Abbiamo saltato un anno, che dal punto di vista della monotonia delle frequenze è anche un bene, se non fosse che il bagno di folla per edonisti all’ultimo stadio come siamo io ed i rappresentanti della mia categoria, alla fine manca.
Si fanno le stesse cose, si calpesta lo stesso selciato, le stesse pedane e spesso si incontrano sempre gli stessi amici e colleghi, ma nonostante tutto, quello a cui sei abituato, quando non ce l’hai, lo desideri.
Quest’anno non sarà così, ho un western in uscita, il mio primo western, e non so come mai, sarà che è un genere che ho sempre adorato ma mai realizzato, sarà che il fascino dei cowboy è rimasto immutato nel mio immaginario e nei miei gusti di bambino poco cresciuto, ma ho la presunzione di aspettarmi una buona accoglienza, atteggiamento perfetto per andare incontro a delle sicure delusioni.
Ma così è.
Richard Corben, vincitore del Gran Prix dell’anno scorso, ha realizzato l’affiche della manifestazione.
Mercoledì.
Per non farsi mancare niente sono partito con un giorno di anticipo, non per eccesso d’entusiasmo, ma perché convinto di avere lezione a Firenze, e quando invece sono arrivato lì, mi sono ritrovato libero. Colpa mia, a volte do per scontato cose che scontate non sono e tendo anche ad immaginare di avere detto cose che invece non ho detto… sono da rinchiudere? Può darsi, ma è meglio non dare troppi suggerimenti a mia moglie, potrebbe approfittarne.
Ad ogni modo, mea culpa… così dopo aver trascorso una giornata alla mia scuola nella sempre gradevole compagnia dei miei soci e finita al Tijuana, il locale messicano che a volte prediligiamo quando vogliamo mangiaci burritos e nachos come ieri sera, stamani sono partito alla volta di Pisa, dove devo partire nel pomeriggio con destinazione Paris Orly, per poi con un veloce TGV da Montparnasse, raggiungere a tarda serata Angouleme. Un bel trip.
Orly, quando si prendono i mezzi di superficie per raggiungere il centro della città, è una rottura di zebedei in base all’orario di arrivo, a causa del traffico, come ad esempio l’ultima volta che arrivai a quell’aeroporto, se non sbaglio per il festival di Blois, e presi sicuramente lo stesso aereo, con la complicazione che allora arrivai di venerdì, in coincidenza del fine settimana.
Spero solo di avere più tempo (e dovrei averne), ma il tutto favorisce la crescita, inutile dirlo, del mio stress, tenuto a bada a stento nelle ultime settimane dopo lo sprint finale nell’ultimo anno, ed è già lì che affila le armi per tornare protagonista, sento già il suo sogghigno alle mie spalle e lo strofinìo delle mani tra loro, non lo conoscessi…
È inverno, lo so che non sto dicendo niente di rivelatore, ma in questi giorni il freddo e la neve che fa capolino sopra un certo metraggio di altitudine, conferiscono al periodo quelle caratteristiche che talvolta sono soltanto legate alle date, ma non hanno riscontri oggettivi. Oggi, arrivando a Pisa, sulla sommità del monte Serra completamente nascosto da una coltre di nubi, come fosse zucchero a velo sul pandoro, la neve aveva spruzzato il suo bianco candore sulle cime color castagna.
E pur non volendo fare il menagramo, se tanto mi da tanto, non so bene cosa aspettarmi ad Angouleme che, scoperta ai venti atlantici com’è, in questo periodo potrebbe essere sicuramente territorio prediletto di orsi polari e pinguini, condizione che non dico sempre, ma spesso ci ha offerto.
Sono partito leggero, senza borsina professional al seguito e solo con l’astuccino che usavano i miei figli alle elementari per penne e pennarelli in valigia (quando si dice il professionista che anche nei dettagli fa di tutto per esaltare il proprio status), Easyjet è noiosa e fiscale sui bagagli a mano, ed io non voglio dare appigli perché mi rompano le scatole ai controlli, del resto oggi per essere in, devi essere smart ed aver un atteggiamento easy, se vuoi avere un high profile ed essere trendy, dico bene guys?
Ops mi sono lasciato prendere dalla stronzaggine…
Pur avendo fatto una bella colazione, come faccio sempre quando mi fermo all’Hotel Executive, non ho voluto rinunciare ad uno spuntino all’aeroporto, non foss’altro per placare quella atavica paura di morire di fame che nell’essere umano deve essere rimasta dal pleistocene, e che nessun progresso, nessuna comodità, nessuna agiatezza dell’era moderna, deve evidentemente aver cancellato. Finendo così per prender una plasto-pizza di produzione myChef, quelle un po’ collose ma che si lasciano ingoiare, anche perché dopo il burrito di ieri sera di mettere… vabbè, lasciamo perdere, è sempre carboidrato su carboidrato.
Riformuliamo: avevo evidentemente voglia di pizza.
Mi sono seduto ad un tavolo per gentilezza di una madame seduta da sola ma che occupava ben quattro posti e, essendo l’unico tavolo con un po’ di spazio, ho chiesto se potevo approfittare potendolo condividere. Lei gentilmente ha acconsentito e, credetemi, non era una manovra di aggancio, per quanto la donna non fosse affatto sgradevole, ma sinceramente non volevo essere privato di gustare tutta quella prelibatezza in piedi. Mentre mi sgraffignavo la succulenta libagione, la signora ha cominciato a parlare in francese col suo interlocutore, e attraverso gli stralci sentiti involontariamente, l’argomento era il lavoro, si lamentava del tempo che stava perdendo e bla, bla, bla…
Poco dopo, appena finito il mio lauto pasto, mi sono alzato e con un’eleganza che mi è propria solo quando non vesto abiti quotidiani, nel congedarmi dalla signora ho esploso con una nonchalance degna del miglior gagà di corte un “Bonjour et merci” ( che per difficoltà e originalità, non è propriamente sintomo della padronanza della lingua), ma è stato sufficiente per far scaturire un sincero stupore nei miei riguardi, accendendo negli occhi della madame (per questo l’ho chiamata così) uno sguardo di sincera ammirazione, ed io con cavalleresco incedere mi sono regalmente allontanato, degnandola di un misterioso ed ammiccante sorriso, ma privandola crudelmente della mia presenza.
E per oggi è andata.
Comunque tutto ‘sto scrivere in capo e coda, ma anche senza capo né coda, ai miei report è presto spiegato, sono i momenti di attesa. Infatti adesso sono a Pisa col culo su una scomoda sedia in compensato presso-scaldato a spippolare sul mio fedele I-Pad, dopo avere contato i voli in partenza fino alla fine della giornata, selezionato i miei pards d’attesa, e risparmiandovi, con grande generosità, tutte le eventuali elucubrazioni inutili con cui avrei potuto ammorbarvi durante il viaggio in treno.
Se non sono buono io…
Poi, ben un’ora prima della partenza, quando già la fila per l’imbarco si stava formando, mi sono deciso ad alzarmi, visto il tempo che ero già stato seduto, ma nell’avvicinarmi alla fila ho scorto Laura Iorio e Roberto Ricci, due colleghi che conosco da tempo e che inevitabilmente avevano la mia stessa destinazione.
Mi unisco a loro nella fila e cominciamo a conversare.
Ora, non so quando pubblicherò questo post, ma per la cronaca è stato scritto dopo la messa in onda della seconda puntata di Adrian, il tanto contestato e discusso (almeno in rete) cartone animato con protagonista il “molleggiato”.
Per cui è risultato inevitabile parlare di quello.
Io non l’ho visto, e neanche mi sognerò mai di vederlo, anche se la sua uscita per me è stata pressoché misteriosa, visto che non guardando programmi Mediaset, ero ignaro della maestosa, incalzante ed estenuante promozione che i canali gli avevano fatto nei giorni precedenti.
A riguardo però, ho scritto un post sul frame di una “casetta” che è stata messa in onda e che, per colpa di una bruttezza e di un’imperizia incomparabile, ha sdegnato il “sensibile ed attento” pubblico dei social network, seminando una sequela di improperi degna di un titolo di “Libero”. Io ho già scritto su Facebook, per cui vi risparmio qui le mie considerazioni che, ad ogni modo, non sono tanto sul prodotto messo in onda (che com’è ho detto non ho visto), ma sul mio polemico modo di vedere alcune cose, se proprio non tenete, andate a leggervelo però, detto con la massima sincerità, penso che possiate farne sicuramente a meno.
Con Roberto e Laura è stato logico parlare di fumetto, in fondo è la ragione per cui ci siamo incontrati ed è il nostro lavoro, inoltre siamo all’inizio, per cui abbiamo dalla nostra/mia l’entusiasmo di parlarne perché ancora non abbiamo esaurito né energia, né argomenti, oltre a non essere ancora pieni per parlarne, appunto.
Anche se avremo tempo per esaurirci.
A Parigi Orly però li ho persi, erano diverse file indietro a me e poi nel caos dell’aeroporto, non li ho più trovati, ho scovato fuori dalla toilette (luogo topico quanto necessario) invece Fabio Gadducci, ricercatore universitario ma anche cultore ed appassionato di fumetti, nonché organizzatore di eventi, insieme ad un collettivo di giovani autori Mammaiuto tutti in direzione gare de Montparnasse, al che io, che credevo di prendere un taxi, sconsigliati dalla neve che complicava la viabilità da un generoso addetto all’aeroporto, insieme al gruppetto, ci siamo diretti, dopo avere fatto i biglietti, verso la RER e successivamente in direzione per il metro.
Chiacchierando con Fabio, con il quale tra le altre cose abbiamo condiviso proprio la nostra prima esperienza ad Angouleme, siamo arrivati tra un trasferimento e un cambio, alla stazione di Montparnasse con oltre due ore di anticipo, in tempo per andarci a mangiare due bocconi in un ristorante giapponese lì vicino, conosciuto dall’allegra brigata.
Inutile dirlo, ma l’esuberanza e l’entusiasmo dei giovani sono contagiose, anche se questo mi fa apparire un vecchio bacucco, ma lo sguardo attento e la curiosità di informarsi e la genuina semplicità di chi, indipendentemente dalle difficoltà, ha voglia di crederci, a me fa sempre buon sangue.
Mi mangio un piatto di yakisoba e rollini di pollo bagnati da una birra di Hokkaido, e con la modica spesa di 12,10 € terminiamo la cena.
La stazione si staglia davanti a noi immersa nella notte umida e fredda, con accanto la sentinella vigile del grattacielo di Montparnasse che veglia e sorveglia l’intera Parigi dall’alto. Ci beviamo un pessimo caffè ad una macchinetta automatica, visto che sia Starbucks che qualsiasi baretto a scelta non saprebbe fare di meglio e ci dirigiamo al treno, proprio nel binario di fronte a noi. Ognuno ha una vettura diversa e ci sparpagliamo ognuno alla ricerca della sua collocazione, io continuo ad andare avanti, tanto che se vado avanti ancora un po’ arrivo ad Angouleme a piedi, ed infatti l’11imo vagone è proprio dietro alla motrice. Ma sono in prima classe, posto singolo e laterale al corridoio, in una spaziosa poltrona reclinabile con tanto di pedana, tavolino personale e luce di cortesia, sono un pascià, questa volta Mosquito mi ha trattato davvero bene.
La faccia tra il soddisfatto ed il coglione, nel godere delle comodità della 1a classe del TGV Parigi-Angouleme.
Mi godrò questo privilegio per almeno tre ore, in un viaggio all’insegna della tranquillità, senza avere avuto patemi, avendo usufruito di una simpatica compagnia e trascorrendo il tempo velocemente e in modo piacevole. La realtà sa sempre sorprenderti, anche quando pensi nel tuo sfrenato modo di immaginarti le cose, dovresti mettere in conto sempre l’imprevedibilità della vita, la sorpresa che può offrirti a tua insaputa, ribaltando previsioni, sparigliando le carte per migliorarti l’esistenza.
Il problema, e parlo per me, è che a volte ho poca fiducia, rifuggendo così nel pessimismo che subdolamente appare consolatorio, quasi volessi evitare per scaramanzia le delusioni che potrei incontrare, e per ripararmi dallo sconforto possibile, mi rifugio in un’apatia condita di niente. Questi episodi, piccoli e trascurabili, ma per niente insignificanti, dovrebbero aiutare, e lo fanno, credetemi, a incentivare l’abulìa della staticità, la rassegnazione della stagnazione, l’immobilità della pigrizia, per questo, nonostante il mio bubbolare sovente, e chi mi conosce sa di cosa parlo, alla fine non mi impedisce di muovermi, di andare, di osare in un continuo scoprire cose nuove, faticose e stressanti ma che alla fine ripagano. Sempre.
Ok signori miei, vi ho scarrozzato abbastanza gli zebedei, è ancora non è successo niente, per mia indulgenza adesso vi lascio, e per mia comodità adesso mi godo il viaggio, magari dormendo anche un po’.
Ci vediamo domani.
Giovedì.
La casa dove siamo ospitati io e Gilles, fa parte sempre dello stesso comprensorio residenziale periferico dove sono alloggiati anche gli altri componenti della Mosquito, la nostra “padrona di casa” è una giovane madre marocchina, con un bambino di circa sette o otto anni, probabilmente la moglie di un militare di carriera, viste le foto del militare in divisa mimetica del salotto (scoprirò più tardi che ahimè è rimasta vedova da poco).
Il vantaggio è che io e Gilles abbiamo camere separate (non sempre capita), ovviamente il bagno in comune, ma siamo isolati dal resto dell’abitazione e dividiamo il piano da soli. L’arredamento lo definirei spartano e abbastanza privo di gusto, ma questo non è importante, per cui sorvolerei su tutta un’altra serie di considerazioni che lascerei in sospeso, come faccio ogni volta che il mio soggiorno ha una durata sopportabile e quindi chiudo gli occhi mi tappo il naso e procedo.
Si aprono le danze anzi, poco prima che si aprano, all’interno de l’Espace Nouveau Monde.
Anche sulla colazione soprassederei, nonostante la buona volontà della padrona di casa, passiamo direttamente all’uscita in strada alle 8,30, dove ci troviamo con gli altri per dirigerci in centro della città. La sveglia di buon ora è dovuta alla necessità di arrivare in tempo per occupare i posti auto risicati intorno alla manifestazione per gli standisti, per cui essendo un gruppo granitico e compatto, ma sopratutto allocato a distanze siderali dal centro, dobbiamo partire tutti insieme, avendo così ben oltre un’ora di tempo da consumare prima dell’apertura della manifestazione che è alle 10,00. Tempo che dedichiamo al cazzeggio e, come in questo caso, all’incontro di altri italiani e non, che incontriamo come fossimo a passeggio sul lungomare di casa nostra. Incontro infatti A-Dan, collega francese, e poi Paolo Cossi e Guido Zambotto, Cosimo Ferri, e molti altri con cui ci scambiamo un cenno di saluto, memori dei festival trascorsi insieme.
Poi inizia la corvèe, perché proprio di questo si tratta, interrotta dalla piacevole visita di Alessio Lapo e Simona Mogavino -che sono venuti a salutarmi- poi una incessante sequela di dediche che vanno ininterrottamente dalla 10,00 fino alle 13,00, spazio dedicato al pranzo, che consumiamo io, Lele Vianello, Elisa e Michel al chez Paul, il locale dove probabilmente da qui a domenica consumeremo tutti i nostri pranzi. Al desco si aggiunge anche un amico di Michel, un fan o lettore o non so bene chi, che spesso vediamo allo stand, si unisce a noi e a forza di parlare, parlare, parlare, si mangia anche tutto il tempo rimasto che noi, generalmente, dedichiamo a visite delle mostre o al semplice scouting di albi presso gli stand. Facciamo solo pochi passi, giusto il tempo di incontrare Sergio Pignatone ed il suo battitore d’asta, Stefano Papini, Gianluca Maconi e Andrea Accardi e l’ex direttore del festival di Basillac che ci accompagna all’ingresso dell’Espace Nouveau Monde, dove abbiamo lo stand. Poi si comincia di nuovo, io e Lele gomito a gomito, più tardi arriva anche Capucine Mazille, altra autrice Mosquito che si unisce a noi alle dediche fino alle 15,00 alle 19,00 andiamo avanti ininterrottamente (e non è un gioco di parole), anche se a me la giornata pare anche piuttosto tranquilla (e meno male, altrimenti…), arrivando fino a chiusura mostra.
Il tempo di occultare con un panno nero i prodotti dello stand e risalire tutti sui Van, per dirigersi, neanche a dirlo, al ristorante L’Esperance, tappa fissa, quasi obbligatoria ed inderogabilmente granitica delle nostre presenze ad Angouleme, potrebbero farci addirittura soci onorari con diritto di voto, bacio accademico e pacca sulla spalla, tanto non ne saltiamo una di serata qui.
Tavolata in ordine sparso con il gruppo Mosquito, amene chiacchiere e cena anche piuttosto buona, e poi a letto per le 22,00, giusto per non dire che facciamo vita mondana con la nostra superficialità.
Non mi resta che stare qui, a letto, a digitare sul mio I-Pad alla triste luce di questa rachitica lampada in acciaio cromato con fiori di finto cristallo e lampadine mascherate da simil-trina-metallica, aspettando un’ora decente per decidere di addormentarsi.
Non sono entusiasta del tutto, ho una latente delusione che mi porto dentro ed un disagio che talvolta si fa sentire, non è una Angouleme com’è le altre e lo so, ma butto giù a vado avanti, so di avere vari gradi di sopportazione e sufficiente pelo sullo stomaco per digerire situazioni anche pesanti, anche se intorno a me ho anche persone molto carine che fanno di tutto per essere gentili e disponibili, ma non sono un martire e il giramento di coglioni, a dire il vero, non riesco ad evitarlo.
Speriamo in domani.
Venerdì
Solita sveglia alle 7,15, giusto per essere pronti per le 8,30. Lo so, ho i miei tempi, ed ho bisogno di una buona rincorsa per essere pronto nei tempi previsti.
Poi corsa fino alla città per il parcheggio e poi al bar con Lele ed Elisa, ai quali si sono aggiunti anche Capucine e Michel, giusto un caffè per raggiungere le 10,00 e presentarsi puntuali di fronte ai nostri lettori che, giusto il tempo per entrare che si fanno trovare già in fila diligenti e pronti di fronte alle nostre postazioni, e poi il via per tutta la mattinata senza interruzioni fino alle 13,00.
A pranzo con Camille Zxkiykkwsky il nome è inventato (e ribadisco inventato davvero e anche impronunciabile) del giornalista che è venuto a pranzo con noi, ma che avevo avuto modo di incontrare mille altre volte, e poi con Lele diretti alla libreria sotto Champ de Mars, giusto per il tempo di vedere, in un colpo solo, se c’erano delle novità interessanti.
Nel tragitto perdiamo ulteriore tempo fermandoci a parlare con Francesco Bazzana, commerciante di tavole originali ed un collega, in giro per affari.
Ma anche nella libreria sotto la piazza si sta ingolfando con postazioni di autori in dedica, cosa che rende difficoltosa quello che prima era una gran comodità, e cioè girellare comodamente tra gli scaffali ed avendo tutte le case editrici sott’occhio. Sto per comprare una novità Dargaud, ma ripromettendomi il giorno dopo di andare direttamente allo stand della casa editrice, la rimetto sullo scaffale per non avere le mani ingombre e rimandare al giorno dopo.
Siamo già in ritardo, e la gente aspetta.
Dediche da “Mimbrenos”.
A me non piace fare aspettare le persone che, c’è da dire, hanno sempre una gran pazienza, perché qui davvero aspettano che ci facciamo i c…i nostri, in Italia col cavolo che ci aspettano, be’… in Italia neanche ci sono i lettori, a dir la verità, noi abbiamo risolto il problema alla radice, siamo un paese avanti non c’è niente da fare.
Ci rimettiamo al lavoro e via fino alle 19,00.
Ci viene a salutare Francesco Cattani, anche in quest’occasione di fronte a noi allo stand Atrabile. A dire la verità, verso la fine, in una mia rarissima sosta, ho trovato sulla strada del cesso Barbara Baldi e Sudario Brando Siena, non chiedetemi come faccio a ricordarlo, ma avendo un nome così particolare ed avendolo pure amico su FB, il passo è semplice. Qui mi sono intrattenuto per qualche minuto a fare quattro chiacchiere con loro sulla situazione locale e non e rispondendo a qualche domanda, per poi lasciarli di nuovo e tornare alle dediche.
Alle 19,00 si coprono i libri e si tirano fuori i botti e le stelle filanti, il venerdì sera per tradizione ci sono gli aperitivi che escono a guadagnarsi il pane da ogni stand, per cui una volta usciti gli ultimi visitatori, gli standisti e gli autori si fanno di patatine, stuzzichini, birre e Chardonnay, in più quest’anno erano i trent’anni della Mosquito per cui… si è fatto né più e né meno com’è gli anni scorsi: noccioline, patatine, crocchettine e champagne.
Festeggiamenti a fine giornata per i 30 anni delle Edizioni Mosquito.
Chi passa di lì si ferma, fa due chiacchiere (quattro sono troppe perché deve andare ad un altro stand a sbafare anche lì) prende due noccioline, si fa un cicchetto e riparte.
A noi si aggiunge Piero Ruggeri, che sarà con noi anche a cena che… rullo di tamburi e “annunciazio’, annunciazio” è sempre a l’Esperance.
Partiamo tutti caricati come su un camion bestiame perché siamo in numero superiore alla capienza del Van e ci dirigiamo al ristorante fuori dalla centro della cittadina.
Inutile dire della cena, consumata tra le mura verde acido/rosso malva del locale, in un accostamento che stride anche nella mente del peggior arredatore del Congo, esiliato per l’occasione nelle perdute riserve dei gorilla, e che non induce certo all’appetito.
Rien à dire, le solite, identiche cose.
Buonanotte.
Oddìo, potrei sempre raccontarvi delle peripezie e contorsioni per fare la doccia in una vasca senza tendine, e con la paura di schizzare ovunque, dei dolori delle ginocchia obbligate a stare piegate sul fondo della vasca, usando una nappa a mano perché inserirla nell’apposito sostegno sarebbe diventata un irrigatore da giardino… insomma, una pulizia che vale una conquista, giusto per andare a letto non tanto ristorati, ma consci di aver compiuto quasi un dovere immolandosi sull’altare dell’igiene.
Adesso sì, buonanotte!
Sabato
Inizio giornata come al solito, camionata di Mosquito tutti diretti all’Espace Nouveau Monde alla ricerca del parcheggio, poi la delegazione autori: François Deflandre, Mazille, Lele ed io ci dirigiamo alla brasserie in centro dove ci prendiamo il nostro caffè in attesa dell’inizio della giornata lavorativa, perché di quello si tratta.
Il cielo è tipico della cittadina francese, grigio tendente alla pioggia, che puntualmente arriva, non forte, ma uggiosa e persistente, da rottura di zebedei tanto per capirsi.
Noi intanto cominciamo e, neanche a dirlo, non ci fermeremo più fino al pranzo.
Altre note: nessuna, forse passa qualcuno a salutarmi ma non ricordo chi, tanto sono identici i momenti.
A pranzo con Jean-Marc e la delegazione autori (sempre noi), oggi siamo a La Cabana, il localino adiacente all’Espace ed il municipio, qui Pierre Frigau ed altri colleghi attendono un tavolo per pranzare, mentre noi avendolo riservato ce ne facciamo scherno sorpassandoli simpaticamente, e dopo un’insalata con salmone affumicato e gamberetti e jacamole, io e Lele ce ne andiamo diretti a Champ de Mars, per vedere (almeno io) se trovo qualcosa di interessante da acquistare.
Abbiamo un tempismo da professionisti, e ci ritroviamo forse nella peggiore bolgia della manifestazione, in effetti alla fine ci siamo ritrovati ad andare nel peggior giorno di tutti: il sabato. Fuori pioviscola, la giornata è poco invitante e dentro c’è caldo, c’è troppa gente, c’è troppa confusione e c’è anche troppa roba, troppi libri… ma come si fa?
Si fa che ce ne andiamo, il libro da Dargaud che volevo comprare mi obbligherebbe ad una fila insana, per cui decido di prenderlo nella libreria sotto la piazza, nel centro commerciale dove almeno il giorno prima girare era un po’ più umano.
Dediche da “Mimbrenos”.
L’umanità se n’è andata a farsi benedire ed anche in libreria c’era un gran casino, molte postazioni per le dediche, molta gente e molte file, oggi dev’essere la giornata dei superlativi. Ma il libro c’è, la fila è inferiore, e nonostante il caos l’operazione risulta leggermente più facile, ma la confusione che troviamo anche nelle strade per il rientro allo stand, ci fa arrivare con un po’ di ritardo.
Poi tutto finisce qui, perché una volta seduti rimangono soltanto le facce di chi viene a chiederti la dedica, magari con gentilezza, curiosità, rispetto e in certi casi ammirazione, ma non hai altro dalle 15,00 alle 20,00, il sabato festa grande, si tira lungo fino alle 8,00 pm.
Da ricordare Elisa, l’ultima dedica della giornata, un cervello italiano in fuga, un’architetto piemontese (che non si dica che solo il sud presti i suoi cervelli all’estero) che adesso vive a Tolosa, una bella ragazza alta e dal viso aperto e cordiale che ha voluto battezzare il suo nuovo interesse per la BD con un autore italiano, visto che alla Francia già sta dedicandosi anima e corpo. Grazie.
Ho anche il piacere di vedere Giorgio Zambotto fare la fila per il mio “Mimbrenos”, non ricordo di averlo mai visto nella quattro giorni francofona fare una fila per un mio albo ( anche quando era in compagnia del compianto Salvatore Oliva), ed essendo uno dei maggiori esperti di BD italiani, oltre che storico inviato di Fumo di China, non mi può non far piacere l’interesse (ed i complimenti) verso il mio lavoro.
Il tempo di salutare Barbara Baldi e Sudario Siena alla chiusura, e intorno alle venti saltiamo tutti su Van e auto in direzione del solito ristorante.
Qui prendere carta carbone e ricopiare di sana pianta le cose successe la sera precedente, non prima di avere sostituito, aggiornandoli, i menù.
Poi a nanna, siamo stanchi, è vero, ma non c’è neanche altra alternativa.
Buonanotte, sicuri che comunque non faremo fatica a prendere sonno.
Domenica
Idem come i precedenti, solo due annotazioni sul tempo: instabile con vento freddo anzi, è stabile, molto stabile, non si schioda infatti dalla pioggia.
Stessa route, stesso parcheggio, stessa entrata, stessa processione verso la solita brasserie, sotto radi schizzi di pioggia, ma sufficienti ad essere fastidiosi, e strade deserte, giustamente a monito per ricordarci che è domenica, che il resto del mondo la sera prima ha tirato un po’ più tardi e non è andato a letto come operai turnisti, e probabilmente si è anche divertito in qualche birreria.
Alla brasserie, infatti, pur avendo le luci accese, è tutto chiuso, una ragazza sta sistemando le sedute all’aperto, ma il recinto che delimita la proprietà è ovviamente chiuso. Ci apre, siamo noi che praticamente apriamo il locale, di domenica, che non è propriamente un primato cui andare fieri.
Elisa, Lele, Capucine, François ed il sottoscritto scegliamo (perché almeno quel privilegio ci è concesso), il tavolo che preferiamo, tra i tanti che il locale ci offre, e tra una chiacchierata e l’altra (ma tra noi posso dirlo: si parla di editoria), arriviamo alle 10,00.
Dopo avere realizzato questa dedica, tutti i lettori a seguire hanno acquistato lo stesso albo, voluto la stessa dedica fino ad esaurirlo. Da non credere.
Altra costante di tutti e quattro i giorni sono le dediche, quelle sì, mai interrotte, mai sospese e mai disattese, loro lì con i libri in mano in attesa, noi di là, sorridenti è un po’ scazzati a dedicarglieli, e così via andare fino alle 13,00.
Poi il pranzo tra autori in compagnia di Jean-Marc allo chez Paul, molto vuoto, segno evidente dell’inizio della smobilitazione di molte persone, poi io e Lele via diretti a fare quattro passi in direzione Champ de Mars, mentre François Deflandre ci saluta in attesa del taxi che lo porti alla stazione.
Piazza Champ de Mars in un rarissimo scorcio con il sole.
Saltiamo la mostra di Corben, che tutti ci hanno confermato essere molto bella, tanto non avremo tempo tra cercarla e vederla, e preferiamo così finire al padiglione dei grandi editori in modo da vedere se mi/ci è sfuggito qualcosa, nel tragitto entrambi sembriamo i Blues Brothers, è uscito un pallido sole e noi con ottimismo a sfoggiare i nostri occhiali scuri.
Mi si attacca alle mani un libro di Dupuis di Cassegrain, mi pare un noir e l’autore è bravo, ma subito dopo cinque minuti mi pento di averlo acquistato. Sono fatto così.
Poi torniamo allo stand e ripartiamo da quelli che erano già in coda.
Verso le 17,00 i francesi dell’Ile de France partono e si portano dietro Lele, mentre io resto a soddisfare gli ultimi lettori, mentre tutto intorno a me comincia a muoversi con carrelli, scatoloni e masse umane atte al pubblico sforzo.
La manifestazione sta terminando, io finisco la mia corvèe e mi alzo mentre i componenti Mosquito iniziano lo sgombero, stanno inscatolando libri e scarrellando pile di materiale. Da Atrabile si fa avanti Francesco Cattani e ci fermiamo a parlare un po’, mi piace sempre di più quel ragazzo, e poi avrei voluto salutare anche Ferraris della Rakham, ma era già partito.
La truppa restante della Mosquito si dirige verso la periferia, verso l’Impasse François Truffaut, se la memoria non mi tradisce, dove andremo tutti e sei i componenti Rimasti a cenare da Jacky e Caro, i simpatici l’opera dei nostri amici.
Antipasto a base di Kyr e vin blanche, e poi una torta salata qualche affettato ed un po’ di formaggio, questi gli ingredienti salienti della nostra cena, tra una chiacchiera dei coniugi, le peripezie della nipote vietnamita e due risate su affettati e “come sono buoni i formaggi italiani, ma i francesi di più” (affermazione che non ho avuto voglia di contestare), abbiamo terminato la nostra ultima tappa della giornata. Così, visto che a Gilles e Isabelle sono rimasti a festeggiare con gli amici di Bello Loco, una casa auto-produzione di materiali BD, io mi godo il cesso e il bagno senza concessioni di precedenze.
Termino la serata con la testa che mi ciondola, mentre digito sull’I-Pad il report di questa ultima giornata identica alle altre.
Domattina i Mosquitos porteranno me e Capucine alla stazione ferroviaria, dove entrambi, ad orari diversi prenderemo i rispettivi TGV, per cui la mattina sarà una levataccia, e bisogna farsi trovare pronti.
Lunedì. Il giorno dopo.
Mi sono alzato con largo anticipo, l’ho già detto di sicuro ma lo ripeterò, a me piace avere tempi lunghi per le abluzioni e le pratiche mattutine, specialmente in queste occasioni dove l’usufrutto del bagno è in comune. Con Gilles ci ritroviamo a fare colazione insieme, la nostra “padrona di casa” di cui purtroppo non mi ricordo il nome (ci ho rinunciato subito a memorizzarlo, già dalla prima volta), gentile come sempre ci ha portato la colazione. Meno male che c’è Gilles che parla un po’ con lei (che ne ha una gran voglia, la poveretta), perché io la mattina presto già ho poca voglia di parlare di mio, figuriamoci farlo in francese.
Saliamo sul Van dopo i bisous-bisous mattinieri che quotidianamente si scambiano, e passiamo a prendere gli altri quattro membri che sono alloggiati a poche centinaia di metri da noi. Per il tragitto fino alla stazione dei treni dovremo stringerci, i posti sono sette e noi otto, poco male, il tratto è breve per la prima volta li vedo parcheggiare in seconda fila, giusto il tempo per farci scendere.
Ci salutiamo tutti ed io e Capucine ci andiamo a prendere un caffè al Relay (uno spazio di conforto di cui la stazione è priva) e si trova in una struttura esterna al corpo della stazione stessa. È edicola e tabaccheria, ma non è definibile come bar, ha infatti una macchinetta da caffè automatica a monete, una cosa inconcepibile che a noi italiani farebbe rizzare i capelli, ma tanto la qualità del caffè è comunque quella che è, e la dimostrazione è che qui uso lo zucchero, quando in Italia lo bevo amaro… perché almeno così è dolce.
Parlottiamo un po’ del nostro lavoro, Capucine è simpatica e molto comunicativa, è una di quelle donne che quando parlano devono accompagnare i concetti con l’espressività del loro viso, spesso anche con smorfie e rumori vari, ha un aspetto pacioso che fa tenerezza, e da l’impressione di essere una donna molto buona.
Poi sul visore delle partenze viene assegnato il binario del TGV che devo prendere (il suo ha un’altra direzione e passa un quarto d’ora dopo), perciò la saluto e mi dirigo al sottopasso.
La giornata aveva lasciato intravedere un pallido sole, poi siamo rientrati nel grigiore delle nubi che praticamente non ci hanno mai abbandonato per tutta la manifestazione, e adesso sta tornando una luce promettente.
Intorno a me, accomodato nella confortevole poltrona di 1a classe, sfreccia un paesaggio fatto di campi coltivati e rare case, il piatto panorama francese che costituisce l’intero territorio che ci divide dalla nostra destinazione. Una fermata è a Poitiers dove i franchi (forse di Carlo Martello) vinsero contro i musulmani… nell’832, se non ricordo male (e non chiedetemi per quale motivo ricordo data ed avvenimento perché sono uno dei segreti di Fatimah depositati in Vaticano, non lo so neanche io).
Ecco, adesso è spuntato il sole, ed il panorama, seppur nella sua monotona banalità, almeno riflette di luce e la giornata acquista anche un ottimismo che pareva smarrito, cosa vuol dire, eh?
Questa volta sono stato bravo, non so se prenderlo come un segno di maturità o perché avevo altro per la testa, o forse perché pensavo che due ore per andare all’aeroporto di Orly fossero sufficienti per tenere a bada lo stress. Ma in effetti, all’arrivo con leggero ritardo a Montparnasse, dopo un breve autoconsulto tra le opzioni metro-bus-taxi, ma risolvendo chiedendo un consiglio ad un addetto fuori della stazione (nonostante smartphone e connessioni, sempre la migliore soluzione), prendo a duecento metri dall’uscita, il comodissimo servizio air-bus messo a disposizione dalla società aeroporti, 13,00 € per 32 minuti di viaggio: riempito subito, partito subito e subito arrivato. Una comodità.
Al Terminal Ouest vado diretto alle partenze, ho fatto il check-in on-line e sono pronto per i controlli, la fila è breve, ma qui sono minuziosi, i controlli li fanno seriamente e gli addetti non guardano il video per controllare che i colori degli oggetti siamo carini, ma proprio quello che contengono. Mi fermeranno sicuramente, ho dimenticato di inserire negli appositi sacchetti di cellophane i vari tubetti che mi porto dietro, neanche fossi una diva che deve truccarsi ogni due per quattro.
E infatti mi fermano esattamente per quel motivo.
Ma sembro un bonzo in un monastero del Tibet in attesa della meditazione pomeridiana, accetto tutto serenamente dal mio Nirvana che non so bene come mi sono guadagnato. Il Gate non è stato assegnato, ma l’area sì, per cui è là che mi dirigo. Ho anche il tempo per mangiare qualcosa, il bonzo lo reclama, ho tempo, posso anche sedermi, cerco di richiamare il mantra adatto ma sono attratto dalla vetrina dei piatti in offerta e, non so bene come, invece di orientarmi su un rassicurante paninozzo farcito, decido con un colpo di testa di azzardare una pasta fredda con insalata, pomodori secchi, salsa cocktail, pollo e parmesan (che è tutto meno quello che vorrebbe, per ambizione, essere). Il gusto è praticamente quello di una specie di antipasto, ma non è cattivo e si lascia mangiare.
Finisco in tempo per notare che hanno assegnato il Gate al mio aereo, è il 40G (segnatevelo per quando dovrete andarci voi), e per i precisini che vogliono sapere tutto. La fila è un serpentone che si snoda di fronte al desk d’imbarco, qui c’è il tempo per notare tra i molti, i soliti simpaticoni che parlano a voce alta perché si illudono di dire delle cose molto divertenti e che quindi è fondamentale che le sentano anche gli altri. Siamo sempre i soliti, quando siamo soli, tanto tanto, ma quando siamo in compagnia facciamo a superarci in simpatia, neanche fosse una gara a chi fa più ridere tra battute e tono della voce da stadio.
Comunque sia, siamo partiti con neanche cinque minuti di ritardo, praticamente in orario e, avendo il privilegio del finestrino, mi godo il decollo e il successivo panorama, tra l’altro adesso risplende un bellissimo sole.
Ora, non so a voi, ma a me difficilmente capita un finestrino piazzato proprio in corrispondenza della mia naturale curva anatomica del collo, quasi sempre, come adesso, al punto ottimale corrisponde il punto cieco tra i due finestrini, per cui o ti sporgi in avanti, o ti procuri una distorsione allo sternocleidomastoideo.
Ma ce la faccio, vedo tutto rimpicciolirsi come in un plastico di un ferro-modellista, vedo le nuvole che prendono per un breve momento il sopravvento per poi lasciare spazio al mare di panna e alla luce accecante del sole, che è sempre quella, di qualsiasi stagione si parli.
Si vola finalmente verso casa.
Siamo ben oltre l’epilogo, quello che in altri periodi era non dico un giorno triste, ma quello in cui si guardava all’evento trascorso ed il rientro alla routine quotidiana. Quest’anno invece, almeno per me, è un momento atteso, perché non mi sono divertito molto, sono entrato in una routine forzata a cui non ero più abituato, mi sono mancate deviazioni in altri luoghi, con altra gente facendo cose anche un po’ diverse, niente di trascendentale, ma diverse.
C’è stato Lele Vianello, con cui ho condiviso i pochi momenti di libertà, insieme agli orari incessanti di dedica, sempre conversando piacevolmente con lui, è una persona socievole, accomodante e sincera con il quale vale la pena stare.
Meno male che c’era lui.
Lele Vianello ed io in dedica.
I Mosquitos sono sempre molto conviviali, carini e simpatici si fanno in quattro per te, e per loro questo è un momento atteso per tutto l’anno, perché vari “tronconi” della casa editrice si riuniscono insieme, ed è un’occasione per condividere un momento che li accomuna con cene e divagazioni, viaggi e fatica e li capisco, è bello condividere una passione che ti tiene unito, e capisco l’entusiasmo per l’occasione di partecipare alla sua bella celebrazione tutti insieme.
A tutti loro va il mio ringraziamento per le accortezze nei miei riguardi, a Jean-Jacques e Patricia, per la loro simpatia e per la ricerca costante della battuta di JJ per strapparti un sorriso, per la risata grassa e contagiosa di Zaza, per la gentilezza riservata e composta di Gilles, per l’esuberanza degli Chaussy, per l’amicizia contenuta di Elisa (viene da Ravenna, ma ha l’aplomb della piemontese), e a Michel.
Da sx Jean-Marc, madame Dardel, Capucine Mazille, François Deflandre, Christine, Michel Jans, Piero Ruggeri, Dardel, Zaza, Lele Vianello ed io.
L’anno prossimo so già che probabilmente non andrò ad Angouleme, e come ogni volta che non vado, so anche mi mancheranno il festival, i colleghi, e l’affetto e la stima del pubblico, ma al momento non ho in programma progetti, nonostante ne abbia diversi nel cassetto delle idee. Si dice che in questi casi ci si prenda un anno sabbatico, non so, speriamo si tratti solo di questo. Al momento mi sento vuoto, ho trascorso un anno pesante, e l’ho trascorso senza esserne consapevole, ritrovandomi sulle spalle un graphic-novel terminato in tempi non previsti, la sua promozione, una storia da realizzare in tempi che non sono riuscito a pianificare come volevo, a festival francesi ed italiani che mi hanno consumato energie e tempo di lavoro.
Ma credo anche che non dipenda solo da questo.
Sto anche pensando ad altro, anche se non so bene a che cosa, e quello che intravedo mi sembra impossibile da realizzare, difficile e complesso com’è, e quindi sono in ricognizione: esploro, osservo, cerco di capire, cerco di tradurre sensazioni, le catalogo, prendo delle idee che mi vengono consegnate inconsapevolmente, cerco di fare tesoro di ogni cosa nella quale mi imbatto, ma navigo a vista.
Qualcuno mi dice che sia un atteggiamento salutare, può anche darsi, ma per il mio carattere mi sembra di essere in un limbo dove non sta succedendo niente, mi sembra di essere avvolto in una nuvola come quella volta che, sciando su una pista, mi avvolse un banco di nebbia e, non avendo punti di riferimento, caddi per terra senza sapere come ci ero finito. Mi sento così, mi mancano i traguardi che devo pormi e non so darmi per dare un senso alla mia vita d’autore, perché così sento di dovermi definire in questo momento.
Perché stia scrivendo tutto questo non lo so, a voi non ve ne fregherà un cazzo, ma io uso il mio spazio come voglio, per cui sorbitevi pure tutte ‘ste paturnie, perché in fondo se siete arrivati fino a qui, evidentemente un po’ masochisti lo siete, fatevene una ragione.