MADRID GENERATION X

La giornata è cominciata con delle grigie nuvolaglie che hanno ben presto introdotto la pioggia, giusto per non far rimpiangere ai ragazzi la fine dell’Estate,  e mitigare invece il consueto fastidio dell’inizio della scuola.
Poi, come nei giorni precedenti, è tornato prepotente lo scirocco, il caldo umido e anche le nuvole, stanche di quell’appiccicaticcio, si sono allontanate per far spazio nuovamente al sole, come se quest’anno l’Estate non ne avesse avuto abbastanza.
All’ora prestabilita, così, mi sono incamminato verso la stazione.
Domani parto da Firenze per Madrid, dove avrò un evento in cui per la prima volta presento due miei lavori pubblicati in terra di Spagna. Finalmente.
Ho sempre pensato, forse presuntuosamente, che le mie storie potessero essere adatti per il pubblico spagnolo ma, a onore del vero, l’unica pubblicazione sconfinata in quelle terre straniere, era stata ben oltre due lustri fa, “Moonlight Blues” per i tipi di Astiberri, una casa editrice basca.
Poi l’oblio.

La cARTEm Ediciones invece, dopo aver pubblicato “Mimbrenos “ nell’inverno di quest’anno, in questi giorni ha fatto uscire anche “La espada y la cruz”, e ben quattro mesi fa mi ha chiesto di partecipare questo incontro in uno spazio/negozio/libreria (sarò più preciso in seguito), per onorare un consueto “firma copie” e una sorta di presentazione del sottoscritto. Una specie di entrata in società.
Era da tempo che non scrivevo uno dei miei consueti report, del resto ho fatto pochino, ho latitato molto, mi sono fatto molte domande (con poche onorevoli risposte), mi sono rimesso in discussione, e tutto questo con un unico risultato: mi sono allontanato dal fumetto in modo preoccupante.
L’ultimo report è stato quello di Angouleme, che sancisce già il mio status attuale, e cioè non tanto quello del protagonista, quanto da ameno turista in vena di gozzoviglie, amici gaudenti e alla ricerca di uno svago soprattutto vacanziero e avventuroso. Il bisogno di rompere con un routine che non mi soddisfa abbastanza, nella speranza di trovare nuovi stimoli.
Si dice così, no? Quando non si sa che pesci prendere e la quotidianità ci fa cagare.
Se scorro nelle pagine precedenti, rileggo in fila tutte le mie riflessioni contenute in questo vecchio IPad, utilizzato praticamente come macchina da scrivere, e compagno di molte sortite in terra straniera, per la maggior parte realizzate per la Francia, la Cina, ultimamente anche il Kosovo, una sorta di archivio costituito da brani di ciò che ho fatto negli ultimi dieci anni. Un memento di quello che ero e al momento non so se lo sarò ancora in futuro. Ma così è.
È una strana sensazione quella che sto vivendo, mi fa piacere andare, ci mancherebbe, è giusto per gratificare nuovi lettori e onorare il mio lavoro, ma è come se dovessi rivivere le gesta di qualcuno che faccio fatica ad far albergare dentro di me, quasi come se non volesse starci e facesse fatica. Tranquilli, non sto diventando un paranoico schizoide, forse ho bisogno di passare dal gommista per una riequilibratura delle gomme o una sostituzione delle stesse. Probabilmente hanno percorso troppa strada, si sono consumate e sono calate di pressione.
Parliamo d’altro.
Le spiagge sul litorale che sono visibili dal treno lungo il tratto costiero del tragitto per Firenze, rivelano il diradamento progressivo e costante dei turisti (in questo periodo per lo più tedeschi), ancora abbastanza numerosi, ma che rappresentano il canto del cigno di questa lunga e calda stagione estiva. Quest’anno l’estate è cominciata prestissimo, non ci ha dato tregua col caldo intenso e prolungato, e adesso vuole chiudere i battenti avendo fatto del suo meglio. Io in realtà vivrei in un’estate eterna, vorrei non finisse mai, magari interrotta da qualche sano acquazzone (e non quelle piogge tropicali che allagano pianure e rovinano colture), ma in realtà più che i solleoni e i bagni al mare, adoro l’atmosfera di quella stagione, di quel tempo spensierato che probabilmente riconduco alla giovinezza, ma che poi mi rendo conto idealizzo in quel mese di Giugno che è foriero di una stagione carica di promesse, come fosse il mio  personale “sabato nel villaggio”.
Comunque stasera sarò con Luca e Francesco, i miei partners di quell’Accademia Nemo, che tra le altre mille cose, in parte è anche la causa delle mie paturnie, visto che per mia somma fortuna, mi ha concesso scelte che solo la sua presenza mi ha permesso e fare, e che anche adesso, tra i miei mille dubbi, mi concede di coltivarli senza troppi traumi e pericoli, privilegi che non tutti possono avere, e di cui gli sarò eternamente grato.
Questa estate il Dinamico Duo l’ho visto pochissimo. Ci siamo sentiti sì, ma la latitanza l‘ha fatta da padrona tenendoci lontani, e soltanto la ripresa della scuola ci rimetterà vicini e sodali nei nostri impegni e nei nostri destini comuni.
Alla stazione c’è più fila che taxi, decido allora di farmela a piedi, dove devo andare  non è molto lontano, ma è ancora caldo, un caldo fastidioso che ti si incolla addosso, e che devi sopportare insieme alla calca di turisti che affollano le vie del centro. Pazienza.
Abbiamo incombenze americane, in città c’è Caitlin, la figlia di Tony Bancroft (il co-regista di Mulan) and husband (il simpatico Joe, un vichingo dall’aspetto bonario e solare), che ci accompagnano, dopo un aperitivo, alla cena che celebrerà il compleanno di Federica (non lo sapevo, ma che tempismo, mi dico), la compagna del mio socio e colonna portante del nostro corso di Animazione.

Joey, Caitlin, Laura, Francesco, Carlo, Federica, Luca e il sottoscritto alla cena al Finisterrae.

La cena al Finisterrae procede benissimo, bagnata da un Bruciato degli Antinori, un vino rosso prodotto dalle mie parti, e dalle solite amene chiacchiere tra noi (con vari aggiornamenti sullo stato dei nostri interessi) e il consueto scambio Italia-America fatto di curiosità, confronti e simpatici baloccamenti.
Prenoto il taxi per la mattina dopo, non che tema di non trovarli, ma per la certezza dell’orario, alle 5,30 non ci sono file a rompere le scatole, ma neanche miriadi di vetture, e poi in vecchiaia si diventa previdenti.
La notte non è particolarmente riposante, la finestra è aperta sulla strada per smorzare il caldo, e i rumori che provengono da via Ghibellina mi svegliano più volte, allungando illusoriamente i tempi, ma impedendomi il sufficiente riposo nelle cinque ore scarse che mi dividono dalla sveglia.
Adesso sono qui all’aeroporto, ed inganno il tempo scrivendo e riempiendo queste pause di fronte al bar dell’aeroporto che sforna colazioni e panini  a go-go, ad un variopinto parterre di stranieri vestito in ogni modo, che c’è da divertirsi solo a vedere le sfilate di personaggi che transitano da lì. Se c’era una cosa che mi piaceva all’aeroporto di Firenze, era il lungo corridoio posto prima dello stretto budello che permette di raggiungere i gates; nella recente ristrutturazione, erano state poste delle comode sedute circolari provviste di interruttori per la ricarica dei devices (ci sono ancora ma sono stati spostati più avanti, ma ne hanno ridotto il numero), un ampio ambiente che dava un respiro architettonico che compensava l’angusto spazio successivo delle partenza, evidentemente impossibile da ampliare. Adesso questo spazio è scomparso, per lasciare il posto a un nuovo cancello d’imbarco, inserito, come si vede, in modo corsaro e che da sentore di provvisorietà. Ecco, visto che la ristrutturazione dell’aeroporto è recente, vedere cose del genere, è l’indice inequivocabile dell’incapacità di programmazione tutta nostra, l’impossibilità di essere lungimiranti e pensare spazi e ambienti futuri senza dover ogni volta sacrificare qualcosa per mancanza di una visione in prospettiva. Vuol dire non avere considerato spazi passibili di cambiamento d’uso, e quindi hai subito sacrificato qualcosa per tamponare una nuova esigenza, a solo poco tempo di una riprogettazione del tutto. E vabbè.
Il 25 si vota, e la politica italiana ragiona esattamente così (…ragiona, diciamo proclama), giusto per non fare polemica. Ma mi fermo subito.
Scendo al piano inferiore e l’imbarco è già iniziato, il serpentone delle persona si snoda nell’angusto spazio dei gates, un quarto d’ora di fila, e poi ci sediamo in coda a un Airbus A 319 pieno fino all’ultima poltroncina. E adesso, nella speranza che il cagnetto che ha il medesimo aspetto di un topo muschiato e la simpatia di una zanzara tigre, che è alle mie spalle e che abbaia con latrati striduli, si zittisca, mi farebbe piacere recuperare quel riposo che la notte mi ha voluto negare. Sperem.
Madrid, sto arrivando!
Arrivo in perfetto orario con una giornata luminosa come quelle che solo settembre sa offrire. L’aeroporto dista dalla città soltanto una quindicina di minuti, rapido, veloce e indolore, quasi come una puntura Pic.
Anche l’albergo, in posizione centrale, è piuttosto comodo: l’Hotel Claridge ha un aspetto piuttosto moderno, potrei sbagliarmi ma l’architettura ha una sua austerità che mi ricorda gli edifici degli anni ’70, un mix fatto di toni un po’ cupi e un desiderio frustrato di modernità, interni scuri, poltrone in velluto, boiserie in legno che gli da un aspetto più nobile di quello che probabilmente è, ma è confortevole.

La camera dell’Hotel Claridge.

L’unico problema è che le tempistiche spagnole differenziano leggermente dalle nostre, e devo attendere quasi un’ora e mezza per avere la camera, per cui il mio piccolo progetto ci concedermi almeno una passeggiata nei paraggi, favorita anche dal clima e dal sole, va a farsi benedire.

Sono in camera da solo cinque minuti, che ricevo un messaggio da Elena (che in questo caso non è mia figlia), che mi avverte che sono arrivati e mi aspettano nella hall.
Ad attendermi, come mi aspettavo c’è Elena una delle mie interfacce all’interno della casa editrice e che sarà, all’occasione, anche l’interprete, Daniel l’editore, e Jaime responsabile della diffusione. L’impatto è positivo, si rompe subito il ghiaccio, sono tutte persone semplici, simpatiche e tra latini si capisce subito che l’intesa si trova facilmente, mediata da caratteri, culture e spontaneità che ci accumuna. E non rimango deluso.
Entriamo nel vivaio delle dinamiche editoriali, chi sono,  cosa vorrebbero fare e quali sono i loro piani per diventarlo. Io faccio altrettanto.
Mi hanno scoperto come un autore che rappresenta il loro modo di pensare il fumetto e vogliono stringere una collaborazione che in futuro potrebbe essere molto proficua per entrambi.
Io colgo l’occasione per ringraziarli per la splendida edizione dei due albi (vedo “La espada y la cruz” in quel momento, ma è realizzato con la medesima cura di “Mimbrenos”), per l’attenzione con cui hanno valorizzato ogni riferimento di documentazione inserito nella storia, di ogni dettaglio storico, trattato e ampliato nella bella introduzione all’albo, fatta di un testo ricco e puntuale con foto e riferimenti davvero precisi
Non è un caso, perché la cARTEm è una casa editrice specializzata in riproduzioni d’arte, nella realizzazione di esatti fac-simile di opere pregiate, testi antichi, documenti storici che sono pezzi unici e della quale le riproduzioni, curate nei minimi dettagli, saranno appannaggio di appassionati, cultori e collezionisti di opere d’arte. Ma da poco più di un anno si sono aperti anche all’arduo mercato del fumetto, che anche in Spagna sta diventando importante e che, ed è quello che emerge dalla nostra chiacchierata, ha più o meno le stesse dinamiche di quello italiano. La targettizzazione del mercato, l’ascesa del manga, la proliferazione di pubblicazioni che intasano le librerie specializzate, la nuova apertura del fumetto all’interno delle librerie generalista ad opera dei graphic-novel.
Vi ricorda niente tutto ciò?
Appunto, per avere un’idea precisa della globalizzazione che fagocita tematiche,  stili e modalità interscambiabili tra loro, basta girare un po’ anche nelle vecchia Europa, per averne una prova. Tutti siamo succubi, protagonisti o vittime (fate voi) delle stesse dinamiche.
Prendiamo el coche e ci dirigiamo verso il centro, dove si trova la libreria Generation X, una delle tante distribuite in molte città, un franchising sullo stile di Forbidden Planet, e dove avrò l’incontro nel tardo pomeriggio.
La città, anche vista dall’auto è bella come la ricordavo, imperiosa e solenne, con architetture ottocentesche che risplendono alla luce del sole settembrino che ha, tra le sue qualità, quella di scolpire le forme e i volumi degli edifici come fosse un fotografo d’arte. I viali sono ampi e alberati, anche questa è una città giovane, lo si vede dagli spazi che offre alle vie, trafficate ma che danno l’impressione di essere ordinate e pulite. Ci fermiamo e lasciamo la macchina in un parcheggio sotterraneo vetusto, e lo si evince dall’altezza minima con la quale si può accedere, segno evidente che quando lo si è progettato, i SUV erano ancora da venire, e le altezze delle auto erano  loro più ridotte, perché dubito che oggi alcuni modelli possano entrarci.
Ci inoltriamo tra i vicoli del centro, stretti e caratteristici, pieni di finestre e illuminati dal sole e al tempo stesso riparati da lunghe ombre, una miriade di localini si snodano lungo di essi, e sono pieni di avventori che, ad occhio e croce sono appena all’aperitivo, sono le 13,00 ma qui tutto slitta allegramente di almeno due ore.
Insieme a noi si unisce anche Adisa che si occupa di diritti e vendite che pranzerà con noi, è  di origine bosniaca ma è vissuta per molti anni in Italia, a Senigallia (proprio una delle città colpite dal nubifragio del giorno prima) e finiamo anche per parlare di quello.

Ci fermiamo di fronte ad un locale come gli altri (mi dicono che gli è stato consigliato, gli editori sono infatti di Salamanca e sono venuti a Madrid appositamente per conoscermi e stare con me per tutto il giorno), il nome dichiaratamente proustiano “Al buscado del tiempo perdido”, un po’ pretenzioso ma simpatico. In realtà vista la confidenza e la spontaneità con la quale si parlano, sembrano conoscersi da tempo, e ci fanno accomodare in una saletta al pian terreno, capisco che, appunto, ci facciamo un aperitivo prima di passare di sopra per la comida.
Continuiamo a parlare amabilmente e poi ci servono gli antipasti, buoni e appetitosi fatti di bocconcini, jamon (il prosciutto per i più sprovveduti) e polpettine. Io credevo di avere già quasi terminato quando arriva il vero e proprio pasto, tre piatti fatti di carne di maiale,  loro morbida e cucinata in modi diversi, con patatine e spuma di olive: eccellente. Abbiamo chiuso con una cheescake consigliata da loro, che era davvero strepitosa (termine questo che a loro faceva molto ridere perché nel loro lessico ha una valenza un po’ diversa ma che trovavano tuttavia appropriato. ma evidentemente divertente).

Il pranzo “Al buscado del tiempo perdido” insieme a: Daniel, Adisa, Jaime ed Elena.

Abbiamo terminato poco dopo le tre e mezzo, ma i tavoli del locale si erano riempiti da poco più di un’oretta ed erano nel bel mezzo del loro pasto, tanto per dire.
Usciamo e ci incamminiamo tra i vicoli, poi ci dirigiamo verso Plaza Mayor, nel cuore delle città, la classica piazza centrale che caratterizzano le città spagnole, un enorme spazio quadrato circondato da un edificio dalla forma regolare e continua con decine di finestre che guardano all’interno, una struttura architettonica affascinante e che denota immediatamente il tutto. Ci sediamo ad un locale all’aperto, e ci godiamo il tepore di questa giornata che si è concessa a noi in tutto il suo splendore. Trascorriamo del tempo mentre al centro della piazza è montato un set dove stanno girando, mi dicono, una serie per Netflix. Pare che da quando il grande network ha aperto i battenti, Madrid sia diventato un grande palcoscenico.
Si sta avvicinando l’ora dell’incontro e ci avviciniamo al luogo preposto.

Il gruppo che si gusta una sosta ristoratrice in Plaza Mayor (anche nelle due foto sopra), da sx: Adisa, Elena, Daniel, Jaime e io.

Generation X, il negozio che lo ospiterà, è in una invidiabile posizione centrale, è ampio ed allestito con gusto ed attenzione per il dettaglio, ha ampi spazi e un grande assortimento di volumi, libri di genere, giochi di ruolo e un assortimento invidiabile di action figures.

Lo spazio- libreria Generation X.

Il tempio ideale dell’intrattenimento comics/ludico del tempo.
L’enorme numero di albi in tutte le loro forme (in Spagna si realizzano anche gli spillati), omologa a tutto il comparto editoriale di genere anche questo paese, che non scampa alle logiche di mercato sempre più simili tra loro. Riconosco autori francesi, spagnoli e molti colleghi italiani… oddìo molti, Fior, Igort, spuntano curiosamente (ma con enorme piacere) tre volumi di Andrea Pazienza, Zerocalcare (sì, figurarsi se mancava, e lo conoscono anche per la serie animata TV), l’albo di Saviano, e poi il sottoscritto a cui hanno dedicato un’intera parete tappezzata dalle mie due ultime uscite, ma questo non fa testo, è ovvio, sono l’ospite della giornata.

Io e Daniel, l’editore.

Nella parte finale dello spazio, c’è anche un bar dove campeggiano simpatici tavolini caratterizzati da vistose tovaglie a quadretti verdi e dove si possono consumare caffè, bibite e frugali merende, e per l’occasione diventerà il luogo dove effettuare le dediche sugli albi. Il posto è davvero carino e accogliente.
Intorno alle 19,00 inizia l’incontro, non potrò utilizzare le foto che avevo portato per problemi col PC del locale e ci sediamo al centro della libreria, allestito con sedie che verranno presto occupate tutte e microfoni per l’uso.
Sorvolo sull’ora abbondante nella quale mi hanno presentato e nella quale mi sono descritto, il tutto di fronte ad un auditorio attento e concentrato, anche se mediato inevitabilmente da Elena che traduceva ciò che dicevo con una precisione millimetrica, non perdendosi nessuna delle mie parole.
Figurarsi, da come annuivano alcuni, avevo quasi l’illusione che capissero anche quando parlavo in italiano, ma temo fosse solo delirio di onnipotenza.

La sala non si può definire gremita, ma del resto è solo l’inizio, arriveranno in seguito.

Poi la sessione delle firme che è durata quasi tre ore, le persone si aggiungevano alle altre e la giornata è stata molto proficua. Comunque sì, avete capito bene, praticamente abbiamo finito quasi alle 23,00, perché quello è l’orario di chiusura del negozio, non di tutte le attività commerciali (per gli altri i battenti si serrano alle 21,00).
L’avevo già detto, qui slitta tutto di almeno un paio d’ore, quasi che per gli spagnoli le giornate avessero due ore in più.
Mangio un boccone offerto dalla gestione, e poi ce ne usciamo per le strade della città, in una serata bellissima e tiepida, avvolti da una temperatura ideale, circondati dal flusso della movida madrilena fatta di localini aperti e un costante via vai di persone.
Ma non è finita, in albergo mi aspettano altre dediche da fare, e queste sono per la cARTEm, i loro clienti, il socio, Daniel e Jaime, e ne ho per quasi un’altra ora.
Ci lasciamo a mezzanotte, io stanco ma soddisfatto di questa bella esperienza, loro con ancora un paio d’ore di viaggio da affrontare  per rientrare nella loro Salamanca, ma altrettanto contenti, almeno così mi sembra.
Ho conosciuto nuovi amici, belle persone alle quali invidio quell’entusiasmo tipico di chi affronta una nuova esperienza che si schiude davanti a loro con tutto il bagaglio di novità, speranze e aspettative com’è prerogativa di ogni sfida e di ogni avventura.
Buona fortuna cARTEm, spero di collaborare con voi in questo vostro nuovo viaggio.
Anche il sabato mattina è splendente, la Spagna non ha voluto deludere le aspettative di chi, come me, ogni volta che la penso non riesco ad immaginarla senza sole. La colazione è misurata e consumate in una sala vuota, se slitta tutto di due ore, è chiaro che le 8,00 sono troppo presto.
Arriva il taxi chiamato dalla reception, l’aria fuori ha il giusto mix tra la bellezza dei riverberi del sole e il clima settembrino, e tutto brilla come lucidato da un detergente. Il traffico è regolare e modesto, e in quindici minuti arrivo al Terminal 4.
Il resto è noia: le solite pratiche con le tempistiche giuste, gli orari calibrati al quarto d’ora, la puntualità di imbarco, partenza e arrivo ha quasi del soprannaturale, con un timing che rasenta la perfezione, mi ritrovo alla stazione di S.M. Novella di Firenze con un anticipo di mezz’ora sul treno che non credevo di poter prendere.
Sul treno finisco di completare il mio report, che negli ultimi tempi si sono fatti sempre più distanti tra loro.
È così mi pongo una domanda ineludibile, visto il mio stato d’animo attuale:
È cambiato qualcosa nel mio atteggiamento?
Probabilmente no, ma di sicuro nella vita alcune prospettive cambiano a secondo dell’angolazione con la quale decidiamo di osservarle, esattamente come in geometria.
Non mi faccio illusioni, mi conosco, ma di certo queste zingarate mi fanno bene, me lo hanno sempre fatto, lo so, vorrà dire che cercheremo di aumentarne la frequenza.
A scopo terapeutico.

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