DUBAI, IL SOGNO DELLE MILLE E UNA NOTTE

Molte partenze ci sono state in questi anni, molte di più di quelle che mi sarei immaginato facendo un lavoro sedentario come il mio. Ma la vita ha disegni imperscrutabili, segue percorsi imprevisti che spesso ci stupiscono, questo è uno di quelli.
L’Accademia Nemo al gran completo insieme al l’orchestra di Carlo Chiarotti and Friend’s siamo stati invitati ad una manifestazione che si terrà a Sharjah, una città degli Emirati Arabi, quella deputata alla cultura e all’arte. La manifestazione è improntata tutta sull’animazione, e l’Accademia è la patrocinante per tutto ciò che riguarda la presenza di artisti che collaborano con noi (e che saranno protagonisti di panels tematici), ne consegue che tutta la banda con una piccola corte, è in partenza per Dubai.
Sono reduce da un weekend moscio, nonostante gli allettanti proclami di cene ed inviti previsti, tutti rimandati per un’indisposizione stagionale di Maura che, tapina, si è ritrovata vittima di una ricaduta influenzale per chi, come lei, l’influenza sembra generalmente solo un incidente che riguarda gli altri. In più, il ponte di questo 1 Maggio sarà ricordato come la constatazione di quanto la sfiga, per chi prenota per tempo le vacanze, spesso si metta d’impegno a legittimare la propria peculiarità.
Parto con la consapevolezza di trovare, pur in una mattinata grigia che sembra novembrina, un clima estivo, un caldo che sarà combattuto da impianti di climatizzazione che produrranno l’effetto glaciale di chi, avendo mezzi, vuole un inverno che può provare solo artificialmente. Non ho tuttavia la valigia carica di indumenti di vario tipo (ho solo abbigliamento leggero che era già pronto per i mesi a venire), ma il peso è solo testimone di una scatola con dei libri che saranno esposti e venduti allo stand della manifestazione: sono corriere clandestino e pusher di libri illustrati.
Come sempre parto senza essermi informato di ciò che troverò, se non per “sentito dire”, sia per atavica indolenza, o perché amo l’effetto sorpresa e adoro essere stupito. Di certo, per quello che ho visto e conosco da altri contesti e informazioni generiche, so che troverò qualcosa più vicino all’universo di Nathan Never, piuttosto che arabeschi, suk e moschee.

Parto con il solito treno con cui vado settimanalmente a Firenze, comodo e veloce e, spero, in orario come quasi sempre; poi un FrecciaRossa per Bologna; una navetta per l’aeroporto Guglielmo Marconi; e poi l’imbarco sul Boeing 777 di Emirates diretto a Dubai.
A Firenze mi aspetta Luca Chiarotti, tutti gli altri li troveremo all’aeroporto. L’orchestra, la Florence Pop Orchestra (il meglio dei musicisti del Comunale e del Maggio Fiorentino) aggregata a noi partirà da Calenzano con un bus a noleggio (sono una quarantina di elementi con strumenti al seguito) in direzione Bologna, poi ci saranno Sandro Cleuzo, Laura Lavorini, una nostra insegnante, e Alice Risi e Francesco Mariotti che ci raggiungeranno con mezzi propri.

Con Luca e Laura (e Carlo indaffarato col bagaglio), in volo su Emirates.

Poi la carovana del “gruppo vacanze Toscane” sarà pronto per l’avventura mediorientale.
Cosa mi aspetto? Niente , un’esperienza, come ogni volta che parto. Non ho mai nessuna falsa illusione e, anche quando parto con programmi definiti, non mi prefiggo grandi aspettative, ma solide esperienze.
Di certo, lo spirito è sempre stato quello di non lasciare (potendo) nessuna offerta, accettando ogni occasione e ogni opportunità per fare nuove conoscenze.
Ogni viaggio é una porta che si apre su situazioni inconsuete, viaggiare è importante proprio per questo, per misurarci con il mondo al di là delle comode porte domestiche, capire quanto del mio provincialismo riesco a perdere per acquistare quel poco di internazionalità che fa molto cool, ma a cui molti non possono dire di appartenere. Viaggiare spero che mi faccia conoscere un po’ di più questo mondo che, inversamente all’esperienza che acquisisco ogni volta, mi sembra di capire sempre meno.
Sto vivendo un periodo di transizione e di cambiamento, sto attraversando la palude di quello che sono stato e non sono sicuro di quello che diventerò, ammesso che abbia il tempo per diventarlo, e non conosco la nuova destinazione anche se ho un vago punto di partenza.
Ma sono partito per un nuovo “viaggio”, con timore, accompagnato dalla fiducia e dalla speranza più da parte di persone vicine che per mia totale convinzione, ma ho cominciato a camminare diretto non so dove, ma almeno spostandomi decisamente da dove ero.

L’arrivo a Dubai è in tarda nottata, qui i sono due fusi orari in più, e sono le 11,30. L’aeroporto é in stile mediorientale, ampio, sontuoso, pieno di colonne, marmi e superfici riflettenti. Noi siamo in tutto quasi una cinquantina, un bel numero da gestire.

L’aeroporto di Dubai-Al Maktum.

All’uscita, quasi fosse una parodia di un film Pixar, abbiamo vissuto l’esperienza “Finding Carlo” (invece che Nemo, e non intesa come accademia), visto che un gruppetto dell’orchestra, capitanato dallo stesso direttore, si é perso subito dopo l’uscita dai controlli: una buona partenza ben auspicante.
Fuori, una flotta di macchine dell’organizzazione ci ha caricati su per distribuirci nei due hotel assegnatici.
Il Pullmann, della catena Accord che ci è stato assegnato, é un 5 stelle plus, bello, confortevole, ma non oso immaginare quelli super lusso che sono disseminati ovunque, come saranno.
Al nostro arrivo, al check dell’albergo, trovo Emanuele Di Giorgi, l’editore della Tunué, la casa editrice con la quale ho realizzato le mie due graphic-novel. Insieme a lui Diego, un manager italiano che collabora da tempo con le autorità locali, e che ritroverò in seguito per tutta la durata della manifestazione. Qui conosco anche Andrea Bozzetto (in realtà ero l’unico della Nemo che ancora non lo conosceva), il simpatico figlio di Bruno, con cui condivideremo molti momenti nei giorni successivi.
Prima di salire in camera però, viene fatto a tutti il tampone Covid, l’indomani all’inaugurazione dell’evento sarà presente lo sceicco di Sharjah, e tutto deve essere bonificato, partecipanti inclusi.
Il primo giorno finisce qui, con l’esplorazione della lunga e ampia stanza situata al nono piano.

La mattina del primo giorno, dopo una colazione internazionale con forti influenze locali, la nostra prima preoccupazione è quella di raggiungere il centro espositivo, che non dista molto dall’hotel neanche volendolo raggiungere a piedi, anche se il servizio taxi messo a disposizione, è imponente e comodo e finiamo per usare solo quelli.

Gli enormi spazi della Sharjah Animation Conference, il corner dell’Accademia Nemo e la mostra dedicata allo Studio Bozzetto.

Abbiamo portato con noi, distribuiti tra il bagaglio di tutti, diversi libri da mettere in vendita, non tanto per bramosia di guadagno, quanto per dare sostanza alla nostra presenza, oltre alle nostre già notorie competenze (più di Luca e Francesco che mie, in verità), di managing degli artisti che sono venuti qui a fare panel e workshop alla manifestazione, prestati, appunto, dall’Accademia Nemo.
L’intoppo, come sempre, si manifesta subito all’ingresso. In albergo non ci hanno dato il risultato del test Covid (ma anche noi colpevoli non l’abbiamo chiesto), e non ci fanno entrare, oltre al fatto che non ci hanno dato ancora i pass e siamo perciò inesistenti per gli organizzatori. Agganciandoci ad un hotspot di un collega, ci vengono inviati su Whatsapp ed entriamo, per merito della potenza della connessione e soprattutto per la prontezza di Luca.
La Sharjah Animation Conference é agganciata ad un’altra manifestazione legata ai libri per ragazzi ed é divisa da pannelli e dall’ampio corridoio centrale che divide l’intero spazio espositivo, ma a livello coreografico, é studiata con attenzione e senza lesinare in mezzi, e gli spazi sono ampi (in certi casi fin troppo) e colorati.
Come ben sappiamo, la legge coranica vieta, nelle sue scritture, la rappresentazione dei corpi umani all’interno della cultura artistica musulmana ma, negli ultimi tempi, la politica degli Emirati si è aperta all’arte in tutte le sue forme, e sta cercando di colmare il gap che inevitabilmente hanno accumulato i loro artisti con il resto del mondo. Sono partiti perciò dai libri per bambini (la manifestazione editoriale infatti è già alla sua ennesima edizione), e da quest’anno hanno investito anche all’animazione, inutile constatare che a queste latitudini si stanno aprendo molteplici opportunità di investimenti.


La parte dedicata all’editoria per ragazzi.

Siamo tutti vestiti al massimo della nostra eleganza (intendendo questo nel modo più ampio possibile, e in relazione alla situazione), l’emiro infatti inaugurerà la manifestazione, e dobbiamo essere in tiro, anche perché non sappiamo che tipo di protocollo verrà usato e dobbiamo tenerci pronti. Devo dire che non ho badato molto a questo aspetto, anche se tendenzialmente è un cosa a cui dedico attenzione, forse per la preoccupazione del rapporto caldo/freddo, piuttosto che per opportunità di situazione ed eleganza.
Attendiamo lo sceicco per oltre due ore, poi arriva con tutta la corte al seguito, siede sulle bianche poltrone in pelle disposte a semicerchio intorno al palcoscenico, ascolta la presentazione di Pietro Pinetti (CEO di Movimenti e direttore del BAD, che patrocina insieme all’istituzione locale l’evento) e della corrispettiva locale, una responsabile della manifestazione, ascolta il concerto lungo circa una mezz’oretta, non saluta nessuno e se ne va.
Rapido, veloce, ed indolore.
Poi, con una incessante regolarità, comincia il pellegrinaggio al nostro stand di: giornalisti, appassionati, personaggi in cerca di produttori per i loro progetti, aspiranti animatori, presenzialisti e nerd di ogni specie, esattamente lo stesso tipo di fauna presente nelle manifestazioni occidentali. E sarà così per tutto il giorno e per l’intera durata dell’evento.


Lo spazio dell’orchestra durante le prove.

La cosa curiosa e da considerare, specialmente quando abbiamo certi feed-back dal mondo, tanto la globalizzazione di costumi e icone è uniformante, che il comportamento umano oramai è identico in tutte le parti del globo terracqueo, e le idiosincrasie, i sogni, le speranze e le illusioni ci accomunano come fossimo un’unica tribù che ha le medesime aspirazioni, e tutto questo senza troppe differenze.
Noi nel frattempo dobbiamo prendere confidenza con ritmi, spazi e orari della esposizione, e scopriamo solo nel tardo pomeriggio una stanza adibita alla consumazione di spuntini dolci e salati messi a disposizione dall’organizzazione per ospiti, e pranziamo così sul tardi.
Conosco anche Edoardo Serino, un amico di Luca incaricato di occuparsi dei due autori giapponesi: Mamoru Yokota e Takahiro Yoshimatsu presenti alla manifestazione (lui che ha vissuto per quasi vent’anni in Giappone) e che conosce lingua e costumi, oltre che dotato della necessaria tranquillità e disponibilità, e che si è prestato perciò alla sopportazione e alla soluzione dei problemi che i due capricciosi autori gli hanno sovente procurato, assolvendo al suo compito con una professionalità e una dedizione unica.
La giornata finisce nella hall dell’albergo, dopo una cena a buffet a base di piatti locali, buoni e speziati solo come lo sono da queste parti.
Siamo stanchi, non abbiamo dormito molto, e andiamo a letto.

Il giorno dopo, siamo presenti allo stand come soldatini anche se Francesco non verrà per una leggera indisposizione, restiamo così Luca, Sandro ed io a difendere la roccaforte Nemo.
Lo spazio adiacente al nostro stand presentava una lunga parete di colore giallo di almeno una trentina di metri al che, ci viene suggerito da Pinetti, di incominciare a farci disegnare gli autori e rendere vivo quello spazio regalandogli una funzione social. I primi ad iniziare siamo io e Sandro Cleuzo, che siamo lì come guardie svizzere a presenziare lo stand nell’attesa che Sandro vada al suo appuntamento, e cominciamo a disegnare ognuno sui due lati dello stand. Curiosamente, e in modo almeno da parte mia totalmente inaspettato, i miei disegni ottengono un grande successo e cominciano a piovere, anche da me, curiosi, estimatori e personaggi d’ogni tipo a chiedere informazioni, quando credevo di fare più da spettatore che altro.
Mi spiego meglio, giusto perché non voglio apparire come un falso modesto ma, essendo presente ad una manifestazione di animazione, mi ero fatto l’idea che lo ”stile” di riferimento fosse ben diverso dal mio, ovvero più vicino a quello “cartoon” (tra l’altro, sapevo che, dal punto di vista dei fumettistico, le preferenze dei locali erano più orientate verso il manga) , perciò pensavo che il mio non interessasse affatto.
Mi sbagliavo.


Le due illustrazioni realizzate sul muro dello stand, e con Mario Brioschi davanti a Nathan Never.

Questa è stata una ulteriore prova della “fame” che hanno da queste parti per ogni forma artistica in ogni sua rappresentazione.
Mi sono fatto l’idea che una visione del fumetto derivativa della cultura musulmana, ad esempio, potrebbe essere un veicolo importante per capire questo mondo che talvolta ci appare distante e spesso rimane incomprensibile.
Un episodio carino è quando mi è stato presentato un ragazzo che avevo già visto ma che, nell’anonimato dei primi giorni, non avevo idea di chi fosse. Si trattava di Mario Brioschi, un esperto di effetti speciali (uno degli ultimi suoi impegni è stato per la serie “The House of The Dragon” ed aveva anche lui un incontro da presentare) e che, attraverso il disegno di Nathan Never realizzato sulla parete, era venuto a conoscenza della mia presenza alla manifestazione e, in quanto mio vecchio fan (e la preparazione dimostrata sui miei lavori ne ha confermato la veridicità), ci teneva a conoscermi. La sua presenza è stata una simpatica novità, ed abbiamo condiviso diversi momenti insieme nei giorni successivi.
Come ogni giorno, in chiusura alla manifestazione, si esibisce la Firenze Pop Orchestra che intona le più famose canzoni dei cartoons, con grande successo di pubblico. Purtroppo l’orario è alle 19,30, un po’ troppo tardi, e il pubblico feriale è piuttosto latitante a quest’ora.
Poi, dopo cena la giornata è terminata con quella che voleva essere un tour by night della vicina Dubai (Sharjah è situata a poche decine di minuti da lei, ma fa già parte dell’emirato vicino), e non che non l’abbiamo fatto, ma si è svolto in maniera piuttosto diversa da come ce l’eravamo immaginato.

I protagonisti del tour Dubai by Night: io, Sandro Cleuzo, John Nevarez e Luca.

Dubai by night.

Causa una incomprensione tra noi e l’autista incaricato (ma più che altro per la sua scarsa comprensione dell’inglese), questo ci ha portato a Dubai, ci ha fatto arrivare fino alla Marina (dove parte la famosa penisola con atolli a forma “palma” che si getta in mare), e che è piena di alberghi di lusso, residence e case vacanze ma, per l’impossibilità di fermarsi nelle loro vicinanze, il tour si è trasformato in una visita agli ingressi degli “alberghi” (belli, per carità), ma, pur avendo fatto un bel giro, la serata si è sviluppata stando stipati dentro all’auto con poche occasioni memorabili.

La mattina del terzo giorno era libera, per cui, nell’impossibilità di visitare l’antico suk di Sharjah, perché bloccato da lavori di ristrutturazione, abbiamo pensato di chiedere alla reception un consiglio su cosa vedere lì vicino (poco in realtà). Siamo perciò partiti per una passeggiata che girava intorno al bacino artificiale su cui è costruita quella parte della città. Sharjah è la capitale culturale degli Emirati ma, nonostante questa vocazione, come Dubai condivide l’idea di sviluppo verticale delle proprie abitazioni, e l’idea si sviluppa con un unico concetto, immaginabile anche per i meno intuitivi: e cioè che i palazzi, dall’architettura ultramoderna, vanno tutti ben oltre i trenta piani, con il risultato di avere uno skyline degno di New York.

Sharjah.

L’impressione che abbiamo un po’ tutti però, è che in molti appartamenti dei palazzi sotto i quali abbiamo consumato la nostra passeggiata, fossero vuoti o da affittare. Non so se la considerazione fosse dovuta alla constatazione che di gente in giro ce ne fosse poca (dalle 10,00 di mattina in poi, il caldo si fa sentire, per cui la scarsità di persone è perfino giustificata), ma dalla vacuità che traspariva dai terrazzi vuoti e le innumerevoli scritte “affittasi”. C’è da dire che questo è un dubbio che ci è rimasto.
Comunque, con Andrea Bozzetto, Luca, Edoardo, Sandro e Mario, ci siamo fatti questa passeggiata (cercando meticolosamente la parte all’ombra dei palazzi), per attraversare l’istmo che divide le due lagune, collegata da un canale. Seppure il limitare delle acque, presenti una leggere striscia di sabbia che sembrerebbe balneabile, su questa non erano presenti che qualche isolato pescatore e nessun bagnante, anche perché sia per il colore verdastro dell’acqua poco invitante, sia per la poca inclinazione a mettersi in costume della popolazione locale, il tutto non favorisce certo l’affollamento del litorale.
Torniamo, nonostante le mille accortezze, in albergo sudati, dove ci facciamo una doccia per prepararci al primo impegno della giornata: la cena tipica in presenza degli organizzatori della manifestazione.
Alle 12,00 veniamo raccolti dalle auto preposte e attraversiamo la città per almeno 45 minuti di tragitto, per approdare successivamente in un locale nella lontana periferia assolata, dove si intravedeva il desolante inizio del deserto.
Fuori dal ristorante, le auto erano parcheggiate in questo grande piazzale polveroso antistante al locale, dove sembrano fare  la guardia ad una struttura che dispone di verande in legno piuttosto vetuste, per quanto caratteristiche, fossimo stati in Italia, poteva essere scambiata probabilmente per una trattoria per camionisti, famose tanto per la scarsa estetica quanto per l’abbondanza e il sapore dei loro piatti.

Pranzo tipico di cucina araba, qui sopra, uno dei vassoi a disposizione dei commensali.

All’interno, con una disposizione diversa nei ristoranti ai quali siamo abituati, si vedono pochi avventori (probabilmente nascosti in stanzette private) ma molti camerieri, e veniamo fatti accomodare in una saletta che dovrebbe contenere tutti gli ospiti. A me sembra che lo spazio non possa contenerci tutti, ma forse è solo una mia superficiale impressione. La stanza è isolata dalle altre con una porta, e dispone di finestre che danno sul corridoio interno, ha per terra una sorta di enorme tatami, sul quale sono adagiati dei teli che simulano delle tovaglie e, a distanza regolare, dei piatti con delle insalate miste, incappucciati da pellicole trasparenti. Qui il capo della manifestazione, incorniciato da kefiah e abito lungo completamente bianco, ci saluta presentandosi e facendoci accomodare alla spicciolata, così come arriviamo in relazione all’arrivo della auto. Lo spazio per “inginocchiarci” all’indiana (e cioè a gambe incrociate), non è molto ampio, poi parte la “tovaglia”, il tutto mi sembra piuttosto striminzito, ma con spirito ospitale ci accomodiamo.
Tra l’altro, accanto a me, c’è seduto Wouter Tulp, un olandese e con due gambe lunghe come due binari ferroviari, per cui vi lascio immaginare lo stato di comodità in cui mi trovavo.
In un’altra stanzetta, come volevasi dimostrare, vengono reclusi Carlo, Laura, Edoardo e i due giapponesi, che ovviamente non riescono ad entrare nella nostra.
Riconoscendo così che la mia non era solo un’impressione.
La seduta ci obbliga all’immobilità, e fino a che stiamo fermi, va anche bene.
Il problema nasce quando cominciamo a muoverci per prendere il cibo, disposto in due enormi contenitori con vassoi disposti a piani, e posizionati alle due mediane del tappetone, ed è in questo preciso momento che le ossa cominciano a scricchiolare e a lamentarsi, in un supplizio al quale nonostante tutto ci si abitua con stoica rassegnazione (sarà la fame?).
La conversazione, amabile e in un inglese comprensibile (anche perché è l’autorità locale a tenere banco), si sofferma su alcune caratteristiche che emergono in occasioni simili, e cioè il consueto cazzeggio utile a smussare le differenze e rompere il ghiaccio, e cominciano col confronto tra “cucine” o a magnificando le glorie del proprio paese. La socialità delle convenzioni che si unisce alle leggi della convivenza. Scopriamo così la genuinità dei piatti locali (il pranzo è oggettivamente molto buono, speziato e piccante, ma decisamente gustoso) e l’apporto del relativo paese allo sviluppo mondiale della gastronomia, dell’innovazione alla civiltà. Noi italiani facciamo i diplomatici e non sventoliamo artisti, inventori e quant’altro abbiamo offerto al mondo (troppa roba, ne converrete), perché si può dire di tutto ma non che non siamo dei signori e rinunciamo a declamare onori e glorie per eccesso di offerta, e non annichilire l’invitante. Questo però, non ci impedisce di scoprire però con grande stupore, che un loro discendente ha inventato sia la chitarra che il dentifricio.
Prendendo coscienza che ognuno, anche se in minima parte, a preso parte allo sviluppo del mondo, perciò prendiamo appunti e torniamo a casa con una informazione in più.
Anche sulla bontà della cucina sorvoliamo senza eccedere in confronti e proclami di superiorità, volgiamo paragonare la nostra pasta o il parmigiano con l’hummus o il falafel? Direi di no, in fondo: siamo buoni, siamo ospiti, per quale motivo infierire?
Anche i rappresentanti di altri paesi (indipendentemente dalla frecce al loro arco) si adeguano alla linea diplomatica di basso profilo usata, perciò restiamo così tutti felici e contenti.
Il pomeriggio mi concedo un paio d’ore di libertà per andarmene in piscina, perché un bagnetto quando ancora è lontana la stagione balneare, volevo proprio farmelo.
L’albergo è all’interno di un palazzo con due torri parallele, e nell’interstizio tra questi due elementi verticali, c’è situata la piscina, l’edificio parte compatto e a un certo punto, dove c’è la biforcazione, è collocato il piano con la piscina.

Trascorro un paio di ore di relax, e faccio il bagno proprio quando il sole, nascosto dal palazzo di fronte, fa capolino e irradia i suoi raggi concedendo luce e calore allo specchio d’acqua, e mi rilasso così per un po’, guardando il traffico dall’alto mentre faccio il bagno.
Rientro all’Expo in tempo per vedere l’ultimo concerto della Firenze Pop Orchestra, quello più lungo e completo e che, con una simpatica improvvisazione, vede anche cantare Momoru Yokota che interpreta il brano derivante dalla sigla della sua serie. La piacevole sorpresa è constatare la voce, il timbro e l’intonatura dell’artista nipponico che snocciola una prestazione canora di tutto rispetto, ricevendo così anche un grande consenso di pubblico.

Robin Linn, il sottoscritto, Luca e Jamil davanti alla mascotte della manifestazione, creata dallo Studio Bozzetto.

Dopo una lauta cena in albergo, convinco tutti ad andare al Monkey Bar, sul roof del 25h Hotel, un albergo vicino al Museo del Futuro, in pieno centro a Dubai. Qui fa il tender barman il figlio di Emanuele Vallini, lo chef de “la Carabaccia”, un ristorante di Bibbona con il quale, tempo fa e parlando di Dubai, era emerso che il figlio lavorasse qui.
Partiamo tutti convinti di trascorrere una bella serata, io felice di fare un figurone della madonna, e poterci bere del sano alcool che da queste parti non viene servito, ma che invece nella più mondana Dubai viene elargito con maggiore tolleranza.
Ma evidentemente le serate in questo angolo della penisola arabica non ci sono fauste, per cui, appena arrivati, ci rendiamo conto non solo che siamo in presenza di un evento organizzato, per cui avremmo avuto bisogno dell’invito, ma è anche un giorno prefestivo, per cui anche il locale successivo, tale “Amazonico”, è strapieno oltre che disporre già di una fila chilometrica all’ingresso.
Per cui riprendiamo il taxi e, con le pive nel sacco e con il becco asciutto, ce ne torniamo in albergo per fare le solite quattro chiacchiere nella hall con la nuova arrivata, la giapponese naturalizzata italiana Yoshiko Watanabe, una famosa disegnatrice di manga trasferitasi a Roma da moltissimo tempo, che ha visto bene di allontanarsi da quel paese per avere una vita professionale più umana e meno stressante.
Dopo avere fatto la conoscenza di questa vivacissima e vulcanica ottantenne e che il giorno dopo farà una conferenza sul manga, andiamo a letto.

L’ultimo giorno è quello preposto per la gita nel deserto, ma partiamo nel pomeriggio dopo il pranzo, e la mattina ci organizziamo per andare nel suk di Dubai.
Difficile rinunciare all’acquisto immotivato e razionalmente discutibile di paccottiglia quando siamo in vacanza, siamo in pochi (uno di questi sono indubbiamente io) a non amare i souvenir. Io li trovo di una totale inutilità. Capisco il desiderio di portare un pensierino a qualcuno a cui si tiene, ma l’idea di rammentarselo solo in occasione dell’acquisto della solita stronzata che alla fine viene buttata nel cassetto per dimenticarsene, non la trovo una cosa intelligente. É vero anche che quando vai all’estero non ti porti la lista delle cose necessarie da acquistare, tuttavia partire apposta per non deludere chi il viaggio non l’ha fatto ed è rimasto ad aspettarti lo trovo un’inutile sforzo. A me i queste occasioni, come si dice dalle mie parti: “non si attacca niente alle mani” e, addirittura, eviterei proprio la tappa, ma alla fine mi aggrego per sociale convivenza alla truppa che decide la spedizione.


Sorvolo su acquisti, pellegrinaggi da un negozia all’altro e i relativi mercanteggiamenti all’interno del mercato di Dubai, e alla fine compro qualcosa anche io: una borsina di paglia intrecciata per mia figlia, un berretto per me nella previsione di usarlo nel pomeriggio e che passerò ad Alberto, e l’irrinunciabile magnete, quello sì immancabile cimelio necessario a testimoniare ogni viaggio.
Alle 12,00 rendez-vous all’albergo dove veniamo intruppati nel più classico dei pullman seightseeing a due piani, per turisti, dove partiamo in direzione del deserto.
Da qui, cominciamo a vedere la vera essenza di questa parte del mondo, fatto di una natura secca, con pochi arbusti scheletrici e anemici, e poi sassi e sabbia in un mix che diventa sempre più vasto mano a mano che ci allontaniamo dagli ultimi residui di civiltà.
Incontriamo villette sempre più rade, il verde ci abbandona per sempre e poi poche case allineate alla strada principale, a sottolineare quanto la civiltà corra sempre lunghe le vie di comunicazioni, legami indissolubili tra uomini, culture e civiltà.
Arriviamo al Museo Archeologico del luogo e lo visitiamo in un battibaleno, ci sono pochissimi reperti, vasellame, punite di frecce di selce e dell’età del rame, a testimonianza della lunga permanenza degli uomini da quelle parti e la loro sopravvivenza. La cosa però che ci accomuna tutti e alla quale riusciamo alla fine a dare una spiegazione, è la curiosità con cui enunciano la datazione archeologica.


Non volendo considerare la nascita del Cristo come riferimento per la datazione del tempo (a C. o d.C.), sono costretti ad usare BCE o CE (Before Commonly Era o Commonly Era), una curiosità che indica l’assurdo vincolo religioso che non considerare un riferimento comune quello che tutto il mondo, per convenzione, ha utilizzato. Comprensibile dal punto di vista religioso, per carità, ma che sottolinea quanto certe ripicche cultural/religiose possono sconfinare nella mancanza di praticità.
Accanto al museo, visitabili, ci sono alcuni recinti con impala e cammelli, una scuderia di cavalli con annesso maneggio di cavalli arabi. Un sodalizio di cui sinceramente capisco poco la logica, e l’incomprensione rimane lì, sospesa nel dubbio delle cose inspiegabili.
La seconda parte del pomeriggio è finalizzato al raid con i fuoristrada attraverso le dune del deserto, per approdare in un punto dal quale assistere il tramonto dalle dune, e poi inerpicarsi alle pendici dei rilievi rocciosi che contornano quella regione, per finire a mangiare sotto le stelle.
Il tour dei fuoristrada é spettacolarizzato dalla guida dei driver che si arrampicano sulle dune, slittano, derapano e si impennano sballottando i partecipanti come fossero su delle montagne russe, riempiendo così gli abitacoli di urla e hurrà compiaciuti di passeggeri felici di aver fatto un’esperienza fuori dal comune.
Nelle soste, la sabbia finissima si insinua in ogni pertugio ed ogni interstizio che scarpe e indumenti concedono, ed ognuno di noi si sente appesantito da quel fardello che è costretto a portarsi dietro.

Il raid nel deserto, poi John Nevarez, Luca e Sandro Cleuzo alle mie spalle.

Quando ci fermiamo poi, ci comportiamo come dei bambini, in fondo gli adulti non sono altro che ragazzi cresciuti e appena gli si presenta l’occasione in contesti più liberi, tornano a vestire i panni della gioventù dimenticandosi pudori, timidezze e responsabilità, per cui ci si arrampica sulle dune, si fanno le foto anche alle impronte e ci mettiamo in pose ridicole. Sublimiamo il momento così, tornando alle origini e concedendoci la stupidità come concessione al divertimento.
Più tardi osserviamo, tutti seduti su una duna, il sole che si abbassa lentamente per entrare nella caligine del crepuscolo, facendosi sempre più rosso fino a scomparire all’orizzonte. Credo che gli ampi spazi della natura concilino la vicinanza all’Assoluto, qualsiasi cosa questo voglia dire, c’è un momento di sospensione che rende un po’ mistici certi momenti che si possiamo vivere soltanto quando lo spazio intorno a noi si dilata in modo quasi pneumatico, isolandoci da tutto. Cosa non del tutto facile in quel contesto, visto che eravamo otto crossover carichi di persone, e il brusio di chiacchiere costante, quando invece il momento avrebbe avuto bisogno di solitudine.
Ma vabbè.
Poi risaliamo tutti sui jepponi e ci dirigiamo verso delle costruzioni alle pendici di un altura, dove sono stati allestiti delle postazioni dove mangiare, con tappeti in terra, tavoli bassi con cuscini dove sedersi alla maniera araba, e due lunghi buffet dove gustare la cucina locale.
C’è anche un cammello da montare, che permette a tutti l’ebrezza di una breve passeggiata sul dorso della “nave del deserto”, nel quieto oscillare di questi animali miti e remissivi, che rimangono i principi di queste terre, gli indiscutibili amici della gente di questo territorio, e che da queste parti sono venerati.
Ceniamo alla luce di pavesi illuminati e di torce disposte in circolo, in un’atmosfera di altri tempi, suggestiva e tribale, con un cibo saporito e piccante che ci ricorda dove siamo.

Accampamento notturno nel deserto.

Quando la notte si fa più nera, una postazione con tre telescopi ci fa osservare la luminosità di Sirio, Venere e Castore vicino al suo Polluce, e nella stessa oscurità, perdo inevitabilmente i miei RayBam che mi hanno accompagnato in molti viaggi. Finendo così nel peggiore dei modi la serata.
Il rientro è silenzioso e stanco come lo sono tutti i componenti della brigata, chi rimane fuori dal bus é baciato da un vento caldo, domani molti di noi devono partire, e noi siamo tra questi e dobbiamo svegliarci presto.
La notte, la stanchezza e il sonno ci indicano un’unica strada: una doccia calda dove lavarsi dai residui della sabbia che ci ha invaso, e un letto comodo per concludere una bella esperienza.

Il rientro nella giornata di domenica è tutto sommato tranquillo, si alterna al volo che atterra al Bologna intorno alle 13,30 locali, al bus che dobbiamo prendere in sostituzione del Marconi (servizio bloccato per manutenzione) che ci porti alla Stazione Centrale, e da qui l’Eurostar per Firenze. Tutto in orario e senza particolari affanni, arrivando perciò a Firenze per le 16,30. Non mi resta che salutare tutta l’allegra brigata, che consiste in: Luca, Carlo, Laura, John Nevarez, Robin Linn e Jamil (Francesco, Alice e Sandro ci hanno lasciati all’aeroporto dove avevano l’auto), visto che sono l’unico a continuare il viaggio, il mio treno infatti parte solo alle 17,28 e ne avrò perciò ancora per quasi tre ore.
See you soon guys.

E’ stata un’esperienza, in fondo era la prima volta che mi confrontavo con un contesto che stride per i molti contrasti: da un lato una società che si arrocca ancora su certi fondamenti religiosi e che imbriglia pulsioni e libertà, sull’altro lato la stessa capisce alcuni suoi limiti e cerca di ovviare cercando di aprirsi al mondo grazie alla grande disponibilità economica.
Il mondo fuori urla con la sua libertà, con i suoi eccessi, e con i social e i media amplifica ogni esagerazione, ogni iperbolica provocazione, difficile per i giovani anche di questa parte del mondo, nonostante vincoli e usanze millenarie, rimanere fuori da questo enorme circo multicolore e folle. Difficile immaginare per le donne, che ancora anelano a parità di diritti e trattamento identitario, diventare, come hanno dimostrato, un propulsore per una vera emancipazione sociale e moderna. Ma se la spinta al cambiamento radicale non avviene dall’interno di questi paesi, con l’energia e il desiderio delle nuove generazioni, sarà difficile immaginare sostanziali mutamenti.
Si può solo sperare che il tempo, come la medesima tenacia dell’acqua del mare che scava le rocce della costa, riesca a consumare anche tradizioni, usanze e privilegi che sono durati per secoli.
Le grandi fortune accumulate e il desiderio di allinearsi all’Occidente da parte della classe dirigente, oltre che la capacità di realizzare ciò che desiderano senza intralci burocratici o cavilli tecnici, ma per semplice volontà regale, unita alla volontà di colmare il gap che li divide dai paesi più sviluppati, ne fanno terre di enormi opportunità e un eldorado per tutti gli investitori che guardano con interesse a queste nazioni.
Ma di certo la strada è davvero ancora molto lunga.

 

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