QUALCOSA E’ CAMBIATO.
Parafrasando un titolo di un film piuttosto conosciuto, mi accingo a fare una riflessione su una notizia di qualche giorno fa, in cui si annunciava che per la prima volta al mondo, l’acquisto di musica vecchia (intendendo ovviamente CD, vinili e quant’altro), aveva superato quella delle nuove produzioni.
La cosa è davvero bizzarra se si pensa alla cavalcata di ogni forma di ricerca del nuovo in tutte le direzioni, e vedere che il pubblico preferisce il vintage, in una delle arti più rappresentative: fa pensare.
E’ da tempo che sento dire in giro che la musica degli anni ’60, ’70 ma anche precedente, era migliore di quella odierna, che era già stato tutto inventato e di musicisti di sì tale fatta, non se ne producevano più. Ma al di là del fatto che sembrano sempre frasi nostalgiche e un po’ retrò, un conto è affermarle con un certo senso di sufficienza, magari perché legate alle nostre passioni giovanili, altro è constatarlo direttamente nei dati incontrovertibili delle vendite.
Intendiamoci, non so se la nostra affermazione sopra citata sia vera, e non vorrei darla per buona solo perché commercialmente comprovata (il dato in sé potrebbe anche significare altro), però una riflessione la merita.
E siccome io per quanto ami la musica non mi posso definire un esperto, translo tutta la questione nell’argomento che meglio conosco, il “fumetto”, con tutti i relativi distinguo, che non sono pochi.
Anche perché perfino l’arte o la fotografia, potrebbero essere incluse all’interno della riflessione visto che, a parer mio, i “problemi” sono i medesimi.
La constatazione, riguardante il “Fumetto”, perché è solo di una constatazione che si tratta è che, non vedendo all’orizzonte grandissime novità, grandissimi autori, grandissime innovazioni, vuoi perché è stato fatto davvero molto, si può dire di tutto, vuoi perché le produzioni sono migliaia (un po’ meno i lettori), vuoi perché nella velocità del consumo i tempi di riflessione, valutazione e realizzazione di un opera sono minori, il tutto sembra andare verso una lenta normalizzazione, che tradotto si può interpretare come banalità, quanto meno deja vu.
Per dirla volgarmente in soldoni e volendo fare proprio dei nomi, per rendere ancora più chiaro il concetto, io di gente come: Alex Toth, Sergio Toppi, Hugo Pratt, Edgar P. Jacobs, Moebius, Will Eisner, Dino Battaglia, Alberto Breccia, Alex Raymond, Andrea Pazienza, Milton Caniff, Schulz, Franquin, Hergé, Guido Crepax, Uderzo, Joe Romita, certo, direte voi, sono personaggi che hanno segnato un epoca…è vero e allora? Il discorso non vale forse anche per Simone & Garfunkel, Elvis, Deep Purple, PInk Floyd, Jimi Hendrix, Beatles e compagnia cantando, non si tratta delle stesse cose, degli stessi periodi?
Intendiamoci, oggi ci sono belle storie, realizzate da bravissimi professionisti e colleghi, ma quel “quid”, quella novità che ti “sfrizzola il velopendulo” e che una volta ti faceva sobbalzare, almeno per uno come me che ha visto molto (e che per altri hanno ascoltato molto), difficilmente, raramente…direi mai, capita.
Capita talmente poco che, anche qui a mio modestissimo parere, per cercare variazioni sul tema il gioco degli ultimi anni (non pochi per la verità), mi pare sia stato quello di abbassare il livello, nel nostro esempio: grafico.
Della serie che, vista l’impossibilità o l’enorme difficoltà di andare in “avanti”, tanto valeva andare lateralmente, se non addirittura tornare un pochino indietro, e sdoganare chi, un tempo, nessuno si sarebbe sognato di far pubblicare, ottenendo così cose peggiori sì, ma proprio per questo diverse.
Per cui oggi diventa “interessante” quello che ieri neanche veniva preso in considerazione, diventa nuovo quello che “non sarebbe stato all’altezza”, ma il tutto diventa possibile nel mare magnum di un’editoria che bene o male “sfrutta” il bisogno, il desiderio e la pervicacia di chi, anche gratuitamente, non rinuncia a pubblicare i suoi artefatti.
Tutto questo produrre porta solamente verso un alzamento di quantità, ma non necessariamente verso un miglioramento della qualità, e questo credo avvenga più o meno per tutto. E qui mi fermo perché andare oltre vorrebbe dire toccare anche altri temi che sconfinerebbero nell’economia e ci porterebbero chissà dove.
L’aumento di qualità produce anche la riduzione entropica del potenziale creativo complessivo (lo so, è azzardato come parallelismo), per cui in futuro sarà, temo, difficile produrre cose nuove, perché di nuovo e da scoprire, ci sarà sempre meno, sfruttato e consumato com’è. Dovremo accontentarci di quello che accade nella moda, ciclicamente, si re-inventa qualcosa che c’è già stato, e l’abilità starà tutta li.
Ma noi (almeno io sicuro), purtroppo, ci divertiremo sempre meno.