BD EN PERIGORD

Il fatto stesso di aver creato l’evento su FB la mattina stessa della partenza per questo festival, per ricordarne agli amici francesi la mia partecipazione, la dice lunga sullo stato di questo periodo, la poca enfasi che mi circonda riguardo fatti di questo genere, non per sminuire la portata del festival, dove sono già stato ed ho amici che mi aspettano, ma proprio perché come si dice: non ci sono, e se ci sono vorrei essere altrove.
Del resto per ora va così.

Prendo l’occasione come un momento di svago, come credo sia giusto fare, anche per immergermi in quell’atmosfera di complicità che il contatto con i lettori talvolta fa scaturire, spingendomi così alla ricerca di motivazioni che spero che mi trasmettano.
La giornata almeno è bella, quasi estiva, si viaggia leggeri partendo già da casa e dovendo andare alla stazione direttamente col trolley, visto che manca chi mi accompagna. Rientrerò dopo cinque giorni, visto la partenza e l’arrivo a Firenze, e avendo una lezione martedì all’Accademia Nemo, ho deciso di rimanere anche il lunedì per evitare pendolarismi inutili.
Non ho portato libri, in certe occasioni preferisco godermi il fluire libero dei pensieri, del resto ogni occasione potrebbe essere buona per accendere quella fiammella di un qualcosa che può essermi utile.
Ma aspetto invano, sonnecchio a tratti in un treno che si riempie pian piano sempre di più, per arrivare a Firenze praticamente pieno in ogni dove, è ancora stagione di turismo, la capitale del Rinascimento pullula di culture ed etnie diverse, in un costante e arrembante assalto di turisti decisi a spolparla, di fronte alla sua generosa bellezza che offre gratis, perché Firenze è un viaggio nella storia anche senza entrare fisicamente in un museo, è bella dentro e fuori con le sue piazze, i suoi monumenti e le sue sculture, e in certe vie, se dimentichi per un momento il calendario, non ti meraviglieresti di incontrare un signore delle corte dei Medici o una carrozza dell’800 immortalata dagli Alinari.
Attraverso la stazione per arrivare ai taxi e mi lascio portare all’aeroporto di Peretola attraverso un traffico tranquillo e scorrevole.

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Il poster della manifestazione.

A Bassillac sarò praticamente da solo, solo come italiano intendo, a parte Virginio Vona, un romano che da anni si è trasferito in Francia e che spesso incrocio a qualche festival, e che vive a Parigi, ma che non conosce le dinamiche che oramai attraversano il nostro paese e con il quale praticamente è come parlare con un francese.
Curiosando su Opale BD, il portale dei festival, ho già dato un’occhiata ai partecipanti e, a parte qualcuno che ho già precedentemente incrociato, gli altri non li conosco, cosa tra l’altro del tutto normale vista la quantità enorme di autori che da queste parti circolano per festival.
Sto temporeggiando sulle mie riflessioni, scrivo e cancello pur tentato o meno nel farle, ma il tenore di ciò che vorrei dire e come dirlo mi induce a soprassedere, il mio spirito mi impone di non infliggere insulse circumnavigazione ombelicali che non interesserebbero nessuno oltre che risultare sterili e deprimenti.
Andiamo in Francia, e cerchiamo solo di farlo con ottimismo!
Sul finire del volo, la mia vicina, una signora inglese che aveva interagito minimamente con me appena seduti, in vacanza con il marito, ha cominciato a parlarmi, ne aveva voglia da tempo credo, ma vuoi perché scrivevo sull’IPad o perché ho sonnecchiato un po’ (all’atterraggio infatti mi ha svegliato il contatto del carrello con la pista), evidentemente ha cercato il momento propizio, era una coppia in vacanza a Firenze per pochi giorni, credo con quei pacchetti all-inclusive (giusto per restare coerenti col linguaggio del momento), per cui si è propinata una sciroppata di Firenze col bus, visita Accademia, Uffizi e molte scarpinate fatte dalla vetusta coppia inglese, in più una puntata a Pisa e l’altra a Siena, ovviamente apprezzate ma che devono avere segnato con la fatica la vacanza full-immersion dei signori, che almeno si sono allontanati dai problemi sulla brexit che li sovrasta, perché noi siam messi come siamo, ma anche loro…
Ho un paio d’ore di attesa Parigi al Charles de Gaulle e, connesso al Wi-Fi dell’aeroporto spippolo impunemente per trascorrere il tempo, e su FB mi accorgo che riprendendo il post sulla mia partecipazione alla manifestazione, la mia casa editrice francese avvisa che ci dovrebbe essere anche Lele Vianello. La cosa mi riempie di gioia, perché almeno con Lele le chiacchiere ed il buonumore sono garantiti, strano però che sul sito deputato ai festival non fosse annunciato, vedremo all’arrivo se la felice news sarà confermata oppure no.

Prima di rincoglionirci di nuovo osservando il cellulare/computer o, come si dice in questi frangenti, gli altri devices, mi metto a praticare lo sport che una volta furoreggiava in luoghi come questi ovvero tra le poltroncine di aree di soste e sale di attesa, e che oggi si è declassificato perché, come si evince da chi mi circonda, nessuno si guarda più in faccia o si legge qualcosa di cartaceo, ma scrolla screen e si rimbambisce di fronte a piccoli video.
Ad ogni modo per quel poco, si può notare la signora di fronte che è una post-milf, cioè ha già superato la quota d’età pur cercando di tirarsi su con ogni cosa possibile: gonna corta, tacchi alti, capelli tinti e push-up d’ordinanza, lascia ciondolare sul piede della gamba accavallata con nonchalance la scarpa con tacco dodici, mentre sorride rimbambendo ulteriormente di fronte allo smartphone (chissà che divertenti trastulli su quel telefonino), ma la pelle del collo e le rughe intorno alla bocca tradiscono un’età che, pur cercando di nasconderla, vuole prepotentemente dichiarare il suo status. Poi c’è il ragazzo capitato lì per caso dalla spiaggia più vicina, quasi immaginando che nel bagaglio che si porta dietro ci siano le pinne e il salvagente sgonfiato: t-shirt, pantaloncini corti e infradito, è caldo e si sta bene, è vero, ma il l’ombrellone ed il pattino sono da un’altra parte. Poi c’è la signora che ha gli auricolari del cellulare oramai fusi nel padiglione auricolare, ce li aveva quando sono arrivato e ancora sono lì, calcificati con il liquame auricolare. Solo adesso una coppia dietro di me sembra parlare con un minimo di complicità, è vero anche che lo smartphone è un sussidio per la solitudine, e andrebbe bene quando oggettivamente siamo da soli (pur non rimanendo l’unico ed insostituibile rimedio), il problema è che è diventato una protesi della nostra mano e un richiamo irrinunciabile per il cervello, ne siamo prigionieri.
Non sono qui a fare statistiche (anzi facciamole), ma ipotizzando un minimo scarto di percentuale potrei dire che il 93% sono di fronte o usano comunque per la componente per il quale è stato inventato, e cioè telefonare, lo smartphone, il restante 4% legge un giornale o fa parole crociate (indagine condotta con constatazione visiva) il 2% si alimenta (sono una coppia madre-figlio/piccolo che vista l’ora fa merenda), l’1% fa altro, e questa è una quota di default per raggiungere una tolleranza di errore.
Da cui si deduce l’impossibilità, pur volendo, di divertirsi ad indagare sulle persona in attesa, perché non vedendole “vivere” e cioè relazionarsi, parlare o semplicemente trastullandosi nel tempo, non se ne percepiscono le azioni e di conseguenza le differenze, tutti fanno le stesse cose, gli stessi movimenti, le stesse liturgie, stiamo diventando una specie noiosa e omologata, stiamo perdendo di interesse.
Adesso sono sul volo Parigi-Bordeaux, stanno chiudendo i vani porta oggetti, l’aria condizionati fa sentire il suo respiro, tutti siamo a sedere, per oggi la finirei qui.
Ma queste giornate non finiscono mai, c’è sempre qualcosa di imprevedibile, all’arrivo infatti, trovo lo chauffeur a prendermi, ma non è lì solo per me, in effetti è in arrivo da Lione, Lele Vianello (che come sperato è anche lui della partita) e da Madrid, Keko, un autore spagnolo, e siccome arrivano da due uscite diverse, decidiamo di di vederci le incombenze e dopo circa una quarantina di minuti riusciamo ad uscire da Merignac tutti e quattro.
Arriviamo a l’Ecluse, il famoso albergo vicino alla chiusa, cui ha eletto a suo emblema una gigantesca anatra che massiccia e incazzata presidia il parcheggio dell’hotel, dove troviamo molti altri autori a fine pranzo, mentre noi ci sediamo ad un tavolo per mangiare come lupi della steppa il piatto che l’organizzazione ci ha fatto trovare. Non siamo ancora paghi, e ci concediamo un cazzeggio di fine giornata nella hall, non foss’altro per esorcizzare la stanchezza e la giornata di viaggio.

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La chiusa sul fiume e la vista dalla mia camera dall’hotel L’Ecluse.

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La vendicativa oca che piantona con severa attenzione il parcheggio dell’hotel, vera star e simbolo della struttura, si avventa contro chiunque le si avvicini e mostri poco rispetto facendole le imitazioni.

La mattina del sabato è decisamente buona, anche al nostro arrivo in effetti la temperatura si presentava mite e quasi estiva, dopo una breve conversazione al tavolo della colazione con Virginio Vona, tutti veniamo caricati sulle auto navetta che ci portano alla sede dell’esposizione.
Appena arrivati ci prendiamo due minuti per prendere possesso dell’ambiente (e ricordare il festival, fino a che non ritorno nelle località, faccio fatica talvolta a ricordarli), oltre che a visualizzare qualche album nel caso fosse il caso di trovarne di interessanti, è il caso di un libro del compianto Carlos Nine e di Jorge Zentner, che acquisterò nella pausa.
Poi di corvèe, come sempre, la fila si sta cominciando a formare e tiriamo dritto fino alle 13,00 e qui la cronaca davvero si fa scarsa, non ho il tempo di alzare la testa per soddisfare tutti i lettori che si presentano.
Per il pranzo ci dirigiamo verso la Sala delle Feste che, come ho già ripetuto molte volte, è una struttura assolutamente indispensabile tra quelle messe a disposizione dalle relative amministrazioni per le loro comunità, ogni sperduto paesino del territorio francese pare averne una, e Bassillac non fa eccezione.
Qui ci serviamo a buffet evidentemente rifornito da un catering, la scelta delle pietanza è ampia e ci godiamo il nostro giusto ristoro, tra ospiti e benevoles.
Il pomeriggio stessa litania, l’alternarsi dei lettori è incessante e la fila che si forma di volta in volta sembra non esaurirsi mai, se da un lato è mortificante perché sembra rendere vani ogni sforzo per ridurla, dall’altro c’è la gratificazione di tutta questa gente che si sottopone a decine e decine di minuti per ricevere il proprio libro dedicato e, spesso, riprendono la coda della fila per farsi dedicare anche il secondo.

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Sorseggiando birre al chiosco fuori la manifestazione insieme a Ian-Hel, Virginio Vona e Lele Vianello.

Verso le 19,00 però anche l’ultimo irriducibile pare svanire nel nulla e finalmente riponiamo le nostre carabattole, e insieme Lele c’è ne andiamo a fare quattro chiacchiere nel gazebo allestito fuori il centro convegni/palestra intorno a quattro birre, insieme a noi c’è il madrileno Keko e il disegnatore catalano Kim, un simpatico signore dall’aspetto sportivo e dalla faccia a vecchio cow-boy non ancora in disarmo, il tutto in attesa di arrivare alle 20,00 dove tutti ci indirizziamo verso il salone delle feste, dove si terrà la cena clou della manifestazione, con tutti gli autori e gli organizzatori.
Prima procediamo con i ringraziamenti uno per uno degli autori, per nazionalità, per frequenza e provenienza, poi tutti gli altri e infine vengono distribuiti i cadeaux, a noi tocca una guida delle Grotte di Lascaux, il famosissimo sito dove ci sono i più antichi affreschi rupestri mai ritrovati, agli altri la mitica confezione di fois gras (siamo in Dordogne, il territorio di produzione della preziosa leccornia), mitica perché negli anni passati, a malincuore avevo dovuto ogni volta regalare la mia confezione, perché non sarebbe mai passata dal check in aeroporto, quest’anno mi hanno risolto il problema, ma pur sempre con rammarico perché essendo un amante del fois gras e nonostante sia venuto già ben quattro volte a Bassillac, non ho mai avuto la soddisfazione di riportarla a casa.
Accanto a me ci sono alcuni posti vuoti, mentre di fronte ho una simpatica coppia, lei si chiama Graziella ed ha origini pugliesi (tanto per cambiare, la metà del mondo pare avere origini italiane), accanto ho l’amico Frederic/Ian-Hel col suo bellissimo husky, Lele di fronte e Virginio, quando all’ultimo momento si siede accanto a me, in un modo molto confusionario (che già doveva insospettire) un tizio di origini portoghesi, rubizzo in faccia e costantemente col sorriso sulla faccia che, senza troppi indugi, comincia ad interagire con noi in modo tanto confidenziale quanto maleducato e fuori luogo, facendo battute a cui nessuno rideva e con una complicità che nessuno richiedeva, al punto che credevo fosse amico della coppia di fronte, lei infatti interagiva con lui in modo simpatico. La cosa è andata avanti un bel po’, e in certi momenti c’è stato anche un po’ d’imbarazzo, perché il poveretto (di fatto) nel suo non rendersi conto della sua inadeguatezza, dimostrava tutti i suoi limiti. Questo però non ha impedito di divertirci, perché in certi casi il suo andare fuori registro era talmente forzato che i nostri sguardi incrociandosi facevano scaturire divertenti siparietti.
Alla fine però, non abbiamo capito chi fosse e cosa c’entrasse (che in quanto portoghese fosse davvero un infiltrato?)
Poi la cosa è scemata e pian pianino siamo tornati a parlare delle nostre cose e alla fine la serata è risultata piacevole.

La mattina della domenica si è svegliata come il sabato, limpida ma con svariate nuvole, poi dissipate in seguito, e una temperatura davvero alta anche se mitigata dal vento.
Fatti i bagagli sono stato portato alla struttura fieristica, credevo Lele fosse già lì, ma sono arrivato prima, le persone stavano entrando dentro e già la fila in corrispondenza alla mia postazione si stava formando, ho chiesto un aiuto per il check-in on line per l’aereo, preoccupato di non vedere neanche il mio nome tra quelli assegnati agli chauffeur per gli autori da accompagnare a stazione di treni e aeroporti, poi mi sono messo a disegnare.
E via uno con l’altro.
A metà mattina, con la scusa di allontanarmi ho fatto il check-in-in dal cellulare, bypassando, ogni difficoltà, e dopo essermi messo d’accordo con chi mi avrebbe portato a Merignac, e così dopo essermi tranquillizzato ho terminato la mia sessione di dediche fino alle 13,00 e poi insieme agli altri al salone delle feste, per consumare l’ultimo pasto prima della partenza.
Ho atteso la disponibilità di un altro paio di autori presenti (uno era il catalano Kim) e poi dopo avere salutato tutti, siamo stati caricati su un Peugeot 5008 spazioso e confortevole in direzione Bordeaux.
Tutto scorre tranquillo, oramai la mia ansia si è ridotta al lumicino, delusa ed affranta da situazioni che scorrono tranquille è caduta in una depressione profonda, si sente inutile e estremamente fragile, anche se per me è un toccasana. Il viaggio di trasferimento all’aeroporto (di ben un paio d’ore) è tranquillo e l’aereo da Bordeaux, neanche a farlo apposta, è in perfetto orario.
L’arrivo a Parigi spacca il secondo e raggiungere il gate è solo una questione di pochi minuti, neanche il tempo di sedersi e l’annuncio dell’imbarco è quasi immediato, e tutto si svolge in modo cronometrico, quasi stucchevole.
Seduto al posto 14A, di fianco al finestrino, al decollo mi concedo la visione dello stacco del carrello dal suolo, le luci del Charles de Gaulle sono come un pavese all’ennesima potenza, in lontananza una struttura verticale completamente illuminata si erge su tutta la città e svetta la sua mole anche sulle decine di chilometri intorno, è riconoscibile anche da qui, e nel momento in cui la struttura dell’aereo scricchiola compressa dalla pressione dell’aria e si libra in volo, il raggio di luce sull’estremità della torre Eiffel si illumina quasi a salutarmi.
Lo leggo come un addio.

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Alcune dedicaces.

Potrei cominciare con le mie solite comparazioni esterofile, che nonostante applichi sempre con maggior rigore per paura di essere eccessivamente critico, pare portino sempre alle stesse considerazioni, anche qui, nell’osservazione dei panorami urbani di questa amena cittadina, per ordine, pulizia e decoro faccio fatica a fare paragoni, ma per non risultare il solito polemico noioso, che oltre tutto sta sulle palle pure a me, evito.

Mi rendo conto che questi miei report parlano ben poco delle manifestazioni e molto dei viaggi, dei transiti, di ciò che capita in questi frangenti e poco delle dinamiche dei festival. La risposta è molto semplice, ai festival facciamo sempre le stesse cose, i ritmi sono scanditi dagli orari imposti dalle manifestazioni (sessione di dediche dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 19,00, praticamente siamo ospiti sì, ma lavoriamo con orari da giorno feriale) e c’è ben poco altro da dire, se non trascrivere l’oggetto delle nostre chiacchierate a fine giornata o durante i pranzi e, sinceramente, non mi pare proprio il caso.
Tutto qua.
Non vorrei smitizzare ciò che faccio, spesso mi si invidia per i viaggi, ma la realtà, come sempre e per molte altre cose, è molto semplice e talvolta banale. Certo, come dice un mio caro amico “è sempre meglio che lavorare”, e di questo ha ragione perfettamente, sono e siamo dei privilegiati che in certi casi fanno i globe-trotter, facendo cose che li divertono e del quale non sentono i sacrifici ma, almeno dal mio punto di vista, attenzione a mitizzare cose che di mitico non hanno niente e che quando si perpetrano con periodicità, alla fine sembrano diventare normali.
È sempre una questione di punti di vista.

Ora, siamo arrivati al punto in cui forse devo constatare oltre che ammettere che questo potrebbe anche essere il mio ultimo viaggio in Francia, l’ultimo di una serie di bellissime esperienze che hanno distinto quasi quindici anni della mia vita, belli, intensi e carichi di soddisfazioni, ma che è probabile siano giunti alla fine, dico forse, perché non so effettivamente che cosa succederà, non sono sicuro di niente, sopratutto della piega che potrebbe prendere la mia vita, lo dico con estrema sincerità, navigo a vista anche se so che certe cose pare non facciano più parte di me.
Mancanza di idee? No, ne ho perfino troppe, qualcuna pare irraggiungibile per le mille difficoltà di percorso, altre idee mi obbligherebbero a battere sentieri che già conosco e che al momento non voglio fare oltre al fatto che il gioco sembra non valga la candela, non mi piacciono più troppe cose che fanno parte del panorama, dell’ambiente che conoscevo, altre invece sono lì, come sirene ammiccanti, ma sembra che si allontanino ogni volta che mi avvicino, anche se è un avvicinarsi guardingo, sospeso e indeciso, un avvicinamento immobile e quindi falso.

Non succederà, ma nel caso a qualcuno venisse il ticchio di farmi qualche domanda in proposito, lo avviso per tempo: non vi risponderò, non per maleducazione, ma perché non potrei dirvi niente di più della vaghezza che ho descritto fino a qui, perché questa è la condizione in cui mi trovo.

Sono tranquillo? No, ma anche questa è una condizione normale, per cui non c’è assolutamente da preoccuparsi (voi sicuramente no, io non saprei), ho attraversato quasi vent’anni fa una situazione del genere, mi sembrava meno strutturale e più passeggera e si trasformò in una pausa di riflessione su cosa stavo facendo, chi volevo essere e dove volevo andare, successe dopo i miei primi due lavori da autore, e questa sosta produsse “Moonlight Blues” una delle mie storie che ricordo con grande affetto e di cui sono ancora orgoglioso.
Questa volta sarà diverso, perché la vita ti si offre sempre in maniera differente e niente è mai uguale al passato, ma spero ad ogni modo che porti nuovi frutti che sappiamo regalarmi nuovi sapori, nuovi entusiasmi e nuove opportunità.
Credo di meritarlo.

E se non sarà così, cercheremo di farcene una ragione.

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