COLOMIERS, LA PRIMA VOLTA

Me l’avevano detto Patricia e Jean-Jacques , due collaboratori della Mosquito simpatici ed estremamente disponibili, entrati tra le mie amicizie dalla porta principale: Colomiers è un Festival ben organizzato, un po’ fuori dalle rotte che batto generalmente, e quindi utile da frequentare. Quest’anno ho accettato di buon grado, anche se il farlo mi ha impedito di partecipare ad Illzach, festival che frequento da anni e dove ho modo di incontrare oltre che molti amici, anche svariati colleghi italiani, sempre numerosi in quella manifestazione.

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Il poster della manifestazione.

Sveglia di primissima mattina, anche troppo, specialmente in un periodo dove il dolce dormire mi sta diventando un lusso raro. Ma devo cambiare a Roma in direzione Blagnac, l’aeroporto di Tolosa. Volo e cambio perfetto, il tempo è favorevole e sul volo per la città francese siamo distribuiti a macchia di leopardo per l’intero spazio dell’Airbus che ci ospita, tanto siamo pochi.
All’arrivo incontro la mia/nostra chaffeur, che insieme a Maria e Ileana (due autrici rumene e Sebastian e Claire, entrambi tedeschi, ci porta alla Salle des Fetes di Colomiers, un sobborgo di Tolosa, città famosa per essere una delle sedi dell’azienda Airbus, fabbrica costituita da un consorzio europeo (Italia esclusa) che, appunto, costruisce aerei.
La sala è molto grande, illuminata con attenzione è molto ben distribuita, l’ambiente è caldo ed accogliente, la manifestazione sta per avere inizio, infatti il venerdì è prevista la presenza delle scolaresche, ed infatti al rientro del nostro pasto, troviamo la struttura piena di bambini e maestre che sinergicamente prendono possesso della manifestazione, la vivono è la condividono come si dovrebbe fare ovunque, avvicinando i giovani (lettori) al fumetto in primis, ma alla lettura in generis.
È uno spettacolo per gli occhi.
Poi ovviamente comincia la danza delle dediche, io non ho propriamente un “prodotto” per bambini ma, evidentemente, gli adulti presenti lo apprezzano e Hasta la Victoria! va via a serie complete, cioè a quattro volumi alla volta (esaurendosi prestissimo).
Si comincia bene.

Una delle caratteristica del Festival di Colomiers è che è una manifestazione per piccole realtà editoriali, noi della Mosquito in questo contesto siamo dei veri e propri “big”, quasi delle “major”, per cui tutto intorno ci sono stand di giovani autori e giovani autrici che propongono cose alternative e un po’ fuori dal melting-pot dell’editoria più convenzionale, quasi tutti vendono direttamente, per cui si può definire un festival a propensione culturale, anche perché, con sommo stupore, vengo a sapere che la gestione non è affatto affidata ai solitibenevoles e appassionati, ma è totalmente finanziata dal municipio.
Il budget pare sia 135.000 euro, si avete capito bene, questo è quello che sono capaci di investire in cultura da queste parti, non solo lo dico con invidia, ma anche con quella rassegnata consapevolezza che noi, risultati simili, con una programmazione di questo tipo è con questo spirito, non saremmo mai in grado neanche di concepirla.
Perché l’intera manifestazione non ha nel suo DNA la vocazione al business, bensì alla divulgazione, il prezzo d’ingresso è ridicolo e il costo degli stand pure, perfino gli editori sono ospitati a spese dell’organizzazione, se avesse vocazione commerciale, inviterebbe autori di prima grandezza, popolari e di grandi produzioni editoriali e farebbe pagare il tutto in modo tale da rientrare con le spese, ritagliandosi ovviamente un lauto guadagno.
Quando si dice investire (senza immediato ritorno) sulla comunità in cultura, si finanziano operazioni come questa, con un’altissima percentuale di giovani (di cui io ovviamente non faccio parte), che hanno proposte alternative, interessanti e di alto tasso innovativo ma, proprio per questo, non di facilissimo appeal.
Ma tant’è!

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Tre foto della manifestazione prima della sua apertura, da notare il bel pannello della Mosquito con un’allegoria di disegni estrapolati dai lavori realizzati da ogni disegnatore della casa editrice, da Toppi a Zezelij, Deflandre e Micheluzzi, Le Hir, Wasterlain, il sottoscritto e molti altri.
Nell’ordine: Hannu Lukkarinen, Patrica e Zaza.

La cena un po’ rocambolesca, per colpa di una disorganizzazione della struttura a far fronte a così tanti coperti, è al Bowling, un’enorme struttura alla periferia della città, comprensiva perfino di discoteca.
Ma è al nostro rientro in albergo, convulso per colpa della perdita di orientamento del navigatore di Jean-Jacques (ed ho detto tutto….), mi arriva un messaggio da mio cugino: – Te tutto ok?- ma non faccio in tempo a leggerlo che mi arriva la chiamata, ed è così che i miei amici francesi vengono a conoscenza da una telefonata di un italiano, di tre attacchi terroristi nella loro capitale, il disordine, il caos e la disperazione della gente in strada nella consapevolezza dei morti e del l’insicurezza crescente.
Peccato, andiamo a letto distrutti (almeno io, sono già morto da un paio d’ore ma ancora stento a rendermene conto), ma la serata purtroppo, finisce così.
Domani spero di mettere insieme qualche ora in più di sonno, tanto che le notizie non saranno buone, lo so già.

Non ci sono riuscito.
Non ho messo insieme più ore del solito, e sì che ne avevo bisogno, di prima mattina mi sono svegliato per problemi digestivi, il doppio pranzo  a base di canard (a pranzo e cena) mi sono stati fatali, e sono riuscito a dormire poco anche nel giorno in cui ci speravo di più.
Colazione frugale, rubando un posto in una sala colazione affollatissima, e poi alla sala delle feste.
Il continuo della giornata è inutile da descrivere, sono una serie di dediche dietro all’altra, esauriamo l’ultima serie di Hasta la victoria! e ripartiamo con le altre, fino all’ora di pranzo, dove ci dirigiamo verso il “Cotton Club”, uno dei locali convenzionati con la manifestazione.
Ma noi fumettari non finiamo mai di lavorare, e o per delizia o per dovere, dobbiamo pagarci il pranzo con un disegnino comunque, ed il gestore del locale, di chiare origini italiane, una volta venuto a conoscenza che siamo due autori presenti alla manifestazione, ci chiede di realizzargli un disegnino a tema (a me e Hannu Lukkarinen, l’autore finlandese con cui condivido le sessioni di dediche), in pratica ci dobbiamo guadagnare anche il pranzo, come se non l’avessimo meritato.
Io, con una biro, senza occhiali ed andando ad intuito, realizzo un sassofonista nero, Hannu si destreggia raffigurandosi con trench nella migliore tradizione degli anni ’30.

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Jean-Jacques, Hannu ed il sottoscritto at work.

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Cotton Club, ora pranzo, noi autori il pranzo dobbiamo guadagnarcelo ovunque e comunque, per cui: disegno per il ristoratore.

Prima di rientrare nella sala convention, ci dirigiamo verso la mediateca, lo so, noi siamo poco abituati a queste strutture, ma la Francia ne è piena, biblio-videoteche a disposizione del pubblico, dove erano allestite un paio di mostre di raro interesse, con molti visitatori estremamente interessati (ho notato mamme con bambini in età davvero minima) che si destreggiavano nell’ardua spiegazione di disegni ed illustrazioni di David B. Un autore davvero interessante e allo stesso tempo impegnativo, che ha fatto della malattia del fratello (l’epilessia), il filo conduttore di molte sue opere, tanto per citare i riferimenti.

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Un pannello dell’artista in mostra: David B.

Ora da qui potrebbe partire una filippica lunga come l’Aurelia, ma eviterò di fare troppi riferimenti, ma una cosa va però detta, la differenza sostanziale, e parlo di sostanza vera, è l’attitudine della manifestazione fumettistica francese e la sua vicinanza all’arte, in quanto espressione artistica e ricerca formale e sostanziale di un messaggio grafico e di testi che non ha come voce principale la vocazione commerciale, ma quella espressiva alla costante ricerca di un linguaggio originale.
E Colomiers è un festival che di questa attitudine fa un suo principio portante, le piccole realtà editoriali di cui è composto ne sono una prova evidente, qui ogni casa editrice esprime un linguaggio originale, magari non di facile lettura e tanto meno di facile commercializzazione, ma l’idea è quella: trovare una propria strada e cercare di trovare chi ha voglia di condividerla con noi.
Per cui siamo circondati non di santi o santoni o di facce stranote, ma di una moltitudine di ragazzi under trenta che propongono un loro linguaggio e, non potendolo fare con le case editrici tradizionali, se ne fondano una per conto proprio dove, in festival come questi, cercano di trovare spazi di condivisione delle proprie idee e diffusione per i loro progetti.
Diciamo che sono uno sguardo verso il futuro.
Qui è possibile, non è facile e ci si deve credere, ma ci si prova.
E qui, anche per noi, ogni lettore è una conquista, perché Colomiers non è un festival dove si trovano “cacciatori di dediche”, ma di lettori che, senza preclusioni cercano qualcosa da leggere, e possibilmente originale. Ma ogni potenziale lettore che si ferma a scrutare cos’hai da proporgli è lì senza conoscerti, senza sapere chi sei e valutabile solo da quello che hai esposto, per cui non si formano le file convenzionali come negli altri festival ma, se ti va bene, hai un flusso costante e continuo di gente che si alterna a chiederti le dediche.
Posso dire che è andata bene, ma l’approccio è stato ben diverso da altri festival.

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La splendida piscina di Colomiers, e successivamente una biblioteca itinerante con annesso padiglione ludico e un autobus su cui, come vedete, c’è scritto cultura mobile, il tutto antistante la ludoteca della città.

Poi si riparte per il pomeriggio.

Sono stanco, e la pesantezza dei giorni precedenti con orari di lavoro tirati fino alle due di notte e senza possibilità di recupero, si fanno sentire.
Ma adesso sono finalmente nella mia stanza, dopo una cena conviviale in un rumore assordante ed a base di pesce, buona ma non pesante, dopo un rientro in albergo circondati da una nebbia umida ed avvolgente, me ne sto qui a spippolare sull’Ipad nel tentativo di anticiparmi sulla scrittura dei miei report, non ho la mente fresca, ma le cose da dire sì, sono di giornata e non ancora scadute.
Penso ad una calda doccia, il pigiama fresco e la pesantezza delle coperte.
Avete capito.
Buonanotte.

Il buongiorno c’è lo dà ancora la nebbia, segno evidente che sopra splende un sole interessante ma che se ne sta ben bene nascosto, per il momento.
La manifestazione parte sonnacchiosa, si sa, i bagordi del sabato sera si pagano la domenica mattina, ma poi si risveglia sul tardi ed è un’incessante realizzazione di dediche, ma niente da rilevare.
L’organizzazione ci avvisa dell’anticipo della partenza per l’aeroporto di Blagnac, a causa degli attentati parigini è stata rafforzata la sicurezza e sono previste code più lunghe per l’accesso agli imbarchi internazionali.
Pausa pranzo con Hannu Lukkarinen, Isabella in arte Zaza, e Daniel, disquisiamo sulle difficoltà del fumetto, le leggi del mercato, la visione commerciale del mondo ed i suoi guasti, insomma, le solite cose.
Se c’è un vantaggio ad essere gli unici italiani ai festival è l’obbligo inevitabile all’uso continuo e costante del francese, esercizio fondamentale per impararlo e farsi capire meglio ed impratichirsi, certo stanca, ma questa pare una condizione irrinunciabile quasi per tutto.
È l’ora della partenza, un caro saluto a tutti ed un ringraziamento agli amici della Mosquito, anche loro soddisfatti di avere approfondito un’amicizia che a volte rischia la superficialità, quando la nostra compagnia è condivisa con italiani ed ospiti che parlano italiano, io ho conosciuto meglio Patricia e Jean-Jacques, che sono due persone adorabili, simpatiche ed estremamente disponibili, me ne ero già accorto in precedenti occasioni, ma questa volta ne ho avuto la conferma.

All’aeroporto le file ci sono ma non sono drammatiche, il tempo abbonda e non siamo stressati dai minuti, adesso comodamente seduti su una poltrona circolare in attesa dell’imbarco per Roma, abbiamo tempo di scrivere, ed è così che i report vengono terminati in loco.
Meglio così, non avrei più il tempo di farli, e come privarsene altrimenti?

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