COREA, BUSAN E I WEBTOONS (2a Parte)

GIOVEDÌ

É il giorno di apertura del Busan Global Webtoon Festival, e fuori piove, il cielo è grigio e si può dire senza ombra di dubbio che è il peggiore di tutti quelli che ci hanno accompagnato fino a qui. Non che sentissi bisogno del caldo, ne abbiamo sopportato fin troppo, ma c’è d dire che la diminuzione di temperatura è stata repentina.
Ce la prendiamo comoda e, non avendo la colazione inclusa, io e Federica andiamo allo Starbucks più vicino.
Poi ci avviamo verso il teatro del Sohyang Theatre, luogo deputato durante il primo giorno ad ospitare i due interventi, pare più importanti, quello del webtooner Dr. Frost è quello del sottoscritto, e a seguire l’opening della manifestazione e le premiazioni.
Ci viene incontro un collaboratore Nam Jeong-hoon che abbiamo conosciuto a Firenze, è il nostro corrispondente, e ci invita ad andare nella sede della BIPA dove abbiamo un breve incontro un po’ farraginoso fino a che non arriva Elisha, una loro collaboratrice che parla un po’ di inglese, e la mattina fugge così.
Poi andiamo a pranzare in un ristorante cinese lì vicino, se da noi definiamo certe città delle mangiatoie (Firenze inclusa), qui forse lo sono ancora di più, e una delle motivazioni è il fatto che come i giapponesi, anche i coreani preferiscono mangiare fuori piuttosto che a casa propria.
Quando torniamo al teatro è il momento del check, qui rimango fulminato dalla visione del gigantesco schermo luminoso che sarà il fondale della scenografia dell’evento, dove campeggia il mio faccione con la scritta del mio nome poi, come una compagna teatrale, mettiamo appunto gli spazi, le posizioni e definiamo il da farsi. Comincia a riempirsi la sala di pubblico che si dispone nell’ampia platea. Poi tutto inizia.

Alcuni momenti del live drawing con l’intervista.

Sono agitato? Neanche tanto, ma leggermente più del solito, solo perché conosco poco questo mondo e la sua realtà, e poi sono costretto a parlare lentamente e in maniera più semplice possibile, mi hanno detto che le interpreti hanno delle difficoltà e poi non posso interagire col pubblico come piace a me.
Ma quando si parte, mi sembra di esserci nato sul palcoscenico.
E mi viene a mente il ricordo di mia madre che quando alle elementari partecipai a una recita, per la mia timidezza, nel tentativo di scomparire il più possibile, mi intruppai insieme agli altri e lei si lamentò che dalla platea non mi vedeva. Così, per accontentarla (cosa non fanno i bambini per le madri) la volta dopo mi misi distante un metro da tutti gli altri e così, nella successiva foto sembravo isolato.
Tra una domanda e l’altra disegno Antonio Cruz, il protagonista de “La lama e la croce”, ma i ritratti dovevano essere tre, ma di tele ce n’è solo una è un solo disegno realizzo.
Le domande sono svariate, più o meno sempre le stesse, anche se qui ovviamente vertono molto sul confronto col webtoon e, con mio dispiacere, oltre che a segnalare le differenze, non mi resta che constatare ulteriormente la sua poca popolarità nel nostro paese. Anche se riesco perfino ad auspicare una sorta di “salvataggio” per il fumetto da parte di questo nuovo medium, nonostante sia difficile comparare due paesi così diversi per cultura e tradizioni come Corea e Italia.
Poi ci sono le premiazioni, c’è da dire che i coreani fanno le cose in grande: presentatori, schermi giganti sui quali scorrono titoli in 3D animati, montaggi video ben fatti, coreografie e scenografie accurate, e il tutto con una profusione di mezzi e professionalità non indifferenti. L’attenzione al dettaglio e alla cura dei particolari, sottolineano una loro naturale inclinazione all’esteriorità come sostanza e non solo come apparenza.
La cerimonia finisce dopo oltre un’ora, a Gioia (l’interprete venuta da Seoul), la traduttrice che è accanto a me, non gli chiedo mai chi è chi? Un po’ per non infastidirla, e in parte perché tanto i presenti non saprei chi sono e non saprei neanche come collegarli alle cose che realizzano.

La premiazione col dispiego di cantanti famose e personaggi conosciuti.

Poi tutti a cena alle 18,00h, qui sono come gli americani, hanno orari che sostituiscono praticamente la cena con la merenda. Ci avviamo tutti verso questo villaggio di tenso-strutture che è quello allestito in questo periodo dell’anno perché supporta anche altre fiere che verranno organizzate anche in seguito.
L’autunno infatti, ci dicono che sia il mese preposto a fiere ed esibizioni, perché è la stagione più bella dove la natura e gli alberi rivelano i loro colori migliori.
Nello spazio per la cena, ci viene dato un papillon per uno, con sopra un numeretto che servirà per l’estrazione finale di qualche regalo, ci vengono assegnati i tavoli e poi via tutti al buffet sotto la musica di un disc-jockey che si scatena sul palco. Anche qui il palco ha, per la sua intera lunghezza, un enorme schermo sul quale passa la sigla della manifestazione dove ci sono nuovamente io (ed altri partecipanti) con immagini raccolte dalla mia esposizione, e filmati in linea con la musica proposta.

La cena comune nella tenso-struttura, con disc-jockey e premiazioni finali.

Sui tavoli c’è una bottiglia di vino rosso dal nome italiano che specifica il vitigno: è un Cabernet Sauvignon di origine cilena, ma è bevuto solo al momento del brindisi iniziale, dove tutti libiamo in alto i calici per dare inizio alle danze, prima che il tremendo odore della bevanda si affacci prepotente su un sapore ancora peggiore (come se si potesse), perciò, quasi per tutti, il passaggio alla birra è un passo obbligatorio. Ceniamo incolonnandosi ad un buffet che sembra abbia una scelta di vivande inesauribile, tanto viene costantemente rifornito, ceniamo tranquillamente tra amene chiacchiere (ovviamente con l’ausilio dell’interprete, per quanto Federica, che ha un orecchio pazzesco, conosce già qualche parola di coreano) poi, a cena terminata, inizia l’estrazione dei numeri. Federica viene fatta salire e premia qualche fortunato che si porta via chi una tavoletta Wacom, chi altri regali che verranno scartati ai tavoli.
Sono le 21,30h, la serata finisce qua, lo so che la sera sarebbe ancora giovane, ma abbiamo notato che Busan è più rigorosa sugli orari di Seoul, e noi, nonostante la nostra giornata in clausura tutta interna al teatro, siamo piuttosto stanchi. In albergo mi attende una lunga chiacchierata con Luca, in seguito mi metto a scrivere queste quattro righe, e poi non vedo l’ora di guardare negli occhi il guanciale per dirgli quanto lo stimo per la sua disponibilità.

 

VENERDÌ

È tornato il sole e, a dire la verità, è perfino troppo caldo.
Tutto sommato ieri è andata bene, pioveva, ma siamo rimasti rinchiusi dentro al teatro per cui non ce ne siamo neanche accorti. Oggi dovremmo avere gli altri due impegni come da programma, Federica un’ incontro per raccontare l’Accademia Nemo (con me di supporto), ed io una mezz’ora dopo il suo termine, un live drawing al piano delle esposizioni.
Arriviamo e incontriamo subito il maestro Jeong Gyu-Ha che sta realizzando un imponente illustrazione all’aperto, al suo cavalletto, poco fuori il parcheggio, e che prontamente mi consegna una bella illustrazione da lui realizzata, che mi dono contraccambiando quella che io gli avevo realizzato a Firenze.

La bella illustrazione donatami dal maestro Jeong Gyu-Ha.

Strana location, ma intorno a lui ci sono il banco informazioni e altri stand molto curati nell’aspetto, dove probabilmente giovani webtooner cercano di promuovere le loro creazioni con il relativo merchandising. Ma la mostra e l’esposizione non sono ancora ufficialmente aperti, e lo capiamo dall’agitazione di Shin Seung-Hyun. E capiamo anche che meno gli stiamo tra i piedi è meglio è, perché cortesi come sono si sentirebbero in obbligo di starci dietro, e noi per non dare fastidio e lasciarli liberi, c’è ne andiamo a fare due passi.

La parte esterna della manifestazione, e una veduta del fiume che lambisce quella parte di Busan.

Facciamo un giro sul lungo fiume, perdiamo un po’ di tempo visto che non dobbiamo  fare molto di più, e poi  decidiamo di andare al ristorante cinese del giorno prima, in modo da essere pronti per le 13,00h, orario in cui hanno detto di presentarci.
E noi a quell’ora siamo lì.
Prima di cominciare, ci sediamo ad un tavolo per le ultime cose, e Nam Jeong-hoon coglie l’occasione per regalarci due sue stampe molto belle oltre che ringraziarci continuamente della nostra disponibilità e del fatto di essere venuti al loro festival. Le loro accortezze e il desiderio di averci lì, è manifestato in ogni occasione, e ogni occasione è buona per ringraziarci, come se per noi fosse stato tutto questo gran sacrificio, noi siamo orgogliosi e grati di essere lì.
Il punto dell’incontro è situato nella parte sopraelevata del palazzo dove c’è l’entrata anche per le esposizioni, tra due entrate è situata anche la cabina di regia, gigantesca e super attrezzata. Sotto una robusta tenso-struttura c’è il palco con il solito gigantesco screen alle spalle e un centinaio di sedie di fronte: è il luogo degli incontri.
Una cosa c’è da dirla, qualunque sia la dimensione dell’evento, la cura del dettaglio è maniacale, c’è la responsabile della regia, i cameramen, i tecnici del suono, gli addetti all’attrezzistica, i fotografi di scena, insomma ogni mansione è ricoperta da un responsabile, insomma un gran dispiegamento di forze e attenzione al particolare.
Temevamo ci fosse poca gente, ma il pubblico probabilmente si disperde nelle sale delle esposizioni, invece le sedie si riempiono quasi tutte, giovani, studenti e ragazzi, ma anche qualche adulto prendono posto e ascoltano la bella esposizione di Federica che illustra l’Accademia Nemo. Poi, come sempre, ci sono delle domande dal pubblico, che in questo caso vertono su ciò che è stato ha detto, per cui si testa anche l’attenzione che il pubblico ha tenuto nei riguardi dell’esposizione incentivando le domande con dei piccoli regali a chi le pone, agevolando l’interazione col pubblico.
Poi si passa all’incontro tutti insieme (i presentatori sono sempre i due simpatici intrattenitori del giorno precedente), e con l’aiuto di Gioia, rispondiamo nella maniera più esaustiva alle domande degli intervistatori.

Il momento del panel sull’Accademia Nemo, il pubblico e l’intervista successiva.

Poi arriva il mio turno, saliamo al piano superiore dove si trovano le esposizioni, e dove c’è la stanza dover sono esposte le mie illustrazioni (condivisa in parte con alcune illustrazioni di John Nevarez) e accanto, dove sono esposti altri artisti, hanno allestito una postazione con cavalletto e tela, per il mio live drawing, ed è così che dovrei occupare le mie prossime tre ore. Ovvio il viavai e le soste di chi passa per vedere le mostre, ma è proprio quello il motivo della mia posizione.

La sala nel palazzo delle esposizioni con i miei elaborati, il momento del live drawing e alla fine, il risultato finale: la tela con i disegni dei miei personaggi.

Decido di disegnare tre personaggi significativi per la mia carriera, Nathan Never, Nero Maccanti e alla fine opto per Everett Cole, il capitano di cavalleria di Mimbrenos, personaggio western ultimo nato in ordine cronologico. Mi bastano due ore e consegno il lavoro, e con questo e mille scatti di foto, si conclude la mia partecipazione attiva al BGWF.
Conosciamo molte persone interessanti e simpatiche, è vero che abbiamo qualche difficoltà di intendimento, ma qualcuno sa qualche parola d’inglese, quando è presente c’è Gioia talvolta Elisha la solare ed espressiva interprete dall’inglese, e poi c’è molta buona volontà da parte di tutti nel comunicare. Trascorriamo del tempo con Park Chang-ha (il webtooner che ha realizzato Blue, e che si firma però Yoroke) e il suo collaboratore Jasper (è il nome convenzionale con cui si fa chiamare dagli occidentali, come Gioia e molti altri, per semplificarci la vita e memorizzarli meglio), e poi via, via si presentano webtooner, insegnanti di cui è difficile ricordarsi il nome. Poi gli organizzatori prendono tutti gli autori presenti e ci portano ad un tipico ristorante coreano, con le auto di servizio si fa due o tre giri degli isolati intorno alla manifestazione, ma alla fine ci siamo accorti che non siamo lontani dall’albergo.
Per l’accesso nella stanza deputata alla cena, dobbiamo toglierci rigorosamente le scarpe nel classico stile orientale, e dopo avere controllato di non avere buchi nei calzini, ci rilassiamo. Io e Federica veniamo divisi, ed io sono al tavolo insieme a Jasper, al maestro ed altri webtooner. Mettersi seduti a gambe incrociate sotto il basso tavolo è una tortura, va bene quando eravamo bambini e giocavamo agli indiani, ma vi garantisco che adesso è un supplizio costante, le articolazioni si ingrippano e le giunture urlano per l’immobilità, ma riscontro che è una costante per tutti, perché tra cambiamenti di posizione e  smorfie nel muoversi, anche per gli altri è un’autentica sofferenza (e la cosa mi tranquillizza). Un motivo ci sarà, se anche da queste parti oramai si utilizzano le sedie.
I più giovani della tavolata si mettono a cucinare (prendono i pezzi di carne portati dalla cucina) e li posizionano sulla griglia che nel frattempo sfrigola, come in altri ristoranti la cappa aspirante telescopica, viene avvicinata fino al piano cottura, e tutto intorno a noi è un afrore di cotto e bruciato che se ci rimane addosso dovremmo tuffarci nel fiume per toglierlo. Con Jasper ed altri ragazzi che masticano un po’ d’inglese ci mettiamo a scambiare opinioni e, tra una chiacchiera e un brindisi a suon di birra (che sono tanti), la cena va avanti. Verso la fine, tra la gente leggermente brilla, fumatori che si alzano per uscire a bruciarsi i polmoni e la confidenza che aumenta, tutti si scambiano di posto, si avvicinano a chi volevano conoscere e tirano fuori i biglietti da visita che vengono scambiati. Mi presentano così il direttore di un Museo del fumetto a Tokyo, un disegnatore di Taiwan ciucco come pochi, il Dr Frost, che aveva fatto l’incontro prima di me e si avvicina di nuovo, sorniona l’insegnante che per prima all’opening si era gettata sul palcoscenico per farsi fotografare con me, carica di sorrisi e ammiccamenti. Poi il valzer delle foto, con caio, con tizio e perfino con sempronio, in una babele di risate, scatti e chiacchiere per lo più incomprensibili.

Con il direttore di un Museo del Manga di Tokyo.

La cena di tutti gli artisti presenti, tra giapponesi, coreani, taiwanesi ed europei era rappresentato un bel pezzo di mondo. Per vostra informazione, il grembiule che molti di noi indossano nelle foto qui sopra, è prestato ai clienti dal ristorante, ed è una consuetudine là dove vengono serviti noodles o ramen che, nel risucchio della pasta (qui, non usando la forchetta e quindi non arrotolano gli spaghetti, ma li tirano su), possono sgocciolare ovunque macchiando i vestiti.

Poi per fortuna tutto finisce, non per cattiveria, ma per quanto l’occasione rimanga simpatica e piacevole, quando sei obbligato a risate forzate su discorsi che gli altri credono simpatici, ma che tu nonostante la tua buona volontà non capisci, alla fine speri che finisca. Poi, dopo svariati minuti, finiamo sul marciapiede, prima che qualcuno si decida finalmente a salutare e andarsene, e probabilmente siamo noi. L’albergo è vicino, Elisha viene con noi, e dopo un saluto a tutti al primo verde del semaforo, prendiamo le strisce che tagliano in diagonale il crocevia e ce ne andiamo a letto.
È stata una bella giornata, finita anche meglio, perché dopo la diffidenza iniziale, i timidi saluti e i sorrisi, poi le persone hanno il desiderio, specialmente se fanno tutti parte del solito ambiente, di condividere questa appartenenza e trasformarla in un’amicizia, e tutta l’atmosfera ne trae un gran beneficio.
Non abbiamo ancora deciso, ma prima della giornata di viaggio di domenica, vorremmo avere un po’ di tempo per fare un paio di cose.
Ma ne riparleremo domani.

 

SABATO

Siamo arrivati all’ultimo giorno: le fatiche e gli impegni dovrebbero essere superati, e almeno nelle previsioni doveva essere una giornata tranquilla, dedicata a tornare ai turisti di Seoul, e preludio della giornata campale di domenica, quella del rientro.
Dobbiamo però andare al Festival, vuoi perché dobbiamo salutare tutti, e inoltre abbiamo promesso che andremo a vedere la mostra di Nam Jeong-hoon, che ci ha dato appuntamento per le 10,00h, non vorremmo disturbarlo, ma abbiamo l’impressione che voglia accompagnarci.

Lo spazio esterno alla manifestazione, passaggio obbligato per festival ed esposizioni, e lo spazio dedicato a “Blue” la storia di cui l’Accademia Nemo ha organizzato il contest con i disegni di Yoroke.

Infatti è così, insieme al Elisha, la simpatica interprete dall’inglese che ci ha accompagnato in molti incontri e il giovane Shimzu (il nome è probabile non sia esatto ma dovrebbe avvicinarsi a quello vero, che è un cameraman che come un’ombra ha ripreso molti incontri e che anche in quest’occasione ci segue passo, passo), ci dirigiamo verso l’esposizione. È Shimzu che con la sua Golf ci accompagna alla mostra allestita presso una Biblioteca in un’altra zona di Busan.
Qui incontriamo l’autore insieme al gruppetto di giapponesi della sera precedente, col direttore del Museo del Manga di Tokyo, e insieme facciamo un gruppo al quale Nam Jeong-hoon spiega la filosofia delle belle immagini esposte. La storia di una bambina tra i profughi della Corea del Nord, portati a Busan dalla Meredith Victory, una nave americana che, spogliata delle armi, traghettò 10 milioni di coreani in fuga dal Nord. Poi le esperienze di lui bambino in una Busan che adesso è cambiata dai tempi della sua giovinezza, il tutto realizzato con disegno pulito e sintetico che sarebbe perfetto per un graphic-novel. La mostra è piccola ma ben allestita, con un gusto che valorizza le illustrazioni. La pazienza e la dedizione di Nam Jeong-hoon trasmettono tutto l’amore e la passione per il suo lavoro, e siamo felici di avergli tributato la giusta attenzione al suo lavoro meritevole.

La mostra di Nam Jeong-hoon, visitata e commentata insieme a lui.

Nel frattempo Shimzu mi chiede se è possibile rilasciargli una intervista, vorrebbe inserirla nel documentario della manifestazione che dovrebbe realizzare. Elisha ci ha infatti detto che Shimzu ha studiato da sceneggiatore ma è anche un ottimo documentarista, il preferito da Nam Jeong-hoon.
Poi torniamo nel nostro quartiere, dove andiamo a mangiare tutti insieme.
Non abbiamo mai deragliato dalla cucina coreana/cinese/asiatica, sono dieci giorni che abbiamo dimenticato spaghetti, lasagne e culatelli, in questo momento la cucina italiani e tutti i suoi ricordi sono lontani, e torneranno nostri solo tra un paio di giorni.
Ma va bene così, è giusto ogni tanto capire che si può vivere in altri modi, con altri sapori, nutrendosi e mangiando bene anche in modo diversi, senza avere nostalgia di sapori abituali.
Mentre lo dico però, la memoria risveglia momenti passati, profumi e sapori quotidiani, e mi appare quasi in un sogno una semplice, elementare pommarola.
Ecco qua, è bastato parlarne che siamo caduti subito negli stereotipi, ma che provinciali che siamo!
Nel pomeriggio ci chiedono ci presenziare un avvenimento nell’area incontri, non capiamo bene il motivo, visto che non avremo neanche il traduttore vicino, ma assecondiamo le richieste degli organizzatori.

La firma del protocollo di collaborazione tra il BIPA (Corea del Sud) e Taiwan, a suo modo un piccolo evento politico.

Nel frattempo con Shimzu andiamo alla mia mostra e, con l’aiuto Elisha mi pone delle domande e mi chiede di esporli spiegandoli, e mentre mi riprende di fronte alle relative illustrazioni.
Successivamente, l’incontro non è altro che un atto istituzionale, la firma di un protocollo d’intesa, sono presenti infatti i due direttori degli uffici di promozione turistica e industriale di Corea del Sud (il BIPA, di cui sono dipendenti molti nostri amici) e Taiwan. L’incontro infatti è molto veloce, i due funzionari introducono l’accordo e poi tranquillamente lo sottoscrivono, e noi ne siamo i testimoni.

Le esposizioni della manifestazione, con le illustrazioni variant di film popolari (alla quale hanno partecipato insegnanti e studenti dell’Accademia Nemo), e infine i piccoli stand dislocati vicino al parcheggio.

Con Federica decidiamo di tornare in albergo, stare nelle vicinanze degli organizzatori, abbiamo capito implicitamente che li rendiamo responsabili della nostra presenza, e preferiamo non disturbarli, andiamo così in albergo a riposarci un poco, non siamo stati fermi un secondo e abbiamo bisogno di un po’ di ristoro.
Ci ritroviamo verso le 18,00h per andare a Gangbilla Beach. La spiaggia piuttosto famosa che da sul ponte che attraversa la baia, siamo insieme a Nam Jeong-hoon (che oggi è il nostro accompagnatore) Elisha e due autori di Taiwan conosciuti la sera prima durante la cena.
Dopo 40 minuti di traffico scendiamo su un marciapiede molto affollato che delimita la spiaggia incorniciata da alti edifici, comincia ad imbrunire e la baia sembra presidiata da queste costruzioni piene di insegne luminose, il colpo d’occhio è di un brulicare di persone come se fossimo in pieno periodo estivo, salvo che le persone sulle spiagge sono vestite di tutto punto e sono rivolte verso il ponte. Questo ricorda per tipologia architettonica quello di Brooklyn, con due campate che lasciano cadere i tiranti, su tutta la struttura sono applicati Led che producono mille giochi di colori, sfumando in mille fantasie diverse e multicolori che si scompongono e ricompongono in giochi geometrici, ed è di fronte a questo spettacolo per gli occhi che le persone gente sono rivolte.
Come ipnotizzati anche noi ci armiamo dei nostri cellulari e cominciamo a riprenderli. Si potrebbe stare tranquillamente seduti ad osservarli per ore, mentre la sera cala anche se le luci del ponte e quelli del neon della città, rischiarano la notte illuminandola.

La serata sulla spiaggia di Gangbilla Beach, tra luci, pizze coreane, droni e cantanti on the beach, la degna chiusura di una fantastica vacanza.

Ceniamo da Shanzo, e non chiedetemi perché mi ricordo il nome, è un ristorante di origine cinese, e devo ricordarmelo per precedenti viaggi, è abbastanza elegante, ed è disposto al secondo piano di un edificio, la nostra stanzetta privata (in base al numero delle persone, o a richiesta, spesso nei ristoranti ci sono salette private disponibili), la parete a vetri, da sulla spiaggia e sul lungomare.
Prima di ordinare, nel cielo della baia si accendono decine e decine di piccole luci che compongono scritte e figure, anche in movimento, é lo spettacolo dei droni, una particolarità tutta asiatica. In cielo, sopra il ponte si formano disegni che seguono un ordine preciso. Siamo fortunati, perché questo avviene un paio di volte al mese, e oggi siamo capitati in una di queste occasioni. Poi, come uno sciame di api, richiamate dalla regina, si raggruppano e si concentrano in un punto preciso per radunarsi e, sicuramente, rientrare “nell’alveare”.
La cena è varia, con noodles, pizza locale (inconfrontabile), un pane imbottito, e piatti sicuramente gustosi, anche se quasi sempre difettano leggermente di sale.
Al termine della serata decidiamo di rientrare con la metropolitana, facciamo così quattro passi lungo la passeggiata, sempre intasata di persone, banchetti che vendono minuterie (un po’ come sui lungomare della nostra riviera nel periodo estivo). Dalla spiaggia, per quasi ogni cinquanta metri (lo spazio per distanziarsi tra loro e non accavallare l’audio), con i piedi nella sabbia e rivolti verso la passeggiata, dei ragazzi muniti di amplificatore cantano le loro canzoni, apprezzati da una moltitudine di altre persone sedute lungo i muretti del lungomare, come fosse un piccolo festival canoro senza vincitori.
Prendiamo la metropolitana e scendiamo a Centum City, il nostro quartiere; qui abbiamo un appuntamento con Kim Dong-whee che non abbiamo quasi mai visto, perché impegnato nell’organizzazione del festival. Sono le 21,30h e i locali sono quasi in chiusura, alle 10,00h più o meno chiudono i battenti e solo pochi tirano tardi, siamo così costretti a fermarci ad uno Starbucks. Il tempo degli ultimi saluti, chi come noi l’attende un lungo viaggio di rientro, chi come gli amici di Taiwan soltanto due ore e mezzo di volo, ma tutti siamo consapevoli che il nostro soggiorno in Corea è terminato. Kim Dong-whee inaspettatamente ci porge dei pensieri per tutti, così come ha già fatto Elisha, che confermano l’ospitalità tutta orientale e l’attenzione puntuale per gli ospiti e gli amici. Io in confronto sono il solito orso marsicano che grugnisce solo i ringraziamenti, con quel senso di colpa di chi sa che è incapace di queste accortezze e consapevole di essere (purtroppo) molto distante da questo tipo di gentilezze, e spesso me ne rammarico.
Grandi saluti con tutti, e via in albergo, che dista soltanto un centinaio di metri; giusto il tempo per pianificare la partenza della mattina e via!

 

DOMENICA

Nonostante la sveglia alle 6,20h, mi sveglio alle 5,33h e non mi riaddormento più. Fuori sta albeggiando e la luce è già padrona del panorama, anche se le nuvole nascondono il sole preannunciando una giornata uggiosa, la vivremo in transito. Le strade sono deserte, ma il caffè dove facciamo colazione (é simile ad uno Starbucks), apre alle 7,00h, lo sappiamo e infatti ci presentiamo lì come primi clienti. Oggi è tutta all’insegna dell’anticipo, abbiamo molto tempo e abbiamo deciso di non temporeggiare.
Il taxi arriva in tre secondi, e siamo alla stazione un’ora prima della partenza del treno, troppo presto. In effetti ce l’avevano detto che partire dall’hotel alle 7,45h con un treno che parte alle 9,06h, sarebbe stato eccessivamente prudente, ma tanto eravamo svegli, meglio attendere alla stazione che in albergo nella lobby.
Prendiamo il treno che è al completo, qui si prenota e, almeno nei miei due viaggi, non ho mai visto persone in piedi, sono quasi tre ore e arriviamo alle 12,00h a Seoul. Pranzo frugale perché la stazione è piena, l’orario è quello del pranzo e tutti i ristoranti sono pieni in ogni ordine e numero, ci accontentiamo di un panino al volo. Poi prenotiamo il treno per l’aeroporto (visto il traffico intenso della città, preferiamo la sicurezza della linea diretta), e anche qui le prime due corse sono già sold out e dobbiamo prendere la prima con posti disponibili, quella della 15,30h, e dai altre due ore di attesa.
Ma si sapeva, oggi sarà tutta così, non ci rimane che lasciare scorrere la giornata con nonchalance, contando i minuti nell’attesa di qualsiasi cosa.
Il treno per Incheon, neanche a dirlo, parte in orario, qui più o meno tutto parte in orario, ci addormentiamo quasi subito, passare da un’attesa all’altra è sfiancante almeno quanto fare running, più che altro logora, e il risultato è una spossatezza senza ragione.
Incheon, se ancora non l’ho detto, è enorme, il livello sotterraneo al quale arriviamo all’aeroporto è il B7, ovvero siamo sette piani sotto, tanto per farvi un’idea, tra elevatori e scale mobili arriviamo al piano del check-in ma, come prassi giornaliera, i voli annunciati arrivano alle 19,30h quando il nostro è alle 23,05h. Che facciamo? Attendiamo che si aprano i gabbiotti con gli addetti, che sarà almeno tre ore dopo. Non ci resta che trovare una panca, ed aspettare.

Il nostro saluto a Busan, poco prima della partenza.

Quando ci avviciniamo alla linea dei check-in Federica incontra Un yong, la moglie di Riccardo Gelli (direttore del Korean Film Festival di Firenze, a Busan per il BIFF), che rientra in Italia con lo stesso nostro volo, facciamo due chiacchiere e poi ci lasciamo poco dopo entrati nell’area internazionale.
Per il resto, inutile scandire le ore, adesso siamo seduti ad un tavolo di Food Court, un ampio spazio ristoro con molti posti a sedere e con dei banchi cucina tipo street food che preparano cibo asiatico, oramai restiamo su questa cucina, rimaniamo nel mood della vacanza. Io mi oriento sui noodles scelti dalle foto esposte sul menù, unico viatico per avere un’idea di scelta e intuire che cosa ci verrà servito. Io ricco sugli spaghetti, ma il problema che qui c’è anche l’opzione fredda, ed è proprio quella che scelgo io (non è specificato sul menù, evidentemente nella descrizione del piatto deve essere intuibile, per chi li sa leggere, appunto). Sono stecchiti, ma non male, e poi mi rifaccio con una specie di pollo fritto. Abbiamo scelto di mangiare perché, vista la tarda ora del volo, non siamo sicuri che ci verrà servita la cena, e per non rischiare… tanto fra una cosa e l’altra, si rimangerà eventualmente tra quattro ore, e magari avremo già digerito.

La bellezza di Incheon, l’aeroporto di Seoul, con la sua architettura e la sua vocazione sci-fi, con il robottino che funge da Servizio Informazione.

Partiamo in orario, tra l’altro i coreani ci hanno fornito (questo anche per l’andata), un biglietto Sky priority, che ci concede maggior tranquillità nella scelta del posto e nel riporre i bagagli, ma poco più. La cena alla fine viene servita.
Durante il volo riesco a dormire, ma non ho l’orologio ed ho riposto il cellulare nello zaino, ma per quanto sonnecchi (e riesca pure a sognare), non mi pare di dormire molto, anche perché i sonni sugli aerei sono spezzati continuamente da riposizionamenti, dolori al culo e fastidì vari. Riesco a vedere ben tre film, l’ultimo Indiana Jones (anche se mi accorgo di averlo già visto e di averlo prontamente rimosso), con un Harrison Ford prima ringiovanito dalla CGI e poi per quanto vetusto sempre arzillo come ai tempi; poi “Il luogo degli animali selvatici” tratto da una novella dell’ illustratore americano Maurice Sendak, un artista che conosco da oltre trent’anni e infine quello che forse mi è piaciuto di più, il film Disney-Pixar “Inside out 2”, una godibile storia che riprende la precedente, ma scandagliando le emozioni della pubertà, e quindi ribaltando tutte le precedenti. Poi, almeno in italiano, non è che ci fosse tutta ’sta scelta, a meno di non rivedere la trilogia del Batman di Nolan o quella del Signore degli Anelli.
Poi, il buio.
Un buio piuttosto lungo, il volo infatti è lungo 14 ore, considerando il fuso di partenza coreano, dovremmo arrivare intorno alle 13,00h mentre l’orario europeo di arrivo sarà alle 6,00h di mattina, ci riprendiamo le sette ore perdute all’andata cavalcando in avanti. In pratica partiamo col buio e arriviamo col buio, tanto per fare un esempio: adesso mentre sto scrivendo in attesa al gate B18 dell’aeroporto Schiphol di Amsterdam sono le 7,21h e si intravede solo un pallido chiarore nel cielo. Qui le giornate sono già molto corte.
Schiphol, anche se non ha forme architettoniche accattivanti e, anzi, una struttura piuttosto anonima, è gigantesco, uno dei più grandi aeroporti d’Europa. Dal punto di arrivo della nostra aeromobile al gate si stimano 24 minuti a piedi (ce lo indicano i cartelli), tra camminate e tapies-roulant, ma sono pessimisti, devono avere fatto il calcolo con una tartaruga, perché in realtà si cammina molto sì, ma si fa prima. Ci sono poche altre considerazioni da fare, se non le ultime, alla fine del report, per adesso restiamo nel lungo giorno dell’attesa, sono già a un buon punto, ma mi mancano ancora diverse ore all’arrivo.
A parte la lunghezza del viaggio, quando arriverò a casa saranno state circa 27h che siamo in giro, ma del resto eravamo dall’altra parte del mondo.
Amsterdam-Firenze lo facciamo in un attimo, partenza in orario ed arrivo in anticipo di quasi dieci minuti, poi con poco ritiriamo i bagagli, ci scambiamo le cose dalle valige e troviamo il taxi con un sincronismo che pare quasi improbabile. Sono le 11,00h ed avrei il treno diretto alle 11,28h, e comincio a pensarci su, visto che non avrei mai creduto di prenderlo.
Con la tassista stabilisco una strategia, mi faccio portare a Firenze Rifredi risparmiando sei minuti sull’arrivo del treno e altri minuti sull’arrivo del treno alla stazione. Sono un genio, alla stazione arrivo alle 11,12h quando lì lo stesso treno transita alle 11,34h, ho quasi il tempo di annoiarmi.
Il cielo è sbiancato dalla noia, ma non è freddo, il treno beccheggiando lascia stridere i suoi metalli che cigolano fastidiosi.
Ho finito di scrivere, e finalmente mi godo il panorama.
Oramai siamo quasi a casa.

Allora: due conclusioni su questo viaggio, e le devo più a me stesso che a voi lettori, per quanti sarete mai…
Sono partito titubante, perché il webtoon (per me stretto parente del manga), mi è lontano, per interesse, per cultura e per i possibili sviluppi professionali (almeno personali). Lo è di meno nei risvolti didattici utili per la realizzazione di corsi specifici all’Accademia Nemo. Ma su questo mondo, e intendo il fumetto e consimili, sto tirando i remi in barca e, per rimanere nella nautica, non mi sogno minimamente di trasbordare su un’altra. Ero titubante perché mi sento fuori luogo, non più coinvolto in certe dinamiche, le trovo distanti da come sono adesso, quasi facessero parte del mio passato.
Ma l’entusiasmo, le attenzioni e la grande importanza da parte di tutti che mi hanno tributato, dagli organizzatori, agli studenti e agli addetti ai lavori, mi hanno coinvolto emotivamente e per questo ho cercato di dare il meglio di me. E quando intendo questo, mi riferisco all’attenzione e l’interesse verso tutto quello che mi circondava, cercando di essere presente a me stesso e al mio ruolo. Credo immodestamente di esserci riuscito.
Il Busan Global Webtoon Festival è una giovane manifestazione (alla sua 8ava edizione) nata con l’intento di promuovere questa nuova modalità di fruire le storie disegnate, un metodo diverso e che in Corea del Sud gode di grande credito e popolarità, ben più del fumetto classico, ma veicolandolo attraverso un mezzo che oggi è una protesi irrinunciabile dei giovani: lo smartphone.
L’organizzazione della manifestazione riflette la personalità di questo popolo: attento, professionale, preciso e assolutamente proiettato verso il futuro. In tutti i risvolti dell’allestimento è stato possibile vedere la cura del dettaglio e l’assoluta professionalità di chi gestiva il tutto. Per ogni incontro, intervista o premiazione, si muovevano in sincrono una moltitudine di tecnici come solo in programmi altamente professionali mi è capitato di vedere. Un’organizzazione impeccabile.
Il festival non è come quelli dei fumetti ai quali siamo abituati, bensì come le esibizioni tipo CTN di Burbank a Los Angeles, momenti in cui i professionisti si incontrano creando connessioni, o gli studenti apprendono attraverso workshop o panels fatti con i professionisti. Non si vende niente, perché non c’è niente da vendere, non c’è merce materiale, bensì informazioni e condivisioni. Quindi se c’è qualche banchetto (pochi) vendono gadget e accessori relativi ai webtoon più conosciuti, oppure sono allestite delle mostre (rigorosamente con stampe, perché tutto all’origine viene realizzato in digitale) con autori moderni o classici (come il sottoscritto), per diffondere la cultura e l’arte di chi realizza le storie.
Non è difficile da capire il successo di questa modalità narrativa, perché se andate qualche giorno in Corea, vi renderete conto di quanto tutto sia connesso e digitalizzato, l’acquisto di biglietti, gli scambi di informazione, l’acquisto delle cose, l’accesso ai servizi e mille altre modalità d’uso di questa innovazione digitale. Se ci lamentiamo di quanto siamo succubi dei cellulari, basta venire qui per rendersi conto che siamo solo dei dilettanti allo sbaraglio.
Il webtoon potrà essere un’ancora di salvataggio del fumetto?
Sinceramente non lo so. Le dinamiche sono molto diverse, la cultura è molto diversa, e quindi è come se dovessimo giocare allo stesso gioco con regole differenti.
Se nel fumetto ci sono gli editori, qui ci sono le piattaforme che decidono chi e come pubblicare e, pare, si tengano i diritti d’autore, ed è una bella fregatura, se consideriamo che talvolta qualche webtoon di successo lo si trova realizzato nelle loro serie drama (basta vedere su Netflix la grande offerta di serie e film coreani). Non ho neanche ben capito come e dove si guadagna dalla visione del webtoon, anche se pare ci sia la presenza di sponsor pubblicitari che c’investono.
Poi ci sono altre considerazioni da fare:Ad esempio, qualche giorno fa, ho postato delle foto con dei disegnatori che, riunitisi tra di loro, gestivano un negozio adibito alla realizzazione di ritratti e caricature in un centro commerciale (non di quelli extra lusso e più dedito a prodotti dell’artigianato, ma tant’è!). Bene, una pubblicità all’esterno dichiarava ben 7000 won per una caricatura, ora, 7000 won sono l’equivalente di circa 4,00€. La domanda che mi sono posto io è stata: ma a questi prezzi, per guadagnarci qualcosa, pagando affitto e spese del negozio, quanto devono incassare? O almeno, quanto sarà mai l’affitto perché questi ragazzi possano permetterselo?
Con questo vorrei solo capire i compensi e le dinamiche economiche come si svolgono, che peso hanno nel contesto economico della società.
Insomma, le domande sono tante, ma se mi chiedete se il webtoon possa essere un’alternativa al fumetto, potrei dire che, per quanto non lo sappia, visto l’amore che per una vita mi ha accompagnato per l’arte disegnata, non posso che augurarmelo.
Intendiamoci, per quanto vicini, stiamo parlando di due cose diverse, il formato è standard, e manca la peculiarità di dare ampiezza e “sfogo” alle vignette, mancherà la capacità di comporre la pagina o, come dicono i francesi, non sarà più necessaria la capacità de la mise en place, e dovremo svilupparla soltanto in verticale obbligati come siamo alla scrollatura dello schermo del cellulare, ma nel contempo non si consuma carta né si sprecano risorse.
Per cui, che volete che vi dica: se è possibile sfruttare questa ipnotica abitudine dei ragazzi verso le loro protesi digitali, che ben venga un modo per continuare a realizzare storie disegnate.

E la Corea del Sud?
Quando si arriva in posti così lontani, e mi è capitato in Cina, Giappone e adesso in Corea, ci rendiamo conto di quanto le nostre convinzioni (o presunte tali), siano fondate su stereotipi banali, abborracciati e frutto di pregiudizi costruiti in anni di luoghi comuni. In parte non è neanche colpa nostra, in fondo cosa sappiamo della storia di questi popoli?
E oggi che nelle scuole è scomparsa perfino la Geografia (proprio nel momento in cui tutto è globalizzato e forse ce n’era più bisogno), siamo sicuri di collocare la Corea, ad esempio, nel quadrante geografico giusto?
E anche semplicemente scrutando la mappa di navigazione del volo dell’aereo, di quanti stati che stiamo attraversando conosciamo tradizioni e storia?
La Corea è un paese giovane, completamente ricostruito su modelli estremamente moderni di matrice occidentale, nato su un fragile armistizio che ha fermato una guerra, ma non l’ha estinta, e che su questa precarietà, ha costruito il suo desiderio di ribaltare le avversità, e crescendo a ritmi vertiginosi come sta facendo tutta l’Asia.
Noi per anni abbiamo guardato l’America e i nostri modelli occidentali, dimenticandosi di ciò che avveniva in Asia, dove milioni di persone stavano crescendo a ritmi accelerati e che, per quanto abbiano imitato questi modelli, si stanno avvicinando sempre di più ai loro standard.
La grande digitalizzazione, i palazzi vertiginosi, le strade a sette corsie, i viadotti a due piani, le grandi infrastrutture, la modernità ovunque e per chiunque dimostrano la velocità alla quale riescono a correre, e non sono sicuro che noi stiamo riuscendo ad andare alla loro stessa velocità. Mi verrebbe da pensare che il futuro sia qua, piuttosto che nei luoghi dove spesso rivolgiamo i nostri sguardi.
Fare comparizioni poi, per noi italiani è perfino impietoso nei nostri confronti. La cultura coreana tiene in grande rispetto gli anziani, che sono un bene da tutelare e fonte di saggezza per i giovani, da qui ne deriva un rispetto umano e culturale che si riflette nella gestione della convivenza sociale e degli spazi comuni, bene prezioso di chiunque. I cestini dell’immondizia non esistono perché ogni coreano smaltisce i propri rifiuti autonomamente. Le infrastrutture sono moderne ed imponenti, basti pensare che all’arrivo all’aeroporto Incheon col treno preposto, il nostro binario era al livello B7, ovvero ben sette piani dal piano dell’aeroporto e, una volta arrivati al livello 0, ce n’erano ancora tre (o quattro), che ci sovrastavano.
Le persone in giro hanno vestiti moderni, nuovi e decorosi, sono molto attenti alle apparenze e curano molto il loro aspetto (perfino troppo); le auto sono quasi tutte di marca coreana, Hyundai, Kia, Grandeur, o Chevrolet (che anni fa acquistò la Daewoo), e la maggior parte di alta gamma, con modelli che difficilmente si vedono in Italia, quelle di lusso sono targate Germania, BMW, Mercedes o Audi, qualche Volkswagen. I treni sono puliti e confortevoli e si prenotano per tempo, non ci sono posti in piedi e i biglietti sono scaricabili da app, o in altri casi con la T-card si può utilizzarla sia per i taxi che per bus o metro, ed è ricaricabile. Ho visto solo due homeless in metropolitana, e in giro solo persone affaccendate a fare mille cose, ovunque c’è occupazione e personale, nei servizi, nei negozi, ovunque. Questo mi fa pensare quasi ad una piena occupazione per tutti, e con un livello di vita piuttosto alto.
È un paradiso? Certo che no. Ma lo sguardo su paesi del genere dovrebbe essere motivo di riflessione su chi siamo, su chi crediamo di essere, e su come ci dovremmo collocare nel mondo.
Perché è vero che proveniamo da lontano e la nostra storia è ricca e gloriosa, ma il nostro presente è piccolo e micragnoso, e non si può sempre pensare di vivere guardandosi indietro e bearci di chi siamo stati, oggi non lo siamo più, perché gli altri ci sopravanzano e, alla lunga,  finiremo per perderli di vista.
Non vorrei mai essere come loro, ogni popolo ha e deve avere le proprie peculiarità, ma non capisco perché non possiamo prendere spunti, sforzi e novità per migliorare il nostro presente, quando altrove sono in grado di farlo.
Se ha un senso fare certi viaggi, oltre che per aprirci la mente, è utile per capire dove siamo, e se effettivamente stiamo percorrendo la strada dei nostri padri ai quali diciamo di ispirarci.
Io credo di no, ho l’impressione che sia un facile alibi per poter rimanere in quel limbo immobile che ci illude di essere i loro degni successori, quando siamo soltanto dei mediocri usurpatori di una storia che non meritiamo.

 

 

 

 

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