UNA GIORNATA PARTICOLARE

Il 30 Marzo 2017 è stata una mattina in cui oltre che un incontro all’Istituto Agrario Leopoldo II di Lorena, nel pomeriggio, all’ultimo momento, ero anche stato chiamato per partecipare ad una trasmissione televisiva su una tv locale, TV9. Come si dice: la previsione di una giornata piuttosto piena.

TV9+Stefano

Quella giornata è partita nel migliore dei modi, con uno sprint tutto all’insegna dell’ottimismo, quasi fosse stata concepita da un dio particolarmente in forma e che aveva voglia di dimostrare quanto potere e quanta magnanimità, volendo, può distribuire anche solo nelle 24 ore.
Un sole alto, caldo che già da giorni conferma una primavera generosa e carica di promesse e che, devo dire, per il momento sta mantenendo, e una propensione d’animo di quelle serafiche e contemplative, che talvolta ci concediamo come fossero un premio alla nostra esistenza.
La variante Aurelia è animata da un traffico modesto, il percorso non prevede intoppi né imprevisti e la tranquillità della guida ed il cruiser control mi permette divagazioni sul tema, e distrazioni all’insegna della riflessione personale.
E’ così che mi rivedo ragazzo con le mie paure, con le mie titubanze e le mie insicurezze e di conseguenza carico di quella emotività di chi, in determinate occasioni, maschera le proprie debolezze dietro una timidezza che è solo un sipario dietro al quale nascondersi, anche se il mio lato oscuro ha sempre rivelato uno spirito piuttosto egocentrico, che in modo sparagnino e bizzarro è emerso in determinate occasioni e che si è palesato in maniera visibile molto più tardi. Quello che voglio dire è che in un’occasione come questa, dove probabilmente dovrò parlare ad un’aula magna composta da decine e decine di studenti, di un progetto di cui ho letto alcune dispense ma del quale non ho preparato alcun che, successivamente sedermi di fronte ad una telecamera per sostenere delle domande incrociate, e nonostante tutto questo non solo non mi spaventa per niente ma anzi, mi regala una certa euforia come se non aspettassi altro che fare ciò per cui sono stato invitato.
Curiosa la vita, per anni credi di essere un timido che tende a nascondersi ad ogni occasione pubblica, e invece ti riscopri un giullare che alla prima ribalta ci salti su.
O forse è solo l’esperienza quella che ti concede tutte le variazioni sul tema, perché di quello che devi dire, conosci ogni sfumatura, ogni dettaglio e perché ormai situazioni del genere, che un tempo ti avrebbero spaventato, oggi quasi sono richieste dal tuo fabbisogno personale.

Alla scuola incontro i relatori: la direttrice dell’Istituto esterno che ha promosso il progetto di impostazione storica (con realizzazione parziale a fumetti, ovviamente), un insegnante che ha il compito di dare alcuni cenni sulla storia del fumetto e poi, dulcis in fundo (ma il dulcis dipende tutto dal prima), dovrei intervenire per raccordare il tutto parlando del “linguaggio” del fumetto e di tutte le sue declinazioni possibili.
La mattinata è lunga, dopo un breve incipit del vice-preside, comincia la direttrice che con un entusiasmo invidiabile imperversa per oltre un paio d’ore, di fronte ad una platea di studenti che, stoici, resistono in modo egregio, nonostante si accascino pian, pianino sempre di più sulle loro sedute ma, devo dire, mantenendo un comportamento assolutamente dignitoso che gli fa onore.
Abbondantemente dopo l’intervallo, attesa parentesi nell’oceano sterminato della mattina, comincia il professore, assecondato da immagini di vecchi albi che spaziavano da Yellow Kid a Cino e Franco, dal Corriere dei Piccoli a Tex Willer e che sicuramente aveva raccolto con dedizione professionale ed interesse ma che, inevitabilmente, riscuotono il medesimo successo di una rappresentazione teatrale di Cechov nel mezzo di una discoteca durante un sabato sera.
Ora, come da reiterate esperienze avute nel tempo, le generazioni attuali stanno al fumetto come mio nonno poteva stare all’uso del bancomat e cioè, sono universi che non si capiscono. Nessuno li ha messi in contatto tra loro, il mondo dell’insegnamento, che si è sempre disinteressato di tutto questo universo, pensando che solo perché un tempo i fumetti era roba per ragazzini, questo meccanismo ancora funzioni così, ed è solo in queste situazioni che capiscono che NO, non funziona così, non è automatico, per cui sono perfetti sconosciuti, tanto per parafrasare un film di successo.
Ed è così che, dopo quasi tre ore e mezzo, mi viene consegnata l’aula magna.
Praticamente un cimitero di studenti sfiniti che immagino avessero come unico desiderio quello di alzarsi e andarsene a casa.

Ho dovuto cambiare completamente l’approccio a ciò che avrei voluto e dovuto dirgli.
Sono così partito in contropiede e li ho spiazzati, ma sopratutto ho tentato di svegliarli da quel torpore nel quale erano caduti rovinosamente, cercando perciò di essere il meno accademico possibile.
E’ andata bene.
Ma credo di esserci riuscito non tanto per merito mio, ma perché alla fine del tour des forces della mattina, mi erano rimasti solamente gli ultimi 45 minuti da gestire e si sa, il dono della sintesi e della brevità spesso è tanto benedetto quanto precluso.

Il pranzo è stato davvero frugale, ed il dispiacere è stato quello di non poter rimanere di più con la simpatica e stimata compagnia che mi aspettava al ristornate. Ho mangiato come non mi piace fare, e cioè di fretta e con l’occhio all’orologio, l’appuntamento alla TV era alle 14,30 e ancora dovevo andare a Marina di Grosseto dove era stato montato lo studio di registrazione.

Durante il breve viaggio verso la località marittima, ho modo di notare come la campagna della Maremma cambi anche a distanza di un solo centinaio di chilometri, in queste zone, che ricordo sono zone di bonifica, è più brulla ma al contempo manifesta una natura che ai miei occhi è più rustica e selvaggia ed ha un fascino tutto suo.
Marina, che non conosco, al mio arrivo da quel poco che vedo si manifesta come la classica località marittima della costa Toscana, piccole villette circondate da giardini ed immerse nell’ombra della pineta che come unico denominatore accomuna le cittadine rivierasche.
Il set è stato realizzato all’interno del Grand Hotel Terme Marine Leopoldo II, una nuova e grande struttura a due piani che presiede la strada interna della cittadina, con tanto di bandiere internazionali in bella mostra, gradinata all’ingresso e l’aspetto di chi ha visto investire del denaro per un maquillage di tutto rispetto, e con il bianco della facciata e l’imperiosità della mole è una dimostrazione esplicita alle costruzioni circostanti del suo valore e della sua importanza.

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Alla reception mi indicano la strada verso il set.

Internamente l’hotel è molto bello, ben arredato in un lusso non troppo sfrontato ma che non lascia dubbi sul costo delle camere, internamente non è meno imponente dell’esterno e una grande piscina fa da spazio comune al quadrilatero che compone la struttura; ci son sdraio tutte intorno allo specchio d’acqua immobile e lucente, vista la calma della giornata, le poche persone, il sole e la temperatura, sarebbe quasi da farsi un bel tuffo e al diavolo tutto il resto, e lo farei volentieri anche a scapito della trasmissione, se no fosse per il rispetto a quel narcisismo che non ci farebbe mai rinunciare ad un’occasione pubblica come quella.
Il set è in un ampio salone interno, ma al tempo stesso antistante la piscina che fa da sfondo al divano su cui, presumo, ci siederemo. La scena è accogliente come lo sanno essere gli studi televisivi, un paio di separè come close up per la scena, un piccolo tavolo antistante il divano, una pianta verde e la piscina come background, l’ambiente è chiaro e luminoso, le telecamere piazzate, tutto in terra è un intreccio di cavi, prese e trasformatori. Mi presentano tutto lo staff, la regista, il fotografo di scena, l’operatore/montatore/fonico e l’assistente, la giornalista la conosco dalle telefonate intercorse, poi c’è la critica letteraria e l’esperto, un giornalista/scrittore/traduttore che lavora anche in altre trasmissioni della TV.
In realtà pensavo di essere uno degli ospiti presenti, e vista la quantità di persone ho pensato che la mia teoria fosse confermata, invece capisco che sono l’UNICO ospite della trasmissione che, appunto, ne prevede uno per puntata.
Ops… un’importanza che non credevo di avere.
Gli altri arriveranno solo successivamente perché, come ogni esperto di broadcasting sa, di trasmissioni se ne gira sempre molte una di seguito all’altra, si chiama: ottimizzazione dei costi..
Infatti per quel giovedì ne sono previste quattro.
Io sono l’ospite della prima.
Meglio così, almeno non avrò il fastidio dell’attesa.

La regia è piazzata nella stesso salone, una enorme consolle fatta di video e pulsanti, cursori e manopole e una jungla di fili che si perdono verso derivazioni e prese multiple. Il fotografo ha la macchina piazzata sul cavalletto di fronte al set, e fa le sue prove sull’esposizione. Sono tutti molto gentili e simpatici, scambiamo poche veloci battute, ci scattiamo delle foto che credo faranno parte delle press realease del programma ed io non ho neanche il tempo di ambientarmi un po’, consegno i miei libri che mi hanno chiesto di portare e che saranno esposti ed inquadrati durante la trasmissione.
Come si dice in gergo: “mi microfonano”, sono tutti molto gentili, c’è una certa frenesia che credo sia normale prima di una “diretta”, in effetti la trasmissione sarà mandata in onda successivamente ma sarà girata come una diretta, e cioè senza montaggio, se non in occasione dell’interruzione a metà programma per l’inserimento dello stacco pubblicitario.
Sono piuttosto tranquillo e la giacca che indosso sui jeans temo, visto la temperatura, che sia troppo pesante ma immagino che di tutte queste sensazioni, una volta cominciata la diretta, non ne percepirò neanche una. La classica prova microfono a base di frasi senza senso o malapena di senso compiuto, poi il cameraman si rivolge alla presentatrice che, cambiatasi d’abito ed indossandone uno adatto alle riprese, comincia ad introdurre la puntata.
Si comincia.
Be’, per il resto non vi resta che vederla.

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Il sottoscritto tra Francesca Ciardella e Dianora Tinti.

Sono già sul percorso del ritorno, ma ho tempo e finisco per andare a far visita alla cugina di mia madre, che detta così sembrerebbe una parentela di quelle trascurabili ma che nel lessico della mia famiglia rappresenta un legame importantissimo. Mia madre, figlia unica, e sua cugina erano praticamente sorelle e così si sono sentite per tutta la vita, si sono cercate, volute ed amate proprio per la diametrale distanza caratteriale che le contraddistingueva: una calma e serafica, l’altra impulsiva, frenetica e curiosa, completandosi come lo yin e lo yang, come luce e buio e, per questo, sentendosi un tutt’uno quasi indivisibile nonostante la distanza delle città dove abitavano.
Invece il destino le ha inevitabilmente divise, ed io adesso sono l’unico trait d’union che unisce ancora la memoria di mia madre a sua cugina in questo legame affettivo così forte.
Ed io adoro quella donna.
La sosta è piacevole, come sempre, mi piace rispondere alle sue domande sempre curiose ed interessate, anche quando spesso di ripetono perché si dimentica di avermele già fatte. Un caffè, il tempo per due risate e le inevitabili due lacrime per il ricordo, e due ore passano piacevolmente così.

Il ritorno verso nord è tranquillo, l’oretta di strada che mi divide da casa è baciata da un sole che è ben ancora lontano dal tramontare e mi accende il volto con la sua luce, il cambio dell’ora ha allungato a dismisura le giornate e le ha rese prive di quei riferimenti che fino a quel momento scandivano il procedere delle ore, rendendole così meravigliosamente senza fine.
Sono stanco, ma di una stanchezza benedetta da una giornata fatta di molte cose, perfino troppe per una sola. Esagerata ed indecente rispetto al venerdì che verrà ed al mercoledì passato, giornate che scompariranno nell’oblio della memoria come mille altre, mentre per questa ci sarà un posto privilegiato nel libro dei ricordi, una teca con targhetta che la lascerà brillare ad imperitura memoria.

Ma non è ancora finita.

Al mio rientro, nonostante la stanchezza, decidiamo insieme a mia moglie di andare al cinema a vedere un film della rassegna settimanale che un’organizzazione sociale promuove da mesi, una serie di film che che non hanno avuto la possibilità di distribuzione nel circuito locale, ma che generalmente sono di sicuro interesse culturale. Forse inconsciamente cerco di prolungarla ancora, perché una giornata così evidentemente non può estinguersi banalmente sprofondati sul divano davanti alla tv, ha bisogno di un finale degno ed io, che non perdo mai l’occasione di finire in bellezza, rinuncio al ristoro delle volgari membra per gli onori di una conclusione all’altezza della giornata trascorsa.

Il film: E’ solo la fine del mondo, del francese Xavier Dolan, è anche stato molto bello e mi è piaciuto moltissimo, ed in merito ho già scritto.
Ed alla fine, sono quasi dispiaciuto di andare a letto, perché non spengo soltanto la luce per dormire, ma decido di calare il sipario su 24 ore bellissime.

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E’ perfino imbarazzante una giornata così perfetta, senza sbavature, vissuta con uno stato d’animo leggero e completo, intensa ed appagante, fa perfino paura e fa pensare perché nella nostra vita siano così maledettamente rare e rarefatte. Ma è proprio nella sua unicità che risiede lo splendore della sua luce, ed allora ben vengano le altre, grigie ed anonime se servono a colmare l’esistenza quotidiana nell’attesa di momenti come questi.
La cosa davvero bellissima è però essersene resi conto, averla vissuta nella consapevolezza di quello splendore, e così avere vissuto di quella luce riflessa.

Adesso non ci resta che aspettare la prossima.
Chissà quando arriverà?

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