didier, e mi vedo arrivare Daniel, ci metto un po' a focalizzare il personaggio, ma poi mi ricordo, è l'appassionato di rock che costruisce splendide chitarre elettriche in plexiglas, giuro, da vedere.
    Ad attendermi c'è anche Lu Ming, un artista cinese che ho conosciuto a Pechino e che ha lavorato con Mosquito, un talento di rara perizia, che disegna in una mezza tinta creata dalle nuances dei pantoni, con un disegno di impianto realistico che solo i cinesi sanno realizzare. Ci mettiamo ad una brasserie dell'aeroporto e per pranzo mi sbofonchio una tartare, tanto per entrare nel clima transalpino.
    Poi diretti a casa di Michel Jans, a Saint Egrève, è la prima volta che ci vado. Ci prendiamo un caffè, incontriamo Capucine Mazille, una illustratrice anch'essa ospite della manifestazione e mi accomodo all'albergo, La Maison des etudiates nella zona dedicata agli ospiti, ovvero ai professori invitati a fare lezione nell'ateneo.
    Qui, rilassato, riesco anche a trovare l'energia e l'originalità per scrivermi alcuni dialoghi del mio prossimo lavoro, neanche tanto male a dire la verità, e sono anche piuttosto soddisfatto... adesso non resta che inserirli nei contesti giusti.
    A cena invece du Petit Lac, consueto appuntamento  degli ultimi anni, che pare sia stato venduto, si va al restaurant Le Grand Soleil, in pieno centro, il locale è carino, attendiamo un po' gli ultimi arrivi della serata: Rubén Pellejero e la moglie Mercedes, il disegnatore Bosch, Mandryka, e poi iniziamo a cenare. Joel Alessandra ha declinato all'ultimo momento l'invito, peccato, mentre il povero Tisselli è stato tradotto in Germania, a Francoforte dove dovrà attendere per sei ora la coincidenza suo malgrado, arrivando a notte fonda. La serata tuttavia è guastata dalla confusione di un gruppo di trentenni che festeggiano un compleanno, sono una dozzina e fanno un casino infernale, e poi si dice gli italiani... al nostro tavolo tra catalano, italiano, cinese ed il francese sembra di essere ad un congresso dell'ONU, si fa fatica a parlare, ad ascoltare ed a a mantenere la concentrazione, mi assento un po' isolandomi tra una chiacchiera e l'altra, io inoltre mi sono alzato alle cinque, ho preso nell'ordine treno, aereo e automobile, praticamente l'intero parco di mezzi semovibili creati dal genere umano e sono stanco, che dite?
    Ecco, appunto, indovinato, me ne vado a letto.
    Ma non è ancora finita, il catalano Boix, un sanguigno e generoso spagnolo che muore dalla voglia di farsi sentire e farsi conoscere, nonostante navighi oltre i settanta, saputo che lavoro per la Bonelli ci tiene a parlare ancora con me mi chiede gentilmente di rimanere ancora un po', la sua vita l'ha dedicata a Phantom, in Italia conosciuto come l'Uomo Mascherato che pare nei paesi scandinavi non abbia mai perso il suo appeal e viene prodotto da editori locali con staff di disegnatori da ogni paese. Ma sopratutto chiede lumi sulle politiche bonelliane di Tex, pare abbia realizzato un paio di tavole di prova del ranger nostrano e gli sia stato risposto picche. Mi intrattengo ancora un po' spiegando che le scelte dei disegnatori (anche per tutti gli innumerevoli spin-off del personaggio) seguono delle logiche di non "immediata comprensione" oltre che essere tortuose ed indefinibili, quello che talvolta non va bene oggi va bene domani è quello che andava bene ieri, magari non è più adatto oggi, inoltre non conosco il suo disegno e non ho visto le prove e non posso essergli molto d'aiuto.

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    La piacevole sorpresa della vela realizzata con l'illustrazione della copertina del secondo volume de "La lama e la croce".

    La Maison des Etudiantes è una bella struttura dotata di molti confort, ma le camere che ci assegnano, credo siano anche più spaziose di quelle normali date ai semplici studenti, tuttavia queste hanno un bagno che sembra ricavato da quello di una roulotte, sarà più o meno un metro e mezzo quadrato ed ha un lavandino talmente piccolo che quando ti lavi i denti finisci sempre per sputare, anche se fossi dotato di ottima mira, sul gruppo erogatore, quello sì di grandezza normale, tanto il lavandino è piccolo.
    La notte passa abbastanza tranquilla , ma contraddistinta da molti risvegli, le veneziane fanno filtrare moltissima luce, per cui alle prime luci dell'alba do anch'io il buongiorno al mattino, l'unica cosa positiva è che si sogna molto, e i continui risvegli permettono di ricordarli.
    Colazione presso l'esposizione a base di croissant freschi e baguette a di giornata e cominciamo, sono accanto a Tisselli e di fronte a Lu Ming, la gente comincia ad accalcarsi di fronte a me, formando con un bel colpo d'occhio una fila numerosa di lettori in attesa di dedica che lucidano abbondantemente il mio ego e la giornata, senza alti e bassi, praticamente scorre così.
    La sera siamo al ristorante Phnom Phen, un locale con cucina mista cambogiana e vietnamita che è praticamente una tappa fissa dei festival di Grenoble al punto che negli anni ne ho visto piano, piano la lenta ristrutturazione, siedo accanto a Jean-Jacques e Rubén e di fronte a Tisselli, e con il francese è facile fare due risate, la sua simpatia è contagiosa e garbata, ed il suo sorriso contamina anche il depresso più congenito.
    Il rientro è composto da un gruppo che ha preferito farsi due passi a piedi tra le fredde strade della città, tra locali con giovani che si bevono le ultime birre della serata prima di andare a ballare, e qualche prematuro ubriaco che comincia a fare le prove della nottata, passeggio conversando amabilmente con Rubén, anche il nuovo disegnatore di Corto Maltese è una presenza tranquilla e rassicurante, sembriamo vecchi amici che si fanno confidenze notturne e anche con lui è un bel parlare.
    Domani mattinata di lavoro e poi il pomeriggio si riparte.

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    File e dediche di Grenoble BD.

    Il tempo pare clemente a Grenoble, anche stamani niente pioggia e qualche raro sprazzo di sole. La colazione è fatta nell'area sottostante la manifestazione, e qui ritroviamo anche gli amici di Bellegarde che ritroverò tra soli quindici giorni, ma tra loro oltre ad Andrè e Michel c'è anche Thierry Martinet con il quale abbiamo condiviso l'esperienza cinese, e quel sodalizio formatosi in terra mandarina, oramai è pari ad una confraternita, se si considera che a condividere la colazione c'era anche Michel Jans, Bettina Egger e Rubén, tutti facentene parte, potete immaginare come l'atmosfera si sia subito riscaldata di affetti ed esperienze condivise.
    Ma la mattinata scorre tranquilla. Molte dediche, e molte delle quali, come sempre, a beneficio dei volontari che generalmente per ultimi si fanno dedicare gli albi personali, qualcuno addirittura provenivano dal giorno precedente, visto che spesso si antepongono le dediche dei normali avventori, sacrificando i "benevoles" per ultimi.
    Oramai a Grenoble sono di casa, negli ultimi dieci anni sarò mancato si è no solo un paio di volte per cui ho moltissimi amici che mi aprezzano e mi stimano ed è un bel ritornare tra loro.
    Quest'anno con me e accanto a me avevo Sergio Tisselli (che ha pubblicato con Mosquito il Tex che ha realizzato per la Sergio Bonelli Editore nella versione Color, in un formato però che meglio esalta le qualità del lavoro, e cioè nella dimensione del cartonato e non del pocket all'italiana), Tisselli che nonostante l'età e l'esperienza è abbastanza novizio a queste scorrerie d'oltralpe, per quanto abbia, secondo me, un disegno piuttosto adatto al mercato francese, specialmente quello esigente dei collezionisti, lui che ha un acquerello fluido e coinvolgente che ben si adatta ai gusti transalpini. E in questi giorni ho letto nel suo entusiasmo per la novità e per un apprezzamento al proprio lavoro, la gioia dell'autore poco abituato ad una full immersion di dediche, tra lettori esigenti e bramosi di novità. Dentro ad ogni autore si cela il bambino che ha bisogno che la mamma gli dica "bravo" ed il mercato francese per del sue modalità intrinseche, fa la facente funzione materna, con i suoi lettori che, se ti apprezzano, hanno mille modi di dimostrartelo mettendosi in fila ed attendendo pazientemente il loro turno, ed organizzando manifestazioni ad hoc per soddisfare queste esigenze. Ecco, Sergio aveva trovato la sua mamma, glielo si leggeva negli occhi, nella modalità della chiacchiera e nell'uso di un francese che non conosce ma che scazza con disinvoltura di chi se ne frega perchè è contento di essere lì, e sono molto felice per lui.

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    Ristorante Marrakech, mi si intravede mentre converso con Tisselli, alla mia sinistra Toledano e accanto a lui l'immarcescibile Fabien Lacaf.

    Pranzo al ristorante "Marrakech", ed ho detto tutto, inutile dilungarsi con il menù, in compagnia di Tisselli, Boix e Toledano, due italiano e due spagnoli per una festa in lingua latina.
    Partenza nel pomeriggio alle 15,00 insieme al giovane Toledano, abbiamo aerei in terminal diversi ma che partono più o meno alla stessa ora, ci accompagna Didier, un collaboratore della manifestazione, appassionato ed amico che ho incontrato in  molte altre occasioni, ma sono di poca compagnia mi siedo dietro all'auto strategicamente e mi metto a dormire, praticamente mi sveglio all'aeroporto.
    Ho un paio d'orette d'attesa ma col wi-fi di sei ore garantito dall'aerostazione, oramai anche le attese si fanno sopportabili, l'unica preoccupazione è il cambio a Parigi, ho poco tempo appena un ora tra l'arrivo è l'imbarco, ma spero che il gate non sia troppo lontano, anche l'anno scorso ho avuto un viaggio del genere e mi pare non fosse eccessivamente lontano.
    Sperem.
    Sull'aereo non posso non notare e constatare che a tutte le latitudini, certi modi di fare si rincorrono come fosse un abitudine mondiale, e cioè quel comportamento che definiamo "gnorri", e cioè quelli che, pur sapendo che il loro posto è un altro, si siedono accanto al finestrino, per poi alzarsi quando arriva il legittimo occupante. Mi chiedo sempre se sono sviste casuali o se l'abusivo lo fa sempre sperando che l'altro (evidentemente più intelligente di lui) soprassieda e lo lasci al suo posto per non scomodarlo. Succede raramente, e in effetti le volte che mi è capitato, ho letto negli occhi del seduto, una sorta di implorazione come volesse dirmi "e dai, sù, via il superiore... che ti costa, lasciami qui e prendi il mio, evitando la scomodità di farmi alzare..." , sì in effetti spesso l'ho letta.
    Preghiera inascoltata, mi sono rotto i coglioni di fare sempre il superiore, ho diritto anch'io di fare il meschino, anche perché con questa scusa certi personaggi alla fine l'hanno vinta e, con aria di bieca soddisfazione: " mi scusi sa, temo che quel posto sia il mio...".
    Alzati Lazzaro.

    Comunque, sul tratto Lione-Parigi abbiamo ballato, e per dare un'ordine di grandezza all'intensità della turbolenza, mentre digitavo sul tablet, spesso non riuscivo a beccare il tasto giusto.
    Arrivo in perfetto orario, discesa nei tempi giusti ed il ricordo della medesima esperienza era esatto. Pochi metri e il gate per Firenze era proprio sopra di me:  comodo.
    L'imbarco neanche era iniziato, molta gente, Parigi non è un condominio ed il De Gaulle rappresenta esattamente l'importanza europea a livello di smistamento passeggeri di un aeroporto come quello, e quindi stare in piedi per stare in piedi, mi metto in riga nella fila che si era già composta.
    Salgo paradossalmente tra i primi passeggeri dopo quelli di Sky Priority, è appena entrato sul l'aeromobile mi pare di ricordare il capo steward, poi sposto lo sguardo sull'altro a metà del corridoio e la conferma arriva immediata, sono salito sullo stesso aereo (infatti lo chiedo allo steward che mi dà conferma, dicendogli anche se credevo potevo rimanere direttamente al mio posto, tra l'altro ero nella fila 16 e adesso sono nella 17, in effetti una logica esiste, ed ecco in effetti spiegata l'ubicazione strategica dell'arrivo, uscito dal basso (le uscite hanno un corridoio sottostante la porta d'imbarco) ed entrato nuovamente da sopra. Questa coincidenza, l'ultima volta che avevo fatto lo stesso scambio, non l'avevo notata, probabile fosse cambiato l'equipaggio, vai a sapere.

    Bene, ho scritto fin troppo, l'aereo rulla sulla pista, sono le 21,00 e siamo in perfetto orario, la carica dell'Ipad segnala rosso e tra poco mi abbandonerà comunque, l'esperienza del primo festival autunnale si ferma qui.
    Venerdì si riparte, direzione: Blois.

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    TRILOGIA DI SETTEMBRE: ...e tre!

    Quindici giorni di relativo relax, non che questo sia lavorare, e ripartiamo per l'ultimo appuntamento di questo mese tutto orientato alle pubbliche relazioni ed alle celebrazioni del compleanno di Nathan.
    Giusto il tempo per riuscire a realizzare almeno le matite delle ultime venti pagine de "La lama a la croce", il racconto che, secondo una programmazione che credevo di non riuscire a rispettare.

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    TRILOGIA DI SETTEMBRE: Noci

    Il tempo di rimanere qualche giorno a casa, e si riparte.
    Questa volta la destinazione è Noci, una ridente cittadina in quel della Puglia, una regione che a dire la verità non conosco per niente e che, se il tempo regge (ma non ho molte speranze,  viste le previsioni pessimistiche del web e degli esperti) mi piacerebbe, impegni permettendo, conoscere meglio.

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    TRILOGIA DI SETTEMBRE:Sassari

    Ci siamo, si  riparte.
    Contrariamente alle marmotte, noi (ed il plurale è majestatis), andiamo in letargo d'estate, ci rifugiamo (ormai il plurale è d'obbligo) nelle nostre tane, non a dormire, ma a lavorare. L'estate per sua natura è lavorativamente più tranquilla, anche perché io disdico tutti gli inviti ad eventuali festival, concentro le mie corvèe di realizzazione delle tavole dei futuri libri (si continua col plurale), e ci godiamo quel poco di mare che tutti questi impegni mi concedono.

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    Benvenuti!

    I°giorno di scuola.1964

    Quello che vedete, è il nuovo abito che indosserà il mio sito nei prossimi anni, cambio di look (odiosa parola), per adeguarsi ai tempi, essere più eleganti, più leggibili, più belli, insomma.
    Speriamo di esserci riusciti.

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    La fila

    Attesa Rockwell
    Un salto e via, quella è l'idea.
    C'è sempre voluto pochi minuti, parcheggio, consegno e riparto, per cui anche nei pochi minuti rimanenti prima della chiusura, sono convinto di farcela.
    Sicuro.

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    QUALCOSA E' CAMBIATO.

    Parafrasando un titolo di un film piuttosto conosciuto, mi accingo a fare una riflessione su una notizia di qualche giorno fa, in cui si annunciava che per la prima volta al mondo, l'acquisto di musica vecchia (intendendo ovviamente CD, vinili e quant'altro), aveva superato quella delle nuove produzioni.
    La cosa è davvero bizzarra se si pensa alla cavalcata di ogni forma di ricerca del nuovo in tutte le direzioni, e vedere che il pubblico preferisce il vintage, in una delle arti più rappresentative: fa pensare.

    E' da tempo che sento dire in giro che la musica degli anni '60, '70 ma anche precedente, era migliore di quella odierna, che era già stato tutto inventato e di musicisti di sì tale fatta, non se ne producevano più. Ma al di là del fatto che sembrano sempre frasi nostalgiche e un po' retrò, un conto è affermarle con un certo senso di sufficienza, magari perché legate alle nostre passioni giovanili, altro è constatarlo direttamente nei dati incontrovertibili delle vendite.

    Intendiamoci, non so se la nostra affermazione sopra citata sia vera, e non vorrei darla per buona solo perché commercialmente comprovata (il dato in sé potrebbe anche significare altro), però una riflessione la merita.
    E siccome io per quanto ami la musica non mi posso definire un esperto, translo tutta la questione nell'argomento che meglio conosco, il "fumetto", con tutti i relativi distinguo, che non sono pochi.
    Anche perché perfino l'arte o la fotografia, potrebbero essere incluse all'interno della riflessione visto che, a parer mio, i "problemi" sono i medesimi.

    La constatazione, riguardante il "Fumetto", perché è solo di una constatazione che si tratta è che, non vedendo all'orizzonte grandissime novità, grandissimi autori, grandissime innovazioni, vuoi perché è stato fatto davvero molto, si può dire di tutto, vuoi perché le produzioni sono migliaia (un po' meno i lettori), vuoi perché nella velocità del consumo i tempi di riflessione, valutazione e realizzazione di un opera sono minori, il tutto sembra andare verso una lenta normalizzazione, che tradotto si può interpretare come banalità, quanto meno deja vu.

    Per dirla volgarmente in soldoni e volendo fare proprio dei nomi, per rendere ancora più chiaro il concetto, io di gente come: Alex Toth, Sergio Toppi, Hugo Pratt, Edgar P. Jacobs, Moebius, Will Eisner, Dino Battaglia, Alberto Breccia, Alex Raymond, Andrea Pazienza, Milton Caniff, Schulz, Franquin, Hergé, Guido Crepax, Uderzo, Joe Romita, certo, direte voi, sono personaggi che hanno segnato un epoca...è vero e allora? Il discorso non vale forse anche per Simone & Garfunkel, Elvis, Deep Purple, PInk Floyd, Jimi Hendrix, Beatles e compagnia cantando, non si tratta delle stesse cose, degli stessi periodi?

    Intendiamoci, oggi ci sono belle storie, realizzate da bravissimi professionisti e colleghi, ma quel "quid", quella novità che ti "sfrizzola il velopendulo" e che una volta ti faceva sobbalzare, almeno per uno come me che ha visto molto (e che per altri hanno ascoltato molto), difficilmente, raramente...direi mai, capita.
    Capita talmente poco che, anche qui a mio modestissimo parere, per cercare variazioni sul tema il gioco degli ultimi anni (non pochi per la verità), mi pare sia stato quello di abbassare il livello, nel nostro esempio: grafico.
    Della serie che, vista l'impossibilità o l'enorme difficoltà di andare in "avanti", tanto valeva andare lateralmente, se non addirittura tornare un pochino indietro, e sdoganare chi, un tempo, nessuno si sarebbe sognato di far pubblicare, ottenendo così cose peggiori sì, ma proprio per questo diverse.
    Per cui oggi diventa "interessante" quello che ieri neanche veniva preso in considerazione, diventa nuovo quello che "non sarebbe stato all'altezza", ma il tutto diventa possibile nel mare magnum di un'editoria che bene o male "sfrutta" il bisogno, il desiderio e la pervicacia di chi, anche gratuitamente, non rinuncia a pubblicare i suoi artefatti.

    Tutto questo produrre porta solamente verso un alzamento di quantità, ma non necessariamente verso un miglioramento della qualità, e questo credo avvenga più o meno per tutto. E qui mi fermo perché andare oltre vorrebbe dire toccare anche altri temi che sconfinerebbero nell'economia e ci porterebbero chissà dove.

    L'aumento di qualità produce anche la riduzione entropica del potenziale creativo complessivo (lo so, è azzardato come parallelismo), per cui in futuro sarà, temo, difficile produrre cose nuove, perché di nuovo e da scoprire, ci sarà sempre meno, sfruttato e consumato com'è. Dovremo accontentarci di quello che accade nella moda, ciclicamente, si re-inventa qualcosa che c'è già stato, e l'abilità starà tutta li.

    Ma noi (almeno io sicuro), purtroppo, ci divertiremo sempre meno.

    Arte,Musica e Cinema
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    COLOMIERS, LA PRIMA VOLTA

    Me l'avevano detto Patricia e Jean-Jacques , due collaboratori della Mosquito simpatici ed estremamente disponibili, entrati tra le mie amicizie dalla porta principale: Colomiers è un Festival ben organizzato,

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    LUCCA 2015

    Il tempo intercorso dalla manifestazione al mio report, è indicativo del periodo che sto attraversando.
    Anzi, diciamo pure che non vedo l'ora di attraversarlo.
    Purtroppo non è solo dovuto a intasamenti di lavoro, quelli ci sono e sapevamo che ci sarebbero stati, il fatto è che è subentrato un fatto personale di estrema gravità (ma che si sta per fortuna risolvendo), che stava per compromettere la mia partecipazione a Lucca 2015. Non che il mondo si sarebbe accorto della mia assenza, per carità, siamo talmente transitori e degni di così relativa importanza che, nel marasma generale, tra strombazzamenti di annunci, proclami, promozioni, novità editoriali e non, presenzialismi al limite della tolleranza e gigionamenti vari, la mia assenza avrebbe avuto la stessa rilevanza di uno spermatozoo rimbalzato sull'ovulo.

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    3x1 OFFERTA SPECIALE

    3x1 OFFERTA SPECIALE: tre impegni per una settimana. 
    Non posso iniziare che da qui, dalla frenesia di questo periodo che non dà respiro e che mi fa girare come una trottola impazzita.
    Forse si tratta di pessima programmazione o di trascurata pianificazione, ma vi garantisco che capita, capita anche perché come un'ineluttabile Legge di Murphy, quando avete mille impegni dai quali non riuscite a venirne fuori, è matematico che ne escano altri a complicarvi ulteriormente la vita.
    Non succede mai il contrario.

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    LA DESERTIFICAZIONE...

    LA DESERTIFICAZIONE DELL'IMMAGINARIO

    Lo so, sono partito in modo apocalittico, e so perfettamente che dipingerò a tinte ben più fosche di forse (o come spero) sarà la realtà, ma credo che, iperboli o meno, l'argomento possa comunque indurre a qualche riflessione.

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